Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
Una FanPage con centinaia di migliaia di “Like” fa sempre la sua porca figura, niente da dire. Quando poi gli utenti interagiscono tra di loro, discutono attorno al prodotto e sono estremamente attivi su ogni aggiornamento verrebbe voglia di fare una telefonata al Community Manager per complimentarsi con lui e magari scroccargli qualche trucco del mestiere.
Già. Ma cosa si nasconde dietro quella vagonata di fan? Reali estimatori del nostro prodotto, che non vedono l’ora di dimostrarci tutto il loro amore a mezzo Facebook, o una mera compravendita di Like, affiliazioni e commenti?
Poco meno di un mese fa, due blogger francesi hanno pizzicato Orangina a fare proprio questo: comprare pacchetti di fan per rimpolpare un po’ i numeri e il traffico sulla FanPage. Orangina, la nota bibita a base di agrumi, vanta oltre 350.000 fan sulla propria vetrina su Facebook: un grande numero di persone che apprezzano, commentano e discutono – talvolta animatamente – ogni singolo contenuto postato sulla pagina.
Ma qualcosa non ha convinto Julien e Arnaud e – come loro stessi raccontano nel loro post – hanno cominciato a pedinare virtualmente alcuni dei fan più assidui della bibita. Scoprendo che, in realtà, la maggior parte erano… finti. Profili credibili di persone inesistenti, nati con un unico scopo: piazzare quanti più like e commenti possibili, per aumentare il traffico e la visibilità della FanPage.
Come se ne sono accorti? I seguaci “sospetti” avevano pochissimi amici, quasi tutti condividevano il Like sulla stessa FanPage e soprattutto, non facevano che parlare della bevanda e condividere contenuti di Orangina. Per quanto un consumatore possa amare una bibita, tutto ciò suonerebbe abbastanza ossessivo se si riferisse veramente a una persona in carne e ossa, no? L’indagine di Julien e Arnaud ha scatenato parecchio rumore e, in men che non si dica, sono stati contattati da Orangina in persona. I vertici del brand si sono detti estranei a qualsiasi tipo di pratica scorretta e hanno dichiarato che i “giochi sporchi” sono stati fatti alle loro spalle.
In seguito a questo episodio, l’attività della FanPage si è drasticamente ridotta: non tanto nei Like e nei commenti, ma piuttosto dal punto di vista della pubblicazione di nuovi contenuti, che hanno cominciato a essere sempre più sporadici, per non dire inesistenti. In pratica sulla FanPage di Orangina sta cominciando a crescerci l’edera.
La discussione sulla compravendita di social fan, comunque, è uno dei temi caldi del Web. In molti casi, nasce anche dalla curiosità di capire come funziona questa fetta di mercato: dalle net farm cinesi e indiane – vere e proprie fabbriche dove si producono finti account su misura per ogni social – fino a cercare di capire la reale domanda di chi sceglie di comprarsi dei seguaci anziché conquistarseli.
Nel suo blog, Paolo Ratto riporta l’intervista al responsabile marketing di una di queste aziende che, attraverso un raffinato circuito di “utenti reali”, vende pacchetti di fan su misura per l’esigenza del cliente. Cliente che, sempre più spesso, è interessato a ravvivare un po’ il traffico e la discussione attorno al proprio brand in ottica di investimenti futuri.
Eppure, nonostante la vita del finto fan possa anche nascondere una certa dose di divertimento, tra i tanti addetti ai lavori, c’è anche chi sostiene che “comprare fan al chilo” serva a poco quando l’obiettivo è una promozione sana ed efficiente del proprio brand.
E il caso di Orangina, forse, ne è la prova.
Via Tech Economy
Il web 2.0 mancava di un network dedicato alle famiglie. Con questo target è nato Save the mom, primo sito social dedicato a mamme e papà alle prese con la gestione della casa, dei figli e del lavoro.
Save the mom è pensato per legami familiari o di amicizia stretta, esclusivi, e riproduce una rete chiusa che si scambia messaggi in bacheca, condivide un’agenda di appuntamenti, la lista della spesa e mostra i diversi check-in per visualizzare costantemente gli spostamenti dei membri della famiglia.
