Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
A pochi giorni dal debutto ufficiale del servizio presso i retailer statunitensi con il rilascio di iOS 8.1, Apple Pay incappa nelle prime difficoltà: il sistema di pagamenti contactless (basato sull'uso di comunicazioni NFC) che vorrebbe relegare contanti e carte di credito tradizionali a un ricordo del passato non sembra attecchire come sperato, anzi, c'è chi decide di rifiutare l'offerta di Cupertino e di sperimentare le tecnologie della concorrenza.
A chiudere la porta ad Apple Pay - subito dopo avergliela aperta - sono Rite Aid e CVS, catene di farmacie che, secondo documenti riservati emersi in Rete, hanno preferito mettere in archivio gli scanner NFC da usare con iPhone 6 e procedere con la sperimentazione di un sistema alternativo sviluppato da CurrentC.
Entrambe le catene sono impegnate in una partnership con il nuovo sistema, una tecnologia che condivide con Apple Pay la natura contactless ma che non prevede l'impiego di comunicazioni NFC. Piuttosto, CurrentC si basa sulla scansione di codice QR per confermare una transazione o un pagamento con tanto di applicazione di sconti integrata. Apple Pay si candida a essere il futuro dei pagamenti mobile al netto di carte di credito e denaro contante, ma al momento chi fosse interessato ad approfittare di questa opportunità deve fare i conti con l'indifferenza - quando non di vero e proprio ostracismo dichiarato si tratta, come nel caso dei succitati Rite Aid e CVS - delle maggiori catene di vendita al dettaglio in giro per gli States.
L'entusiasmo di Cupertino nei confronti della "magia" di Apple Pay sembra non superare l'esame nemmeno sul fronte della privacy, visto che la promessa di transazioni "private" fatta dalla corporation si rivela essere meno consistente del previsto.
I pagamenti NFC di Apple (ma anche di Google) non hanno un futuro roseo davanti a sé? È decisamente ancora presto per tirare le somme, e quel che è certo è che i meccanismi di pagamento con carte di credito negli Stati Uniti dovranno necessariamente aggiornarsi entro ottobre 2015, termine che segna - per volere della politica di Capitol Hill - la transizione definitiva dei vecchi scanner da "strisciata" delle carte con bande magnetiche a quelli più moderni capaci di leggere le carte dotate di chip, già popolari nel resto del mondo.
Via Punto Informatico
Il mobile payment, settore che fino a qualche anno fa ha visto uno sviluppo lento e discontinuo, sta conoscendo ora un momento particolarmente florido per varie ragioni, che chiamano in causa sia la progressiva diffusione di tecnologie specifiche, l’enorme boom del mobile nel mondo e il forte sviluppo, in termini numerici, delle applicazioni mobile dedicate ai “digital wallet”. Se andiamo a guardare i numeri messi a disposizione da Adyen qualche giorno fa, il settore ha conosciuto un incremento fortissimo nell’ultimo trimestre: il 23% delle transazioni mondiali online avviene tramite device mobile ed è un dato che sta continuando a crescere. L’impatto all’interno dei player retail è molto forte e multinazionali statunitensi si stanno già attrezzando, soprattutto attraverso un sostanziale rimodellamento dei processi di vendita.
Il settore si caratterizza per una forte varietà di strumenti con cui i processi aziendali possono essere ridisegnati. Come sottolineato più volte, esistono due grandi famiglie nelle quali possono essere categorizzati vari strumenti utilizzati: il mobile proximity payment (MPP) e il mobile remote payment (MRP). Di recente Apple ha dato una brusca accelerata al MPP attraverso l’introduzione del suo servizio Apple Pay, basato sulla tecnologia di prossimità NFC: questo aspetto è probabilmente il più promettente al’interno delle aziende che si occupano di retail e che possiedono uno store fisico. Il servizio funzionerà in modo tale da permettere al cliente di pagare tramite cellulare semplicemente avvicinandolo al POS, senza dover mai doverlo lasciare. Non si tratta di una tecnologia nuova, ma Apple ha saputo dare una forte spinta sull’uso della stessa e molte compagnie di credito si stanno attrezzando per rispondere, anche scontrandosi, all’annunciato strapotere della mela nel settore.
l lati positivi per il settore retail sono molteplici e le possibilità di modellare il sistema di pagamento in mobilità per le proprie esigenze aziendali sono molto interessanti (come vedremo dopo, Starbucks ne ha fatto un elemento centrale della propria vendita sperimentando varie possiblità negli USA, cambiando i processi di vendita e le interazioni con i clienti). Le prime analisi dopo la brusca impennata del trend sono state varie e discordanti, ma i tre punti su cui sono tutti concordi sono i seguenti:
Aumento della sicurezza negli store fisici: maneggiando meno denaro contante il rischio di furto si abbatte notevolmente.
