Questo post parte dalla lettura di un articolo di Repubblica.it, dove si riportavano dei dati Nielsen che segnalano il sorpasso dei social media (301,5 milioni di frequentatori ad agosto) rispetto alle email (276,9 milioni).
Un dato sicuramente rilevante, tanto più che i social media non sono una semplice modalità push come le mail: i miei follower infatti sono aggiornati delle mie attività e di quelle dei miei contatti anche senza un invio da parte mia di un messaggio individuale.
Questa caratteristica è un’ottima possibilità per comunicare ma nasconde un problema: il rumore.
Ne ho scritto un po’ di tempo fa, davanti alla quantità enorme di messaggi che riceviamo, quanto ancora la nostra mente e la nostra attenzione saranno in grado di gestire questo bombardamento? Non c’è troppo chiasso?
Di sicuro è impossibile limitare l’espressione di ciascuno, anche perché nel totale di questi scambi c’è sempre una parte di contenuti che ci interessano.
Fermarsi all’uso di un solo strumento poi sembra piuttosto difficile perché, a parte forse Facebook, ogni social media ha una sua specializzazione (messaggio di testo, foto, video etc.).
Per questo motivo lo stesso Google Wave, che sto testando con grande interesse, potrebbe non essere ancora la risposta, pur offrendo un bellissimo (e non immediato) ambiente di comunicazione e condivisione utile per l’enterprise 2.0.
Forse allora la soluzione sta in qualcosa che ancora non esiste, un web semantico in grado di farci avere, o creare, dei filtri che ci permettano in modo intelligente e dinamico di trovare quello che cerchiamo nel flusso di comunicazione, come per le merci della coda lunga.
immagine tratta da http://blogs.nesta.org.uk/
Voi che ne dite? E’ solo un problema di organizzazione e gestione dei contatti o anche secondo voi il prossimo futuro ci riserva dei nuovi strumenti di comunicazione, che siano una sintesi di ciò che già oggi esiste?
Quasi la metà degli internauti europei abbandonano una ricerca su Google e affini se non riescono a trovare quel che cercano tra i primi dieci risultati dell’interrogazione.
Il 70% dei navigatori abbandona dopo venti risultati. Il rapporto di Iab Europe e InSites Consultancy mostra l’impazienza degli utenti web, nonché una certa incapacità nell’usare i motori di ricerca, spesso interrogati con termini e modi troppo generici.
Facebook è una vera e propria mania per gli adolescenti italiani. E' uno degli aspetti emersi dall'indagine su 'Abitudini e Stili di vita degli adolescenti', della Società italiana di Pediatria. I giovani internauti dello Stivale presidiano il social network più gettonato del momento per trovare più amici possibile, anche pescando fra gli sconosciuti, a patto "che siano fighi".
Ad avere un profilo su Facebook è il 50% degli adolescenti italiani. La percentuale cresce leggermente se prendono in considerazione solo ragazze (53%) e ad aggiungersi al popolo già attivo sarà un ulteriore 17%.
L'attività di social networking si iscrive in un più ampio contesto, all'interno del quale il 97% del campione analizzato ha un computer in casa (il 16% ne ha addirittura più di due) il 51% (55% delle femmine) si collega tutti i giorni a internet e il 16,7% lo fa per più di 3 ore al giorno. Chat e messenger sono utilizzati da oltre il 75% degli adolescenti e circa l’80% è abituale frequentatore di YouTube (il 22% ha già inviato un suo filmato). Il 41% ha un suo blog, nel quale inserisce prevalentemente foto e musica (e le femmine, molto più dei maschi, inseriscono anche proprie riflessioni sulla famiglia, le amicizie, l’amore).
Il computer è, inoltre, diventato sempre più 'personal': oltre il 54% lo ha nella propria camera e il 21,7% naviga in internet la sera tardi prima di addormentarsi. “Un aspetto - sottolinea Giorgio Rondini dell’Università di Pavia, già Presidente della Società Italiana di Pediatria e ideatore, con Gian Paolo Salvioli e Maurizio Tucci , dell’indagine SIP sugli adolescenti - che evidenzia come i ragazzi siano sempre più autonomi, e probabilmente poco controllati, nella navigazione in internet".
I consigli degli amici guidano anche le scelte online. Soprattutto perché gli amici online sono i propri contatti sui social network e nelle piattaforme di shopping comparison.
Una spesso menzionata ricerca Eurisko New Media del 2007 prevedeva - o, meglio, interpretava segnali più che presenti già allora nel Web – lo sviluppo del web 2.0 e l'importanza dello user-generated content e lamentava di conseguenza il ritardo del commercio elettronico ed in particolare dei siti italiani su questo fronte.
La mancanza di apertura ai commenti degli utenti nonchè ad ulteriori tratti partecipativi è senz'altro ancor oggi presente sul mercato italiano nonostante alcune lodevoli e ben articolate eccezioni, Internet Bookshop in primis.
