Di seguito gli interventi pubblicati in questa sezione, in ordine cronologico.
Ancora tempo di shopping in casa Amazon che si aggiudica Twitch, la piattaforma di video streaming dedicata ai videogiochi, per 970 milioni di dollari e soffia l’affare a Google, da tempo interessata a chiudere l’affare senza però alcun successo. Sembra quindi che l’idea di Jeff Bezos di trasformare Amazon in un fornitore di contenuti, andando ben oltre la vendita online, si stia affermando e con acquisti di alto livello.
Questo è infatti il più grande affare nella storia di Amazon da 20 anni a questa parte e aiuterà la società americana di e-commerce a gareggiare con Apple e Google nel mondo del gioco online, che rappresenta oltre il 75% di tutte le vendite di app mobili.
Twitch è una piattaforma online che consente la condivisione delle proprie fasi di gioco da parte dei gamer: uno strumento per la divulgazione da una parte, un “luogo” di condivisione dall’altra, il tutto all’interno di un sistema di socializzazione incentrato sul mondo del gaming. Dalla fondazione del gruppo nel 2011 la crescita è stata esponenziale al pari al suo successo.
Così recita il comunicato ufficiale: “Amazon annuncia di aver trovato un accordo per l’acquisizione di Twitch Interactive, piattaforma video per il gaming. Nel mese di luglio, oltre 55 milioni di visitatori unici hanno visto più di 15 miliardi di minuti di contenuto su Twitch prodotti da oltre 1 milione di broadcaster, inclusi gamer individuali, giocatori, editori, sviluppatori”. Ad aprile il Wall Street Journal aveva collocato Twirch al quarto posto per volume di traffico negli Stati Uniti, dopo Netflix, Google e Apple.
“Abbiamo scelto Amazon perché crede nella nostra comunità, condivide i nostri valori e la visione a lungo termine – ha spiegato in un post Emmet Shear, il CEO di Twitch – e ci aiuterà ad arrivare più rapidamente ai nostri obiettivi. Grazie ad Amazon saremo in grado di darvi il miglior Twitch di sempre”.
Bezos nel comunicato ufficiale spiega come entrambe le compagnie siano “ossessionate dalla soddisfazione dei clienti e capaci di pensare in maniera diversa. Non vediamo l’ora di imparare da loro e aiutarli a crescere rapidamente per dare nuovi servizi alla comunità mondiale dei gamers”.
Fino a pochi mesi fa Google era la candidata più affidabile per la chiusura dell’operazione, anche grazie alla presenza di Youtube di cui Twitch sembra essere la spalla ideale, ma, secondo Forbes, le normative antitrust hanno ostacolato l’accordo per evitare una eccessiva concentrazione di potere nel mercato dei video online.
Al momento le conseguenze di tale operazione non sono ancora chiare. Shear assicura che la piattaforma di streaming conserverà la sua indipendenza ma l’integrazione con il sistema Amazon è la via più sicura: sarà possibile, infatti, acquistare i giochi ai quali si sta facendo da spettatori, il tutto in pochi click. Inoltre i servizi offerti da Twitch allargheranno ulteriormente il pubblico dei gamers, ora più che mai tentato dalle potenzialità dei videogiochi in streaming a prezzi contenuti.
Insomma un’acquisizione che può sembrare di nicchia ma che promette novità interessanti dall’incontro tra videogiochi e streaming.
Via Tech Economy
A quasi 10 anni dal suo lancio ufficiale, con il suo miliardo di visitatori unici mensili, YouTube è ormai la piattaforma di riferimento di chiunque voglia fruire o condividere contenuti video. Da qualche anno sulla piattaforma si trovano contenuti di alto livello, creati da utenti dalla rete che scrivono, girano e montano per il pubblico.
È il caso di web-serie come The Pills, o di canali come The Jackal, che proprio su YouTube hanno trovato terreno fertile per diventare veri e propri fenomeni mediatici, spesso capaci di sfociare nei media tradizionali. Il vero problema però sono i soldi.
