Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
Pinterest ha attratto l’attenzione delle aziende interessate a utilizzare il social network come strumento di promozione e vendita di prodotti. Pinterest focalizzandosi, infatti, su lifestyle e consumi rappresenta un ambiente particolarmente in sintonia con le esigenze dell’industria.
Ma Pinterest riesce effettivamente a stimolare la scoperta e l’acquisto di prodotti?
Il 21% degli utenti del social network dichiara di aver acquistato almeno un prodotto scoperto tramite la piattaforma, secondo i risultati di un’inchiesta effettuata da PriceGrabber sugli utenti regolari del servizio.
Lo studio permette di comprendere quali sono le attività e gli interessi più diffusi tra l’utenza del social network.
La motivazione centrale per l’utilizzo di Pinterest sembra essere la scoperta di nuove ricette e la cucina in generale, tema centrale posto in vetta agli interessi del 70% degli intervistati. Seguono decorazione della casa, moda, intrattenimento e giardinaggio. E’ utile ricordare che il target principale di Pinterest è rappresentato da donne, l’80% degli utenti è, infatti, di sesso femminile.
Pinterest non sembra rimpiazzare l’utilizzo di altri social network ma si affianca ad essi. La frequenza di utilizzo del servizio non è ancora altissima (37% alcune volte a settimana – 10% alcune volte al giorno), ma il vantaggio è che gli utenti non consumano solamente contenuti altrui bensì ne producono a loro volta, in media da 1 a 10 “Pinboards”.
Tra il 21% dell’utenza che ha scoperto e acquistato prodotti, le transazioni più diffuse riguardano oggetti e servizi in linea con gli interessi più diffuse: utensili da cucina, strumenti per “Arts and crafts” e abbigliamento.
Via Quo Media
E’ quanto emerge da un sondaggio Ipsos/Reuters, che sottolinea il crescente utilizzo di e-mail e social network nel mondo, che in alcuni Paesi tocca percentuali inimmaginabili fino a pochi anni fa.
Secondo i dati raccolti, l’85% delle persone collegate ad internet invia e riceve posta elettronica, e ben il 62% è presente sui social network e comunica con i propri amici attraverso queste piattaforme, dati che vanno ad aumentare sensibilmente se contestualizzati ad alcune nazioni o aree geografiche.
Ad esempio otto indonesiani su dieci, e ben il 75% degli argentini, russi e sudafricani utilizzano costantemente i social, battendo gli “Hi-Tech” USA (dove il dato si ferma al 60%) e Giappone, che segna solamente il 35%, a causa di reticenze culturali che hanno spesso limitato la curiosità dei suoi abitanti verso le piattaforme social straniere, dato che abbiamo già trattato in un nostro approfondimento sul caso.
Il peso e l’importanza del web, dei social network e la rilevanza di blog, forum e siti internet nel panorama della comunicazione mondiale e nel media mix dei consumatori di tutto il globo, va quindi a incrementarsi sempre di più, determinando al contempo un sistema sempre più centralizzato intorno ad alcune piattaforme, e una rete di contatti potenziali che si avvicina, giorno dopo giorno, a coprire la totalità della popolazione del nostro pianeta.
Quello in rete è un bacino di pubblico sempre più esteso, in cui le aziende stesse possono inserirsi e lavorare al fine di aggregare alle loro manifestazioni online (siti, profili social, blog…), quote sempre più importanti di potenziali consumatori.
Via Tech Economy
L’advertising mobile è in una fase di forte crescita e attira forti investimenti da parte dei maggiori player del settore, che lottano soprattutto per offrire servizi sempre più in linea con la modalità di comunicazione, personalizzati in base ai dati del consumatore ed adatti al contesto ed al momento di recezione.
Google, proprio al fine di incrementare la rilevanza e la personalizzazione degli annunci, starebbe sviluppando una tecnologia che sfrutta i rumori di sfondo e altre condizioni ambientali per offrire mobile ads maggiormente adatti alla situazione.
