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  mymarketing.it: l'isola nell'oceano del marketing... di Admin
 
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Errare è umano, ma per incasinare davvero tutto è necessario un computer.

Arthur Bloch
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\\ : Storico : Marketing (inverti l'ordine)
Di seguito gli interventi pubblicati in questa sezione, in ordine cronologico.
 
 
Di Max Da Via' (del 24/10/2006 @ 07:31:01, in Marketing, linkato 3681 volte)
Alcuni big spender della pubblicità non si accontentano più: non basta che il testimonial metta a disposizione la propria immagine e notorietà per promuovere i loro prodotti, ma deve idealmente diventare parte integrante del processo creativo, contribuendo alla realizzazione di un suo modello unico.

Tra le aziende che anno trasformato il testimonial in designer spiccano la catena di abbigliamento di tendenza low cost H&M, con una tuta ideata da Madonna e venduta tra l’altro al popolare prezzo di 49,90 €, ma anche Damiani, che nel 2000 ha iniziato a commercializzare la fede nuziale disegnata da Brad Pitt per il proprio matrimonio con Jennifer Aniston, o Tag Heuer, con il golf watch realizzato in collaborazione con il campione Tiger Woods.

Queste iniziative si sono rivelate soddisfacenti anche in termini di risultati di vendita, al punto che la tuta di Madonna è riuscita in breve tempo imporsi come oggetto di culto,mentre Brad Pitt, a dispetto del divorzio dalla Aniston, continua ad essere codesigner della linea D.Side di Damiani e Bernard Arnault, durante la presentazione dell’ultima semestrale di Lvmh (il gruppo che controlla Tag Hauer), si è dichiarato compiaciuto dei risultati raggiunti grazie alla collaborazione con Woods.

L’utilizzo del testimonial dal resto è da sempre uno strumento efficace per catturare l’attenzione del grande pubblico, a maggior ragione quando la celebrità contribuisce alla realizzazione di un modello che porta il suo nome. Quando però una marca prestigiosa ricorre ad un importante testimonial in veste di designer è fondamentale che il prodotto finale non deluda le aspettative che ha generato, altrimenti potrebbe rivelarsi un’operazione controproducente per entrambi le parti.



Via Economy
 
Di Roberto Venturini (del 31/10/2006 @ 10:54:11, in Marketing, linkato 2625 volte)
Sta emergendo la tendenza, da parte dei media, a far sì che la Generation Content lavori non solo per i propri siti o i propri blog... ma che si trasformi un uno stuolo di autori che lavorano per riempire di contenuti media più "istituzionali".

Tra gli esempi più eclatanti di questa tendenza, è l’ esperimento di Current TV, la televisione via cavo dell’ex-vicepresidente americano Al Gore.
Questa emittente è destinata ad un target “smart” 18-34 ed ha, tra i suoi punti qualificanti, la partecipazione (a pagamento) degli utenti nella generazione di contenuto e pubblicità.

Le regole sono semplici: tutti gli utenti del sito possono inviare i propri commercial autoprodotti, a condizione che siano centrati su una delle marche sponsor del sito.

Se il filmato piace alla marca e all'emittente, lo spot viene messo in onda e il creatore riceve 1.000 dollari. Se poi lo spot piace molto lo sponsor può decidere di metterlo in onda anche su altri media… e il creatore ricevere fino a 50.000 dollari (cifra peraltro difficile da raggiungere e comunque modesta per una grande azienda).

Tra i primi sponsor Sony – con una operazione di perfetta integrazione prodotto/comunicazione (il prodotto videocamera è lo strumento per fare la pubblicità a sé stesso…e Sony ha inserito nel sito ampi tutorial per aiutare ad usare meglio e più creativamente il proprio prodotto).

Sempre su un fronte analogo, l’attività di coBRANDiT, una agenzia che compra (a 100 dollari al pezzo) clip, documentari, pubblicità, materiali autoprodotti dal pubblico, per poi rivenderli alle aziende, ai media online o offline, per utilizzarli in ricerche etnografiche che esplorano il mondo della marca.
 
Di Roberto Venturini (del 09/11/2006 @ 07:12:57, in Marketing, linkato 1906 volte)
A fronte di tutto questo fermento sul fronte del Consumer Generated Marketing, c'è chi già le spara e sostiene (un'altra volta) la fine delle Agenzie.

Io direi che, almeno per il presente, non spariranno. Intanto perchè godono di un potere troppo istituzionale nel mondo dei media, che occorrerebbero anni a disintegrare.

