Di Max Da Via' (del 12/07/2019 @ 07:23:42, in Media, linkato 1792 volte)
Quali sono, oggi, i mezzi di comunicazione di massa, e quanto tempo passiamo in loro compagnia? Il concetto di "media" è cambiato con l'avvento della tecnologia digitale, i brand e i retailer devono tenerne conto quanto cercanooccasioni di contattocon i possibili clienti. L'evoluzione delle abitudini di "consumo" delle persone è seguita dalMedia Consumption Forecast Zenith, inaugurato nel 2015 e giunto quest'anno alla quinta edizione. E i dati dicono che laTvresiste, insieme allaradio, mentre avanzaInternetfruita da mobile.
Il Media Consumption Forecast Zenith
Il documento analizza i modelli di cambiamento nella fruizione dei media a partire dal 2011, in57 paesi, realizzando anche una previsione da qui al 2021. Il media più seguito rimane latelevisione,167 minuti al giornopro capite nel 2019, e tale rimarrà anche nel 2021, anche se la percentuale di consumo rispetto al 2019 calerà dal35%del 2019 al 33% nel 2021. A competere il primato dei media c'èInternet fruita su mobile, che rispetto alla prima rilevazione nel 2015 guadagna 50 minuti del nostro tempo, passando da 80 a130 minutial giorno di fruizione. Fino a oggi la crescita media è stata del 13% ogni anno, secondo le previsioni di Zenith rallenterà fino all'8% all'anno dal 2019 al 2021, conquistando il31% del nostro tempo, mentre oggi occupa già il 27%. Il rallentamento (relativo) della crescita è da attribuire al fatto che ormai la tecnologia digitale è divenuta pervasiva, mentre nel 2015 questo processo era ancora in atto.
Chi resiste, chi no
Se Internet mobile cresce, a quale media "ruba" preziosa attenzione? Prima di tutto alla carta stampata: dal 2014 al 2019 il tempo impiegato nella lettura dei quotidiani è sceso da 17 a 11 minuti, quello per la lettura delle riviste, da 8 a 4 minuti, ma anche la Tv ha perso interesse: da 171 a 167 minuti. I quotidiani perdono il 35% dell'attenzione, le riviste il 50%, la Tv solo il 2%. In calo anche la fruizione di Internet da device desktop, scende da 47 minuti a 40, -14,8%. Va però sottolineato che questi dati molto negativi per la stampa non coincidono con una perdita di lettori: la quota di lettori "digitali", da mobile, desktop o comunque dispositivi digitali, va in quota Internet mobile e desktop.
Tra gli storici media che, invece, crescono ci sonoradioecinema: si passa da 53 minuti a 55 per la radio, e da 1,8 a 3 minuti per il cinema, sempre media giornaliera, con una crescita particolarmente incisiva del tempo di fruizione dei film al cinema in Cina. Rispettivamente, +3,6% per la radio e +40% per il cinema, due media storici ancora oggi apprezzati, nonostante lo streaming audio e video.
Più tempo con i media
L'avanzare dei nuovi media e la resistenza di quelli tradizionali fanno sì che il tempo complessivo passato in loro compagnia sia anch'esso in crescita. Nel 2013 passavamo 420 minuti in loro compagnia, oggi siamo a479 minuti, nel 2021 le previsioni Zenith dicono che arriveremo a 495 minuti. In realtà, questo incremento riflette anche una nuova visione del concetto di "media", nella quale rientrano anche i social, le chat e il tempo passato a cercare informazioni sui prodotti e i prezzi online. Attività che prima avvenivano con mezzi cartacei e tempistiche molto diverse.
Il medium con la maggiore penetrazione rimane la TV, ma quella lineare al 89,9%, continua a calare del 2,3% rispetto all’anno precedente. Crescono gli spettatori via web tv e smart tv (30,1%) e quelli che guardano la televisione in mobilità (25,9%). Le piattaforme tv digitali (Netflix e simili) salgono al 17,9%, con punte del 29,1% tra i giovani under 30;
Flessione anche per la radio tradizionale (56,2%), compensata dall’ascolto via pc (17%) e smartphone (20,7%).
Crollano i lettori dei quotidiani cartacei dal 67% del 2007 al 37,4% di oggi, ma crescono di poco quelli delle versioni online (26,3%). Gli aggregatori di notizie sono consultati dal 46,1% degli italiani.