La dimensione sociale non è invece nuova nell'e-commerce mondiale e sicuramente lo strumento delle "recommendations" è stato una delle chiavi del successo di Amazon: la capacità di strutturare delle relazioni di interesse che incrocino il comportamento degli utenti è nata da una tecnologia del sito americano che si è poi tradotta, al di là di tale sito, in più forme in funzionalità presenti nelle piattaforme social di oggi (fra queste, i video, gli articoli e gli elementi correlati).
In un tempo in cui l'advocacy (ovvero l'incidenza sul comportamento di acquisto dell'utente dei suggerimenti da parte dei contatti personali) rappresenta uno dei fattori determinanti della scelta a fronte di un panorama informativo sempre più complesso, adottare tecnologie di questo tipo (chiamate a volte di "behavioural merchandising") è quanto mai interessante e utile e consente non solo un'ottima gestione dei percorsi di navigazione e comparazione degli utenti, ma anche un'effettiva leva di incremento del tasso di conversione acquisti / visite.
Le recommendations costituiscono poi un buon elemento con il quale presentare i propri prodotti esternamente al sito: consentire ai propri utenti la condivisione di shopping-list sui social network o su ulteriori piattaforme partecipative è senz'altro un modo intelligente per promuovere il proprio brand e porre le basi per attivare iniziative di marketing virale. Tutto questo oltre a una presenza che rispetti l'aggiornamento delle informazioni sui propri servizi e la rappresentazione dei valori della propria marca e che soprattutto sappia sfruttare, con un approccio multi-piattaforma, le tecniche promozionali con cui si coglieranno i momenti clou dell'anno.
Uno step successivo sotto questo profilo è dato dall'utilizzo dei siti di social bookmarking evoluti come gli americani Shopstyle e Kaboodle che consentono all'utente di condividere le proprie preferenze e costituire reti sociali di commento e community basati su prodotti e brand. Su tali piattaforme sarà interessante, quando verranno localizzate in Italia, capire come interagire oltre ad un classico approccio di advertising targetizzato.
La dimensione sociale non termina però qui: e non potrebbe visto il suo essere al centro dell'evoluzione di Internet stessa. Anzi, l'annuncio di Google di includere nella propria universal search i contenuti presenti nelle piattaforme di microblogging come Twitter fa presagire un ruolo sempre più consistente della presenza in tali ambiti ai fini del posizionamento naturale e certamente è tutto da monitorare il ruolo che Facebook da un lato e Bing dall'altro si apprestano a giocare sul fronte della social search e del web semantico, sempre meno legato ad algoritmi automatici e sempre più pensati per tenere in considerazione i suggerimenti degli utenti ed il traffico effettivo dei siti. Web semantico che Google stessa contribuisce a rendere più importante grazie a funzionalità come SearchWiki.
I segnali ed i nuovi sviluppi verso un vero e proprio "social commerce" sono sotto gli occhi di tutti dunque e dinamici come non mai proprio in queste settimane: l'inclusione in eBay di annunci gratuiti, il successo di operatori attivi nella pubblicità classificata come Subito e Bakeca, la nascita (o per meglio dire la rinascita dopo i tentativi di inizio secolo) dei gruppi di acquisti e dei siti di opinioni personali, il continuo prevalere infine della dimensione della popolarità all'interno dei comparatori di prezzo dimostra come ci sia sempre di più l'utente al centro delle dinamiche che sottendono allo shopping online.
Al manager innovativo sta conoscere pertanto il suo utente e saperne catturare l'attenzione e guidare il percorso verso un sentiero di soddisfazione e di conseguente e parallelo successo per l'attività di e-commerce.
Un mercato da due miliardi di download quello dell'App Store, negozio di applicazioni dedicate a iPhone e iPod Touch, che è stato definito dal Financial Times l'intuizione più geniale della casa della Mela. L'articolo della testata britannica racconta come inizialmente il progetto non fosse stato identificato come rivoluzionario dalle parti di Cupertino, che aveva puntato tutto sulla commercializzazione dello smartphone. I due prodotti, iPhone e negozio online di applicazioni, si sono invece immediatamente rivelati vincenti in quanto binomio, come accaduto in precedenza per iPod e iTunes.
Lo store ha da una parte sostenuto le vendite dei dispositivi collegati, iPhone e iPod Touch, volate a quota 50 milioni e dall'altra generato un redditizio contesto capace di ospitare 10.000 applicazioni installate dagli utenti al ritmo di dieci ogni mese.
La ricetta del successo è di facile intuizione. L'application store trasforma innanzitutto l'iPhone in una miniera d'oro per la Apple: la spesa iniziale per acquistare il dispositivo è solo un punto di partenza, dopo il quale il cliente si lancia in una serie di download, in alcuni casi gratuiti, per potenziare il proprio gioiellino.