Ma anche perchè mancano al consumatore quegli skills e sopratutto quella visione oggettiva e trasversale al mercato che ha il (buon) professionista della comunicazione.

Il consumer rischia di creare quello che piace a lui e non quello che piace (e funziona) al mercato. Oddio, però a pensarci bene... lo fanno anche tanti creativi di lusso che conosco...

Di certo però, il coinvolgimento del consumatore nelle attività della marca crea quei legami affettivi e di interazione che sono spesso preziosi per trasformare un brand “normale” in una superstar.

Non solo: l’autoproduzione di contenuti, che rappresentano molto esplicitamente il proprio modo di essere e la propria visione (o reportage) sul mondo reale che circonda l’uso e la percezione di un prodotto di marca, potrà aiutare molto il lavoro dell’azienda – fornendo una serie di utili spunti al marketing su come il consumatore (o una avanguardia) vede la marca, come la vede usata e commentata, come ritiene dovrebbe comportarsi e comunicare con il pubblico … dando quindi segnali ed informazioni altrimenti ben più difficili da cogliere con altri strumenti di ricerca di mercato o di analisi etnografica.
 
Di Altri Autori (del 14/11/2006 @ 07:41:12, in Marketing, linkato 11299 volte)
Il punto vendita, cioè il così detto PDV o anche POP (point of purchase), un luogo che ha subito profonde trasformazioni, sia dal punto di vista delle teorie dottrinali che lo riguardano, sia per quel che concerne le azioni che in esso vengono condotte, proprio in ragione della nuova prospettiva in cui viene interpretato il rapporto azienda - cliente.

La sempre crescente complessità dei mercati , la scarsità della domanda rispetto all'offerta, la difficoltà di sviluppare un prodotto/servizio che disponga davvero di vantaggi competitivi tali da differenziarlo dai prodotti dei competitors, la facilità con cui gli elevati costi di ricerca e sviluppo vengono abbattuti dai followers che entrano nel mercato "copiando" il prodotto innovativo (soprattutto per beni ad alta tecnologia), sono solo alcuni dei tanti fattori che spingono le aziende a curare il rapporto con i client acquisiti in modo approfondito e costante, cercando di interpretarne quei bisogni e deisideri che spesso anche lo stesso cliente non avverte in maniera chiara, o dei quali non apprezza fino in fondo le origini o la natura.

Molto si è scritto circa il così detto "killer silenzioso" (il cliente insoddisfatto che, attraverso un processo "viral" di passaparola negativo, è in grado di influenzare i prospect dell'azienda), e altrettanto si è detto sulla maggior difficoltà delle tecniche finalizzate ad acquisire nuovi clienti rispetto a quelle, meno onerose, per trattenere i clienti acquisiti (il che, in mercati saturi, appare assolutamente basilare).

La popolarità di questi temi (CRM, loyalty programs, brand awareness, etc), testimonia come il marketing sia definitivamente orientato ad un' ottica relazionale piuttosto che, come in passato, ad una di carattere transazionale; se in un primo momento le azioni poste in essere sono finalizzate a determinare un flusso di cassa in entrata per l'azienda, e cioè a conseguire un risultato economico immediato che si realizza con la vendita, successivamente ci si convince che la relazione tra cliente ed azienda debba andare oltre il trade momentaneo, costruendo un rapporto, una reciproca conoscenza.

L'obiettivo non è più, soltanto, quello di vendere e conquistare nuove porzioni di mercato, ma anche acquisire informazioni su preferenze, abitudini d'acquisto, moventi d'acquisto del consumatore, in modo che i dati raccolti possano orientare l'azienda nell'adozione delle proprie scelte strategiche.

In quest'ottica il POP non è più il luogo dove un bene incontra il proprio acquirente, ma quello in cui: il consumatore, appagate le proprie esigenze funzionali, ricerca la soddisfazione di bisogni ulteriori rispetto a quelli direttamente connesi alle caratteristiche tecnico-naturali del bene; l'azienda continua nella costruzione di un rapporto dialettico con il suo cliente, alla ricerca di indicazioni ed informazioni in grado di comporre o ridurre la complessità dello scenario in cui si trova ad operare.

Gian Maria Sulas


 
Di Roberto Venturini (del 24/11/2006 @ 07:54:30, in Marketing, linkato 4953 volte)

Internet è sempre stato uno strumento usato per innescare dinamiche di relazione sociale (e infatti la posta elettronica è nata prima delle pagine web).
Ed il web è stato subito uno strumento al servizio dello shopping. Molto prima che nascesse l’ecommerce, già si potevano contare numerosissimi siti, forum, liste che riportavano consigli, suggerimenti, dibattiti e condivisioni relative all'acquisto di beni o servizi per il proprio consumo.