Ora sulla piattaforma spunta una novità: un pulsante Support, che consente a chiunque di contribuire al lavoro del canale, o del singolo creatore di contenuti, effettuando una donazione. Per ora questa funzionalità è disponibile solo per gli utenti americani, australiani, giapponesi e messicani, ma considerando che l’80% del traffico raccolto dalla piattaforma proviene da fuori i confini americani, è ragionevole aspettarsi che la funzione verrà estesa al resto dell’utenza internazionale.
Via Quo Media
L’attesa è finita ed Apple ha svelato al mondo le tanto attese novità su cui nelle settimane e nei mesi precedenti si è tanto parlato e ipotizzato. Una giornata complessa e carica di attese se è vero, come sostenuto dal Wall Street Journal alla vigilia dell’evento, che con la nuova serie di prodotti e servizi Cupertino punta a mostrare che “si possono creare esperienze che non possono essere facilmente copiate dai rivali, e punta a mantenere la fedeltà dei suoi clienti in un momento in cui il sistema operativo Android gira sull’85% degli smartphone“. Molte le indiscrezioni della vigilia che hanno trovato conferma nella presentazione di Tim Cook e soci.
Smartphone Apple mette sul piatto, come previsto, due nuovi smartphone l’iPhone 6 e l’iPhone 6 plus. Più sottili dell’iPhone 5S, i nuovi device nonostante siano più grandi possono essere usati con una sola mano, spiega il responsabile del marketing di Apple, Phil Schiller. Montano entrambi un processore A8 da 64 bit da due miliardi di transistor, che è il 25% più veloce del precedente chip A7 (e il 13% più piccolo) e 50 volte di più del primo iPhone. I due melafonini hanno lo spessore di 6,9 mm e 7,1 mm e schermi da 4,7 e 5,5 pollici, rispettivamente. Molte altre novità: l’ iPhone 6 ha una fotocamera da 8MP con il true tone flash mentre il 6 Plus monta anche uno stabilizzatore ottico delle immagini: e può utilizzare il giroscopio per muovere la fotocamera in tutte le direzioni. I nuovi device migliorano le prestazioni LTE tanto da supportare altri 200 operatori fino ai 150 mbps. Viene introdotto anche il “voice over LTE” che permette di fare chiamate gratuite utilizzando la connessione.
Saranno in vendita negli Stati Uniti e in altri 8 Paesi a partire dal 19 settembre, con preordini dal 12, per arrivare a 115 paesi entro fine anno. I prezzi Usa vanno da 199 a 399 dollari da 16 a 128 GB con due anni di contratto con un operatore in Usa per il 6, e cento dollari in più per il Plus.
Apple Pay
Confermati anche i rumor della vigilia che davano i nuovi smartphone in grado di abilitare pagamenti contactless: Apple lancia Apple Pay, il nuovo sistema di pagamenti made in Cupertino basato su tecnologia Nfc. La piattaforma di Apple punta a sicurezza e semplicità: la carta di credito registrata sul proprio account funzionerà per effettuare i pagamenti, e per aggiungerne un’altra basterà fotografarla con il dispositivo. Apple assicura massima sicurezza anche in caso di furto o smarrimento del telefono: i codici sono registrati in modo sicuro, e il numero della carta non è mai utilizzato nelle transazioni. Gli analisti già alla vigilia vedevano nella novità Apple una grande opportunità per l’intero comparto dei pagamenti elettronici che potrebbero avere un’impennata proprio grazie all’introduzione della funzionalità di casa Apple. Sarà davvero così?
Apple Watch
Ma il vero protagonista della serata è stato l’atteso wearable di casa Apple: l’Apple Watch. Il device, accolto da un’ovazione in sala, più “personale che apple abbia mai creato” dice Tim Cook con il quale si apre: “nuovo capitolo della storia di Apple.“ L’Apple Watch, pensato in altre due varianti rispetto a quello base, ovvero Apple Watch Sport ed Apple Watch Edition in oro 18 carati, ha una corona “digitale” che funziona anche da tasto “home” per navigare tra funzioni e app sul display, e sarà disponibile in due dimensioni e in diversi materiali, pelle, metallo e plastica. Lanciato anche WatchKit che permette agli sviluppatori di realizzare app che verranno visualizzate sul device.