I connazionali che usano la rete passano dal 75,2% al 78,4%, con una differenza positiva del 3,2% rispetto allo scorso anno e del 33,1% dal 2007.
Gli italiani che si dichiarano utenti dei social network passano dal 67,3% al 72,5%. L’app più usata resta WhatsApp che guadagna 1,8 punti in un anno (al 67,5%), ma ne perde 4 tra i giovani di età compresa tra i 14 e i 29 anni (all’81,6%). Facebook continua a primeggiare tra i social network ma il suo utilizzo resta inchiodato al 56% della popolazione e cala di 9 punti tra gli adolescenti. YouTube, invece, è la destinazione del 52% della popolazione (+2 punti), ma cala per la prima volta tra i giovani di circa 5 punti. Tonfo annunciato per Google+ (-14) e flessione minore per Twitter (-1,3 nel complesso -2,5 tra i giovani) e LinkedIn (-1,1 in generale e -5 tra i giovani). L’unico a crescere sensibilmente è Instagram che guadagna ben 5,7 punti percentuali e 6,6 punti nella fascia “young”. Bene anche Telegram che guadagna circa 3 punti in entrambe le coorti, mentre Snapchat rimane stabile nella popolazione (5,7%) ma cresce di un punto tra i giovani (al 16%).
Sul versante e-commerce Amazon è usato dal 31% della popolazione (+4,4), mentre eBay pur mantenendo la sua utenza al 18%, continua a perdere i giovani (-2,7%).
Queste le percentuali CENSIS raccolte attraverso il metodo delle interviste. Se volete conoscere l’ampiezza dell’utenza dei vari social media in Italia, sintesi di diverse fonti in mio possesso, vi consiglio di tenere d’occhio la pagina dell’Osservatorio Social Media.
Di Max Da Via' (del 11/10/2017 @ 07:43:57, in Media, linkato 1444 volte)
La classifica dei quotidiani ad agosto (.xls) per diffusione carta+digitale elaborata da Primaonline.itsui dati Ads. La graduatoria è realizzata comparando il dato appena diffuso da Ads con quello del mese precedente.
In una nota la società ha ricordato che, a seguito dell’entrata in vigore del nuovo Regolamento ADS edizioni digitali, orientato alla centralità dell’utente finale, è ripresa anche la comunicazione dei dati relativi alle copie multiple, con la verifica dell’esplicita volontà di fruizione della copia da parte dell’utente finale e l’adozione di evoluti strumenti tecnologici di controllo dell’avvenuta attivazione.
I dati relativi alle copie multiple gestite tramite intermediari sono disponibili a partire dai dati riferiti a luglio 2017 e comunque a completamento della prima fase del processo di accreditamento di ciascun soggetto.
E’ stata eliminata la soglia di prezzo prevista dal precedente regolamento: le copie digitali sono suddivise per fasce di prezzo e vengono rappresentate anche le copie digitali promozionali e omaggio per le quali sono previste le nuove regole di certificazione valide anche per le copie multiple.
Di Max Da Via' (del 10/03/2017 @ 07:25:44, in Media, linkato 1657 volte)
Idati Ads– elaborati per Primaonline.it – del mese di gennaio 2017 per le testate a periodicità quotidiana e settimanale e di dicembre 2016 per le testate a periodicità mensile. Ads – Accertamenti Diffusione Stampa è la società che certifica e divulga i dati relativi alla tiratura e alla diffusione e/o distribuzione della stampa quotidiana e periodica di qualunque specie pubblicata in Italia.
Di Altri Autori (del 02/03/2017 @ 07:38:33, in Media, linkato 1435 volte)
YouTube sempre più in competizione con le tv: sono, infatti, oltre 1 miliardo le ore trascorse a visualizzare video sulla piattaforma di proprietà di Google. Una vera e propria pietra miliare nel percorso di crescita dell’azienda acquisita da Big G per 1,7 miliardi di dollari ormai più di dieci anni fa. L’annuncio è avvenuto solo lunedì mattina, ma in realtà il traguardo, ha spiegato YouTube, è stato raggiunto già alla fine dell’anno scorso.