Al centro del network c’è al solito la mamma, ma il sito, essendo perfettamente interattivo, permette di facilitare la collaborazione tra familiari, papà e figli su tutti, ma anche nonni, baby-sitter e badanti.
Via Quo Media
Secondo un rumor che sta facendo il giro della rete, Twitter starebbe pianificando grandi cambiamenti per le Brand Page, introdotte a dicembre. Secondo Advertising Age, che menziona tre manager ben informati dei fatti, la società vorrebbe arricchire l’esperienza dei brand integrando numerose funzioni alle pagine, tra cui: e-commerce, concorsi e lotterie.
Nessuna data è stata fissata, ma Twitter starebbe avvertendo gli inserzionisti di aspettarsi novità entro l’anno. L’azienda si è rifiutata di rilasciare commenti.
L’aggiunta di funzioni alle brand page rappresenterebbe l’evoluzione naturale per un prodotto promozionale che al momento offre poche possibilità e servizi agli inserzionisti.
Anziende del calibro di Nike, American Express e McDonald sono state tra le prime a sperimentare le nuove pagine dedicate ai brand; a gennaio molte altre società hanno avuto accesso al servizio impegnandosi a spendere almeno 25000 dollari in advertising; ma molti manager sono scettici sull’utilità delle pagine nel loro presente formato. Le novità potrebbe cambiare la situazione aggiungendo nuovi servizi e formati e una maggiore possibilità di personalizzare l’esperienza del brand.
Particolarmente intrigante sarebbe la possibile trasformazione o integrazione nelle brand page, e più in generale in Twitter, di una una piattaforma di e-commerce.
Via Tech Economy
La lotta fra social network si combatte a suon di nuove utenze. Secondo le stime di eMarketer, per la prima volta dalla sua nascita, nel 2012 la crescita di Facebook negli Stati Uniti sarà inferiore al 10%, mentre il rivale Twitter dovrebbe incrementare i propri iscritti del 20% sul suolo americano.
Facebook, decisamente il social network più popolare del pianeta, sconta la copertura ormai capillare degli internauti statunitensi: il sito creato da Mark Zuckerberg ha visto la propria utenza salire del 13,6% nel 2011, mentre nel 2010 l’incremento degli iscritti era stato del 38,6%. Inverso il trend di Twitter, che dopo un balzo in avanti del 23,5% nel 2010, è cresciuto del 31,9% lo scorso anno.
Il confronto tra i due network, al momento, è ancora impietoso: Facebook conta 133 milioni di utenti negli Usa, mentre Twitter si ferma a 24 milioni, cifra che dovrebbe però raddoppiare entro il 2014. A quel punto, la scontro sarà reale.
Via Quo Media
Il mercato di smartphone e tablet sempre più in espansione, un miliardo di persone con accesso alla banda larga mobile nel mondo, il lancio di device sempre più economici, le ricerche su internet da dispositivi mobili che guadagnano giorno dopo giorno terreno e supereranno presto quelle da desktop, le reti sempre più al limite, che faticano a tenere il passo con lo sviluppo straordinario della connettività mobile.
E’ questo il quadro che emerge dalle dichiarazioni dei maggiori operatori del settore telecomunicazioni presenti fino a pochi giorni fa al MWC di Barcellona, come Hans Vestberg, chief executive di Ericsson, che prospetta una svolta del mercato verso una “microsegmentazione” delle offerte, andando ad intercettare i bisogni di utilizzo della rete dei singoli utenti per ottimizzare il traffico, lasciando così maggior respiro alle reti.
Tariffe ed abbonamenti studiati su misura, selezionando diversi tipi di target all’interno dell’universo dei propri clienti, per capire quali sono i loro reali bisogni e le effettive modalità d’uso della rete da mobile. Una sorta di pay-per-use, disegnato sul profilo del singolo consumatore.