Possibilità di offrire una customer experience migliore rispetto alla concorrenza: le transazioni che avvengono tramite NFC via mobile hanno una velocità più alta del 53% rispetto alle carte di credito contact less, impattando in modo considerevole sulle code alle casse.
Personalizzare i propri servizi attraverso la possibilità di pagamento via mobile: la possibilità di sviluppare app proprietarie che comunicano con il digital wallet o che comunque permettono in pagamento via mobile offre interessanti possibilità, dai benefit per i clienti fino ad una migliore experience.
Quest’ultimo punto è estremamente importante per la modifica dei processi aziendali: negli USA in particolare molti store hanno cominciato seriamente ad implementare questo tipo di servizio nei propri shop.
Office Depot, Inc
Uno dei primi esempi è probabilmente Office Depot. Inc, azienda statunitense che si occupa di arredamento e soluzioni per la casa e l’ufficio. È stata una delle prime aziende in assoluto ad accettare il sistema “Apple Pay” del colosso di Cupertino.Com riporta zacks.com, Office Depot prevede di integrare Apple Pay nella sua app iOS nel prossimo anno. Questo faciliterà il processo degli acquisti in-app su iPhone 6, iPhone 6 Plus, Air iPad 2 e iPad mini 3. L’accettazione di Apple Pay servirà all’azienda ad arricchire l’esperienza di acquisto dei clienti, per aumentarne la velocità e per aumentarne la sensazione di sicurezza. L’applicazione dell’azienda, già ottima grazie all’integrazione di processi di realtà aumentata e di shop via mobile, si arricchirà quindi del servizio di Apple: probabilmente si avranno integrazioni per il mobile payment in futuro anche su altri sistemi come Android.
Starbucks
Un altro esempio molto interessante è Starbucks (di cui abbiamo parlato anche qui) che sta sperimentando negli USA il servizio “Pay-Ahead”: un nuovo servizio che permette ai propri clienti di pagare prima di recarsi nello store: attraverso l’app e un sistema di mobile payment, i clienti potranno così evitare la fila (che spesso si crea all’interno dei punti vendita, in particolare negli orari del mattino prima del lavoro) pagando comodamente da qualsiasi luogo per poi scegliere il proprio Starbucks preferito in cui consumare il proprio caffè. Il sistema sarà in sperimentazione nei prossimi mesi a Portland, prima di estendersi in tutto il territorio statunitense entro il 2015. Starbucks tiene così tanto all’utilizzo di questa app, e a buona ragione se è vero che si tratta dell’app di mobile payment che ha più successo in assoluto in America, che ha pensato di regalare casualmente ad alcuni utenti che ne usufruiscono, una fornitura per 30 anni di caffè e alimenti Starbucks. A marzo di quest’anno l’app per il pagamento mobile di Starbucks è stata usata per effettuare il 14% delle transazioni negli store, con aumento di 4 punti percentuali da giugno 2013: un dato in salita che non semra fermarsi.
Mc Donald’s
Altro esempio di interesse è quello di McDonald’s che recentemente, come riporta The Next Web, ha intensificato il suo impegno sul tema. Ha stretto un accordo con SoftCard per permettere ai propri clienti possessori di Android di pagare via mobile payment con tecnologia NFC in tutti gli Stati Uniti. SoftCard (che ha di recente cambiato nome da ISIS per via della somiglianza con l’omonimo gruppo terrorista) è una joint venture di mobile payment tra AT & T, T-Mobile e Verizon basata proprio su NFC. Con questo sistema i clienti protanno usare il Digital Wallet di Google attraverso il “Tap & Pay”, mentre gli utenti Apple potranno usare il servizio di Apple Pay.
