Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
Stando ai dati raccolti da Nielsen, in Italia il 40% degli internauti di età superiore ai 14 anni si dichiara disponibile a pagare l’accesso ai contenuti di qualità presenti in rete. La percentuale dei favorevoli a film, musica e, in maniera minore, news e programmi tv a pagamento sale al 50% nella fascia 14-44 anni. Si tratta di circa 11,5 milioni di persone.
La ricerca evidenzia il legame diretto tra la crescente propensione alla spesa per i contenuti digitali e un’offerta di contenuti sempre più capillare e con un basso valore unitario. I consumatori preferiscono l’acquisto mirato di contenuti di interesse specifico attraverso micro transazioni.
Via Quo Media
Le app sono ormai una realtà consolidata nell’economia di internet, ma il fenomeno, legato all’espansione del mercato degli smartphone, assumerà proporzioni sempre più grandi. Le applicazioni di ogni genere nel 2010 hanno fruttato 6,8 miliardi di dollari ai negozi digitali, ma nel 2015 genereranno un giro d’affari di 25 miliardi della stessa valuta. Secondo una ricerca di MarketstandMarkets, il settore è in continuo sviluppo e nel prossimo quinquennio diverrà una delle più importanti fonti di guadagno nell’universo e-commerce.
Grande mattatore è Apple, che guida il settore con il suo App Store e i leader di mercato iPhone e iPad. Il negozio online della Mela può contare attualmente sul 20,5% del market share ma, stando alle previsioni, dovrebbe raggiungere il 29,6% nel 2014. La app piacciono, dunque, soprattutto in Nord America, dove si concentra il 41,6% dei guadagni derivati dalla vendita dei software per dispositivi mobili. Ma l’Asia cresce velocemente, e già conta il 36% dei download.
Via Quo Media
A grande richiesta (di quelli che erano in sala) ho pubblicato su Slideshare la mia presentazione fatta in ISTAT allo Statcamp.
Si parla di quanti sono gli italiani in Rete, incrociando un po' acrobaticamente i numeri con i dati sull'alfabetizzazione e gli skills culturali della popolazione.
Di che farsi venire qualche dubbio sulla matrice (solo) tecnologica del Digital Divide. Una provocazione, se volete... ma qualche pensiero magari lo fa venire.
(nota: in parte è una traduzione del mio articolo su Apogeo sullo stesso tema, con qualche aggiunta sul tema della "democrazia" della Rete, quindi può essere interessante anche lato e-gov... e politica)
In questi giorni sto facendo qualche esperimento sull’IPad per capire al meglio le potenzialità dello strumento e una delle prime cose che ho installato è stata l’applicazione Flipboard, che mi avevano consigliato in molti.
Si tratta in sostanza di uno strumento che permettere di organizzare (benissimo) un magazine composto dalle nostre fonti preferite (compresi Facebook e Twitter), sfogliandole, aprendo multimedia, guardando chi le ha condivise e unendosi al volo alla conversazione su Twitter.
La cosa che mi ha colpito molto è che in realtà i contenuti sono quelli già esistenti in altre forme ma la modalità di fruizione li rende completamente diversi in termini di esperienza, rafforzando molto il loro lato social.
Questo mi ha dato alcuni spunti che vorrei condividere con voi:
1) Presupponendo che il web sia morto come dice Anderson questo di tipo di apps confermano l’importanza della costruzione dei propri contenuti e della facilità di messa a disposizione verso terze parti.
2) E’ importante concentrarsi sullo sviluppo di applicazioni proprie (se dotate di valore aggiunto) ma non vanno trascurate le possibilità di trovare spazio all’interno di quelle più ben fatte (e diffuse) di altri. Se non ci saremo noi ci entrerà qualcun altro.
3) La componente sociale che si lega ai nostri contenuti non è più trascurabile: Flipboard a lato di ogni articolo mostra subito tutte le conversazioni e gli sharing generati dallo stesso, non essere in questo dialogo, anche solo per ascoltare, può risultare estremamente pericoloso.