Fra le molte funzioni disponibili, inclusa quella di rispondere via voce alle emal e sms con il sistema Siri, c’è anche il sensore di battito cardicaco grazie a led a infrarossi. L’orologio permetterà anche la navigazione satellitare mandando segnalazioni attraverso vibrazioni sul polso e, sul fronte della smart home sarà possibile utilizzare l’orologio della Mela per regolare la temperatura di casa. Buone notizie anche per gli sportivi che con l’Apple Watch possono tracciare i progressi dei loro allenamenti con una Fitness App su iPhone ma anche visualizzare in tempo reale il consumo delle calorie, il tempo, e della distanza percorsa in allenamento con un’ apposita App. Apple Watch, che funziona solo con iPhone, modelli 5, 5c, 5s, 6, e 6 Plus, partirà da un costo di 349 dollari e sarà disponibile a partire dal 2015 come previsto alla vigilia.
E’ presto per stabilire se davvero gli annunci di Cupertino oggi abbiano scritto un nuovo capitolo della storia dei device mobili mondiali, indossabili e non. Ed è anche presto per capire se Tim Cook abbia oggi fatto dimenticare un passato fatto di critiche, di quasi abbandoni e di scomodi paragoni tra la sua idea di Apple e quella di Steve Jobs. Quel che è certo è che nei giorni scorsi gli analisi hanno già fatto previsioni di vendita rosee per i nuovi iPhone: 75 milioni di pezzi in poco più di tre mesi, da metà settembre data in cui si presume che i dispositivi arrivino sugli scaffali, al 31 dicembre. E l’atteso smartwatch sarà quasi certamente il nuovo device “da battere” per tutta la concorrenza, che sia già attiva sul mercato dei wearable, come Samsung, o che stia pensando di entrarvi.
Via Tech Economy
Facebook si prepara ad investire nel settore dell’healthcare. Dopo amici e interessi, pare che il colosso di Zuckerberg potrebbe conoscere anche lo stato della nostra salute. Sulla scia di altre aziende tecnologiche della Silicon Valley, come Apple e Google, Facebook starebbe progettando i suoi primi passi nel promettente campo della sanità. Secondo alcune fonti anonime vicine all’azienda riportate da Reuter, la società starebbe valutando la creazione di comunità online di “supporto” per determinate patologie. Un secondo team starebbe anche considerando un ulteriore campo di sviluppo per questo tipo di applicazioni, quello della prevenzione, con l’obiettivo di aiutare le persone a migliorare il loro stile di vita.
Negli ultimi mesi il gigante dei social networking ha tenuto riunioni e meeting con esperti e imprenditori del settore medico mentre è stata creata, sul fronte interno, un’unità tecnica dedicata alla ricerca e allo sviluppo di applicazioni utili in campo sanitario. Il lavoro è ancora “in progress” ma sono già state create le basi operative, forti di un interesse non inedito in questo campo.
Già nel 2012 Facebook aveva lanciato delle operazioni sul tema della salute ma con risultati discontinui. Il successo più rilevante è stata la campagna che ha consentito agli utenti negli Usa di segnalarsi come donatori: in un solo giorno 13.054 persone si sono registrate online come donatori di organi, contribuendo ad un aumento di 21 volte superiore rispetto alla media giornaliera di 616 iscrizioni, secondo uno studio pubblicato nel mese di giugno 2013 sull’American Journal of Transplantation.
Gli esperti di Facebook hanno notato che le persone con malattie croniche, come il diabete, spesso cercano aiuto e informazioni on line sui siti di social networking: per un consiglio, per avere supporto, per parlare apertamente della propria patologia. Inoltre, l’aumento delle reti create dai pazienti, come PatientsLikeMe, dimostrano che le persone si trovano a proprio agio a condividere le proprie esperienze online. Di fronte a questo scenario anche l’interesse personale dell’amministratore delegato Mark Zuckerberg contribuisce ad un maggiore coinvolgimento della compagnia nel campo della sanità.
Il problema più complesso, però, rimane quello della privacy, soprattutto per un’azienda che negli ultimi tempi ha dovuto affrontare notevoli critiche su questo terreno spinoso. Ma in questo senso Facebook è in ottima compagnia visto che anche le altre big hanno problemi simili. Quel che è certo è che un tema così complesso ha bisogno di norme certe per proteggere l’anonimato dei propri utenti e per evitare che i dati e le osservazioni condivise non siano a disposizione di inserzionisti o aziende farmaceutiche, ha dichiarato Frank Williams, a capo della Evolent Health, compagnia che fornisce software e servizi ai medici statunitensi.