A giugno di quest’anno Business Insider riportava il sistema che McDonald’s stava testando in alcune località USA per la propria app di Mobile Payment. Nel tutorial riportato in immagine, si vede come il cliente, attraverso l’app, migliora la propria experience di acquisto saltando eventuali lunghe code e risparmiando tempo.
Casi e numeri di successo che dimostrano l’attenzione sul tema, un’attenzione che queste, e molte altri grandi aziende, hanno intercettato da tempo riuscendo oggi a raccogliere risultati di tale impegno. Ma il crescente interesse globale sul tema sta ampliando la portata dell’impatto dei mobile payment a tutti i livelli: è questione di tempo.
Via Tech Economy
Secondo le stime dell’Osservatorio B2c del Politecnico di Milano, nel 2014 in Italia le vendite via Smartphone sono raddoppiate rispetto al 2013, superando quota 1,2 miliardi di euro, che equivalgono al 9% dell’eCommerce B2c totale nel nostro Paese. Il comparto con la più alta penetrazione di vendite da Smartphone è l’Abbigliamento con circa il 13% del transato, seguito dall’Informatica ed elettronica di consumo con l’11%, e poi dall’Editoria e dal Turismo con l’10 e il 6% rispettivamente. Se si considera invece l’apporto in valore assoluto, il Turismo contribuisce alle vendite con quasi 330 milioni di euro, l’Abbigliamento con circa 220 milioni e l’Informatica ed elettronica di consumo con circa 170.
A sfruttare il canale mobile, sono in primis i siti di vendite private (per esempio Amazon BuyVIP, Privalia, SaldiPrivati e vente-privee.com) e quelli di Couponing (per esempio Glamoo, Groupalia e Groupon), che puntano su modelli di business in cui l’istante di acquisto conta. In secondo luogo, le compagnie di trasporto (per esempio Alitalia, Lufthansa, Meridiana, NTV e Trenitalia) dove contano sia l’istante che il luogo dell’acquisto.
Vi sono poi alcune grandi Dot Com che fanno leva sul carattere personale del dispositivo, come TicketOne che propone i biglietti per gli eventi degli artisti preferiti presenti nelle playlist personali sullo Smartphone, o sul profilo Facebook dell’utente. Altre puntano sulla semplificazione del processo d’acquisto, come ad esempio YOOX Group, che supporta l’identificazione dei prodotti con la ricerca vocale per colore, o Amazon, che nella sua App ha integrato un lettore di codice a barre per favorire la ricerca del prodotto senza digitazione presso i punti vendita dei retailer tradizionali.
Altre ancora provano a sfruttare al massimo i tempi morti (attese, spostamenti, ecc.) laddove il contenuto informativo è particolarmente ampio e complesso (per esempio le agenzie online come Expedia, lastminute.com, portali di hotel come Booking.com o venere.com).
In Italia la più alta incidenza di vendite da smartphone
Le vendite via Tablet invece assommano a circa 1,4 miliardi di euro, che portano il totale del Mobile Commerce italiano nel 2014 a 2,6 miliardi, in crescita del 66% rispetto al 2013. L'incidenza sull'intero eCommerce B2c è quindi di circa il 20%, in grande ascesa rispetto al 5% nel 2012 e al 14% nel 2013. Questo rende il Mobile Commerce italiano sostanzialmente in linea con UK e USA (25%), Germania (22%), Spagna (20%) e Francia (17%).
Anzi, considerando solo le vendite via Smartphone, l’Italia, con quasi il 10% del valore delle vendite online B2c, addirittura fa registrare l’incidenza più alta tra i principali mercati occidentali (USA 8%, Spagna 7%, Germania e UK 6%, Francia 5%). Il valore assoluto delle vendite via Smartphone in Italia è pari a un quinto di quelle inglesi, un terzo di quelle tedesche, la metà di quelle francesi ed è di poco superiore a quelle spagnole.
Cosa possiamo aspettarci per il prossimo futuro? Gli elementi da valutare sono molti. In primis la diffusione dei device. Nel 2014 si prevedono 45 milioni di Smartphone e circa 11 milioni di Tablet attivi nel nostro Paese, che il prossimo anno dovrebbero arrivare a 52 (+16%) e 14 milioni (+25%) rispettivamente. Negli anni successivi l’Osservatorio stima una crescita più importante per i Tablet, che in molte attività di intrattenimento (soprattutto domestiche) andranno a sostituire il pc (desktop o laptop).