Così, proprio per la natura di Internet, è naturale che questi i filoni della socialità e dello shopping abbiano effettuato una convergenza e sia da circa un’anno sotto stretta osservazione il fenomeno del Social Shopping.

Il Social Shopping è una evoluzione dell’e-commerce. Un contesto sociale online dove si massimizza la capacità del consumatore di influenzare negli acquisti gli altri consumatori.

Ha al suo centro la potenza inarrestabile della massa umana collegata e della sua voglia di parlare, di scambiarsi informazioni. Il principio fondante è quello della massa di utenti in grado di decidere, attraverso le interazioni con gli altri utenti, quali prodotti comprare – a livello singolo, a livello di massa e a livello di fenomeno.

E si tratta di tre livelli di influenza che portano con sé delle conseguenze non da poco per il lato dell’offerta.

Il Social Shopping per l’acquisto individuale è la punta dell’iceberg.
Si va su un sito, si parla con i propri pari, si leggono recensioni, si decide. Si compra online o in un negozio vero. E spesso ha più influenza la parola del gruppo sociale o dello sconosciuto amico recensore di quanto influenzi la pubblicità, la comunicazione, l'incentivazione del commesso in negozio.

Ma la parte sommersa dell’iceberg la cominciamo a vedere se consideriamo che l'effetto accumulato di questi acquisti individuali innesca il comportamento di gruppo.

Il passaparola quindi diventa un fenomeno di comunicazione di massa, fino a innescare il terzo livello, quello della moda, del badge value, del prodotto di cui non si va a cercare conferma su un sito ma di cui si viene avvertiti proattivamente dagli amici con una mail o durante una chat, quel prodotto di cui si sente parlare sui mass media - il prodotto che la massa collegata, attraverso le proprie interazioni online, ha decretato essere il nuovo status, la nuova killer application, il gadget o il capo d'abbigliamento irrinunciabile.

E qui si intrecciano strettamente i temi del Viral Marketing e del Social Shopping.

 
Di Roberto Venturini (del 29/11/2006 @ 08:34:28, in Marketing, linkato 2927 volte)

Tutta la dimensione di consiglio, confronto, socializzazione tipica dello shopping influenza fortemente la nostra decisione di cosa compraree dove. Non è però generalmente corretto chiamare shopping quello che si fa on-line: difficilmente si “va per vetrine”, per vedere cosa c’è di nuovo e di bello, aspettandosi l’inaspettato e la sorpresa. E non si va, generalmente, a fare compere online in compagnia (se invece lo fate postate un commento, mi interessano le eventuali dinamiche su questo fronte).

Queste dimensioni sociali stanno venendo recuperate anche grazie a siti che aggregano comunità che si relazionano fra di loro in modo sociale. E che possono, sul sito, dare voti ai prodotti, creare liste tipo "i 10 migliori", scrivere recensioni e consultare le recensioni dei propri pari. Ricevendo quindi un aiuto per orizzontarsi fra le decine di milioni di prodotti in vendita online e offline, senza doversi fidare solo del punto di vista del produttore ( la pubblicità), ma affidandosi ad un consenso collettivo o più semplicemente, sentendo le opinioni di chi il prodotto l’ha già provato. O, più spesso, di qualità, almeno negli obiettivi: in molti siti esperti e celebrità sono invitati a scrivere recensioni e proprie liste del “meglio di”; e gli utenti “normali” potrebbero venire presto remunerati sulla base della qualità della propria recensione (e , a tendere, sulla capacità di far vendere online il prodotto, in una forma di affiliate marketing).

Questo può avvenire a livello dell'intero mercato ma, molto probabilmente, esprimerà la sua vera forza sulle nicchie sociodemografiche, sulle tribù, su quei piccoli gruppi appassionati, altospendenti, dispostissimi e interessatissimi a scambiarsi opinioni, pareri e consigli.

 
Di Roberto Venturini (del 04/12/2006 @ 08:12:15, in Marketing, linkato 2712 volte)

I nuovi media rendono possibile la generazione / autoproduzione di contenuti da mettere a disposizione del pubblico.

Si e' quindi contemporaneamente produttori di contenuto (informazione , entertainment, approfondimento...) e consumatori.

La cosa sta prendendo piede: i blog hanno negli US una audience maggiore di quanto abbia la radio via satellite, siti personali generano audience importanti, i forum di discussione catalizzano le opinioni e le esperienze d'uso dei consumatori che le condividono, il podcasting è una realtà con cifre rispettabili, considerando i costi e gli sforzi di produzione (zero).