4) E’ impensabile ormai considerare i propri contenuti solo come residenti sui nostri siti e applicazioni: il contenuto deve sempre partire da noi e a noi riportare (non chiudiamo le nostre proprietà!) ma con pochi click chiunque lo può inserire in un altro contesto (reader, Flipboard, Netvibes, iGoogle etc.), senza poi contare laquestione dell’ipertestualità diffusa anche offline. Tanto vale rendere il nostro contenuto già il più bello e facilmente fruibile possibile.
Che cosa ne dite? Certo in Italia siamo ancora un po’ indietro ma non per questo io non guarderei ancora più in là nel futuro…
Gianluigi Zarantonello via internetmanagerblog.com
Un passaggio di consegne inatteso ma nella natura delle cose. E quindi, all'apparenza almeno, logico. Comprensibile. Alcuni analisti americani hanno sintetizzato così la notizia rimbalzata ieri sera da Mountain View (insieme ai dati di una trimestrale ancora una volta molto buona) che vedrà sedersi sulla poltrona di Ceo, a partire dal prossimo 4 aprile, uno dei co-fondatori di Google, il 38enne Larry Page.
Il rimpasto delle alte cariche - l'attuale amministratore delegato Eric Schmidt (55 anni) assumerà la carica di presidente esecutivo, mentre l'altra mente del colosso californiano, Sergey Brin (37 anni), si dedicherà allo sviluppo di nuovi prodotti e soluzioni strategiche – è stato motivato con l'intento di semplificare la struttura manageriale della compagnia, al fine di accelerare il processo decisionale. Il che non significa, almeno questo il messaggio espresso pubblicamente (via Twitter, rimandando al blog ufficiale) da Schmidt, che Page avrà la totale responsabilità delle sorti future di Google. I tre continueranno a concordare le scelte più importanti ma è chiaro anche che, d'ora in poi, la ripartizione dei ruoli al vertice sarà più netta, con il nuovo Ceo chiamato ad occuparsi del "day by day" operativo.
Schmidt, in tal senso, ha dispensato massima fiducia nelle capacità del suo successore - "Larry è pronto", la sua investitura ufficiale - ma fra gli analisti c'è chi si chiede se quest'ultimo abbia realmente i requisiti per guidare un colosso da oltre 24mila dipendenti che oggi spazia a 360 gradi nell'universo delle tecnologie e che fattura oltre 30 miliardi di dollari l'anno. Qualcuno ha sollevato scetticismi anche sulla scarsa capacità di Page di intrattenere grandi platee, come successe per esempio all'edizione 2006 del Ces di Las Vegas, segno forse di una personalità non (ancora) adatta a reggere l'impatto del confronto pubblico e predisposta a sfruttare le fondamentali regole del marketing mediatico. Lo stesso Page è però stato capace di farsi notare e bene quando presentò in anteprima il servizio Street View guidando per le strade di Palo Alto e ripreso da una telecamera installata all'esterno della sua auto.
Le priorità sul suo tavolo sono tante e la prima sembra essere proprio quella di dare continuità a un business che, dal 2004 a oggi (da quando Google è sbarcata a Wall Street), ha conosciuto un crescendo inarrestabile basandosi sull'attività che ha marchiato indelebilmente l'evoluzione del Web: e cioè la pubblicità abbinata ai motori di ricerca. Oggi il titolo della società vale 635 dollari sui listini del Nasdaq e l'obiettivo è ovviamente quello di portarlo a livelli ancora superiori, considerando anche che nel 2010 l'azione ha perso il 4,2%. Page dovrà quindi cavarsela con la finanza e non solo guardarsi da Facebook, la vera grande rivale sul fronte Internet e social media e da Apple, il principale oppositore della casa di Mountain View in campo mobile (smartphone, sistemi operativi e application store). Giocando sulle sfide che attendono l'ex studente modello della Stanford University c'è ovviamente chi si chiede se saprà emulare il suo predecessore, capace di reggere - o per meglio dire vincere - il duello sul fronte dei servizi on line con Yahoo! e Microsoft e catturare la fetta più grande (anche grazie ad acquisizioni mirate come quelle di DoubleClick e AdMob) del business miliardario del Web e mobile advertising.