In secondo luogo, si legge nel report, lo Smartphone avrà un ruolo sempre più significativo nell’unire il mondo fisico con quello digitale, spingendo percorsi di acquisto multicanale anche attraverso nuove funzionalità come la ricerca visuale (lanciata da Amazon), che consente di fotografare un prodotto in store per verificarne disponibilità e prezzi online, o l’acquisto tramite riconoscimento delle immagini o dell'audio (sia all’interno dello store che sui media), offerto per esempio dal gruppo Miroglio (Motivi).
In terza battuta, l’offerta su Smartphone e Tablet sarà sempre più completa, grazie alla progettazione di siti “responsive” (ossia che si adattano al device da cui vengono fruiti) e allo sviluppo delle App (oggi “solamente” il 22% dei merchant del campione ha un’App di Mobile Commerce). Infine, spiega l’Osservatorio, anche l’innovazione attraverso i Social Network, tipicamente fruiti da dispositivi mobili, potrà spingere ulteriormente le vendite.
Amazon per esempio negli USA dà la possibilità di inserire dei prodotti nella wishlist e nel carrello tramite tweet. Twitter stesso si è poi dotato del bottone “buy” e ha acquisito CardSpring, un’infrastruttura di pagamento che connette i venditori con i payment processor. Sempre in quest’ambito si segnala l’accordo tra YOOX Group e WeChat, in Italia, USA e poi in Cina, che consentirà ai clienti di accedere a servizi e contenuti esclusivi, come ad esempio chattare con un assistente o consultare un personal stylist dedicato.
Da qui a cinque anni, poi, l’Osservatorio stima che il valore del transato attraverso Smartphone e Tablet arriverà a pesare per un terzo dell’eCommerce totale, superando i 10 miliardi di euro. «Non siamo però così sicuri che tra 5 anni sarà possibile parlare di eCommerce via Smartphone, Tablet o PC, poiché il ruolo dei diversi device nel processo d’acquisto avrà confini sempre più sfumati e sarà sempre più difficile (e forse privo di senso) effettuare nette distinzioni».
Via Wireless4Innovation
Come annunciato un anno fa e dopo sei mesi di test, Instagram lancia ufficialmente gli annunci pubblicitari video. Fondata da Kevin Systrom e Mike Krieger e di proprietà Facebook dal 2012, ha stretto accordi con Disney, Activision, Lancome, Banana Republic e CW per mostrare 15 secondi di spot in autoplay. Gli annunci inizieranno in queste ore per poi continuare nelle prossime settimane.
Come per le immagini degli annunci pubblicitari lanciati lo scorso anno, Instagram è stata e sarà particolarmente attenta con i brand coinvolti negli annunci video. La società ha visionato tutte le clip al fine di garantire contenuti “freschi”, che ben si adattino all’atmosfera della piattaforma e che non siano semplicemente la replica di spot televisivi o su web.
I video sono diventati una parte importante della pubblicità su mobile e alcuni competitor di Instagram, come Tumblr e Snapchat, hanno recentemente lanciato prodotti pubblicitari simili: snapchat, ad esempio, ha venduto il suo primo annuncio video di questo mese per Universal Pictures, che ha promosso un trailer per il film Ouija. Ma l’introduzione di ads all’interno di queste piattaforme, dicono gli esperti, dovrà avvenire con grande delicatezza, con una introduzione graduale in app che, fino ad oggi, sono state libere da qualsiasi pubblicità. E che si tratti di un argomento delicato lo dimostrano le reazioni registrate dai primi inserzionisti su Instagram che hanno provato ad introdurre immagini sponsorizzate sono stati attaccati da commenti negativi da parte degli utenti che non amano attività pubblicitarie nel loro feed. Eppure Instagram condivide feedback che scavano più a fondo dei commenti e guardano alla brand awareness e all’ad recall, con risultati positivi su tutti i fronti, sostiene la società.
I brand che hanno preso parte al primo lancio degli annunci video di questa mattina concordano sulla necessità di essere i primi, rafforzare la reputazione e rendere innovativo il proprio brand. ”Non è stata una decisione difficile per noi“, ha detto Brian Chang, assistente al VP Media di Lancome USA. “Noi, come marchio, abbiamo voluto cogliere il vantaggio di essere i primi sul mercato.” Lancome sta promuovendo una nuova fragranza e un mascara, mentre Activision lancia il gioco Call of Duty, con un lavoro di mesi per ottenere risultati positivi, lanciando il video in contemporanea sulla propria pagina Facebook con 23 milioni di fan.