La società ha ottenuto un brevetto per “advertising basato sulle condizioni ambientali”. Il documento relativo al brevetto recita: “Un web browser o un motore di ricerca localizzato dove si trova l’utente potrebbe ottenere informazioni dai sensori sull’ambiente (es. temperatura, umidità, luce, suono, composizione dell’aria). Gli inserzionisti potrebbero specificare che gli annunci vengano mostrati agli utenti in ambienti che corrispondono a certi criteri.”
I fattori ambientali, inoltre, potrebbero essere utilizzati sia in modo indipendente che integrati con altre informazioni come la ricerca per parole chiave.
Tra gli esempi di applicazioni di questa tipologia di tecnologia, Google inserisce: l’invio di ads sui condizionatori d’aria a persone in ambienti con temperatura al di sopra di quella stabilità dall’inserzionista o di spot su abbigliamento pesante quando la temperatura è, al contrario, molto bassa. Il nuovo brevetto potrebbe utilizzare il rilevamento del rumore del traffico e la posizione dell’utente per inviare ads di servizi informativi sulla viabilità stradale. O dal rumore ambientale di uno stadio, il sistema potrebbe dedurre, in base all’elenco degli eventi in corso, di quale sport si tratti ed inviare ads interessanti per un fan dello stesso.
Le applicazioni possibili sono davvero molte e puntano essenzialmente a utilizzare in modo integrato le informazione ricavate dall’ambiente e dall’utilizzo dei device da parte degli utenti per offrire servi di adversiting più soddisfacenti e targettizzati per gli inserzionisti ed utili per i consumatori.
Via Tech Economy
Il mercato pubblicitario britannico si sposta su tablet e cellulari. I dati riguardanti il 2011 parlano chiaro: l’adv mobile ha fruttato 203 milioni di sterline, crescendo del 157% rispetto all’anno precedente. Lo dicono i dati di Iab Uk.
Superata la fatidica quota dei duecento milioni, il settore sembra godere di ottima salute e non patire i venti di crisi che nell’ultimo triennio hanno prostrato prima la stampa, poi gli altri media.
L’esplosione dei tablet e la penetrazione sempre maggiore degli smartphone, con l’incremento dell’accesso a internet in mobilità e la diffusione delle app aziendali, hanno rapidamente incrementato il valore della pubblicità mobile. La spesa delle compagnie nel settore è quintuplicata dal 2008 a oggi, e il trend positivo dovrebbe continuare nel prossimo triennio.
Via Quo Media
La Internet economy fondata su smartphone, tablet, app, social network, video online e connected tv apre uno spiraglio di luce in un momento di crisi dei media tradizionali.
Secondo la ricerca presentata questa mattina dall’Osservatorio new media & new Internet della School of Management del Politecnico di Milano, raddoppia la pubblicità sui social network (che in Italia contano quasi 24 milioni di utenti) e crescono del 130% i ricavi generati dalle app.
Segno positivo anche per la pubblicità sui video online che registra un aumento dell’80%. Il 73% dei navigatori italiani – quasi 20 milioni – fruisce di contenuti video online e spende mediamente 1 ora e 12 minuti al mese, il 2,5% del tempo totale trascorso sul web contro il 6% degli utenti americani.
Crescono sul fronte advertising le new tv (del 23%) ma cala la raccolta pubblicitaria delle tv tradizionali (8%) e di stampa e radio (di oltre il 5%).
In aumento la raccolta pubblicitaria su smartphone e tablet, rispettivamente del 70% e del 110%. La possibilità di vendere contenuti in una logica multi-piattaforma sta facilitando lo sviluppo dei ricavi pay nel mondo del nuovo Internet, secondo lo studio.
“La sfida che le media company si trovano di fronte è estremamente complessa. Molteplici sono i cambiamenti organizzativi e culturali che gli editori devono affrontare”, secondo Giovanni Toletti, responsabile della ricerca che indica una ricetta sintetizzabile in cinque punti.