Sul piano strategico la piattaforma ha rivelato di voler porre maggiore attenzione sul tempo speso dai suoi utenti, più che sul numero di filmati erogati. Per fare un paragone con i concorrenti, Facebook e Netflix hanno detto a gennaio del 2016 che i propri user visualizzavano rispettivamente 100 e 116 milioni di ore di clip ogni giorno. Numeri magari aumentati, ma molto lontani da YouTube.
Nonostante ciò, in casa YouTube ci sono alcune questioni da affrontare. Primo: il rapporto con creator e influencer. In questo caso la società ha trovato delle formule di remunerazione soddisfacenti per i propri partner, ma lo scandalo che ha investito PewDiePie, reo di aver pubblicato contenuti a sfondo nazista, ha innescato un polverone che ha rischiato di investire la stessa YouTube. Ancora la piattaforma deve fare i conti con i risultati altalenanti di Red: il servizio ad abbonamento lanciato l’anno scorso ha raggiunto gli 1,5 milioni di sottoscrizioni, troppo poche se si tiene conto degli iniziali obiettivi. In ogni caso il servizio è stato lanciato solo in alcuni Paesi, un roll out globale potrebbe fungere da ulteriore spinta.
Infine c’è il tema della redditività: Google non svela i dati finanziari di YouTube ma secondo una fonte ripresa dal Wall Street Journal, la compagnia ha fatturato 4 miliardi di dollari nel 2014 raggiungendo il break-even.
Di Max Da Via' (del 23/02/2017 @ 07:14:20, in Media, linkato 1773 volte)
Sono 44,1 milioni i lettori italiani che leggono un titolo di stampa, vale a dire l’83% della popolazione adulta dai 14 anni in su, in forma cartacea o digitale. Quest’ultima modalità è adottata da circa 1,9 milioni di lettori, il 3,6% della popolazione. Lo dice la rilevazioneAudipress 2016/III, l’ultima prima dell’adozione di un’unica single source per quotidiani e periodici a partire dalla rilevazione di gennaio di quest’anno. La frequenza di lettura presso i consumatori dei quotidiani è alta raggiunge il 66%, mentre nei settimanali arriva al 43,1%, e nei mensili si ferma al 26,8%.
I lettori dei quotidiani
I lettori dei quotidiani sono 17,7 milioni, il 33,4% della popolazione adulta, di cui il 62,3% uomini e il 37,7% donne. In prevalenza, il lettorato dei quotidiani possiede un diploma di scuola media superiore (41%), mentre i laureati sono il 17,9%.
Nel periodo preso in considerazione, va a dire 38 settimane dall’11 gennaio all’11 dicembre 2016, per un totale di 47.503 interviste personali, il quotidiano più letto è sempre La Gazzetta dello Sport con quasi 3,2 milioni di lettori, seguito dal Corriere della Sera a quota 2,2 milioni circa, e la Repubblica che ne totalizza oltre 2,1 milioni. Il quarto quotidiano più letto è ancora uno sportivo, il Corriere dello Sport con più di 1,4 milioni di lettori. Seguono La Stampa (1,5 milioni circa), Il Messaggero (1,1 milioni), QN Il resto del Carlino (oltre 1 milione), Il Sole 24 Ore (829mila), Tuttosport (772mila) QN La Nazione (712mila). Tra i supplementi dei quotidiani a pagamento svetta Il Venerdì, che supera gli 1,3 milioni di lettori.
I settimanali
La situazione si ribalta nella periodicità settimanale, con la readership femminile al 64,5% e quella maschile al 35,5% su un totale di 15,6 milioni di lettori tra cartaceo e digitale. Si tratta del 29,4% della popolazione adulta, e anche in questo caso prevale un livello di istruzione a livello di diploma superiore (37,9%) mentre la laurea è a quota 14,2%.
Nella periodicità settimanale il leader è sempre Sorrisi e canzoni Tv, a quota 2,6 milioni di lettori. Segue ancora una testata Mondadori, Chi, con una readership di quasi 2,2 milioni di persone. Poi arriva la Cairo Editore, con Settimanale DiPiù (oltre 2 milioni) e DiPiù Tv che supera quota 1,8 milioni. Oggi sfiora i 1,8 milioni, Gente si avvicina ai 1,6 milioni. Seguono a stretto giro Donna Moderna (1,56 milioni) e L’Espresso (circa 1,5). Famiglia Cristiana si avvicina ai 1,3 milioni di lettori, seguito da Panorama a poco più di 1,1 milioni.