Via Tech Economy
Kindle Unlimited signfica per i possessore di un ebook Kindle l’accesso illimitato a oltre 15.000 titoli in italiano e oltre 700.000 in altre lingue da tutti i dispositivi a 9,99 euro al mese. Funziona così: i titoli disponibili sono contrassegnati dal logo Kindle Unlimited, entrando nella pagina di dettaglio del singolo eBook si clicca su Leggi gratis con Kindle Unlimited. È possibile iniziare oggi il proprio periodo di prova gratuito di 30 giorni su www.amazon.it/ku-provagratuita.
Come funziona?
Finché si paga tutto bene. Quando annulli l'abbonamento a Kindle Unlimited, si continuia ad usufruirne fino alla scadenza del periodo di fatturazione. Decorso questo termine, non avrai più accesso a tutti gli eBook Kindle Unlimited scaricati. I segnalibri, le note e le evidenziazioni salvati all'interno dell'eBook resteranno memorizzati sul tuo account Amazon e potrai accedervi nuovamente se deciderai di acquistare l'eBook in futuro. La vittoria della formula flat
In fondo è la vittoria dello streaming e di un modello di business che punta sull’accesso al servizio. L’idea di Amazon è quella di Spotify e dei moltissimi servizi di streaming video (Infinity, SkyGo, Apple iTunes, ecc). Si paga l’accesso e non il possesso. Quando si smette finisce l’esperienza d’uso. Quello dell’abbonamento flat è un cambio di paradigma per l’utente. Un incubo per i collezionisti e gli amanti dell’oggetto fisico. Un sogno per chi invece con pochi dollari può restare sintonizzato con le novità di mercato. Prima o poi qualcuno cercherà un modo di far parlare questi due mondi apparentemente lontani.
Via IlSole24Ore.com
Due miliardi di dollari pagati agli artisti, ai detentori dei diritti: uno tra il 2008, anno del lancio di Spotify, e lo scorso anno, l'altro dal 2013 ad oggi, quando è cominciata l'ascesa della musica consumata come servizio. Risponde così il CEO del servizio di streaming a tutti gli artisti che ancora temono di affidare le proprie opere ad una piattaforma che sembra soddisfare le esigenze delle platee degli appassionati, che potrebbe rappresentare il grimaldello per valorizzare la leggerezza e l'immaterialità della musica digitale ai danni della pirateria.
Nel momento il cui i servizi di streaming stanno dimostrando tutto il loro potenziale, anche rispetto alla soluzione dei download e agli attori più importanti del settore, nel momento in cui tutta l'industria della musica sta tentando di convertirsi rapidamente allo streaming per accogliere la domanda dei cittadini della Rete, il CEO di Spotify Daniel Ek è intervenuto per abbattere le resistenze di coloro che affidano la propria carriera a certi "falsi miti" che aleggiano intorno al servizio.
Per dissiparli, il CEO Ek li analizza uno per uno. A partire dall'incomprensione che regna sulla musica fruibile gratuitamente: "non tutta la musica gratuita è uguale - spiega Ek ai detentori dei diritti - su Spotify la musica fruibile gratuitamente è supportata dalla pubblicità, e paghiamo per ogni ascolto". Spotify, secondo il suo CEO, è la perfetta mediazione tra i servizi fruibili solo su abbonamento e la pirateria: un modello freemium che prevede di affiancare l'advertising alla musica permette di attirare l'attenzione degli utenti con un assaggio delle funzioni e della qualità che il servizio a pagamento propone loro, senza per questo svendere le opere degli artisti, che vengono puntualmente retribuiti con una quota delle entrate garantite dagli inserzionisti. "Abbiamo 50 milioni di utenti attivi, 12,5 milioni dei quali hanno sottoscritto un abbonamento per 120 dollari all'anno - ricorda Ek - è tre volte tanto quanto un consumatore medio di musica spendeva all'anno in passato": l'80 per cento di questi abbonati sono stati utenti del servizio gratuito, la maggior parte di loro ha meno di 27 anni, è cresciuta negli anni d'oro della pirateria, "non si sarebbe mai aspettata di pagare per la musica".