Android, invece, rappresenta una sorta di prova di maturità per Page. Il sistema operativo che tutti osannano al rango di piattaforma di riferimento prossima ventura in campo smartphone ha già regalato a Google grandi soddisfazioni. Ha superato per numero di utenti gli iPhone negli Stati Uniti accaparrandosi il 26% del mercato (contro il 25% di Apple e il 33% dei BlackBerry di Research In Motion), è considerato la prima scelta da vari produttori di telefonini e tablet (Samsung in testa) e sta pian piano entrando in settori, vedi l'automotive, dove l'hi-tech sta registrando una grandissima crescita. Più Android sarà diffuso, anche nelle Tv (anche se il progetto di Google è partito zoppicando) e nei dispositivi consumer, più Google dovrà essere capace di seguire i produttori, gli sviluppatori, gli utenti e non perdere di vista i margini di profitto in un mercato che si fa sempre più competitivo sotto il profilo dei prezzi (dei prodotti) al consumo. E simile discorso che vale anche per le soluzioni cloud della divisione Enterprise, area dove la società deve dare ulteriore sostanza alle sue velleità di concreta alternativa a Microsoft per ciò che concerne sistema operativi per pc (Chrome Os) e soluzioni di produttività per i professionisti (Google Apps).
Fino a oggi, questo comunque il punto focale della questione, la forza di una società "non convenzionale" (definizione data alla compagnia nel 2004 dallo stesso Page) come Google è stata quella di crescere grazie all'armoniosa co-gestione del triumvirato dirigente. Con Schmidt che si è fatto parzialmente da parte, le cose cambiano e con esse anche il ruolo e le responsabilità (anche di natura finanziaria e legale) di Page. Essere innovatori ed eccellere nello sviluppo dei prodotti è una cosa, tessere le relazioni con il mondo esterno (clienti, istituzioni, partner, governi, si pensi alla questione cinese) è tutta un'altra. E non meno importante sarà un altro compito segnato in agenda, e cioè le scelte di medio e lungo periodo inerenti l'organizzazione operativa della compagnia e la scelta delle figure cui affidare i business strategici. Senza dimenticare un aspetto che non poco ha contribuito a portare Google dove è ora: la capacità di attrarre talenti e di farli convivere al meglio nell'ottica degli obiettivi aziendali. E senza farli scappare alla concorrenza.
di Gianni Rusconi su IlSole24ORE.com
È il social network che ha inventato la "pubblicità haiku": gli utenti di Twitter ricevono messaggi promozionali più brevi di un sms. E gli inserzionisti investiranno entro l'anno circa 150 milioni di dollari, secondo le previsioni della società d'analisi eMarketer. A utilizzare i microtesti, per adesso, sono soprattutto colossi come Nissan, Hp e Starbucks che hanno già sperimentato campagne sulle reti sociali online: gli utenti che leggono i messaggi e cliccano sui link che rimandano a vetrine online, blog e forum. Ma twitter punta ad ampliare l'investimento nelle inserzioni da parte di piccole e medie imprese: su Facebook, per esempio, il 60% della pubblicità arriva da aziende locali. Il social network delle comunicazioni simili a post-it ha già vinto molte sfide. Partito appena cinque anni fa, ha convinto anche i fondi di venture capital: ha ottenuto di recente un finanziamento da Kleiner Perkins di 200 milioni di dollari. E ormai da due anni ha conquistato le cronache internazionali durante proteste di piazza, catastrofi naturali, campagne elettorali: i suoi iscritti segnalano in diretta notizie, opinioni, risorse online. E costruiscono su internet uno spazio pubblico che interessa anche la diplomazia.