Immagine“Il nostro pubblico sta diventando sempre più mobile-centric, e Instagram è una piattaforma mobile-centric“, dichiara Jonathan Anastas, Capo della sezione Digital e Social media di Activision, “quindi è una parte importante del marketing mix.” Anastas si aspetta che l’annuncio raggiunga inizialmente i 2 milioni di utenti, e grazie a like e condivisioni, altri milioni lo vedranno e convoglieranno il traffico verso il video su Facebook. “Uno dei grandi vantaggi di lavorare nel team di marketing per Call of Duty è che i giocatori in linea di massima, e il nostro target di riferimento specifico, inalano contenuti“, sostiene Anastas. Non è pertanto preoccupato per una possibile reazione negativa alla visualizzazione di contenuti sponsorizzati. Activision lavora con Omnicom Media Group, che ha firmato in esclusiva la scorsa primavera un contratto da 40 milioni di dollari con Instagram, per offrire ai propri clienti in anticipo offerte su nuovi prodotti pubblicitari. Il primo annuncio pubblicitario di Banana Republic è invece uno sguardo dietro le quinte presso l’azienda con suggerimenti di moda per le vacanze. Il video presenta la creazione dei bozzetti in fast-motion, con un effetto di manipolazione del tempo reso popolare da Hyperlapse, la prima applicazione stand-alone di Instagram. “Ci stanno prendendo di mira le donne, perché si tratta di illustrazioni di moda e il focus è sui prodotti delle donne“, ha detto Marissa Webb, Direttore creativo e Vice Presidente esecutivo del design a Banana Republic. L’orientamento degli annunci su Instagram è ancora piuttosto semplice, ma concede al marketing la possibilità di raggiungere il target per età, sesso e paese.
Via Tech Economy
C’è un equivoco che ancora ha molto seguito nel marketing e nelle aziende, specie quando ci si sposta sui mezzi a vocazione più digitale: bisogna essere su quel canale o utilizzare quella tecnologia perché ci daranno un vantaggio o solo perché altri ci sono già.
Certo grazie alla diffusione di internet, degli smartphone e a mille altri fattori sono cambiate molte cose negli ultimi anni rispetto agli strumenti per comunicare, e in particolare:
a) si sono pesantemente ridotte le barriere all’ingresso per la produzione di contenuti, sia in termini di competenze tecniche sia sul piano dei costi;
b) i privati ormai posseggono in molti casi una tecnologia pari o perfino migliore di quella aziendale e non è raro che la sappiano padroneggiare meglio;
c) in termini teorici la distribuzione su vasta scala è accessibile a tutti.
Fermiamoci un attimo: rispetto a quanto sopra nella gran parte dei casi il nostro pubblico come privati sono degli amici per i quali ciò che creiamo ha un significato che nasce dal contesto, dalle relazioni, da una storia e che prescinde da qualità e mezzo di produzione. Ma se siamo delle aziende, quali dovrebbero essere i motivi per cui dovremmo avere successo ora che la fruizione dei media è frammentata tra tanti device, asincrona e personalizzata? Per quale (abbondante) mancanza di umiltà noi dovremmo essere per forza interessanti nel frastuono della conversazione collettiva?
Senza un palinsesto unico dei media che ci dia una mano a dettare l’agenda e i tempi, come avveniva per la tv tradizionale, e con tanti stimoli continui che arrivano nello stesso momento da fonti disparate per livello, qualità e vicinanza il solo esserci non serve. E anzi è controproducente.
La domanda giusta infatti non è tanto “dove devo essere” ma che cosa voglio fare e rispetto a chi. L’ormai storico acronimo POST viene rispettato infatti inconsciamente dagli utenti, per i quali la tecnologia è qualcosa di indifferente purché sia comodo per fare ciò che vogliono, ma non dalle aziende.