La seconda credenza che Ek tenta di smontare con i numeri è quella secondo cui Spotify non garantirebbe un adeguato sostentamento economico gli artisti che ospita, una convinzione radicata anche presso artisti come Thom Yorke, che da tempo si scaglia contro mediatori troppo avidi per ricompensare opportunamente gli artisti. "Poniamo che una canzone venga ascoltata su Spotify 500mila volte - questo il paragone tracciato dal CEO della piattaforma - e che venga suonata da una stazione radio statunitense che abbia 500mila ascoltatori": negli States, dove a differenza di altri paesi del mondo non si prevede un meccanismo di pagamento delle royalty per i diritti connessi degli interpreti, l'esecutore non guadagnerebbe nulla dal passaggio in radio, mentre 500mila ascolti su Spotify garantiscono una cifra fra i 3mila e i 4mila dollari. Taylor Swift, e l'esempio non è casuale dopo che il management dell'artista ha scelto di ritirare il suo catalogo da Spotify, sarebbe stata vicina a superare i 6 milioni di dollari all'anno: cifre che potrebbero raddoppiare, se le tendenze che animano il mercato dello streaming non subissero battute di arresto. "Paghiamo una enorme quantità di denaro alle etichette e alle edizioni a favore degli artisti e degli autori - spiega Ek, confermando stime già elaborate nel mesi scorsi - e decisamente più di quanto facciano altri servizi di streaming"i. Ek elegantemente non sottolinea quello che Bono, frontman degli U2 attivamente impegnato sul fronte della musica digitale, afferma esplicitamente: "Le persone criticano Spotify e si limitano a dire che dà solo il 70 per cento delle entrate ai detentori dei diritti, ma quello che le persone non sanno è dove davvero vanno a finire questi soldi, perché le etichette non sono mai state trasparenti".
Ek seziona poi la terza accusa che certa parte dell'industria della musica muove contro Spotify, che porta lo stesso stigma della pirateria, responsabile delle mancate vendite: il successo del servizio di streaming e i cali delle vendite di musica, sia fisica che digitale, non sono legati da una relazione direttamente causale, sostiene il CEO di Spotify, ma sono determinati dalle esigenze del pubblico. A dimostrazione di ciò, Ek cita l'esempio del Canada: i download languono, e Spotify non si è ancora affacciato su questo mercato. Spotify non serve il Canada, ma esistono numerosissime risorse per il consumo di musica in streaming: dalla pirateria al modello scelto ora da un attore dal passato turbolento come Grooveshark, dai servizi in evoluzione di Soundcloud a YouTube, importante fonte di approvvigionamento di musica in Rete, è chiaro che gli utenti stanno scegliendo di consumare la musica senza impegnarsi nell'acquisto del singolo album, della singola traccia di successo, distaccandosi dalle dinamiche distributive imposte per anni dall'industria tradizionale.
Il mercato dello streaming non è dunque uno scenario nel quale è pensabile misurare il proprio successo con parametri tradizionali quali i record di vendite, né sembra prestarsi ad accogliere modelli di business ibridi che cerchino di replicare i meccanismi a finestre che scandiscono il mercato dell'intrattenimento tradizionale: Spotify risulta dunque ben più di un esperimento, come lo ha definito Taylor Swift, scegliendo di non prendervi parte, ma è uno dei numerosi interpreti delle esigenze di un pubblico radicalmente cambiato dall'abitudine alla Rete.
via Punto Informatico
Amazon ha annunciato un nuovo servizio che offre la consegna di 'prodotti essenziali quotidiani' entro un'ora o due ore. Soprannominato Prime Now, il servizio è disponibile solo per clienti Amazon Prime, che possono utilizzare per ricevere prodotti come asciugamani di carta, shampoo, libri, giocattoli, batterie e altri del genere dalle 6 del mattino a mezzanotte, sette giorni su sette.