Philip Crowley è il portavoce del Dipartimento di Stato. Scrive in tempo reale le sue osservazioni con i messaggi telegrafici di Twitter, per esempio: «Ora che i tunisini cercano un futuro differente, la stabilità sociale e politica sono ingredienti essenziali per elezioni credibili». E ancora: «Quella tunisina non è una rivoluzione Wiki. I tunisini sapevano della corruzione da molto tempo. Sono soltanto loro il catalizzatore di un dramma che si sta svolgendo». La protesta nel paese africano è iniziata in dicembre: secondo la rivista online Huffington Post, Twitter ha aiutato la diffusione delle informazioni soprattutto tra gli emigranti che hanno condiviso su internet notizie e link. Catalizzando l'attenzione dei media internazionali. Anche la Corea del Nord ha aperto un canale ufficiale su Twitter: è stato un raro passo verso la comunicazione da parte del regime di Pyongyang e Crowley è intervenuto tra i primi per aprire una conversazione sul microblog.
L'avvio della "Twitterdiplomacy" risale a due anni fa. Durante l'estate del 2009 Jared Cohen lavora al Dipartimento di Stato: gli studenti in Iran scendono in piazza per protestare contro i brogli elettorali e si moltiplicano i "messaggi haiku" che descrivono le manifestazioni in corso. Ma il social network ha in programma di sospendere il servizio per manutenzione tecnologica: ad agosto è una scelta frequente tra le piattaforme software perché, in genere, il traffico online diminuisce. Cohen invia un email allo staff di Twitter: chiede di rimandare gli interventi. In questo modo, il passaparola online tra gli utenti può funzionare senza interruzioni.
Di recente un ricercatore dell'Università di Stanford, Evgeny Morozov, ha ricordato nel suo libro “The Net Delusion" che gli iraniani registrati sui microblog erano pochissimi. Ma ha sottolineato, però, l'impatto nelle discussioni internazionali su stampa, radio e televisioni, alimentate dai messaggi diffusi con i social network.
Crowley dichiara: «Non siamo utopisti sulla tecnologia: comprendiamo che è soltanto uno strumento. Comunque, se si vuole essere rilevanti nel 2011, bisogna comprendere come adoperare il potere della tecnologia».
di Luca Dello Iacovo su IlSole24ORE.com
Twitter è in crescita e conquista utenti, soprattutto negli Stati Uniti. Un’indagine di Experian Simmons DataStream svela che, nonostante gli internauti adulti d’Oltreoceano rappresentino solo una piccola parte degli iscritti al social network, sono comunque i più attivi e propositivi. Twitter, insomma, è un gioco per adulti. Le visite degli over21 al sito di micro-blogging sono aumentate del 37% nel mese di novembre, arrivando a 10 pro capite.
La ricerca si basa sul monitoraggio di 30mila utenti. Secondo gli analisti, la maggior frequenza delle visite sta a dimostrare la necessità di contatti rapidi e ricerche mirate dei post e degli amici interessanti, a sfavore delle lunghe sessioni di navigazione. Il tempo medio speso ad ogni accesso dagli internauti su Twitter.com è sceso a 13 minuti e 12 secondi, due minuti in meno rispetto al novembre 2009.
Un dato in linea con l’uso sempre più rapido e spezzettato della rete dovuto agli accessi dai smartphone e tablet. Secondo il Ceo Dick Costolo, il 40% dei messaggi su Twitter è postato da dispositivi mobili.
Via Quo Media
Facebook credits" è la moneta digitale del social network da un anno. Gli utenti acquistano oggetti da utilizzare in giochi che, per esempio, simulano la vita in una fattoria o in una città. Dove comprano semi, materiali da costruzione, trattori: possono spendere i punti guadagnati nel gioco oppure i "credits", pagati con transazioni elettroniche. E da luglio diventeranno la valuta unica nei giochi e in altre applicazioni.
