Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
Pinterest ha attratto l’attenzione delle aziende interessate a utilizzare il social network come strumento di promozione e vendita di prodotti. Pinterest focalizzandosi, infatti, su lifestyle e consumi rappresenta un ambiente particolarmente in sintonia con le esigenze dell’industria.
Ma Pinterest riesce effettivamente a stimolare la scoperta e l’acquisto di prodotti?
Il 21% degli utenti del social network dichiara di aver acquistato almeno un prodotto scoperto tramite la piattaforma, secondo i risultati di un’inchiesta effettuata da PriceGrabber sugli utenti regolari del servizio.
Lo studio permette di comprendere quali sono le attività e gli interessi più diffusi tra l’utenza del social network.
La motivazione centrale per l’utilizzo di Pinterest sembra essere la scoperta di nuove ricette e la cucina in generale, tema centrale posto in vetta agli interessi del 70% degli intervistati. Seguono decorazione della casa, moda, intrattenimento e giardinaggio. E’ utile ricordare che il target principale di Pinterest è rappresentato da donne, l’80% degli utenti è, infatti, di sesso femminile.
Pinterest non sembra rimpiazzare l’utilizzo di altri social network ma si affianca ad essi. La frequenza di utilizzo del servizio non è ancora altissima (37% alcune volte a settimana – 10% alcune volte al giorno), ma il vantaggio è che gli utenti non consumano solamente contenuti altrui bensì ne producono a loro volta, in media da 1 a 10 “Pinboards”.
Tra il 21% dell’utenza che ha scoperto e acquistato prodotti, le transazioni più diffuse riguardano oggetti e servizi in linea con gli interessi più diffuse: utensili da cucina, strumenti per “Arts and crafts” e abbigliamento.
Via Quo Media
The Next Web, uno dei più importanti siti di informazioni su tecnologie ed ecosistema digitale, sta per introdurre, come hanno già fatto diverse testate e newspaper, un paywall per la visualizzazione delle notizie. Il sistema adottato ha però degli elementi di novità che coinvolgono i social media.
La testata offrirà, dopo una prima fase iniziale di lancio che avrà inizio il 02/04/2012, tre diverse opzioni di abbonamento mensili: 1 dollaro per 1 – 3 articoli al giorno, 3 dollari 4-10 articoli al giorno, 5 per l’accesso illimitato.
La particolarità del sistema sta nel suo funzionamento. The Next Web non permetterà ai visitatori occasionali e non abbonati di visualizzare un numero ridotto di articoli mensili come ad esempio accade sul The New York Times, bensì di visualizzare tutti gli articoli ma in ritardo rispetto agli abbonati.
Le news saranno a disposizione di tutti dopo 90 minuti dalla pubblicazione, ma diverranno di nuovo disponibili solo per gli utenti paganti non appena raggiungeranno le 300 condivisioni sociali.
L’utilizzo dei social, probabilmente come misura di successo e quindi di valore, assume quindi un ruolo centrale nell’offerta della societ che scommette sulle news digitali a pagamento.
Via Tech Economy
Tre responsabili marketing su quattro ha segnalato un segnalare un cambiamento di rotta negli investimenti pubblicitari: nel 2011 si è infatti passati dalla pubblicità tradizionale al quella digitale lo scorso anno. E’ quanto emerge dal recente rapporto di DataXu. La tendenza non sembra essere dover essere a breve termine, poiché i cambiamenti sono in corso già da circa 4 anni, e si pensa che possa subire ulteriori spostamenti nel corso del prossimo anno.
Sempre dall’indagine emerge che solamente il 22% degli intervistati prevede un aumento degli investimenti pubblicitari nei media tradizionali rispetto al 2011, mentre la metà prevede di aumentare il loro investimento nella pubblicità digitali.
Via Quo Media
Ecco i dati sulla diffusione dell'online in Italia: dati di audience Audiweb del mese di Febbraio 2012, visti con l’ occhio da Digital Planner
Insomma, il solito e consueto aggiornamento mensile, con qualche commento e un po' di prospettiva storica - con un confronto di dati che non trovate facilmente altrove .
