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  mymarketing.it: perchè interagire è meglio!... di Admin
 
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Errare è umano, ma per incasinare davvero tutto è necessario un computer.

Arthur Bloch
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\\ : Storico (inverti l'ordine)
Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
 
 
Di Altri Autori (del 20/11/2013 @ 07:49:01, in Pubblicità, linkato 2418 volte)

L’advertising britannico ha un nuovo protagonista: le agenzie per le scommesse e il gioco d'azzardo. Da quando, nel 2007, il Parlamento permise agli operatori la pubblicità senza limiti su ogni mezzo di comunicazione, i principali marchi hanno conquistato tv e giornali: gli spot su piccolo schermo, nel 2012, sono stati quasi 1,4 milioni, a dispetto dei 234mila del 2007.

Una vera e propria invasione monitorata con qualche preoccupazione da Ofcom, il regolatore dei media britannici, che fa notare come i minorenni siano esposti ciascuno - mediamente e in un anno - a 211 pubblicità che hanno a che fare con scommesse e gioco d’azzardo.

Nel complesso, l’adv di genere rappresenta ormai il 4,1% degli spazi pubblicitari televisivi. I prodotti più reclamizzati sono i casinò online, il poker via internet e le scommesse sportive, oltre ai più classici bingo e lotterie. Prima del Gambling Act, entrato in vigore nel settembre del 2007, la legge permetteva annunci solo per le giocate sul calcio, la vendita dei biglietti della lotteria nazionale e del bingo.

Via Quo Media

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Di Altri Autori (del 25/11/2013 @ 07:17:49, in Aziende, linkato 1936 volte)

Google offrirà una carta di debito prepagata, di fatto una carta bancomat, che permetterà ai consumatori di acquistare prodotti nei negozi e di prelevare contanti da sportelli bancomat, ma anche inviare denaro poichè collegata a Google Wallet. Di fatto sarà possibile spendere, prelevare e inviare denaro senza doverlo trasferire dal Wallet ad un conto corrente bancario. Una comodità che sarà certamente apprezzata in Usa dove Wallet è molto diffuso.

La carta, associata al circuito MasterCard, permette a Big G di entrare in un mercato, quello dei pagamenti elettronici, già sufficientemente maturo e “popolato” e per, almeno parzialmente, ovviare a questo limite, offre il servizio in modo gratuito, senza prelevare tasse, nè canoni mensili o annuali, al contrario di quanto di norma preteso dalle carte (di debito e di credito) classiche.

Un portavoce di Google ha confermato che i dati sulle transazioni effettuate con la nuova scheda Wallet – compresa una descrizione dei beni acquistati, l’importo della transazione e il nome e l’indirizzo del venditore – sarebbero aggiunti ai profili interni che Google ha degli utenti dei suoi servizi.

Via Tech Economy

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Di Gianluigi Zarantonello (del 26/11/2013 @ 09:00:00, in Social Networks, linkato 3426 volte)

I social media sono un tema di dibattito sempre caldo e sempre controverso, perché se è chiara la potenza e la diffusione di questi strumenti tra le persone (anche in Italia) molto meno evidente è la misurabilità dei benefici per le aziende, e come tutti gli argomenti in cui la valutazione è difficile dunque l’alternanza è tra l’entusiasmo e lo scetticismo.

Io credo che ci sia una sopravvalutazione del social media come strumento di comunicazione puro, troppo spesso i messaggi delle aziende si inseriscono come corpi estranei nelle normali conversazioni delle persone, perché partono da una logica unidirezionale di vecchio stampo. In più il social per antonomasia, Facebook, ha ridotto ulteriormente la visibilità dei messaggi non a pagamento indebolendo pesantemente l’efficacia.

Inoltre l’economicità e la facilità di questi strumenti è bella fin quando non viene il momento della critica o della crisi, perché nel social media il controllo della comunicazione è parziale e il canale è aperto in forma bidirezionale.

Infine a molte aziende sfugge un particolare fondamentale: un fan di Facebook o un follower di Twitter restano iscritti del social network, e quindi persone di cui l’azienda sa poco o nulla. Acquistare fan dunque non è solo è dannoso ma è soprattutto è inutile, perché i loro dati sono destinati a restare inaccessibili e volatili nel momento in cui uno qualsiasi di questi servizi decida di chiudere o cambiare politica.