Un esempio di questa nuova strategia arriva da oriente, più precisamente dall’Indonesia, dove Telkomsel, operatore leader del settore mobile, ha lanciato una particolare (ed economica) offerta per andare incontro al pubblico del paese, dove un terzo della popolazione non raggiunge i 15 anni: FlexiChatting, un piano tariffario per accedere esclusivamente a Facebook e Twitter, controllando così messaggi, notifiche ed aggiornare il proprio stato.
Un sistema che permetterà quindi di pagare per l’effettivo uso in rete dei propri device, garantendo al contempo risparmio per i consumatori, ma soprattutto una maggiore efficienza delle reti, senza la quale “la stragrande maggioranza delle persone su questo pianeta sarà tagliato fuori da Internet”, come riporta sempre Vestberg.
Gli operatori stanno progressivamente abbandonando gli abbonamenti con connessione illimitata, indirizzando le proprie tariffe verso un conteggio della quantità di kilobyte utilizzati, calcolando il prezzo finale sulla portata del download effettuato.
L’accesso da mobile senza limitazioni sembra aver raggiunto un livello non sostenibile, che le innovazioni e gli investimenti su reti ed infrastrutture non sembrano poter arginare. Un’attenta frammentazione delle tipologie di accesso e limitazioni economiche all’uso massiccio della rete mobile sembrano essere l’unica scelta per garantire, a un pubblico sempre più vasto, un servizio di connettività soddisfacente per il prossimo futuro.
Via Tech Economy
L’esperienza insegna che prima di iniziare una qualunque attività, di business e non, è bene partire da un’ approfondita analisi con cui individuare i punti di forza, di debolezza, ma anche le opportunità e le minacce, del progetto stesso.
Il web non fa eccezione e una simile analisi SWOT (Strengths, Weaknesses, Opportunities, Threats), è indispensabile anche nella costruzione di una strategia di posizionamento online. I punti di forza e di debolezza infatti, fanno riferimento ad aspetti interni o meglio di “on-page” di un sito, mentre le opportunità e le minacce analizzano i fattori off-page e le attività dei competitors.
Occorre sottolineare che per una analisi SEO approfondita e strutturata è sempre opportuno affidarsi al proprio reparto di web marketing o ad una web agency professionale, ma per verificare autonomamente se un sito web sia ottimizzato o meno, e quindi se le tecniche SEO messe in atto stiano dando i loro frutti, in rete sono disponibili dei semplici tool che in pochi click permettono di avere qualche interessante indicazione. Di seguito indicheremo quattro di questi strumenti (2 per i fattori interni e 2 per i fattori esterni) spiegando quando, come e perché utilizzarli. Fattori on page:
1.WooRank : questo simpatico tool permette di creare dei “report” di analisi solamente inserendo il sito web all’interno dell’apposita casella di testo. In pochi secondi potrete avere a disposizione diversi fattori di posizionamento parametrati con tanto di spiegazione.
2.GT Metrix: elemento molto importante per la fruibilità e la leggibilità di un sito è sicuramente la velocità di caricamento delle pagine: GT Metrix utilizza Google Page Speed e Yahoo YSlow per fornire dei parametri con relativi suggerimenti per poter risolvere gli eventuali problemi. Anche per questo strumento bastano pochi click per ottenere una scheda con i valori percentuali scaricabili anche in PDF. L’elemento forse più utile è la possibilità di comparare le prestazioni di più siti (fino a quattro) per avere un’analisi di benchmark di riferimento.
È bene evidenziare come questi strumenti forniscano elementi di analisi interna soprattutto dal punto di vista “tecnico”, ovvero di ottimizzazione del codice HTML e dell’architettura strutturale di un sito web, tralasciando un elemento fondamentale: i contenuti.
Un dominio ottimizzato al 100% senza contenuti interessanti per l’utente diventa un puro e semplice esercizio di stile. Ricordiamo prima di ogni accorgimento SEO per un opportuno posizionamento che, come disse qualcuno, “Content is King”: scrivere articoli stimolanti e ben impaginati, redigere editoriali ed approfondimenti originali e creare contenuti di grande interesse per l’utente/visitatore è la vera chiave per il successo.