Per Facebook la moneta digitale è ancora un esperimento: trattiene il 30% su ogni transazione, secondo il modello di iTunes, il software della Apple per gestire le canzoni su ipod. Finora i beni digitali hanno avuto successo soprattutto in Estremo Oriente, per esempio nella chat cinese QQ e nel social network giapponese Gree. Diventano una fonte di ricavi alternativa alle inserzioni pubblicitarie che appaiono nei profili degli utenti, ma in Europa e negli Stati Uniti sono ancora agli esordi. È un mercato stimato globalmente in 835 milioni di dollari l'anno scorso dalla società d'analisi Inside Network.
Alcuni giochi hanno superato le aspettative: in due mesi dal lancio, per esempio, CityVille ha raggiunto cento milioni di utenti. È una sorta di monopoli dove i partecipanti costruiscono una città passo dopo passo. E riuniscono un pubblico di potenziali utenti interessati alle "monete digitali". Sono in corso progetti anche per applicazioni nel commercio elettronico.
La macchina da soldi, però, resta nella pubblicità: l'anno scorso Facebook ha guadagnato dalle inserzioni commerciali 1,86 miliardi di dollari, secondo le stime di eMarketer, spesi soprattutto da piccole e medie imprese. E adesso punta sull'integrazione dei messaggi promozionali con la rete sociale online. Ha appena varato il programma Sponsored Stories: , ad esempio, gli utenti possono vedere nei riquadri pubblicitari (spazi grandi quanto un francobollo accanto ai loro profili) se un amico ha segnalato il suo ingresso in un caffè di Starbucks.
di Luca Dello Iacovo su IlSole24ORE.com
Le aziende italiane si stanno facendo mobili. E’ quanto emerge dall’indagine svolta dalla School of Management del Politecnico di Milano nel 2010, secondo la quale gli investimenti in mobile marketing, in particolare in mobile advertising, hanno visto una crescita del 15% rispetto al 2009.
A incoraggiare lo sviluppo del settore sono stati i formati innovativi: + 200% per il mobile display advertising su applicativi e +100% per il mobile display adv su portali ottimizzati per smartphone. Rilevante anche il contributo dato dal formato Sms, primo a imporsi e ancora capace di attirare l’interesse degli investitori grazie ai progressi fatti dai programmi di geolocalizzazione.
L’analisi sottolinea come le applicazioni stiano vivendo un momento particolarmente felice: tra i primi 100 top spender italiani in advertising, 41 hanno sviluppato almeno un’Applicazione Mobile Brandizzata, per un totale di 58 App nei diversi store e con una crescita del 176% rispetto al 2009. Quello che manca, sottolineano gli analisti del Politecnico, è una strategia che permetta di ottimizzare gli investimenti nel canale.
Via Quo Media
Telefonini e tavolette: letti i dati relativi alle vendite del quarto trimestre 2010 appare già evidente quel previsto ribaltone in campo hi-tech che gli analisti avevano sì predetto tempo fa ma con tempistiche molto più dilazionate. E questo perchè Android ha scavalcato Symbian nel ranking dei sistemi operativi per smartphone e ha catturato una significativa porzione di mercato nei tablet, ridimensionando (parzialmente, per ora) il dominio dell'iPad di Apple.
Il messaggio che sortisce dalle fotografie scattate dagli analisti di Canalys Research e Strategy Analytics si può sintetizzare quindi così: la piattaforma mobile di Google è inarrestabile, prosegue nella sua poderosa marcia mettendo in ombra le prestazioni della concorrenza e rafforza quel concetto, già emerso distintamente al Ces di Las Vegas, che la vede sempre di più come l'ecosistema di riferimento per sviluppatori, produttori e operatori dell'industria mobile. Il botto che fa più rumore arriva dalle vendite di telefonini intelligenti. Da ottobre a dicembre sono stati spediti sul mercato globale oltre 100 milioni di apparecchi, con un incremento in volumi anno su anno dell'88%: 33 milioni di questi avevano a bordo Android, 31 milioni Symbian (quasi interamente a firma Nokia) e 16,2 milioni sono stati iPhone (un numero doppio rispetto allo stesso periodo del 2009). Sorpasso quindi avvenuto con Google che può oggi vantare una share del 32,9%, doppia rispetto a quella di Apple (16%) e di Research in Motion (scesa dal 20% al 14,4%) e 10 volte tanto quella di Microsoft, che perde ancora terreno scivolando al 3,1%.