Tutto sbagliato e inutile dunque? Assolutamente no.

l'importanza dell'ascolto (immagine tratta da http://iprexvoices.com/)

l’importanza dell’ascolto (immagine tratta da http://iprexvoices.com/)

Come ho scritto la settimana scorsa uno dei benefici fondamentali del social è l’ascolto, che permette di intercettare bisogni, richieste e stimoli dei clienti come mai prima è stato possibile. Il punto è che bisogna voler ascoltare. Inoltre le fonti sono così tante e destrutturate che, anche senza arrivare al tema del big data, occorre dotarsi di strumenti idonei e di un piano strategico per capire che cosa si vuole ricercare davvero.

Immagine tratta da http://www.conversity.be/

Immagine tratta da http://www.conversity.be/

Inoltre Facebook e tutti i suoi simili sono un caso in cui viene portata alla massima evidenza l’errore che si fa spesso guardando al digitale: quello di vederlo come ramo a sé e non come parte di una strategia e di un ecosistema di strumenti. I social infatti fanno parte di uno dei tre tipi di media che oggi sono disponibili, gli earned, ossia quelli su cui conquista dello spazio grazie all’attenzione che si riesce a stimolare. Ci sono però anche i paid media (semplificando, la pubblicità) e gli owned (quelli di proprietà). Come ho già scritto, le tre cose devono andare assieme.

In più, pensare al digitale in modo sganciato dal resto della strategia aziendale è ormai qualcosa di superato dai fatti, ma non dalle pratiche, e per questo spesso i linguaggio, le logiche e gli obiettivi sono divergenti. Non è il massimo, nel punto i maggiore contatto e dialogo diretto con i clienti e gli stakeholder.

Senza dunque arrivare a una social enterprise, su cui oggi già si discute in contesti evoluti, resta ancora molto da fare per una corretta valutazione di un fenomeno straordinario e dirompente. E non certo nato dal nulla.

Che ne dite, qual è la vostra esperienza in merito?

Gianluigi Zarantonello via Internetmanagerblog.com

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E’ una domanda che si fanno in molti e alla quale in molti hanno provato a dare risposta. L’argomento è recentemente tornato di moda col caso Snapchat, l’ultimo tra i servizi social che ha attirato l’attenzione degli analisti di mezzo mondo per aver rifiutato un offerta di 3 miliardi di dollari cash (a fronte di un profitto vicino allo zero). Si tratta di un’ offerta sensata o esagerata, come hanno detto in molti? Nessuno conosce i numeri dell’utenza di Snapchat, tenuti segreti dai fondatori e non ancora misurati dalle altre compagnie di ricerca. Avendo la fortuna di lavorare per una compagnia di ricerca che agisce molto rapidamente ai cambiamenti del mercato, ho già a disposizione stime sulle dimensioni della sua utenza e sulle quali mi baserò per analizzarne il valore e di cui nessun altro dispone.

snapchat. La mancanza di dati consistenti riguardo alla base attiva di ogni servizio ha prodotto risultati discrepanti e non attendibili. Cercherò qui di dare risposta alla domanda utilizzando i dati di GlobalWebIndex che consentono di avere una base quantomeno consistente su cui fare delle ipotesi. La metodologia di GlobalWebIndex indica come “attivi” gli utenti che hanno utilizzato un determinato servizio in maniera attiva nell’ultimo mese. Login accidentali non vengono considerati. Account doppi o inesistenti vengono tenuti anch’essi fuori dalla conta e per questo le stime potrebbero sembrare più bassi del dovuto. La ricerca, inoltre, viene svolta tra gli utenti 16-64 di 32 paesi al mondo.

Per il calcolo del valore del singolo utente mi sono invece affidato ad un semplice calcolo matematico basato sul valore di mercato della compagnia divisa per la base di utenti attiva. Il valore è dato dalla capitalizzazione di mercato, quando la compagnia è quotata in borsa, o da stime degli analisti quando invece la compagnia è fuori dai listini. Tutte le valutazioni vengono fatte in base al valore della compagnia al 22/11/2013.

Iniziamo da Facebook la cui valutazione di mercato a Wall Street secondo il sito del NASDAQ è di circa $114mld. Questo diviso per una base utenti attiva stimata secondo i parametri sopra indicati di 637mln , porta a un valore utente di poco meno di 179 dollari.

Twitter è anch’esso quotato a Wall Street ed ha una capitalizzazione di mercato pari a 22,741mld  di dollari che, divisi per una base attiva di 321,5mln di utenti nei 32 paesi della ricerca, porta a un valore utenti pari a 70.73 dollari.