I mensili
I mensili possono contare su 14,4 milioni di lettori, il 27,1% della popolazione, ben distribuiti tra donne (51,9%) e uomini (48,1%). Il livello di istruzione superiore arriva al 45,1% mentre la laurea raggiunge il 18,9%.
Per quanto riguarda la readership, il primo è Focus con oltre 4,7 milioni di lettori. Al secondo posto c’è Quattroruote, che supera i 2,6 milioni, seguito da Al Volante (1,8 milioni), National Geographic Italia (1,4) Cose di Casa e Cucina Moderna (ex aequo 1.117.000). Vogue Italia è il settimo mensile italiano con 843mila lettori, seguito da La Cucina Italiana (sempre Condé Nast) a quota 833mila, Sale & Pepe (807mila) e Bell’Italia (773mila)
Di Altri Autori (del 11/11/2016 @ 07:32:04, in Media, linkato 2157 volte)
Lo scontro è titanico. Da una parte i grandi colossi dell’editoria, Vogue in primis. Dall’altra le nuove leve digitali, i web influencer che catalizzano migliaia di follower e un’attenzione crescente da parte del mondo della moda. In mezzo, posta in gioco del duello, l’attenzione da parte dei marchi di moda, che si traduce in allocazione dei budget pubblicitari. La polemica tra Vogue Us e gli influencer che ha catalizzato la rete e la carta stampata a settembre è stato l’ultimo elemento che ha scoperchiato il vaso di Pandora di uno scontro in atto da tempo. Cosa è cambiato rispetto al passato? Gli investimenti in adv. Che spesso si sono ridotti nei confronti dei media tradizionali a favore dei blogger. Tanto che il confronto tra Davide-web e Golia-magazine, valido fino a qualche tempo fa, oggi sembra riequilibrato. Se non invertito.
BLOGGER A PESO D’ORO A tracciare l’ascesa del fenomeno (e dei cachet) delle star del web è la Digital brand architects, agenzia di consulenza e management di talenti digitali. “Abbiamo cominciato questo business quattro anni fa – ha raccontato aPambianco MagazineAlessandra De Siena, partner dell’agenzia The Digital brand architects -. Allora, quando andavamo dalle aziende proponendo progetti di comunicazione legati agli influencer, le aziende ci rispondevano: ‘Preferiamo farlo gratis’. In questi ultimi anni e, soprattutto, nell’ultimo posso dire che è cambiata radicalmente la disponibilità della moda in questo senso. Non solo allocano budget pubblicitari per progetti speciali, ma estendono l’investimento per l’intero anno”. Il risultato di questa evoluzione è semplice. “Se prima si parlava di 20 o 30mila euro di investimenti da parte delle aziende nel digital, ora a questo valore occorre aggiungere uno zero in più – ha proseguito De Siena -. Per una pubblicazione su Instagram si va dai duemila ai 15mila euro in Italia a seconda di parametri, nonché della disponibilità delle web influencer. Capita che siano loro stesse a rifiutare l’offerta per mantenere una linea editoriale coerente”. L’aumento esponenziale di questo valore conferma l’interesse, da parte delle aziende di moda, nella politica digital, tanto che alcune di queste hanno già modificato la loro strategia destinando il 70% degli investimenti a campagne digital che, spesso, garantiscono un feedback istataneo e un sold out della collezione proposta. Poche aziende, però, accettano di scoprire le carte. Contattati daPambianco Magazine, alcuni dei brand internazionali più coinvolti nell’uso degli influencer per le proprie campagne adv, daCalvin KleinaTommy Hilfigerfino aGucci, hanno declinato ogni commento sulla loro strategia digitale. Lo stesso ha fattoOvsche, in occasione del lancio di una piattaforma di proximity marketing digital, ha ingaggiato una influencer come testimonial. Il no comment sembra tradire un certo nervosismo da parte degli addetti al settore, in attesa che si diradi la nebbia sull’argomento. PerGabriele Maggio, direttore generale diMoschino, ci può essere convivenza tra i diversi media, “senza pestarsi i piedi ed essere considerati dalle aziende due canali complementari e non sovrapposti”. “Accanto alla classica comunicazione offline – ha aggiunto – i marchi oggi cercano di avvalersi della popolarità dei web influencer sui social per raggiungere un pubblico più ampio e trasversale, che solitamente non legge le riviste di moda”.