Il servizio è attualmente disponibile in aree selezionate di Manhattan, anche se la società sta incoraggiando tutti i membri di Prime (anche nelle aree non al momento coperte dal servizio) di scaricare la nuova app Prime Now, che è disponibile sia per iOS che Android, promettendo che saranno avvisati quando il servizio sarà lanciato nella loro area. Il servizio, infatti, è fruibile attraverso l'apposita app mobile.
"Ci sono momenti in cui non si può andare in negozio e altre volte in cui semplicemente non si vuole andare. Ci sono tanti motivi per non iniziare un viaggio e i membri di Prime Now a Manhattan possono ottenere gli elementi di cui hanno bisogno consegnati in un'ora o meno", ha dichiarato Dave Clark, senior vice presidente delle operazioni internazionali della società.
Per quanto riguarda il prezzo, la consegna di due ore è gratuita per i clienti Amazon Prime, mentre la consegna entro un'ora costerà 7,99 dollari.
Amazon testa consegne in bici a New York Amazon sta, nel frattempo, testando la consegna in bicicletta a New York City, il che significa che la società potrebbe consegnare i prodotti ai clienti nel giro di poche ore dall'ordine, addirittura un'ora, secondo quanto riferisce il Wall Street Journal. Sono già in atto delle prove a tempo su un edificio nei pressi dell'Empire State Building nella Grande Mela. Il sito funge da base operativa per coloro che effettueranno le consegne in bicicletta, stando a quanto hanno riferito fonti anonime al giornale.
Se Amazon persegue questo tipo di servizio di consegna andrebbe a togliere uno dei pochi vantaggi che ha ancora un negozio: attirare i clienti. Mentre un consumatore può acquistare un oggetto e lasciare il negozio con in mano subito il prodotto, il nuovo servizio di consegna di Amazon potrebbe offrire il vantaggio di acquistare da casa comodamente ed avere il prodotto in consegna entro la fine della giornata: in tal caso perchè andare ancora in un negozio?
Via PianetaCellullare
Sempre più spesso i bambini navigano su YouTube alla ricerca di contenuti da vedere. Ma la navigazione sul normale canale può, per errore, fare apparire video non adatti a dei minori. La possibilità di censurare dei contenuti c'è sempre stata su YouTube, ma spesso i genitori non l'attivavano sia per la complessità del procedimento sia perché proprio non ne conoscevano l'esistenza.
Per facilitare le cose, oggi è stata creata un'app, studiata apposta per i minori, per navigare su YouTube in tutta sicurezza con una grafica semplice e intuitiva e i contenuti filtrati alla fonte: "Prima da un algoritmo e poi, manualmente, da alcuni esperti che visionano i filmati da mettere on line”, come ha dichiarato Shimrit Ben-Yair, Product Manager di YouTube Kids.
I video disponibili comprendono un mix di contenuti tratti dai canali di intrattenimento più popolari per i bambini come DreamWorks TV, o National Geographic Kids.
L'interfaccia è più grande e luminosa rispetto a quella del canale classico, per adattarsi alla manualità dei bambini. Le sezioni previste sono quattro: "Spettacoli", "Musica", "Apprendimento", e "Esplora", indicate da semplici icone, rispettivamente: un pulsante di riproduzione, una radio, una lampadina e il binocolo. Tuttavia, nella schermata principale, è possibile anche sfogliare semplicemente i contenuti senza scegliere le diverse sezioni.
Infine i genitori potranno hanno pre-impostare il tempo di una sessione, al termine della quale, il piccolo viene avvisato. E sempre i genitori possono disattivare suoni e musiche che spesso accompagnano i video.
L'app è interessante ma sembra ci sia ancora molto da fare: non è ancora possibile infatti filtrare i contenuti in base all'età del bambino e il codice del controllo parentale è facilmente aggirabile da un bimbo in età scolare (ovvero in grado di leggere: appaiono infatti, in parola, i numeri da digitare per accedere a questa funzione).
Diciamo che, in generale, è un'app studiata per i bambini in età pre-scolare.
Per il momento è disponibile la versione per gli Stati Uniti, per Android su Google Play e per iOS su iTunes.