Linkedin, il social network professionale più di successo nel mondo, ha il valore utente più alto del mercato data la alta qualità dei dati contenuti al suo interno. Con una capitalizzazione di poco meno di 26,5mld di dollari e una base utenti attiva di poco più di 132mln, il valore per utente è appena superiore ai 200 dollari. Certo è che il valore dell’utente di Linkedin non si basa tanto sulla sua attività quanto sulla mera presenza stessa sul Social, visto che la maggior parte degli introiti li guadagna vendendo servizi di recruiting. Se prendiamo, quindi, in analisi il numero di account creati (265mln) raggiungiamo un valore di quasi 100 dollari per utente.

Con Pinterest, non ancora quotato in borsa, entriamo nell’area delle stime. In seguito all’ultimo round di finanziamenti di 200mln di dollari il valore della compagnia è ora stimato sui 3,8mld di dollari che divisi per una base utenti attiva di 81,3mln, da un valore utenti di 46.69 dollari.

LinkedIn è quindi la compagnia col più alto valore per utente ed in effetti è anche quella che raccoglie i maggiori profitti in scala. Facebook invece appare essere piuttosto sopravvalutato sulla base dei dati raccolti da GlobalWebIndex. E’ vero che diventato uno dei leader mondiali per la vendita di spazi pubblicitari, ma le stime sul suo valore vengono fatti su numeri inesatti. Twitter ha un valore di mercato che è addirittura 22 volte i guadagni previsti per il 2014, quasi il doppio rispetto a Facebook, nonostante la maggior difficoltà a vendere spazi pubblicitari e a farli accettare ai propri utenti. Ma il suo valore per utente sembra essere più in linea con la realtà delle altre piattaforme.

Prima di arrivare a Snapchat occorre dare un’occhiata al valore utente di altre piattaforme di social su mobile, tanto per aver le giuste misure.

WhatsApp, ad esempio, ha un valore stimato, secondo alcun rumors di acquisizione da parte di Google, di circa 1mld di dollari e conta una base utenti di poco meno di 170mln. Ancora una volta, con un semplice calcolo arriviamo a 5.89 dollari a utente. Non male considerando che l’app ne costa 1 a utente.

Per quanto riguarda Instagram, dobbiamo rifarci alla quotazione di un anno fa quando fu acquistata da Facebook. All’epoca gli analisti stimavano un valore di 500,000 dollari ma noi ci baseremo sul valore di acquisizione di 1mld di dollari  su una base utenti attiva di 40mln. Nel 2012, quindi, un utente valeva 25 dollari e se volessimo, per gioco, fare una proiezione sulla base utenti attuale di 109mln, otterremmo che oggi Instagram vale 2,731mld di dollari. Meno di quanto offerto per Snapchat.

Arriviamo quindi al punto.

Sono 3 miliardi di dollari giustificati per l’acquisto di Snapchat? Quanti utenti attivi conta?

Secondo le stime di GlobalWebIndex, Snapchat conta ora 25,5mln di utenti attivi nel mondo, che, basandosi sul valore di mercato di 3mld di dollari, portano a un valore utente stellare di 117,6 dollari. Quasi 20 volte quello di Whatsapp e quasi 5 volte quello di Instagram.

Se da un lato può essere vero che Snapchat ridefinisce il concetto di comunicazione online e di messaggistica istantanea e non ha ancora raggiunto interamente il suo pubblico di riferimento, dall’altro lato avrebbe giovato enormemente dall’acquisizione da parte di Facebook e non è detto che se tra qualche tempo avra’ il doppio degli utenti il valore di mercato rispecchierà tale crescita. Inoltre Snapchat dovrà affrontare il problema di ogni altra piattaforma, e cioè la monetizzazione degli utenti.

Che Evan Spiegel, fondatore di Snapchat, abbia nascosto nella manica un business model in grado di tradurre i propri utenti in denaro sonante, che nessun altro ancora ha esplorato, ho i miei dubbi.

In poche parole se fossi stato in lui, io, come molti altri avrei preso i soldi senza nessuna esitazione.

Via Tech Economy

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Di Altri Autori (del 02/12/2013 @ 07:45:22, in Internet, linkato 1817 volte)

Nuovi dati pubblicati quest’anno dimostrano uno sconvolgimento degli stereotipi legati ad internet e alla tecnologia in Italia. A quanto pare, ci stiamo lentamente portando al passo con gli altri paesi europei per consumo e modo d’uso. Se fino a qualche anno fa l’iPhone era una prerogativa degli under 18 e la politica un argomento da Bar Sport, nel 2013 vediamo un’espansione della fascia anagrafica e sempre più giovani che si informano, privilegiando la rete come mezzo per restare aggiornati. In tutto questo, una constante: la TV e l’intrattenimento video. Non riusciamo a farne a meno e ci guardiamo video di gattini e programmi TV anche con lo smartphone.