Fattori off page:
1.SEM Rush: questo strumento online consente di verificare quali parole chiave vengono utilizzate per cercare un determinato dominio web, oltre a stilare una lista dei principali concorrentitra i primi 20 risultati di Google. SEM Rush, inoltre, permette una analisi preliminare delle performance di determinate parole chiave: basta scrivere sulla casella di testo la keyword desiderata per ottenere molte informazioni utili, come il volume delle ricerche mensili e il trend di ricerca nell’arco di 12 mesi.
2.Majestic SEO: il numero e soprattutto la qualità dei siti esterni che citano (attraverso un link esterno o backlink) il proprio sito costituiscono un fattore fondamentale di posizionamento, la cosiddetta link popularity. Majestic SEO è in grado di scandagliare il web individuando tutti quei siti che puntano al nostro sito tramite un link e fornendo informazioni riguardo la qualità del sito citante.
Anche per i fattori esterni la regola del “Content is King” è assolutamente indispensabile: più i contenuti saranno interessanti più altri siti citeranno i nostri articoli o prodotti attraverso i backlinks. Conseguentemente se i siti “citanti” sono ritenuti “di qualità”, la link popularity diventerà uno degli elementi essenziali per favorire il posizionamento del proprio sito sui motori di ricerca
Via Tech Economy
La spesa pubblicitaria globale dovrebbe crescere del 4,9% entro quest'anno, per raggiungere quota 465.500 milioni di dollari, secondo un rapporto di Strategy Analytics. Nello specifico, il totale della spesa per la pubblicità negli Stati Uniti è destinato a crescere del 2,7%, quindi di meno rispetto al tasso globale, anche se questo dato rappresenta comunque un notevole miglioramento rispetto al 0,6% di crescita ottenuto nel 2011.
Via Quo Media
L’advertising attraverso social media attraversa una fase di forte crescita ed il trend continuerà nei prossimi anni, anche se tenderà a raffreddarsi con la maturazione del mercato. Gli investimenti pubblicitari nei social network e nei social game, secondo la società di analisi eMarketer, nel 2012 dovrebbero raggiungere complessivamente i 7.72 miliardi di dollari, con un incremento straordinario del 50%.Nei due anni successivi dovrebbero continuare a crescere a ritmi attenuati, ma in ogni caso forti.
Il prossimo anno il mercato del social advertising dovrebbe crescere del 32.6% e in quello successivo il tasso di crescita dovrebbe attestarsi al 15.9%, per un totale di quasi 12 miliardi di dollari.
Via Tech Economy
Uno dei grandi problemi che i brand e gli individui hanno oggi è quello di poter emergere dal rumore e dall’overload di informazioni per poter essere rilevanti verso un certo pubblico, nicchia o un mercato di massa che sia. È un tema forte dell’economia dell’attenzione in cui ci troviamo: gli strumenti per comunicare ormai sono alla portata di tutti, moltissimi li usano (bene o male, ma non è questo il punto), pochi invece ascoltano e ne scaturisce un gran rumore, in cui è difficile cogliere cosa ci interessa.
Per ovviare a questo ci si attrezza, in vario modo: la content curation è un tema forte del momento, si continua a parlare di web semantico e di nuovi strumenti di ricerca (un’altra volta vorrei discutere di Volunia) e, in genere, si fruisce dei nuovi media attraverso singole applicazioni che consentono di fare agilmente poche cose alla volta.
Chi vuole dunque fare marketing e strategia all’interno di questo contesto sempre più affollato oggi si concentra molto sul riuscire a farsi sentire. E molto poco sull’ascolto. Ma io intravedo dietro a questa bagarre un’opportunità straordinaria, e difficile da sfruttare senza cognizione di causa, che è quella dei dati.
Pensiamoci un attimo: se vediamo l’ecosistema digitale odierno (ribadisco: ecosistema) e quello di business più in generale probabilmente non ci sono mai state tante possibilità di raccogliere, analizzare, correlare informazioni che vengono dalle fonti più disparate, online e offline, via computer o via altri device (primi fra tutti i cellulari).