GIORNALI A CACCIA DI IDENTITÀ Quale sarà il destino dell’editoria di fronte alla rivoluzione digitale (e delle nuove generazioni)? I soggetti coinvolti sembrano reagire in ordine sparso. Se Oltreoceano Vogue ha alzato gli scudi e si è preparata allo scontro, in Italia,Grazia, il mensile del gruppoMondadori, ha invece teso la mano al ‘nuovo che avanza’, dedicando la prima mostra sui nuovi protagonisti del digitale. “L’esposizione ‘You-the digital fashion revolution’ racconta i dieci anni che hanno cambiato la moda”, ha spiegato aPambianco MagazineSilvia Grilli, direttrice di Grazia. “È dal 2008 che si parla di questo fenomeno, non è certo una novità. E non penso ci sia spazio per uno scontro perché editoria tradizionale e web influencer sono la voce di due progetti diversi con due pubblici diversi. Per intenderci – ha aggiunto – con loro il lettore stringe un patto di partecipazione. Oggi ti seguo, ma domani potrei esserci io al tuo posto. Con i giornali invece è diverso: ti reputo affidabile e ti compro. Questi giovani non ci rubano il mestiere perché per molti di loro l’aspirazione principale è ottenere la copertina del giornale”. Un recente articolo delGuardiandipinge però una situazione diversa. Secondo il quotidiano britannico, gli editori stanno diversificando da tempo il loro business per far fronte alla crisi di questo settore e all’inesorabile calo delle copie e della pubblicità. Uno degli sbocchi più interessanti sembra quello dell’e-commerce. Non è un caso che Condè Nast abbia messo sul piatto 75 milioni di sterline per lanciare il suo business e-tailStyle.com. Il funzionamento ruota attorno a una formula in via di perfezionamento: in alcuni articoli di prodotto delle testate del gruppo Condé Nast saranno presenti dei link di reindirizzamento alla piattaforma e-commerce. In Italia, Grazia è stato tra i primi a mettere un piede nell’e-commerce, ma con esiti non così definiti. Nel 2014 ha lanciatoGraziashop.com, ma a luglio di quest’anno ha fatto un passo indietro. Niente più e-commerce diretto, ma un aggregatore di prodotti di alcune boutique, acquistabili poi nei rispettivi siti di e-commerce dei retailer o dei brand.Zeno Pellizzari, general manager di Mondadori International Business ha commentato così alGuardianla decisione: il mercato del fahsion e-tail “è altamente competivito e sono necessari ingenti investimenti per affrontarlo”. Come dire, trasformarsi da editori a venditori non sarà un passo per tutti.
Di Altri Autori (del 21/09/2016 @ 07:16:02, in Media, linkato 1792 volte)
Il panorama dell’informazione è in continuo mutamento e giornalisti, testate e blogger devono essere a conoscenza di dove e come pubblicare le notizie. Una recente indagine del Pew Research Center individua le modalità attraverso le quali gli americani si informano: in testa c’è la televisione con una percentuale del 57%, seguita, con il 38%, dai portali on line mentre la carta stampata si colloca all’ultimo posto con solo il 20%.
Le notizie digitali in maggior parte vengono cercate e lette tramite dispositivi mobili con una percentuale del 56% rispetto al 42% del computer. I dispositivi mobili (tra cui smartphone e tablet) risultano utilizzati dal 72% degli americani. Per quanto riguarda le notifiche, relative alle notizie che interessano, solo il 55% degli americani li riceve sui propri smartphone, con un 47% che cliccherebbe sull’alert accedendo alla notizia rispetto al 52% che invece ignorerebbe la notifica. Il 62% ricerca notizie sui social media (con una preferenza di Facebook rispetto a Twitter). Gli utenti trovano le notizie in rete mentre sono su Facebook (62%) su YouTube (58%) e Instagram (63%) anche se sono restii a dire che le stavano cercando sui social.