Quanti siamo online a Febbraio 2012? A Febbraio 2012 L'audience online è di 27.7 milioni di italiani che si sono connessi alla Rete (tramite un computer) almeno una volta nel mese. La crescita sull’anno è del 9.2%. La crescita sul mese precedente è zero. E’ quindi online il 50,7% della popolazione dai due anni in su.
A Gennaio 2012 eravamo appunto 27.7 milioni. Dicembre 2011 eravamo 27,2. A novembre eravamo 27 contro i 27.3 di Ottobre.
Quanti italiani trovo online nel giorno medio?
Nel giorno medio gli utenti di Febbraio 2012 sono stati 13.8 milioni, con una crescita sull’anno del 7.3%. Qui invece cresce rispetto a Gennaio 2012 dove erano 13,4 milioni. A Dicembre 2011 erano 12,7 milioni e a Novembre 2011 13,4 milioni.
(se poi volete farvi delle storiche più arretrate, fate un search su questo blog per “Audiweb” così recuperate i post precedenti e vi fate rapidamente una serie).
Quanto si sta online, ogni giorno? Si sta in Rete 1 ora e 26’, contro 1 ora e 23 minuti di Gennaio. Non abbiamo ancora recuperato il calo degli ultimi mesi: a Dicembre (vacanze, Natale…) era 1 ora e 18 minuti, contro Novembre che valeva 1h 23’… però a Marzo 1 h 24' al giorno, 1h 37’ a Febbraio, a Gennaio era 1h 40’.
Quante pagine si vedono? Più o meno costante, nel breve: A Febbraio sono state 166 pagine a persona, contro le 165 di Gennaio, mentre a Dicembre sono state 152. Su scala più lunga anche qui c’è da recuperare: a Novembre dove si sono visitate 160 pagine per persona…rispetto alle 171 di Settembre e le 201 di Gennaio 2011.
Di qui in poi sostanzialmente copio e incollo il resto della press release e le tabelle:
La popolazione online nel giorno medio a febbraio è rappresentata nel 55% dei casi da uomini (7,6 milioni, +5,4% in un anno) e nel 45% dei casi da donne (6,2 milioni, +9,6%).
Più in dettaglio, sono online nel giorno medio principalmente i 35-54enni (6,6 milioni, il 48,1% degli utenti online nel giorno medio), seguiti dai 25-34enni (2,6 milioni, il 18,9% degli utenti online nel giorno medio), che accedono a internet nel 30,2% dei casi dal Nord Ovest (4,2 milioni di utenti) e nel 30,1% dei casi dall’area Sud e Isole (4,1 milioni).
Osservando i dati sull’uso del mezzo nelle diverse fasce orarie del giorno medio, emerge un’attività rilevante durante tutta la giornata, con una particolare concentrazione della popolazione online nelle fasce pomeridiane e serali.
Infatti, già a partire dalle ore 9, si registrano dati rilevanti, con 6 milioni di utenti attivi che diventano 7 milioni dalle 12 in poi. Il picco dell’audience si registra tra le 18 e le 21 con 7,5 milioni di utenti online, per poi scendere a 5,5 milioni di utenti online tra le 21 e la mezzanotte, fascia oraria in cui si registra una maggiore attività online sia in termini di tempo speso (36 minuti), che di pagine viste per persona (68).
Dato che pregano di citare, io cito:
Le sintesi dei report sono disponibili sul sito www.audiweb.it per tutti gli utenti registrati e in forma completa per tutti gli abbonati attraverso le principali aziende di elaborazione dati per la pianificazione pubblicitaria.
*Audiweb Database presenta la stima dell’utilizzo effettivo di internet da parte degli Italiani dai 2 anni in su, che si sono collegati almeno una volta attraverso un computer da casa, ufficio o altri luoghi. Audiweb Database contiene i dati quotidiani di navigazione sui siti degli editori iscritti ad Audiweb.