Un contenuto di qualità e rivolto alle persone giuste quindi è la prima chiave. La seconda è la capacità di gestirlo attraverso i canali e nel tempo: fondare una strategia su di un singolo media, specie se earned, vuol dire essere a rischio ad ogni nuovo arrivo nell’ecosistema. In più, la possibilità (tecnica e organizzativa) di rilavorare e adattare in tempi brevi ad ogni nuovo mezzo le storie ciò per cui veniamo scelti dal cliente è il secondo pilastro di una sana capacità di cavalcare l’evoluzione frenetica dei nostri tempi.
Contenuto può poi volere dire tante cose ma al centro ci sono sempre le persone, le storie, le aziende, i bisogni, l’immaginazione: è questo che riempie di senso un libro come un post di Facebook. E allora si capisce che partire solo dal supporto non è davvero una buon idea.
P.s. Tutto ciò si applica alla grande anche agli strumenti di collaboration, ma lì c’è materiale per più di un altro post!
Gianluigi Zarantonello via Internetmanagerblog.com
Audiweb ha rilasciato i nuovi dati dell’audience mobile e della total digital audience del mese di agosto 2014: in questo periodo sono stati 27,4 milioni gli italiani dai due anni in su che si sono collegati a internet almeno una volta, online in media per 42 ore e 49 minuti per persona. La total digital audience nel giorno medio è rappresentata da 19,5 milioni di utenti collegati per 1 ora e 56 minuti.
La fruizione di internet da device mobili (smartphone e tablet) nel giorno medio supera ancora l’accesso alla rete tramite computer. Sono, infatti, 15,5 milioni gli italiani tra i 18 e i 74 anni che ogni giorno hanno dedicato in media 1 ora e 37 minuti alla navigazione in mobilità, mentre l’audience online da PC registra 10,5 milioni utenti unici (2+ anni) online per 1 ora e 13 minuti a persona.
Con 1 ora e 43 minuti nel giorno medio e 45 ore e 53 minuti di tempo speso in media per persona nel mese, le donne confermano un maggiore consumo di internet da mobile rispetto agli uomini. Oltre il 62,5% dei giovani italiani tra i 18 e i 34 anni era online nel giorno medio ad agosto (7 milioni), principalmente da device mobili. Più in dettaglio, risultano 2,6 milioni i giovani tra i 18 e i 24 anni che nel giorno medio hanno usato device mobili (smartphone e tablet) per accedere a internet (il 60,2% dei 18-24enni), mentre l’accesso da PC vede solo 962mila utenti unici di questa fascia d’età (il 22,6% della popolazione di riferimento).
Dai dati sull’uso dei differenti device utilizzati per accedere a internet, risulta che il 66,4% del tempo totale speso online è generato dalla fruizione di internet da mobile e, più in dettaglio, il 55,7% del totale dalla fruizione tramite mobile applications.
Via Tech Economy
Kindle Unlimited signfica per i possessore di un ebook Kindle l’accesso illimitato a oltre 15.000 titoli in italiano e oltre 700.000 in altre lingue da tutti i dispositivi a 9,99 euro al mese. Funziona così: i titoli disponibili sono contrassegnati dal logo Kindle Unlimited, entrando nella pagina di dettaglio del singolo eBook si clicca su Leggi gratis con Kindle Unlimited. È possibile iniziare oggi il proprio periodo di prova gratuito di 30 giorni su www.amazon.it/ku-provagratuita.
Come funziona?
Finché si paga tutto bene. Quando annulli l'abbonamento a Kindle Unlimited, si continuia ad usufruirne fino alla scadenza del periodo di fatturazione. Decorso questo termine, non avrai più accesso a tutti gli eBook Kindle Unlimited scaricati. I segnalibri, le note e le evidenziazioni salvati all'interno dell'eBook resteranno memorizzati sul tuo account Amazon e potrai accedervi nuovamente se deciderai di acquistare l'eBook in futuro. La vittoria della formula flat
In fondo è la vittoria dello streaming e di un modello di business che punta sull’accesso al servizio. L’idea di Amazon è quella di Spotify e dei moltissimi servizi di streaming video (Infinity, SkyGo, Apple iTunes, ecc). Si paga l’accesso e non il possesso. Quando si smette finisce l’esperienza d’uso. Quello dell’abbonamento flat è un cambio di paradigma per l’utente. Un incubo per i collezionisti e gli amanti dell’oggetto fisico. Un sogno per chi invece con pochi dollari può restare sintonizzato con le novità di mercato. Prima o poi qualcuno cercherà un modo di far parlare questi due mondi apparentemente lontani.