É il tema di the big data di cui ho parlato altre volte recentemente e su cui stanno costruendo la loro fortuna alcuni dei big della nuova economia: Facebook e Google ad esempio fondano la loro redditività sulla vendita di spazi pubblicitari che si basano sulle informazioni e sui comportamenti dei propri utenti, con una precisazione e misurabilità sconosciuta ai vecchi media.
Mark Zuckenberg mentre illustra Open Graph - fonte: searchenginejournal.com
Sulla loro scorta, anche alcune grandi company private stanno iniziando a correlare e integrare tutti i dati in loro possesso, e chi ne ha i mezzi, come Walmart, si sta spingendo oltre con dei laboratori dove si costruiscono nuovi modelli di business.
Se il trend restasse questo il livello della sfida si alzerebbe notevolmente, in quanto:
A) basare le proprie strategie sulla comprensione e l’ascolto è molto più difficile che comunicare verso segmenti che abbiamo bene in mente ma che forse non esistono nella realtà. E non è poi un tema del tutto nuovo o solo legato ai media digitali.
B) raccogliere e strutturare i dati necessari a sviluppare il punto precedente è molto più complesso e oneroso che mettere una persona (magari in stage) a postare qualcosa su Facebook secondo l’ispirazione del momento
C) i dati vanno raccolti in una molteplicità di modi ma con una regia coerente alle spalle: ecco che tutti gli strumenti devono essere visti come un ecosistema che non può essere fatto di camere stagne e senza collegamento
D) qualcuno deve essere in grado di interpretare in una visione più ampia queste opportunità, leggendo in modo corretto le informazioni e trovando nuovi modi di costruire opportunità.
Guardando il tutto da un punto di vista economico la scelta sembra logica: si passa dal competere per una risorsa scarsa (l’attenzione) allo sfruttare una abbondante (il dato/informazione). Allo stesso tempo però non è molto interessante stare seduti su di un lago di petrolio se non lo si sa estrarre, raffinare e utilizzare (e/o anche vendere). E qui tornano in campo le persone e le nuove professionalità.
A mio avviso infatti una separazione netta fra “tecnologia” e “funzioni di business” perde di senso ma nelle nostre aziende questa evidenza ancora oggi fatica ad affermarsi.
Voi che cosa ne pensate? É troppo presto? É un trend momentaneo (io non credo)?
Gianluigi Zarantonello via Internetmanagerblog.com
PayPal, il famoso sistema di pagamento digitale, ha di recente lanciato un progetto pilota di commercio elettronico tramite smartphone a Singapore.
I device mobili sono sempre di più al centro delle attività di shopping dei consumatori e, per quanto il pagamento tramite dispositivo mobile non sia un’attività ancora molto comune, gli utenti sembrano interessati a simili formule, ma resistono delle preoccupazioni per questioni relative alla sicurezza. PayPal può, da questo punto di vista, investire e capitalizzare su un rapporto di fiducia instaurato negli anni con i consumatori, vantaggio competitivo non indifferente.
La società ha dato il via a una sperimentazione di m-commerce presso 15 fermate della metropolitana di Singapore. In ogni momento della giornata sarà possibile fare acquisti rapidamente e comodamente attraverso i QR code presenti sui cartelloni pubblicitari. Sarà sufficiente scansionare il codice ed inserire i propri dati di accesso PayPal. I QR code semplificano l’identificazione e l’acquisto del prodotto che diviene istantaneo ed elimina la necessità di ricercare l’offerta sul web, inoltre, l’iniziativa si inserisce in un trend di crescente diffusione dell’utilizzo di tale tecnologia da parte dei consumatori. I prodotti acquistati saranno poi ritirabili presso i punti vendita o recapitati a casa.
La sperimentazione PayPal, senza introdurre grandi innovazioni, potrebbe trasformare drasticamente l’esperienza del mobile shopping permettendo ai commercianti di usufruire di un canale di vendita diverso dai negozi fisici e dai tradizionali spazi dell’e-commerce. Il display advertising si configurerebbe come uno spazio espositivo e di acquisto e il device mobile muterebbe in un dispositivo d’acquisto istantaneo e potenzialmente diffuso e onnipresente.
Via Tech Economy
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