Legenda Utenti attivi nel giorno medio (Reach Daily) = fruitori per almeno un secondo del mezzo (Brand/Channel) nel giorno medio del periodo selezionato. Utenti attivi (Reach) = fruitori per almeno un secondo del mezzo nell’intero periodo di durata della rilevazione. Connessi: individui che hanno accesso potenziale a Internet.
Si prega di citare nella diffusione dei dati Audiweb elementi tecnici quali: la fonte, il nome del report, l’universo di riferimento e le date di rilevazione.
Audiweb Audiweb è il soggetto realizzatore e distributore dei dati sulla audience online. Il suo obiettivo primario è fornire informazioni oggettive e imparziali al mercato, di carattere quantitativo e qualitativo, sulla fruizione del mezzo Internet e sui sistemi online utilizzando opportuni strumenti di rilevazione. Audiweb è un Joint Industry Committee guidato dal Presidente Enrico Gasperini e composto da tutti gli operatori del mercato: Fedoweb, associazione degli editori online; UPA Utenti Pubblicità Associati, che rappresenta le aziende nazionali e multinazionali che investono in pubblicità; e Assap Servizi, l’azienda di servizi di AssoComunicazione, associazione delle agenzie e centri media operanti in Italia.
Per tutti i digital planner affamati di numeri (ma anche per tutti gli altri), segnalo la release della wave 6 della ricerca sul digitale di Universal Media, che potete scaricare qui.
Ci sono parecchie cose interessanti e anche qualche numero specifico per l'Italia e gli utenti italiani dei social.
Degno di nota il fenomeno di declino dei "brand site", la cui frequentazione declina, specialmente nei giovani.
Sarà perchè alle persone non interessano più le marche e ci cercano solo gli sconti? (è una componente, ci sono delle evidenze che lo provano).
Sarà perchè le marche stanno usando meglio i social per parlare con le persone, riducendo la necessità di andare sul sito?
Sarà perchè alle persone piace meno andare sui siti e ci vanno proprio solo per il pezzetto finale del ciclo d'acquisto - raccogliere dettagli e info propedeutici all'atto d'acquisto?
Ci sono poi parecchie altre cose degne di menzione - in primis il fatto che l'esperienza più forte che si può dare alle persone... è rispondere loro e risolvergli i problemi.
La maggioranza dei giapponesi condivide abitudini e stili di vita che li rende molto propensi all’utilizzo del cellulare per numerose attivita’: costretti a lunghi spostamenti in treno o abituati a usufruire di servizi ‘accessibili’ anche se costosi, l’utente target dei contenuti mobile presenta gusti molto sofisticati e facilmente prevedibili (definibili per eta’, sesso, estrazione sociale). Gia’ da molti anni prima dell’avvento degli ‘Smartphone’ e dell’iPhone, il mercato dei terminali cellulari nazionale e’ stato dominato da device molto avanzati.
Cellulari ricchi nelle funzioni e molti simili tra di loro per formato – quasi uno standard ‘non dichiarato’ che ha uniformato i vari produttori – e nella maggioranza dei casi dotati di connessione internet nativa e ‘portali di contenuto’ preinstallati: una piattaforma ideale per offrire contenuti con una base potenziale di utenza in grado di superare i 100 milioni di device.
Anche per forma e dimensione i cellulari giapponesi ‘pre-smartphone’ sono molto simili, con la tipica apertura a ‘conchiglia’, al punto da farli sembrare tutti uguali a meno di differenze di colore. Possiamo chiamarli ‘supercellulari’ – spesso dotati di funzionalita’ piu’ avanzate dei primi modelli di iPhone e Smartphone Android, considerati una ‘necessita’ dalla maggioranza della popolazione non solo per la comunicazione diretta vocale, ma soprattutto per l’uso dei servizi internet di informazione, di pre-allarme eventi sismici in arrivo, di comunicazione via scambio di mail.