Di seguito cercherò di smentire alcuni degli stereotipi digital legati al nostro Paese:

Internet è un gioco per ragazzi
Non proprio. Una ricerca effettuata da Audiweb mostra che il segmento demografico più attivo è quello dei professionisti tra i 35 e i 54 anni. Quasi la metà del totale, 48.1%, è da collocarsi in questa fascia d’età.

Nel mese di luglio 2013 questo target ha usato giornalmente internet più di ogni altro segmento, incluso i giovanissimi (18-24), il 9.9% del flusso quotidiano sul web. Persino i Silver Surfer (55-74) sono più attivi, arrivando a rappresentare il 16.9%. Tra le fasce anagrafiche i più giovani battono il record per durata delle loro attività su internet, si connettono meno giornalmente ma complessivamente 15 minuti più a lungo degli altri.

Ai giovani non interessa la politica
Mica vero. ComScore rivela che i siti che trattano di politica hanno registrato quasi 3.1 milioni di visitatori unici durante gennaio 2013, un incremento del 46% rispetto a gennaio 2012. Ma è la fascia anagrafica 15 – 24 a mostrare maggiore interesse, con un incremento del 145% nel corso dell’anno.


Siamo sempre incollati alla TV
Sempre ComScore ci dice che non piace a nessuno rinunciare alla TV, ma non per questo significa che l’italiano medio vegeti sul sofà ogni giorno. Dopo la Germania, l’Italia si qualifica seconda per uso di smartphone per vedere TV o video. Questo si traduce in un incremento del 124% rispetto allo scorso anno.

Stiamo realmente cambiando?
Per continuare nel cambiamento manca un’adeguata infrastruttura (connessione 3G, internet Adsl) che al momento è limitata, solo 2.5 milioni di Italiani hanno la fibra ottica installata nelle proprie abitazioni o aziende (Fonte: Wikipedia).
Anche l’amministrazione pubblica dovrà stare al passo con la richiesta sempre maggiore di digitalizzazione (7 milioni di italiani hanno visitato siti istituzionali nell’agosto 2013 solamente, Fonte: ComScore).

Quindi, il cambiamento c’è, ma ci vorrà del tempo per vederne i risultati.

Via Republic+Queen Magazine

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Di Altri Autori (del 04/12/2013 @ 07:51:22, in Mobile, linkato 1815 volte)

Quanti di voi possiedono uno smartphone? Quanti leggono le email da mobile? Quanti poi acquistano direttamente da tablet o da smartphone?

Io possiedo uno smartphone da tempo, leggo le email spesso in tempo reale, soprattutto se devo riempire un tempo morto, utilizzo app per instant messaging e sono in buona compagnia! Basta pensare a quanto è cresciuta solo nell’ultimo anno la lista dei contatti su WhatsApp.

A chi fa marketing di mestiere i dati sulla user experience del mobile interessano molto e, interesserà una ricerca [scarica qui la versione integrale] realizzata da MagNews, key player per l’email marketing, in collaborazione con l’Istituto di Ricerca Nielsen, dove emerge:

- la crescita dell’utilizzo dei dispositivi mobile da parte degli uomini (60% contro un 48% “rosa” del campione), e giovani (66% entro i 25 anni, contro un 29% oltre i 50 anni).

- la diffusione dell’istant messaging non va a diminuire l’apertura delle email, ma piuttosto veicola altrove le conversazioni “veloci” e personali. Il 58% del campione (a maggioranza giovani) utilizza queste app al posto degli sms;

- il 28% (a maggioranza donne) utilizza meno il telefono per chiamare e il 6% riferisce che interagisce meno dal vivo.

In quest quadro emergono 4 cluster, utilizzatori “tipo” della rete, che possono essere classificati in:

Vintage, il gruppo più “adulto” rispetto alla media del campione. Utilizzano internet soprattutto per informarsi, solo il 25% è sui i social network, il 25% controlla la posta da mobile e non lo fa in tempo reale.

Mainstream, il gruppo più ampio, a maggioranza femminile. Non sono tra i più “confident” rispetto allo strumento, ma ne riconoscono le potenzialità: per loro il web è presente, ma ancora di più il futuro prossimo.

Pragmatici, utilizzano soprattutto le funzioni più utili per la vita quotidiana: acquistano online, si connettono quotidianamente, utilizzano l’home banking.

Fan, iperconnessi, utilizzano tablet, smartphone, chattano, sono sui social e accolgono entusiasti ogni nuova opportunità che la rete offre.