Va da se' che, specialmente dopo l'introduzione dell'ipod video, manca pochissimo al Tvpodcasting, in cui il pubblico, gente come tu ed io, armata di una videocamera, si produrra' il suo programmino e lo potra' mettere on line a disposizione di tutti.

Si accompagni questo con una diffusione (negli US) dell'abitudine di registrare i programmi TV per riguardarseli dopo (saltando la pubblicita'?) tanto in crescita che la stessa Nielsen sta lavorando per dare dati di audience anche sulla fruizione in differita dei programmi TV, in modo da dare guidelines piu' oggettive a centri media e investitori pubblicitari.

L'autoproduzione di contenuti, indubbiamente porta via spazio, attenzione e audience ai media tradizionali: sia perche' se produci non fruisci, sia perche' sempre piu' gente fruisce di questi mezzi alternativi in aggiunta (ma anche in sostituzione) dei mezzi classici.

Specialmente negli US l'erosione dei media digitali rispetto alle audience di quelli tradizionali si sta facendo sentire, si puo' vedere a livello di numeri.

C'e' da scommettere pero' che il mondo del marketing e della comunicazione riuscirà a trovare una via d'uscita: in realta' questi mezzi alternativi possono proprio essere dei nuovi media che possono essere utilizzati (con maggiore sforzo) dagli inserzionisti - chi l'ha capito bene ad es e' Google, con le sue Adwords all'interno di siti e di blog.... e del resto questo e' il modello di business che permette di tenere in piedi il sistema che permette a tutti noi di pubblicare gratuitamente i nostri contenuti...

 
Di Altri Autori (del 06/12/2006 @ 07:47:41, in Marketing, linkato 1975 volte)

La campagna ruota intorno al concept “sempre e dovunque”. Con i cellulari Walkman® è possibile ascoltare la propria musica preferita in qualsiasi momento.

Grazie alla scelta nel piano outdoor di Sonic, prodotto IGPDecaux Innovate, questo concetto è stato esplicitato in quindici fermate ATM di Milano. Dalle 8 alle 20, è possibile scaricare via Bluetooth™ Hurt sul proprio cellulare, l’ultimo singolo di Christina Aguilera, vivendo direttamente l’esperienza Walkman®, anche grazie alla diffusione della musica sotto la pensilina.

La pianificazione per l’esterna curata da Kinetic prevede maxiaffissioni a Milano e Roma dalla metà di novembre alla prima settimana di dicembre. A Milano, oltre alle pensiline ATM e alle maxi affissioni, è prevista anche una station domination alla stazione metro di Montenapoleone che include una floorgraphic.

Via Pubblicità Italia


 
Di Roberto Venturini (del 13/12/2006 @ 07:28:09, in Marketing, linkato 2439 volte)
Nell’approccio del social shopping si possono scegliere all’interno della comunità dei recensori quelli più affini a noi per gusti, età, caratteristiche e ottenere il parere, su un prodotto o un servizio, da parte di qualcuno che ci assomiglia, che condivide certe cose e la cui suggerimento può quindi essere molto più significativo per noi come individui ( e non come target segmentato sociodemograficamente).

La teoria è semplice, la messa in pratica è un po’ più complicata – e coinvolge almeno 3 grandi classi di attori: le marche, i comunicatori e gli inventori / gestori dei siti /strumenti di Social Shopping.

Nella pratica dei siti che si occupano di social shopping, esistono vari approcci e vari strumenti. Spesso si parte da un motore di ricerca del prodotto, che dal risultato permette poi di accedere a delle pagine di riassunto e confronto, di comparazione dei prezzi e delle caratteristiche, alle recensioni degli altri utenti, a pagine editoriali redatte da una redazione interna, ad una evidenziazione di particolari offerte speciali in corso sui vari siti di e-commerce.

Si può invece partire dalla pagina personale di un membro della comunità che pubblica una lista con i propri preferiti e la raccolta delle proprie recensioni. Si può arrivare a forum e spazi di dibattito, dove si può richiedere il consiglio e il supporto degli altri membri della comunità, chiedendo un parere a chi ha già provato un prodotto o è un esperto del campo.

Su altri siti si può ottenere l’accesso ad un database comparativo di tutti (o quasi) i prodotti esistenti in una certa categoria, costruito con il contributo dei membri della comunità che recensiscono i prodotti quando escono, come nel caso del social shopping enologico di Cellartracker, un software/ database arricchito continuamente da una community di entusiasti.