I giapponesi tendono a spendere una media di 3-4 euro per ogni singolo servizio di contenuto in abbonamento mobile: parliamo di servizi e beni di consumo digitali (riviste per cellulare, notizie) e anche di oggetti cosi’ detti ‘virtuali’ (come monete virtuali aggiuntive da utilizzare nei videogiochi, o un nuovo vestito per il personaggio principale di un’avventura grafica un modello per certi versi simile alla vendita di accessori virtuali nei giochi come Farmville di Zynga).
Non a caso l’industria dell’intrattenimento e’ tra le piu’ fiorenti in giappone – e anche sentita come strettamente necessaria.
Sul carattere dei giapponesi e come il tempo per lo ‘svago’ in giappone sia una cosa seria Per un popolo cha lavora assiduamente e fino a morire di lavoro – o almeno fino a ritenere opportuno classificare la ‘morte da lavoro’ come una delle cause comuni di decesso – sapersi svagare nel tempo libero e’ d’obbligo, serio quanto una seconda ‘professione’.
Ci sono pochi compromessi e non e’ una sorpresa per nessuno: qui in giappone ci sono manuali che regolamentano tutto, dal lavoro, alla pulizia, al modo di parlare, e regole ferree e accettate da tutti in ogni contesto. Questo crea un forte stress ‘nascosto’ che richiede valvole di sfogo sistematiche e organizzate. Regole che spesso non sono scritte da nessun parte, ma cui si obbedisce per pressione e convenzione sociale.
Il giapponese definisce e delimita due sfere di personalita’ distinti: il primo e’ ‘la sfera pubblica’ – l’immagine del ‘se’ in relazione al gruppo e all’altro (inclusi familiari) e il secondo e’ ‘la sfera privata’ il ‘se’ che non si mostra mai. Si puo’ lavorare per anni con un collega nipponico e saperne poco o nulla del suo vero carattere – senza che questo sia percepibile come ‘schizofrenia’ o almeno non secondo le nostre convenzioni occidentali.
Lo spazio ‘sociale’ di ogni giapponese e’ completamente preso dai doveri, dalle regole e dalle prospettive mentali del gruppo e in particola modo dell’azienda per cui si lavora. D’altro lato, lo spazio personale e’ quello piu’ vero e a volte difficile, che non si mostra al di fuori se non in occasioni di svago condiviso (le numerose ‘bevute’ coi colleghi o amici’) o durante le pause dedicate allo ‘svago personale’ – come collegarsi ad un social network, chattare, o – spesso – giocare con il cellulare o i giochi su smartphone. E la stragrande maggioranza dei ‘salaryman’ (salariati) o delle ‘OL’ (le ‘Office Ladies’ o impiegate) persegue la vita da pendolare.
Milioni di pendolari che si spostano ogni giorno nel dedalo di metropolitanee e linee ferroviare delle principali metropoli, impiegando anche fino a un’ora e mezzo in attesa in piedi.
Un esercito di pendolari armato di device E’ proprio durante gli spostamenti sui diffusissimi mezzi pubblici, che i (super*)cellulari hanno conquistato anno dopo anno il cuore di gran parte dei giapponesi (*super perche’ per prestazioni e funzioni non hanno paragone rispetto ai nostri ‘cellulari’).
Mini-libri elettronici, mini-fumetti, siti internet mobili, e centinaia di videogiochi scaricabili spesso gratuitamente e direttamente via connessione cellulare – una miniera di ‘svago’ privato e tascabile che ha generato un mercato piu’ che fertile. I (super) cellulari prima, e gli smartphone ora, sembra abbiano vinto la battaglia per la conquista del tempo libero dei pendolari in trasferta:
Salendo su un vagone della metropolitana di Tokyo 3-4 anni fa era facile trovare ragazzi, adulti e signore di ogni eta’ impegnate con un Nintendo DS o una Playstation PSP, altri con in mano un piu’ tradizionale libro – per tutti gli altri, cellulare dotato di iMode (per chi si ricorda del primo vero browser internet per cellulari di larga diffusione) e videogame scaricabili.