“Maggiore integrazione strategica e organizzativa, maggior focus sul consumatore digitale e sulla sua user experience multicanale, nuove competenze e rete di collaborazioni, diverso approccio al mercato e più creatività nello sviluppo di prodotti e servizi”.
via Tech Economy
Di Admin (del 19/03/2012 @ 07:16:57, in Internet, linkato 3136 volte)
Prendi dei blogger/falli parlare. È l’idea venuta a Chrysler, che sta ancora cercando di tamponare i danni della sua ultima campagna, la Chrysler’s “Blogger Faceoff” competition, un concorso che, a quanto pare, ha fatto più male che bene all’immagine del colosso automobilistico statunitense.
Succede che all’inizio di marzo, Chrysler assolda cinque mamme-blogger e altrettanti blogger patiti dei motori, chiedendo loro di dedicare un post sui grandi temi del nostro tempo: Come tenere occupati i bimbi durante i lunghi viaggi in auto? Cos’è per te il lusso? – e via discorrendo. I lettori devono votare il post più bello: i vincitori, uno per categoria, si sarebbero aggiudicati un viaggio a New York del valore di 9.500 dollari, più un iPad da mettere in palio come give away. Questo per incentivare l’azione non solo dei blogger, ma anche dei loro lettori. Insomma: tutto pensato a puntino per incrementare il traffico e generare conversazione attorno al brand. A organizzare la campagna c’è l’agenzia di PR Ignite Social Media, che ha pensato a tutto: reclutare i blogger, definire i premi e stabilire le regole del concorso, che di per sé erano anche fin troppo semplici: ogni lettore poteva votare una volta al giorno il proprio post preferito.
Ora, lasciamo per un attimo da parte i patiti dei motori e concentriamoci sulle mamme blogger che, forse, hanno un tantino preso a cuore la faccenda. Complice un regolamento poco chiaro, le partecipanti non si sono limitate a chiedere ai propri lettori di votare, ma hanno divulgato un vero e proprio piano di guerra: votami da più pc! Votami da indirizzi ip diversi! Votami da differenti browser! Votami da tutti i computer che riesci a trovare! Quando poi hanno esaurito trucchi e consigli, hanno cominciato a votarsi contro, accusandosi vicendevolmente di barare e scatenando una specie di piazzata virtuale con esiti veramente molto poco materni.
Che colpa ne ha Chrysler in tutto questo? Ovviamente nessuna, ma tutto questo gran litigare sul Web sotto il logo dell’azienda di certo non ha fatto bene all’immagine del marchio. Né alla reputazione di Ignite Social Media, che ben presto ha perso il controllo della situazione, arrivando a prendere una decisione poco diplomatica: squalificare una delle concorrenti, perché accusata dalle altre di aver votato da più indirizzi mail creati appositamente per l’occasione. La notizia della squalifica di mamma Kristine ha destato scalpore tra tutti coloro che seguivano il concorso e, in particolare, un blogger amico di una delle partecipanti ha pubblicamente accusato Ignite di non saper gestire una campagna. Provocazione alla quale il presidente dell’agenzia ha risposto commentando il post di Avitable, annunciando l’intenzione di regalare a ciascuno dei partecipanti – anche ai cinque blogger patiti di motori, che pare abbiano svolto il loro concorso senza intoppi – un iPad o 500 dollari da destinare in beneficienza. Una mossa generosa, forse. Ma, più probabilmente, un disperato tentativo di salvare capra e cavoli e fare tutti contenti per non creare altri scandali. Il tutto – ricordiamocelo – comunicato nei commenti di un blog che nemmeno faceva parte del concorso.
Susan Getgood, esperta di digital marketing, ha commentato la faccenda in termini molto duri:
“Il mio consiglio: state alla larga da questo tipo di eventi. Non importa quanto suonino bene nei brainstormng. C’è una ragione per cui abbiamo le leggi elettorali e misure di protezione per prevenire i brogli. Fino a quando non puoi prevenire i brogli, o anche solo la loro ombra, impiega in altro modo le tue risorse per il marketing”.