Pochi americani comunque sono fiduciosi del fatto che i social media possano diventare una nuova fonte di notizie. 2 americani su 10 si fidano delle informazioni che ricevono da organi di informazione locali e nazionali (sia online che offline). Pochi, solo il 4%, afferma di fidarsi delle informazioni che trovano sui social media. Solo un quarto degli americani (26%) interagisce con le notizie cliccandoci sopra, il 16% mette il proprio “like” sulla notizia e solo l’8% la commenta.
Il ruolo di amici e conoscenti nella ricerca di notizie è importante, soprattutto nel caso di notizie elettorali. Per ricevere informazioni sulle elezioni 3 americani su 10 cercano sui media digitali. Le notizie relative alle campagne presidenziali di Hillary Clinton e Donald Trump, per esempio, vengono cercate tramite post sui social network dei candidati (24%), tramite le mail inviate (9%) e sui loro siti web (10%).
Secondo la stessa ricerca, la lunghezza delle notizie influenzerebbe la successiva lettura da parte degli utenti. Pur avendo lo stesso numero di lettori il tempo che questi dedicano alle notizie lunghe sarebbe di 123 secondi rispetto ai 57 dedicati a quelle più corte e effettuerebbero interazioni quasi uguali (con un rapporto 1530 di quelle lunghe a 1576 rispetto a quelle corte).
Di Altri Autori (del 10/05/2016 @ 07:22:14, in Media, linkato 2617 volte)
I contenuti video si guardano sempre attraverso la rete. Youtube, Netflix e poi tutti quei servizi 'on-demand' delle televisioni free e a pagamento. 'In diretta' resta ancora molto poco da guardare, anche perchè le persone hanno sempre meno tempo di adattare il proprio tempo libero alla tv e, piuttosto, è la tv che deve adattarsi ai telespettatori. Negli Stati Uniti,e una ricerca commissionata da Google a Nielsen ha messo in luce che la piattaforma YouTube ha gia' superato la televisione per numero di spettatori.
Solo su smartphone e tablet, Youtube raggiunge più 18-49enni di qualsiasi emittente televisiva: in prima serata viene raggiunto su YouTube più pubblico che i primi 10 programmi tv messi insieme, ha spiegato il ceo della piattaforma, Susan Wojcicki, durante l'annuale incontro con i principali inserzionisti pubblicitari. In un periodo in cui le reti televisive perdono aaudience, YouTube cresce in tutto il mondo e su ogni tipo di schermo.
Google ha fatto diventare YouTube un fenomeno culturale, che attira più di un miliardo di utenti ogni mese. Tuttavia, YouTube non è diventato un business redditizio. E' quanto ha scritto il Wall Street Journal lo scorso anno, riportando le indiscrezioni di due persone a conoscenza dei dati finanziari della piattaforma di Google.
Youtube ha realizzato un fatturato di 4 miliardi di dollari nel 2014, contro i 3 miliardi di dollari dell'anno precedente, grazie a una maggiore raccolta pubblicitaria, scrive il WSJ. Ma mentre YouTube ha rappresentato circa il 6% delle vendite complessive di Google nel 2014, non ha contribuito sul fronte dei guadagni. Al netto delle spese per i contenuti e l'infrastruttura tecnologica, in fondo YouTube va "circa in pareggio".
In confronto, Facebook ha generato più di 12 miliardi di dollari di fatturato, e quasi 3 miliardi di dollari di profitto, dai suoi 1,3 miliardi di utenti nel 2014.
I risultati riflettono le lotte di YouTube per ampliare il suo pubblico di base oltre gli adolescenti e i preadolescenti. La maggior parte degli utenti di YouTube considerano il sito come un archivio di video a cui accedere da link diretti o dai player incorporati nelle pagine web, piuttosto che visitare YouTube.com quotidianamente per scoprire nuovi contenuti per interesse personale. I dirigenti di Google vogliono cambiare questa situazione, e far diventare YouTube un sito a cui gli utenti vogliono accedere per vedere 'cosa c'è di nuovo', come in televisione quando si fa zapping e ci si sintonizza su un canale, quindi dove possono aspettarsi di trovare diversi "canali" di intrattenimento.
Questo è un problema che sta cercando di affrontare il veterano capo esecutivo di Google, Susan Wojcicki, mentre inizia il suo terzo anno consecutivo a capo di YouTube.