Oggi, la maggioranza dei device sono iPhone, Smartphone e i rimanenti (super) cellulari, sostituendo nelle preferenze dei molti anche console ‘videogame’ portatili. La vasta maggioranza dei device sono ‘pronti’ ad usufruire dei servizi di social gaming: scarica, gioca e aggiorna. Un altro importante fattore ‘abilitante’ per il successo dei social game provider mobili in giappone e’ stata la tipologia dei contratti cellulari. Diversamente da quanto e’ avvenuto da noi in Italia infatti, in giappone l’offerta di contratti mobili prepagati (sim a ‘ricarica’) e’ praticamente inesistente. Di fatto non viene considerata la separazione del terminale dalla scheda SIM (la scheda sim equivale ad un contratto personale a lunga durata, e il cellulare e’ spesso legato contrattualmente alla SIM in abbonamento). Non solo i giapponesi non ci trovano nulla di strano, ma sono piuttosto sospetti nei confronti delle (poche) soluzioni prepagate disponibili: anche le prepagate tra l’altro hanno richiesto la registrazione contemporanea del telefono e della SIM.
Parleremo ancora nel prossimo articolo della stretta relazione tra il modello di business degli operatori mobili giapponesi e quello dei provider di contenuti e servizi digitali mobili che ne ha decretato il successo.
Via Tech Economy
Al di là dell'oceano si scrivono fiumi di parole sul tema: “il servizio clienti è il nuovo marketing?” Noi siamo ancora distanti da questo concetto; ciò che ci accomuna è il declino della qualità nel gestirlo; la differenza fondamentale è che negli USA si sono posti il problema e cercano soluzioni, il che significa che forse tra dieci anni lo faremo anche noi, se non sarà troppo tardi.
In un articolo di Customer Management IQ troviamo alcune riflessioni sui danni procurati dal declino della qualità che si adattano perfettamente anche alla nostra realtà. Vediamole.
La relazione con il cliente: la linfa vitale dei Call Center e, in definitiva, di tutte le Società.
Nel corso degli ultimi dieci anni il settore Call Center si è trasformato, perdendo di vista la naturale focalizzazione sul “servizio al cliente” e sulla sua soddisfazione.
L'attenzione ossessiva per il profitto immediato ha portato molte grandi società ad affidare a call center off-shore il customer service anche per il supporto tecnico, inducendo molte altre aziende a seguirne l'esempio.
Non sorprende che si sia registrata una flessione repentina nel grado di soddisfazione e fidelizzazione dei clienti ed un frenetico turnover dei dipendenti del call center.
Un sondaggio condotto da Opinion Research indica che la propensione all'acquisto degli americani scende al 69% dopo una brutta esperienza con il call center, mentre -secondo un rapporto di Aspect Index- le probabilità aumentano del 33% dopo una esperienza positiva.
Così, sebbene tutti capiscano quanto sia importante avere clienti soddisfatti, molte società hanno delegato questa responsabilità all'agenzia che offre il prezzo più basso, spesso all'estero, con operatori mal pagati e poco preparati, causando una drastica riduzione della fidelizzazione.
Il 21 ° secolo ha bisogno di un nuovo modello di call center incentrato sul cliente, non sui costi di vendita e del servizio. Bisogna tornare a focalizzarsi sul valore e porsi come obiettivo finale la completa soddisfazione: il cliente entusiasta e fedele genera altri clienti tramite il passaparola e alla fine questo processo virtuoso produce maggiori ricavi.
Il costo sembra essere per molte aziende la chiave di volta e alcuni call center in outsourcing possono contribuire a ridurlo, ma il richiamo delle sirene del profitto immediato mette in secondo piano l'alto rischio di insoddisfazione del cliente, il che è inevitabile a causa di barriere linguistiche, allungamento dei tempi di chiamata, problemi di comprensione; in aggiunta, vi è una mancanza di contesto culturale. Tutto ciò abbatte drasticamente la produttività del call center, che in soldoni oscilla tra il 39 e il 105%.