Ne emergono interlocutori attenti all’esperienza Mobile, che sia una mail, sms, social network o istant message, e un’evoluzione significativa di fruizione del web: non solo tecnologica, ma culturale.

É bene, quindi, considerare che i comportamenti di chi ci legge si stanno andando sempre più verso una diversificazione e ciò implica una dovuta attenzione alla scrittura declinata alla piattaforma.

Via Republic+Queen Magazine

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Di Altri Autori (del 06/12/2013 @ 07:57:08, in Internet, linkato 2090 volte)

Il fenomeno Bitcoin continua a crescere: stando a quanto riportato da ventureBeat, il valore del singolo Bitcoin oggi  ha raggiunto l’impressionante valore di 1.000 dollari, lì dove un anno fa era fermo a 10 dollari. A trainare il boom ci sarebbe l’adozione in massa della cripto moneta in Cina, lì dove si stanno registrando i tassi di adozione ed utilizzo più elevati, seguita dagli Stati uniti dove il Congresso discute addirittura la possibilità di renderla una moneta virtuale ufficiale. I Bitcoin permettono di acquistare beni e servizi reali in tutto il mondo, assicurando la validità delle transazioni con un complicato sistema di crittografia e trasferendo il denaro virtuale attraverso la tecnologia peer-to-peer.

Tuttavia per gli osservatori ci sarebbero anche altre forze al lavoro. Virgin Galactic, ad esempio, ha di recente annunciato che avrebbe accettato Bitcoin per i voli spaziali, e il primo Bitcoin bancomat in Canada ha fatto quasi $ 1.000.000 in operazioni in meno di un mese. Senza contare che anche il limite di non poter usare Bitcoin nel mondo reale, sta progressivamente cambiando. In occasione del famoso Black Friday in Usa, ovvero del giorno successivo alla festa del ringraziamento che dà l’avvio allo shopping natalizio, sono 250 i retailer che si stanno organizzando con il Bitcoin Black Friday, per offrire ai clienti la possibilità di pagare con la cyber moneta.

Un insieme di fattori, dunque, che fungerebbero da volano per il Bitcoin. Intanto i numeri parlano chiaro: il controvalore totale dell’economia Bitcoin, calcolato a dicembre 2012, era di circa 140 milioni di dollari statunitensi, in aprile 2013 1,4 miliardi di dollari, agli inizi di novembre di questo anno, con un cambio 1Bitcoin=540USD, il controvalore sale ancora a più di 6 miliardi di dollari. Adesso, è di 14 miliardi di dollari.

Via Tech Economy

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Di Altri Autori (del 10/12/2013 @ 07:17:24, in Social Networks, linkato 2207 volte)

Continua la nostra inchiesta sui Digital Champion europei. Nelle scorse settimane abbiamo parlato della centralità del ruolo  ed abbiamo illustrato il percorso che ha portato l’Unione Europea alla definizione della figura del Digital Champion. In questo percorso, non sono mancate le riflessioni dei nostri Visionist. Cristoforo Morandini ci ha parlato del Campione digitale che non c’è, Francesca Quaratino ci ha riportato alle origini del significato della parola Campioni,e poi Sonia Montegiove ha condiviso con noi le sue speranze in una lettera molto speciale.

Questa volta vi raccontiamo non solo chi sono i diversi Digital Champion, ma anche se e come utilizzano i social network: strumenti che fanno parte di quell’ecosistema culturale e tecnologico che queste figure hanno l’obiettivo di promuovere.

Maschio, con una età compresa tra i 50 e 60 anni  e proveniente dal mondo del privato. È  questo, in sintesi, l’identikit del Digital Champion europeo, delineato attraverso un’indagine che la nostra redazione ha condotto sul web, alla ricerca di informazioni e modalità di presenza online che potessero aiutarci a definire meglio il volto e la presenza online dei Campioni. Se è vero che la loro mission è quella di promuovere l’inclusione e, in generale, di contribuire alla divulgazione della cultura del digitale nei propri paesi, come vivono la rete, se lo fanno, i Digital Champion?

Qualche dato anagrafico
Sui 25 professionisti nominati dai rispettivi Stati per essere ambasciatori dei principi dell’agenda digitale in patria, ben il 72% è rappresentato da uomini mentre le donne si fermano al 28% (pari a sette campionesse). Un dato, quello della presenza femminile, inferiore alla rappresentanza delle donne nel Parlamento Europeo, al momento pari al 31%. Dato che oltretutto non rende giustizia all’efficacia dell’azione che trova nei campioni in rosa attori molto attivi.