Un approccio molto focalizzato su un target di alto spendenti è quello di Stylehive, un sito che si descrive come un servizio mirato verso gli ''shopping obsessed'', che possono segnare sotto forma di bookmark i propri prodotti favoriti e condividerli con tutti coloro che condividono questa passione ( in pratica segnalando o raccomandando prodotti considerati "caldi"). Un luogo di aggregazione e interazione per gli utenti Fashion conscious e per i trend setter (o gli early followers) dove i consumatori possano condividere il piacere di scoprire e di condividere la scoperta di nuovi prodotti. E dove l'obiettivo è di trasformare il sito in uno dei motori della creazione di mode e trend attraverso l'interazione dei consumatori più attenti, sensibili ed influenti, rendendo facile poi al resto del mercato venire informati sui nuovi prodotti emergenti, sulle nuove, irrinunciabili oggetti del desiderio del mercato.

Moltissimi altri sono gli approcci differenti tentati dagli operatori in cerca di successo nel mondo del social shopping; dai siti che combinano interazione sociale e sconti come Yub.com alle piazze virtuali dove il pubblico è invitato a definire quali siano i migliori prodotti del mercato attraverso una votazione collettiva del tipo di Crowdstorm - arrivando a pubblicare liste e classifiche molto credibili e in grado di influenzare significativamente le decisioni d'acquisto.

E poi i variegati approcci di Yahoo, ThisNext, Wists, ShopWiki, Kaboodle, di Froogle , NexTag, Shopping.com, Shopzilla, PriceGrabber ...

In maniera abbastanza scontata e proiettata verso un futuro ormai molto vicino, molti operatori sono poi già proiettati verso il mondo dell’Internet mobile, configurando un facile accesso via telefono, palmare o tablet ai servizi di comparazione, per poter ad esempio effettuare una ricerca del miglior prezzo mentre l’utente magari è sul punto vendita e desidera esseere sicuro non ci sia un negozio nelle vicinanze ( o un e-commerce) che offra lo stesso prodottto ad un prezzo migliore.

Con tutte le conseguenze sulla rete distributiva e le politiche di marketing e promozione di cui abbiamo già parlato più volte in passato.
 
Di Altri Autori (del 14/12/2006 @ 07:58:01, in Marketing, linkato 3758 volte)

Secondo il presidente di Eurisko si profila un neomarketing che dovrà dominare i feedback degli utenti sempre più avvezzi alla Rete.


Il consumatore è mobile. E' veloce, ha più possibilità di confronto tra offerte e marche e ha a disposizione luoghi di acquisto sempre più inediti. Giuseppe Minoia, presidente di Eurisko sintetizza così la situazione del “consumatore-utente” nel seminario sul consumatore e la rete svoltosi nei giorni scorsi a Milano.
Secondo Minoia i consumatori da semplici lettori sono diventati anche coautori (citizen journalism, blog e altro) con approfondimenti sempre più personalizzati e virali. In più il consumatore mobile è diventato prosumerista (produttore-consumatore) ed è “più capace di saltare passaggi obbligati effettuando acquisti disintermediati risparmiando tempo e denaro”.


Questa quota in più di sapere a disposizione si traduce in maggiore precisione e profondità delle richieste, più tempo a disposizione per nuove esperienze e più energie da dedicare alle esperienze che diventano di valore.
Il prosumerismo è sotto gli occhi di tutti attraverso le varie forme di protagonismo in rete che vanno dai blog ai siti personali al social networking. Un protagonismo che colpisce i giornalisti, più di prima sotto l'occhio dei lettori, ma coinvolge anche le aziende. Come è il caso di Fiat che con il progetto “500 wants you” ha cercato di coinvolgere i clienti sul progetto della nuova vettura.


Anche la pubblicità rimane coinvolta in questo passaggio. Gli utenti rischiano di impossessarsi della comunicazione dell'azienda, mentre la viralità da guerrilla marketing diventa modus operandi. “La velocità comunicazionale del mondo Internet e la sua customizzazione - osserva Minoia - non possono che mettere in crisi i “vecchi” format e le pianificazioni mediatiche “classiche”: si profila così un neomarketing della neocomunicazione, con nuovi contenuti/linguaggi/format/target di riferimento”.
Compito del nuovo marketing sarà di dominare i feedback degli utenti prosumer, individuare programmi di analisi delle nuove forme di knowledge (blog, community, etc.), procedere per trasversalità e orizzontalità culturali, ricorrendo alle intersezioni di genere e di prodotto, di esperienza e di sapere esperto dell'utente/consumatore.

Via Smaunews.it

 
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