La repentina scalata di Android al trono di piattaforma leader negli smartphone, secondo gli analisti di Canalys, si spiega di fatto con l'azione di mercato esercitata dalle varie Samsung, Htc (che insieme hanno coperto nel periodo considerato il 45% della domanda di googlefonini), Lg, Motorola e via dicendo. In buona sostanza è avvenuto quello che si pensava da tempo: i principali produttori di cellulari hanno spinto sul sistema di Google e i risultati (di vendita) si sono visti, con incrementi a tre o quattro cifre dei volumi di consegna. Un altro dato infine, certifica il successo della piattaforma della società di Mountain View: negli Usa sono stati venduti 12,1 milioni di smartphone androidi un numero tre volte superiore a quello dei BlackBerry. Dove potrà arrivare ora Google in un mercato che nel 2011 è destinato a crescere ancora rispetto al tetto dei 300 milioni di pezzi sfiorato nel 2010? La sensazione degli analisti è che l'ascesa di Android non si fermerà, vuoi per l'appeal che la piattaforma esercita sui vari attori di questa industry vuoi perché il rimescolamento in atto sul mercato americano, con At&t che aprirà (come conseguenza dell'accordo fra Verizon e Apple) ai vendor di googlefonini, potrebbe ulteriormente favorirne la diffusione presso gli utenti.
In campo tablet, invece, la situazione attuale premia come noto la società della Mela e il suo iPad, le cui vendite nel quarto trimestre sono state ottime: 7,3 milioni di unità spedite (14,8 milioni, invece, quelle che Apple ha venduto complessivamente da aprile a oggi) e una crescita del 74% rispetto al terzo periodo del 2010. La tavoletta di Steve Jobs piace quindi sempre di più ma in valori assoluti ha perso significativamente quote di mercato, passando dal 96% al 75%. Per colpa di Android. Il sistema operativo di Google, secondo i dati elaborati da Strategy Analytics, avrebbe infatti catturato il 22% della domanda di tablet con oltre 2,1 milioni di unità spedite sul mercato: rispetto ai 100mila pezzi (e una share del 2,3%) dei precedenti tre mesi il salto è stato indubbiamente notevole. Samsung, come del resto assai prevedibile, ha fatto da locomotiva e il suo Galaxy Tab è stato il principale artefice (con circa due milioni le unità vendute) della rincorsa di Android. Una piattaforma che, rimarcano gli analisti, piace ai produttori perché percepita come a basso costo e perché si accompagna a un ampio bouquet di servizi a corredo, da YouTube a Google Maps.
Come negli smartphone, c'è da capire ora come potrà evolversi questo mercato in relazione alla prevista maggiore disponibilità nei negozi e nei listini dei carrier di prodotti non Apple. In altre parole ci si può già chiedere se la rincorsa delle tavolette Android sull'iPad – la cui sfida nel 2010 si è chiusa nettamente a favore di quest'ultimo, che ha fatto proprio l'84.1% del mercato contro il 13,1% della piattaforma rivale - si potrà concretizzare già nel 2011, quando il business dei tablet ruoterà intorno ai 45-55 milioni di pezzi e gettare le basi per triplicare a quota 174 milioni nel 2014. Una torta a cui non vogliono certo rinunciare gli altri nemici dichiarati della società della Mela, e cioè Research in Motion con il suo Blackberry PlayBook (il cui lancio negli Usa è imminente) e Microsoft. La casa di Redmond, in attesa di svelare i piani prossimi venturi sui tablet (bisognerà aspettare Windows 8 per vedere una tavoletta con i processori Arm?), ha intanto apertamente criticato l'iPad al cospetto dei suoi partner di canale: "è un prodotto bello e con un'interfaccia molto intuitiva, ma per le aziende è inutile perché poco sicuro e capace di una produttività off line ridotta".
di Gianni Rusconi su IlSole24ORE.com
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