Come detto la fascia di età maggiormente rappresentata la troviamo tra i cinquantenni, che rappresentano il 20% del campione, seguiti da trentenni e quarantenni che si fermano ad un 16% a pari merito. Il più giovane registrato? Una campionessa classe under 30, la ventisettenne Linda Liukas, svedese. È invece irlandese il più “anziano”: il 72 enne David Puttnam. Ma il dato più significativo è rappresentato dal fatto che nel 36% dei casi è stato impossibile risalire all’età anagrafica. Sul web infatti, a fronte della presenza su siti ufficiali, come quello dell’Ue, informazioni inerenti l’età di ben 9 campioni su 25 sono risultate assenti. Sono questi i soli dati di difficile reperimento, tra quelli obiettivo di indagine della nostra inchiesta? La risposta è no dal momento che, nota curiosa ed a nostro parere preoccupante, non ci è stato possibile reperire il contatto e-mail di 4 campioni su 25!

Digital Champion: ambito professionale


Per quanto riguarda l’ambito professionale dei Digital Champion, la ricerca ha provato a identificare la provenienza dei Campioni, distinguendo tra privato, con un universo composto da imprenditori, filantropi, manager, professionisti, e mondo pubblico (quindi politici ma anche docenti e funzionari).
L’indagine ha poi ulteriormente distinto, per il segmento “privati”, quanti appartengono al vasto mondo del digitale (dall’informatica alle telco al mondo dei media) e quanti, invece, provengono da settori differenti.
Dalla ricerca emerge che la maggioranza, ovvero il 64% dei Digital Champion, proviene dal mondo “privato” dell’imprenditoria e/o del management, mentre il restante 36% fa riferimento alla sfera pubblica.
Ancora più interessante è il dato su quanti Digital Champion facciano riferimento, in termini di formazione e/o professione, al vasto mondo del digitale. Coerentemente con l’incarico di DC, ben l’88% del campione è legato ad esso e si va da ingegneri e manager legati all’It, ad esperti di comunicazione e formazione online, passando per imprenditori. Solo il 12%, invece, pari a 3 Campioni, non afferisce al più vasto “ecosistema” digital.
Tutti di Campioni provenienti dal mondo privato hanno un radicamento diretto con le tematiche digitali, anche se in modalità diverse. 

Digital Champion: la presenza su web e social network
Se è vero che oggi web e social network rappresentano strumenti di dialogo e confronto sempre più presenti nella comunicazione pubblica è presumibile, e forse anche doveroso, pensare che gli stessi Digital Champion utilizzino tali strumenti per parlare a istituzioni, cittadini e imprese, della loro mission.
Purtroppo però, analizzando la presenza dei 25 sul web e sui principali social network (Facebook, Twitter, LinkedIn e Google+) ci si accorge che il panorama non è dei più confortanti, al netto di comportamenti invece estremamente virtuosi.
Il 69% del campione, infatti, possiede un account Twitter e, almeno nominalmente, il 68% ha un profilo Facebook, e il 44% ha un account Google+. Va meglio solo a LinkedIn, il social network site professionale per eccellenza, che registra l’84% delle presenze, sebbene solo in pochi casi ci si imbatta in profili realmente “vissuti” e aggiornati. Non va meglio a siti o blog dedicati, all’attività in patria dei Campioni: neppure la metà dei DC ha uno spazio web attraverso cui illustrare esaustivamente progetti e/o muovere azioni di sensibilizzazione.

Quale attività e modalità di presenza sui social?
“Nominalmente”, si diceva prima. L’indagine ha ulteriormente approfondito, per quella parte di Digital Champion che hanno degli account, la loro reale attività, nella convinzione che avere un profilo è la condizione minima, ma “viverlo” davvero, è condizione necessaria. Nello specifico, per i principali social network site presi in considerazione, è stata rilevata la presenza o meno di post aggiornati. Ulteriore dato analizzato, è la tipologia di presenza sui social, se con profili prettamente “personali”, legati alla vita privata del Campione, o “professionali”, legati anche all’incarico di DC. Sono questi, tipologia di presenza social e attività sui profili, i due parametri “minimi” con cui provare a tratteggiare la “digitalità” dei nostri Campioni.

Twitter: lo strumento più aggiornato
Focalizzando l’attenzione sui social network più conversazionali, è Twitter a registrare il maggiore attivismo dei Campioni. L’83% dei possessori di un account sul social del cinguettio ha, infatti, un profilo che risulta aggiornato (ma, lo ricordiamo, si tratta comunque di numeri molto contenuti, solo 15 su 25). Nei casi più “fortunati”, all’ultimo mese, in quelli meno fortunati a due mesi fa. Sono stati considerati invece, non aggiornati, i profili Twitter fermi da tre mesi o più così come quelli in cui non è stato possibile registrare aggiornamenti, poichè “aperti” ma mai popolati.
Attraverso Twitter la maggioranza dei Campioni dà conto prevalentemente della propria attività professionale, ma anche delle azioni legate all’incarico di Digital Champion.