In sintesi, ciò che occorre è rivalutare e reinventare il Call Center per rimettere il Cliente al centro.
Il Call center manager deve sviluppare e implementare un modello di gestione strategica della forza lavoro che utilizzi risorse umane disponibili sul territorio (studenti, pensionati, disoccupati, invalidi e diversamente abili). Dobbiamo assumerci la responsabilità di andare oltre al profitto immediato e fornire istruzione, formazione e lavoro ai call center nazionali.
Il settore deve cambiare e migliorare il livello del customer service e del supporto tecnico in modo che le persone siano soddisfatte del contatto. Dobbiamo offrire una qualità che risponda alle aspettative e al contesto culturale dei clienti, che li trasformerà non solo in fedeli consumatori ma in promotori. Questo nuovo modello produce grandi benefici: attrae e mantiene i clienti, sviluppa la fedeltà e attraverso il valore aggiunto e stimola l'identificazione con il brand.
Dobbiamo reinventare il Call Center, fornire assistenza in modo più efficace, nel rispetto della risorsa più importante del cliente: il tempo.
I venditori online nel primo semestre 2012 hanno notevolmente incrementato il loro business grazie ai motori di ricerca. I dati della ricerca di MarketLive indicano che le entrate sono aumentate di 20% rispetto al primo quadrimestre 2011. Circa il 39% dei clienti sono stati raggiunti grazie ai motori di ricerca, in crescita rispetto al 38,2% dell’ultimo trimestre 2011. In ascesa anche le reti sociali, stimolanti di acquisto per il 2,1% delle persone.
Via Quo Media
L’11 aprile un potente terremoto si è scatenato al largo della costa di Sumatra, in Indonesia. Mano a mano che le agenzie di stampa battevano la notizia del sisma, il pensiero di tutto il mondo è corso al 26 dicembre 2004 quando, in quella stessa zona, una violenta scossa dava origine a un terrificante tsunami che provocò oltre 230.000 vittime.
La scossa di mercoledì scorso è stata distintamente avvertita in quasi tutto il Sud-est asiatico e il Pacific Tsunami Warning Center ha immediatamente emesso un’allerta tsunami per tutto l’Oceano indiano. L’allarme ha riguardato anche la Thailandia e le autorità locali hanno allertato le popolazioni della costa, invitandole a tenersi a distanza dalle spiagge e a stare al sicuro. Anche i social network, ovviamente, si sono fatti megafono delle notizie provenienti dall’Indonesia e hanno invitato tutti a mettersi al riparo da una possibile onda anomala che, in quel momento, rappresentava un pericolo più che concreto.
La stato di allarme e la certezza che un buon numero di thailandesi in quelle ore stava sul Web alla spasmodica ricerca di notizie e aggiornamenti sul terremoto, deve aver risvegliato qualche genio della lampada: perché non piazzarci un po’ di sana pubblicità? È quello che deve aver pensato l’Admin della FanPage di KFC Thailand – la nota catena di fast food statunitense specializzata in pollo fritto, 13.000 ristoranti in 80 Paesi – quando ha postato un aggiornamento di stato che recitava:
“Let’s hurry home and follow the earthquake news. And don’t forget to order your favourite KFC menu.” (“Corriamo a casa a seguire le notizie sul terremoto. E non dimenticatevi di ordinare il vostro menù KFC preferito.”)
Non ci vuole la sfera di cristallo per immaginare che un simile status in una tale circostanza non sarebbe stato troppo gradito…. E infatti, nell’arco di pochissime ore, mentre le autorità thailandesi revocavano l’allarme maremoto, uno tsunami di proteste si stava abbattendo sulla suddetta FanPage e su numerosi forum, dove hanno cominciato a comparire messaggi che bollavano come “insensibile ed egoista” – per usare due termini garbati – il post di KFC Thailand. Questo accadeva mercoledì. Entro giovedì mattina il post incriminato era già sparito per lasciare spazio a un messaggio di scuse da parte dei vertici di KFC Thailand.