Via IlSole24Ore.com
Un marchio forte, si sa, è un bene estremamente prezioso. Le aziende di consumo, in particolare, dedicano molto tempo e risorse al consolidamento del proprio marchio. Secondo la ricerca annuale condotta da Forbes sui marchi più importanti del mondo, Apple si guadagna il primo posto con un valore di 124,2 miliardi di dollari , il doppio rispetto alla seconda classificata Microsoft con i suoi 63 miliardi di dollari.
Il valore di Apple è cresciuto del 19% rispetto all’anno precedente, confermando la forza guadagnata nel tempo dal colosso su alcuni settori strategici: telefonia, tablet, lettori mp3 e musica. Si appresta ora ad aggredire nuovi mercati come quello degli smartwatches con Apple Watch e dei pagamenti attraverso Apple Pay. Apple ha venduto 39,3 milioni di iPhone nell’ultimo trimestre e 12,3 milioni di iPad, generando un margine di profitto superiore del 33% rispetto all’anno precedente .
Al secondo posto tra le aziende con più alto valore troviamo Microsoft, in crescita dell’11% dopo tre anni di stasi ed una strategia volta a conquistare il mercato del mobile. Grande successo anche grazie alla scelta di fornire licenze di utilizzo del software in ambiente cloud. Microsoft sta puntando inoltre sulle sponsorizzazioni, come dimostra l’accordo da 400 milioni di dollari firmato nel 2013 con la NFL – National Footbal League, con il marchio Surface a bordo campo e l’uso di tablet Microsoft per l’instant replay. Medaglia di bronzo a Google con un valore di 56,6 miliardi di dollari, in crescita del 19% rispetto all’anno precedente. Negli ultimi 12 mesi ha generato utili per 16 miliardi di dollari ed è uno dei più grandi spender pubblicitari in tecnologia con 2,8 miliardi nel 2013.
Per determinare i most valuable brands Forbes ha analizzato oltre 200 marchi globali, ponendo come requisito la presenza negli Stati Uniti, eliminando dalla classifica aziende multinazionali come Vodafone o China Mobile. L’analisi è realizzata sugli utili degli ultimi 3 anni, assegnando un punteggio percentuale in base al settore (alto per i beni di lusso e bevande, basso per compagnie aeree e petrolifere). I 100 marchi più prestigiosi coprono 15 paesi in 20 settori industriali. I marchi di aziende con sede negli Stati Uniti costituiscono poco più della metà della lista, seguiti da Germania (9 marchi), Francia (7) e Giappone (5). Le aziende del settore tecnologico dominano la lista con 16 marchi in totale, di cui 5 tra le prime 10 e 11 tra le prime 25. Seguono le aziende automobilistiche con 16 marchi nella top 100, guidate da Toyota al nono posto con un valore di 31,3 miliardi di dollari. IBM con un valore di 47,9 miliardi di dollari in calo del 5% rispetto all’anno precedente si piazza al quinto posto tra due colossi del settore alimentare Coca Cola, al quarto posto con un valore di 56,1 miliardi di dollari in crescita del 2%, e McDonald’s al sesto con un valore di 39,9 miliardi di dollari, in crescita dell’1%.
Il miglior risultato tra tutti i valuable brandes di Forbes lo ottiene Facebook, classificato al diciottesimo posto ma con un aumento del 74% rispetto all’anno precedente e un valore di 23,7 miliardi di dollari. Buoni risultati anche per Amazon al 24° posto con un aumento del 45% ed un valore di 21,4 miliardi di dollari.
I numeri di Forbes rafforzano quanto già sostenuto da Eurobrand agli inizi di ottobre.
Via Tech Economy
Se la Delorean di “Ritorno al futuro” potesse portarci indietro di quindici anni almeno, in un mondo pre social media di massa, le scelte per un piccolo imprenditore italiano in campo pubblicitario appaiono alquanto limitate. Volantini, annunci pubblicitari sul quotidiano locale, cartelloni pubblicitari e per i più coraggiosi banner su internet e pay-per-click. Forse più che limitate, sarebbe più corretto definirle onerose. Basti pensare al tempo e alle risorse spese non solo per impaginare e stampare volantini ma anche per distribuirli oppure i costi e le tempistiche dei piccoli giornali e nessun modo per misurarne l’efficacia se non contare l’aumento di clienti senza poter attribuire in maniera certa, in molti casi, se ció fosse proprio dovuto all’investimento pubblicitario.