Facebook: un uso prevalentemente privato
Ancora meno incoraggiante appare il panorama di Facebook, in cui solo il 24% degli “aventi profilo” lo aggiorna con regolarità (in questo numero sono incluse anche due pagine, quelle di David Puttnam e di Martha Lane-Fox). Al contrario, nel 76% dei casi, per chi è presente su FB si registra una apparente mancanza di aggiornamenti soprattutto a causa di profili “chiusi”. Ad una richiesta di amicizia, infatti, non ha fatto seguito un’accettazione, il che induce a pensare che si tratti di profili privati. In sostanza la stragrande maggioranza dei Dc su Facebook non utilizza tale strumento come luogo per dare conto della propria esperienza di Digital Champion.

Google+: il deserto
Ancora più desolante lo scenario su Google+. Al già scarso numero di possessori nominali di un account, ovvero 11 Campioni, si associa anche uno scarsissimo attivismo. Eccezion fatta per un solo campione il cui profilo registra un aggiornamento pubblico a novembre 2013, gli altri 10 possessori di account hanno pagine apparentemente abbandonate: sembrano account semplicemente aperti ma mai utilizzati. In altri casi non è stato possibile stabilire se la pagina aperta faccesse capo ai Digital Champion oppure ad omonimi. Per questi motivi, ovviamente, non è stato neppure possibile definire se l’uso dei profili è professionale o meno.

Piuttosto che nulla, meglio piuttosto…
Gli unici Champion che non hanno alcuna presenza social né un sito web o blog, eccezion fatta per profili Linkedin che comunque appaiono “poco frequentati”, sono: Istvan Erenyi, ungherese, Francesco Caio, italiano e Antonio Murta, Portoghese. Come se non bastasse, alcuni dei campioni digitali non pubblicano nemmeno un’e-mail connessa alla loro attività. Tra questi, Darko Paric, croato, Gilles Babinet, francese, Reinis Zitmanis  lettone, e – purtroppo – di nuovo anche il nostro Francesco Caio che, on-line, è letteralmente un fantasma.

Questa rapida panoramica ci porta a definire ulteriormente il profilo dei Digital Champion. Quel maschio tra i 50 e 60 anni, proveniente dal mondo del privato è sì esperto di tematiche connesse al digitale, ma è anche scarsamente social. Più orientato a frequentare LinkedIn e Twitter per parlare di professione e incarico Dc, ma comunque, complessivamente poco presente in rete. Un quadro non precisamente confortante, ma anzi paradossale perché, eccezion fatta per la provenienza legata nella maggioranza dei casi al mondo privato su temi del digitale, i Digital Champion designati non appaiono attenti alla vita della rete. In questo senso colpiscono le percentuali così basse di presenza ed utilizzo dei social: come farsi promotori del digitale in patria, se parte di tale digitale, la rete, non è né vissuta né utilizzata dai Digital Champion? Come far passar ai cittadini e alle nuove generazioni l’importanza della rete per l’innovazione del paese senza il famoso “buon esempio?”. Ma soprattutto: come essere testimoni di qualcosa che non si usa, non frequentanto i canali sui quali sono le persone verso le quali essere testimoni?

Nelle prossime settimane proveremo a dare conto anche di cosa, nel concreto, i 25 Digital Champion stanno facendo nei rispettivi Paesi.

Via Tech Economy

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Di Altri Autori (del 13/12/2013 @ 07:46:27, in Tecnologie, linkato 2207 volte)

Tablet al posto dei quaderni, maxischermi al posto delle lavagne. Non è fantascienza, è la classe digitale. La prima è stata inaugurata oggi a Milano dal sindaco Giuliano Pisapia: protagonisti e pionieri sono gli alunni della terza elementare della scuola primaria Enrico Toti di via Cima, nel quartiere dell'Ortica.

Qui, alla periferia della città, nasce ufficialmente il progetto Smart Future, promosso dal gigante coreano dell'elettroniva di consumo Samsung per favorire lo sviluppo della digitalizzazione nell'istruzione delle scuole primarie e secondarie di primo grado. L'iniziativa coinvolgerà nelle prossime settimane altre 24 classi in sette regioni, e nei prossimi due anni sarà esteso a quasi 300 classi.