E anche Deb Rox, rincara la dose e se la prende con l’agenzia, colpevole – a suo dire – di aver fallito nel relazionarsi con i blogger:
“Un sacco di blogger trasaliscono quando le cattive idee sono finanziate con fior fior di soldi verso team di lavoro che perdono completamente di vista il vero potenziale che viene dalla partecipazione. Questo scarso rispetto del capitale creativo sta all’opposto del creare relazioni, e genera imbarazzo quando queste campagne mal generate falliscono”.
Lesson Learned: Come scrive Deb Rox – Costruite relazioni con la community e passatela attentamente al vaglio tutte le volte che decidete di coinvolgerla, perché saranno queste persone ad avere il potere di creare una campagna vincente o fallimentare. Pianificate attentamente le vostre campagne, cercando di prevedere i punti critici e monitoratela attentamente, per gestire al meglio eventuali crisi.
Via Tech Economy
Per la prima volta l'anno prossimo gli investimenti sull'online supereranno quella su carta stampata. La previsione è di Aegis Group secondo cui il mercato della pubblicità, online e giornali, salirà del 5,8% rispetto al 6% del 2012. "La carta stampata – ha dichiarato Jerry Buhlmann di Aegis al Financial Times – mostra progressi principalmente nei paesi in emergenti e in forte crescita come Cina e India".
Nei mercato più maturi, in Europa in particolare, Aegis ha dimezzato le previsioni di crescita degli investimenti pubblicitari (+1,5%), ridotti a un terzo le stime per gli Stati Uniti (5%).
Diverso il discorso per la televisione che continua a recitare la parte del leone mettendo a segno una crescita del 5,5% quest'anno, sempre secondo Aegis, e del 5,3 nel 2013. La tv raccoglie ancora oggi il 51% degli investimenti pubblicitari, mentre si è notevolmente ridotto lo scarto nei confronti dei quotidiani, che rappresentano una fetta pari al 16% del totale.
Via Quo Media
Una FanPage con centinaia di migliaia di “Like” fa sempre la sua porca figura, niente da dire. Quando poi gli utenti interagiscono tra di loro, discutono attorno al prodotto e sono estremamente attivi su ogni aggiornamento verrebbe voglia di fare una telefonata al Community Manager per complimentarsi con lui e magari scroccargli qualche trucco del mestiere.
Già. Ma cosa si nasconde dietro quella vagonata di fan? Reali estimatori del nostro prodotto, che non vedono l’ora di dimostrarci tutto il loro amore a mezzo Facebook, o una mera compravendita di Like, affiliazioni e commenti?
Poco meno di un mese fa, due blogger francesi hanno pizzicato Orangina a fare proprio questo: comprare pacchetti di fan per rimpolpare un po’ i numeri e il traffico sulla FanPage. Orangina, la nota bibita a base di agrumi, vanta oltre 350.000 fan sulla propria vetrina su Facebook: un grande numero di persone che apprezzano, commentano e discutono – talvolta animatamente – ogni singolo contenuto postato sulla pagina.
Ma qualcosa non ha convinto Julien e Arnaud e – come loro stessi raccontano nel loro post – hanno cominciato a pedinare virtualmente alcuni dei fan più assidui della bibita. Scoprendo che, in realtà, la maggior parte erano… finti. Profili credibili di persone inesistenti, nati con un unico scopo: piazzare quanti più like e commenti possibili, per aumentare il traffico e la visibilità della FanPage.
Come se ne sono accorti? I seguaci “sospetti” avevano pochissimi amici, quasi tutti condividevano il Like sulla stessa FanPage e soprattutto, non facevano che parlare della bevanda e condividere contenuti di Orangina. Per quanto un consumatore possa amare una bibita, tutto ciò suonerebbe abbastanza ossessivo se si riferisse veramente a una persona in carne e ossa, no? L’indagine di Julien e Arnaud ha scatenato parecchio rumore e, in men che non si dica, sono stati contattati da Orangina in persona. I vertici del brand si sono detti estranei a qualsiasi tipo di pratica scorretta e hanno dichiarato che i “giochi sporchi” sono stati fatti alle loro spalle.