Una via d’uscita Ma un salto veloce sulla Delorean ci porta avanti di qualche anno e l’arrivo dei social media, Facebook in particolare, che sconvolge la cultura italiana per sempre. Il piccolo imprenditore vede finalmente la possibilità di farsi pubblicità gratis (parola magica!). Non serve nemmeno un sito web, la pagina Facebook diventa in molti casi il baluardo online della piccola impresa. Like dopo like, il piccolo imprenditore può comunicare con il cliente direttamente (nel bene e nel male) senza aver bisogno di capacità specifiche o risorse aggiuntive.
Una bolla pronta a esplodere, perché questo scenario c’é qualcuno che non ci guadagna abbastanza. E così Zuckerberg & co, algoritmo dopo algoritmo, azzerano o quasi le chance del piccolo imprenditore. Prima con l’EdgeRank, che da solo ha fatto vittime anche fra i grandi marchi (si pensi a Eat24 o Copyblogger) poi con modifiche successive che portano in vista contenuti di prima classe. Sono ormai scomparsi dal blog di Facebook e dai feed le menzioni dei programmi per piccole imprese o i vari esempi di campagne di successo, persino i coupon ed offerte come opzione pubblicitaria sono passati in secondo piano.
Content is king Facebook adesso promuove lo storytelling come maniera efficace per non annoiare i consumatori con pubblicità invadenti. Propone esempi di campagne di McDonald’s e Coca Cola, come la recente realizzazione di video con patatine fritte in stop motion che certamente avrà avuto un budget notevole.
Un miglioramento per i consumatori certamente, ma un cambiamento di direzione che dovrebbe far riflettere i piccoli imprenditori sulla validità dei social come mezzo di promozione. Storytelling e content marketing su i social media tempo, risorse ed esperienza in maniera costante, non tutti gli imprenditori ne hanno a disposizione.
Alla luce di tutto ciò, gli esperti cominciano a tentennare e quello che era un must, adesso diventa un optional.
L’ultimo avamposto In un mondo in continua evoluzione, dove social media come Ello o Rooms (la nuova app targata Facebook) cambiano le regole del gioco in continuazione, forse ha senso rivalutare il sito web. Google attesta con abbondanza di dati che effettuiamo ricerche su internet più che mai e questo accade con maggior frequenza con gli smartphone. Un sito web semplice e responsive, ottimizzato e contenente tutte le informazioni necessarie può essere valido per anni a venire, un investimento che vale la pena fare piuttosto che inseguire i mulini a vento dei social media.
Via Republic+Queen Magazine
Buon lunedì. Mi è capitato recentemente e per vari motivi di leggere diversi report sul social caring e la capacità di risposta delle aziende, come questo di Blogometer e altri, anche di provenienza straniera.
Al di là di numeri e trend quello che, secondo me, dovrebbe balzare più all'occhio è il fatto che questi canali molto spesso sono ancora trattati in modo separato dal customer care tradizionale e dal CRM.
Viene persa quindi una grandissima opportunità di arricchire la conoscenza che abbiamo dei nostri clienti (nurturing) che spesso invece sono disponibili a condividere molte informazioni con noi a patto di essere ascoltati e supportati. La logica di ecosistema si porta dietro anche il concetto di single customer view ed i social media, spesso in bilico tra sopravvalutazione e disincanto eccessivo, sono un canale bidirezionale e quindi ideale per attingere dal dialogo. Al di là delle varie metriche, è questo il loro reale valore, non certo il numero totale di fan/follower acquisiti in modi magari non leciti.
Ovviamente tutte queste informazioni poi devono essere in qualche modo rese disponibili a tutti coloro che ne possono trarre informazioni utili al business (basta con i silos!), per dare valore agli inevitabili investimenti che questo tipo di collezionamento comporta.
È ovviamente un tema di tecnologia per gestire tutto questo ma anche e soprattutto di processo interno all'organizzazione. E voi, che esperienze avete in merito?
Gianluigi Zarantonello via Internetmanagerblog.com
|