Via Panorama.it
I primi rumor risalgono a novembre dello scorso anno ma è in queste ore che Amazon ha lanciato, senza troppi clamori, la pagina Amazon Destination, parte di Amazon Local. L’iniziativa nasce per rispondere alle esigenze di brevi vacanze locali: la pagina in questione, infatti, mostra agli utenti elenchi degli hotel disponibili in determinate aree. Per ora il servizio è attivo in poche città e attrazioni degli Stati Uniti come Seattle, New York e Los Angeles.
“Abbiamo creato Amazon Destination per risolvere un problema che affronta la maggior parte dei viaggiatori: come pianificare facilmente e prenotare viaggi locali” ha spiegato a Mashable Tom Cook, responsabile delle relazioni pubbliche di Amazon. “Più del 40% di tutti i viaggi di relax sul territorio nazionale statunitense è rappresentato da “fughe” di breve durata di 1-3 notti, e molti di questi viaggi sono nelle vicinanze, raggiungibili in macchina.”
Il che conferma una recente ricerca di Expedia secondo cui le prenotazioni per soggiorni di una o due notte sono in crescita, mentre quelle per soggiorni di quattro e sette notti sono in discesa. ”Eppure i viaggiatori hanno spesso difficoltà a pianificare vacanze brevi”, aggiunge Cook. “E ‘difficile decidere dove andare, e spesso le persone si perdono nella ricerca di posti in cui soggiornare.”
Di qui la nascita di Amazon Destination che non ha ancora le caratteristiche, almeno in dimensioni, di altri colossi come Expedia o Tripadvisor, ma che rappresenta una concreta “minaccia” per i competitor di settore.
Via Tech Economy
Un tentativo di affrontare, in chiave collaborativa, i molti problemi che Google sta fronteggiando in Europa. Ci sarebbe anche questo alla base della Digital News Initiative: Google e otto dei principali editori europei hanno infatti siglato una partnership che ha l’obiettivo di supportare il giornalismo di qualità attraverso la tecnologia. Una mossa, secondo molti osservatori internazionali, con cui il colosso Usa tenta il disgelo con attori forti del panorama Ue dopo le tante “rotture”: dalla chiusura di Google News in Spagna fino ad arrivare alla più pesante, e attesa, apertura di procedimenti ufficiali Ue contro il colosso per abuso di posizione dominante nel mercato del search online.
L’idea è quella di favorire lo sviluppo di un ecosistema di informazione sostenibile e promuovere l’innovazione nel campo del giornalismo digitale. “Internet offre opportunità immense per creare e diffondere grande giornalismo - sostiene Carlo D’Asaro Biondo, Presidente Strategic Relationships di Google in Europa -, tuttavia ci sono anche questioni legittime su come il giornalismo di alta qualità possa esse sostenuto nell’era digitale. Attraverso la Digital News Initiative Google lavorerà a fianco di editori e organizzazioni che si occupano di giornalismo per contribuire a sviluppare modelli più sostenibili per l’informazione. È solo l’inizio del percorso e invitiamo altri a unirsi a noi”. Tre le aree di azione: gli editori istituiranno un “gruppo di lavoro sul prodotto” per esplorare lo sviluppo di prodotti legati all’incremento dei ricavi, del traffico e del coinvolgimento dei lettori. L’azienda di Mountain View metterà, inoltre, a disposizione 150 milioni di euro per progetti in grado di dimostrare un nuovo approccio al giornalismo digitale. Chiunque lavori all’innovazione dell’informazione online potrà richiedere i contributi, inclusi editori riconosciuti, testate solo online e start up tecnologiche legate al mondo dell’informazione. Infine, Google investirà in formazione e nello sviluppo di nuove risorse per giornalisti e redazioni in Europa e finanzierà ricerche sullo scenario media, istituendo ad esempio borse di studio per la ricerca accademica sul giornalismo computazionale.
I partner fondatori sono Les Echos (Francia), FAZ (Germania), The Financial Times (Regno Unito), The Guardian (Regno Unito), NRC Media (Paesi Bassi), El Pais (Spagna) e Die Zeit (Germania). L’Italia è rappresentata da La Stampa. Partecipano anche organizzazioni che si occupano di giornalismo tra cui lo European Journalism Centre (EJC), il Global Editors Network (GEN), l’International News Media Association (INMA).
Via Tech Economy
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