In seguito a questo episodio, l’attività della FanPage si è drasticamente ridotta: non tanto nei Like e nei commenti, ma piuttosto dal punto di vista della pubblicazione di nuovi contenuti, che hanno cominciato a essere sempre più sporadici, per non dire inesistenti. In pratica sulla FanPage di Orangina sta cominciando a crescerci l’edera.
La discussione sulla compravendita di social fan, comunque, è uno dei temi caldi del Web. In molti casi, nasce anche dalla curiosità di capire come funziona questa fetta di mercato: dalle net farm cinesi e indiane – vere e proprie fabbriche dove si producono finti account su misura per ogni social – fino a cercare di capire la reale domanda di chi sceglie di comprarsi dei seguaci anziché conquistarseli.
Nel suo blog, Paolo Ratto riporta l’intervista al responsabile marketing di una di queste aziende che, attraverso un raffinato circuito di “utenti reali”, vende pacchetti di fan su misura per l’esigenza del cliente. Cliente che, sempre più spesso, è interessato a ravvivare un po’ il traffico e la discussione attorno al proprio brand in ottica di investimenti futuri.
Eppure, nonostante la vita del finto fan possa anche nascondere una certa dose di divertimento, tra i tanti addetti ai lavori, c’è anche chi sostiene che “comprare fan al chilo” serva a poco quando l’obiettivo è una promozione sana ed efficiente del proprio brand.
E il caso di Orangina, forse, ne è la prova.
Via Tech Economy
Il web 2.0 mancava di un network dedicato alle famiglie. Con questo target è nato Save the mom, primo sito social dedicato a mamme e papà alle prese con la gestione della casa, dei figli e del lavoro.
Save the mom è pensato per legami familiari o di amicizia stretta, esclusivi, e riproduce una rete chiusa che si scambia messaggi in bacheca, condivide un’agenda di appuntamenti, la lista della spesa e mostra i diversi check-in per visualizzare costantemente gli spostamenti dei membri della famiglia.
Al centro del network c’è al solito la mamma, ma il sito, essendo perfettamente interattivo, permette di facilitare la collaborazione tra familiari, papà e figli su tutti, ma anche nonni, baby-sitter e badanti.
Via Quo Media
Secondo un rumor che sta facendo il giro della rete, Twitter starebbe pianificando grandi cambiamenti per le Brand Page, introdotte a dicembre. Secondo Advertising Age, che menziona tre manager ben informati dei fatti, la società vorrebbe arricchire l’esperienza dei brand integrando numerose funzioni alle pagine, tra cui: e-commerce, concorsi e lotterie.
Nessuna data è stata fissata, ma Twitter starebbe avvertendo gli inserzionisti di aspettarsi novità entro l’anno. L’azienda si è rifiutata di rilasciare commenti.
L’aggiunta di funzioni alle brand page rappresenterebbe l’evoluzione naturale per un prodotto promozionale che al momento offre poche possibilità e servizi agli inserzionisti.
Anziende del calibro di Nike, American Express e McDonald sono state tra le prime a sperimentare le nuove pagine dedicate ai brand; a gennaio molte altre società hanno avuto accesso al servizio impegnandosi a spendere almeno 25000 dollari in advertising; ma molti manager sono scettici sull’utilità delle pagine nel loro presente formato. Le novità potrebbe cambiare la situazione aggiungendo nuovi servizi e formati e una maggiore possibilità di personalizzare l’esperienza del brand.
Particolarmente intrigante sarebbe la possibile trasformazione o integrazione nelle brand page, e più in generale in Twitter, di una una piattaforma di e-commerce.
Via Tech Economy
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