E la concorrenza è sempre più agguerrita. Facebook e Twitter, che abitualmente reindirizzano il traffico dei video su YouTube, stanno costruendo le proprie piattaforme di video, integrate nei loro siti. Nel frattempo, Amazon.com e Netflix stanno cambiando la concezione di "video online" sia mediante l'offerta legale di contenuti prodotti da Hollywood che attraverso la creazione di programmi originali.
"C'è un sacco di spazzatura" su YouTube, dice l'analista di Pivotal Research Brian Weiser. "Se vogliono fare business hanno bisogno di investire in contenuti televisivi."
Robert Kyncl, responsabile delle operazioni commerciali e dei contenuti di YouTube, dice che il mondo dei video online è sul punto di un picco di crescita, proprio come la televisione via cavo 30 anni fa. Dice che ha più senso per YouTube investire in "creatori nativi di Internet" piuttosto che nel portare i programmi televisivi tradizionali nella piattaforma.
Di Altri Autori (del 01/04/2015 @ 07:48:42, in Media, linkato 1667 volte)
In Italia la tv è ancora il mezzo più usato per la fruizione di video (l’84% la usa per vedere film contro l’81% della media Ue; l’81% per i notiziari contro l’80% media Ue; il 77% per i documentari contro il 79% media Ue), ma si tratta di una fruizione che ha sempre più a che fare con device mobili e social media: il 10% degli italiani, infatti, usa il tablet per visualizzare notiziari mentre a febbraio i post relativi a programmi sono stati 6,4 milioni generando 433 milioni di impression (cioè il numero di visualizzazioni di una pagina web). I dati emergono dall’indagine Digital Landscape and The Impact of TV Everywhere condotta da Nielsen su un campione di 30.000 individui in 60 Paesi.
Il 72% degli italiani dichiara di volere essere connesso sempre e ovunque (contro il 66% della media Ue). Il 66% sottolinea che lo schermo televisivo deve essere grande, rispetto al 55% della media europea. “Dai dati della nostra survey – spiega l’ad di Nielsen Italia Giovanni Fantasia – emerge che i ‘second screens’ (pc, tablet, smartphone) stanno diventando un’estensione strutturale di quello televisivo, al punto che i produttori di contenuti sono chiamati ad affrontare la sfida di fornire vere e proprie esperienze di entertainment fruibili attraverso diversi strumenti mediatici. Ne derivano nuove opportunità per l’intero comparto della comunicazione”.
Quanto all’uso social della tv, il 39% degli intervistati dichiara di tenersi aggiornato sui programmi per poter partecipare al dibattito su Twitter e Facebook, mentre il 29% guarda più volentieri un programma se ha una sponda di condivisione in rete. Nello stesso tempo il 26% proprio mentre guarda la tv si mette in contatto con altre persone via web e il 47% naviga in internet. Questo perché sempre più spesso le relazioni “faccia a faccia” sono sostituite con scambi virtuali: trend riconosciuto dal 62% degli italiani e se solo l’8% già cerca l’anima gemella sul web, il 26% pensa di farlo in futuro. Il 66% del campione (media Ue 58%) preferisce i programmi in diretta, anche se la visione differita è molto gradita dal 55%, poiché dà la possibilità di accedere alle puntate perse dei programmi preferiti, anche guardando più episodi in uno stesso giorno. Per i video di breve durata (inferiori a 10 minuti), spiega Nielsen, il pc è al primo posto (62% degli intervistati), lo smartphone al secondo (27%) seguito dal tablet (24%). Il 49% guarda la tv durante i momenti di relax in famiglia, il 52% mentre mangia, il 67% quando è solo a casa e il 54% per passare il tempo. In questi ultimi due momenti gli italiani usano contemporaneamente tv e pc (rispettivamente 50% e 44%) e tv e tablet (16% e 18%). Pc, tablet e smartphone vengono usati principalmente per ricerca di informazioni (67%), lettura di notizie (67%), rapporti con famigliari e amici (63%). Per il futuro, emergono tre probabili aree di sviluppo: il 49% degli italiani si dichiara interessato a utilizzarli come strumenti per acquistare beni alimentari (il 14% ne fa già uso), il 50% alla condivisione di informazioni mediche (il 17% già ora utilizza i device per questo), il 32% vorrebbe fare operazioni bancarie (50% dato attuale) e il 43% pagare le bollette (36% dato attuale).