Il tutto è avvenuto così velocemente che i molti articoli dedicati alla faccenda, da Business Insider all’Huffington Post hanno ne hanno parlato a rettifica già avvenuta. In questo caso, l’epicfail non è stato tanto l’aver piazzato una pubblicità di troppo, ma piuttosto il non aver saputo riconoscere il momento poco propizio per promuovere il proprio marchio. È come quando si fa una battuta sbagliata nel momento sbagliato: un istante prima avrebbe stemperato la tensione, ma in quell’attimo scatena la risposta stizzita dell’interlocutore e innesca la polemica.
Il problema dei social media, e forse di Facebook in particolare, è che le notizie – specialmente quelle legate a eventi improvvisi e drammatici – viaggiano accompagnate da un’ondata emotiva potentissima, soprattutto quando l’evento drammatico sta avvenendo a distanza di sicurezza dai nostri monitor e siamo più propensi a guardare i particolari. Se KFC avesse invitato i thailandesi a scappare dall’ufficio per guardare la finale dei Mondiali di calcio in compagna di un bel secchiello di ali di pollo, probabilmente quel post avrebbe ricevuto molti Like e forse avrebbe portato qualche avventore in più davanti alle casse di un ristorante della catena.
Ma scegliere un evento drammatico per promuovere forzatamente il proprio brand ha prodotto un effetto non troppo diverso da quella volta che, nel 2009, il Tg1 si gloriò dei propri eccezionali ascolti in seguito al terremoto dell’Abruzzo: una sacrosanta polemica sul cinismo della società dello spettacolo che fa la conta degli spettatori anche nel momento della tragedia.
A guardare oggi la FanPage di KFC Thailand sembra che non sia successo nulla: esattamente come tutti siamo tornati a guardare il Tg1 dopo la gaffe degli ascolti, anche i fan delle alette di pollo sono tornati a popolare la pagina per chiedere informazioni sul cibo e postulare il ritorno del panino al cavolo nero. Come per la già nota faccenda di #McDStories, questo genere di incidenti difficilmente provoca un danno diretto e immediato: nessuno ha smesso di entrare in un McDonald’s per colpa di un hashtag finito male, così come KFC non fallirà per via di uno status decisamente inopportuno.
Ma il ricordo di incidenti come questi dura veramente solo una giornata?
Lesson Learned: Se volete fare intervenire il vostro brand in una discussione attorno a un evento straordinario o a un tema di attualità molto caldo, siate cauti e scegliete con ancora più attenzione del solito tempi e modi della comunicazione. Quando l’emotività degli utenti è alle stelle per fattori esterni, una mossa sbagliata può far esplodere una polemica che certamente non gioverà alla reputazione del brand.
Via Tech Economy
Twitter ha da tempo messo a disposizione dei suoi utenti business una piattaforma pubblicitaria, chiamata Promoted Tweets, che permette agli inserzionisti di inviare tweet mirati ed indirizzati agli utenti di smartphone, computer e tablet. La società ha recentemente annunciato che chi usa Promoted Tweets può ora inviare i propri annunci anche agli utilizzatori di Blackberry della RIM. Ma non è l’unica novità: gli inserzionisti possono anche selezionare come target della propria campagna su Twitter, uno specifico sistema operativo destinatario.
Si possono selezionare i principali dispositivi o utilizzare le singole caselle, che permettono di indirizzare i tweet pubblicitari allo specifico sistema operativo scelto. Le opzioni includono i sistemi desktop, portatili, iOS, Android, BlackBerry, ed un elenco che comprende tutti gli altri dispositivi mobili che non rientrano nelle categorie precedenti.
Questo nuovo sistema permetterà di ottimizzare gli investimenti pubblicitari, riducendo i costi e avvantaggiando soprattutto le aziende specializzate in prodotti e servizi per specifici device o piattaforme.
Via Tech Economy
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