«A casa i bambini sono a contatto quotidianamente con la tecnologia - spiega Carlo Barlocco, senior vice president di Samsung Italia - la scuola non può restare indietro. Qui i bambini devono poter utilizzare strumenti moderni per imparare a fruire della tecnologia e non a subirla». Con questo obiettivo nasce il progetto che punta ad applicare la tecnologia all'istruzione, con strumenti e software studiati ad hoc per la didattica. «Siamo convinti - sottolinea Sun Wang Myung, presidente di Samsung Italia - che l'istruzione sia una leva strategica per la crescita del Paese».

I 26 alunni della terza elementare della scuola Enrico Toti studieranno su tablet collegati alla e-board grazie alla quale l'insegnante può caricare i contenuti delle lezioni, condividerli con gli studenti, realizzare attività di gruppo, effettuare quiz e sondaggi per verificare la comprensione dei bambini.

«I ragazzi - sottolinea Francesco De Santis, direttore dell'ufficio scolastico regionale della Lombardia - sono molto veloci nell'imparare a utilizzare questi strumenti. Quello che serve, oggi, è formare gli insegnanti, far sì che aggiornino il loro metodo di insegnamento struttando al meglio la tecnologia».

È quello che ha fatto Samsung Italia con il progetto Smart Future, che ha coinvolto prima di tutto i docenti, sottoposti a intensi corsi di formazione. «Solo quando i docenti sono pronti - spiega Barlocco - dotiamo la classe degli strumenti tecnologici, perché vogliamo essere sicuri che venga utilizzata al meglio».

Per verificare i risultati del progetto sarà attivato un monitoraggio attraverso l'osservatorio sui media e i contenuti digitali nella scuola del Centro di ricerca sull'educazione ai media, all'informazione e alla tecnologia (Cremit) dell'Università Cattolica di Milano. «Introdurre tecnologia nelle classi senza verificare sulla base di evidenze cosa poi realmente succeda - spiega infatti Pier Cesare Rivoltella, ordinario di Didattica generale e direttore del Cremit - non consentirebbe di capire né come orientare il progetto stesso né cosa suggerire per delle policy che intendano muoversi su più ampia scala».

Le scuole che saranno coinvolte nel progetto Smart Future sono state selezionate attraverso criteri all'insegna dell'integrazione: alto numero di alunni con disabilità, forte incidenza dei disturbi specifici dell'apprendimento (dislessia, disgrafia), territori socio–culturalmente disagiati, piccoli plessi.

«Con questo progetto - ha sottolineato Cristina Tajani, assessore comunale alle Politiche per il lavoro, Sviluppo economico, Università e ricerca - speriamo di scalare la classifica delle smart cities, che oggi ci vede al terzo posto».

Via IlSole24Ore.com

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Di Altri Autori (del 16/12/2013 @ 07:58:27, in Social Networks, linkato 1920 volte)

Condividere foto e messaggi video con un gruppo ristretto di amici, familiari, colleghi e altri contatti, e possibilità di commentare. Si chiama Direct ed è la nuova funzione lanciata da Instagram, molto simile ad una chat, ma con contenuti foto-video, e che estende la veste social dell’app. L’aggiornamento dell’applicazione è già disponibile per iOS e Android, mentre per Windows Phone è in versione beta. La funzione è rappresentata da una nuova icona in alto a destra.

L’annuncio di oggi arriva a pochi giorni dal lancio da parte di Twitter della possibilità di inviare, ricevere e condividere immagini in messaggi diretti. “Negli ultimi tre anni la comunità di Instagram è cresciuta fino a 150 milioni di persone che fotografano e condividono istanti della loro vita in tutto il mondo – spiega la società di proprietà di Facebook sul suo blog -. Si è evoluta diventando non solo una comunità di fotografi ma di comunicatori visivi“. “Ci sono comunque momenti della nostra vita – spiega ancora – in cui vogliamo condividere solo con un gruppo ristretto di persone e non con tutti. Instagram Direct aiuta in questo”.

Aprendo la nuova icona dell’applicazione si troverà dunque la funzione condividi con i follower o Direct, per condividere foto e video con qualcuno in particolare. Dopo l’invio si potrà vedere chi ha visto il contenuto e monitorare i commenti in tempo reale. Se qualcuno che non è nella nostra cerchia di amici ci manda materiale, potremo decidere se visionarlo oppure no. Con Direct sembra che Instagram inizi dunque a fare prove tecniche di chat, in scia di app molto popolari e usate come Whatsapp o Snapchat.

Via Tech Economy

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