Gli utenti più 'smanettoni', come si dice in gergo, da acquirenti passivi possono inoltre trasformarsi in sviluppatori attivi e dare il loro contributo alla causa, percependo introiti sui prodotti che mettono in vendita. Allo stesso modo, marchi di ogni genere possono sfruttare la piattaforma per fidelizzare la clientela offrendo contenuti aggiuntivi. A trarre particolare beneficio dall'opzione, offerta anche da altri produttori di dispostivi mobili, il mondo dell'informazione, che ha trovato nella vendita di applicazioni uno dei modi più rapidi ed efficaci per monetizzare la propria attività online.
Un'isola felice, insomma, che fa contenti tutti e all'interno della quale si generano realtà imprenditoriali di successo. E' il caso del produttore Tapulous, ad esempio, che ha annunciato che le sue vendite si sono avvicinate alla cifra di 1 milione di dollari al mese. La start-up, che conta appena 20 dipendenti, ha reso noto che la serie di giochi 'Tap Tap Revenge' è stata installata 20 milioni di volte, con oltre 600 milioni di giochi giocati.
Chi sostiene che chi progetta social network non si riesca a guadagnare dovrà ricredersi. Infatti, Twitter, uno dei sistemi più in auge in questo periodo, ha dichiarato a Bloomberg che già dal 2009 il proprio business è profittevole. Il servizio creato da Jack Dorsey, Evan Williams e Biz Stone, rispettivamente @jack, @ev e @biz in termini di utenti da "seguire", ha raggiunto e superato il pareggio economico con revenue pari a 25 miliondi di dollari.
Grazie agli investimenti dei motori di ricerca, Google con 15 milioni di dollari e di Microsoft attraverso Bing con 10, Twitter può dichiarare di essere già in fase di guadagno senza ricorrere alla pubblicità. Twitter, inoltre, non ha nessuna intenzione di fermarsi. Dopo aver ceduto le informazioni sulle attività in tempo reale dei propri utenti ai motori di ricerca, sta agendo in due direzioni. La prima, ovvia, è il ricorso alla pubblicità legata alle pagine del proprio servizio. La seconda, meno scontata e più complessa, è vendere i servizi alle grandi aziende.
Twitter, quindi, vuole diventare un'azienda che riesce a crescere in modo sostenibile. Anche aumentando il numero di utenti che oggi sono stimanti intorno ai 20 milioni.
L'Italia del business si destreggia abilmente fra file e megabyte. E' quanto emerso dai dati Istat, secondo i quali a a gennaio 2009, il 96,2% delle imprese usava il computer, il 93,9% era connessa a internet.
L'83% % delle aziende, in particolare, adopera la connessione a banda larga. Secondo l'istituto di statistica “la diffusione delle tecnologie informatiche di base nelle imprese è ormai prossima alla saturazione”. Diverso il discorso per le tecnologie più complesse e innovative: “Un’impresa su cinque - spiega l’Istat - ha utilizzato la connessione mobile; l’impiego delle reti ha interessato mediamente il 21,9% delle imprese per quelle Intranet ed il 15 per cento per le Extranet; i sistemi operativi open source sono stati utilizzati dal 13,1 per cento delle imprese, mentre la firma digitale è stata impiegata dal 20,2 per cento delle unità”.
Ogni medaglia ha tuttavia il suo rovescio: solo un’impresa su tre ha effettuato acquisti in rete, rispetto ad appena il 5,5% impegnato nelle vendite on-line. Anche se praticamente tutte le aziende adoperano computer, solo metà del personale svolge il suo lavoro con il pc, mentre un impiegato su tre usa computer connessi ad internet.
L’utilizzo delle tecnologie informatiche è fortemente differenziato per settore di attività economica: settori tipicamente ad alta intensità tecnologica dei servizi, quali le telecomunicazioni e l’informatica, come pure i servizi monetari e finanziari, raggiungono valori tra il 96 e il 99% della quota di addetti che utilizzano computer. Su livelli inferiori si collocano, invece, il settore delle costruzioni (26,5%), quello tessile e conciario (29%) e i servizi di alloggio e ristorazione (24,4%).
La connessione a internet è largamente presente su tutto il territorio nazionale, con differenze contenute tra il 96,3% del Nord-ovest e il 90,4% del Mezzogiorno. Anche con riguardo alla dimensione d’impresa non ci sono grandi differenze (93,3% per le imprese da 10 a 49 addetti e 99,8% per quelle con almeno 250 addetti). Ancora tre imprese su dieci utilizzano una connessione ad Internet poco veloce (modem o Isdn), pur in presenza di una predominanza delle connessioni veloci in banda larga (79,6%).
Hanno un proprio sito web, riferisce ancora l’Istat, sei imprese su dieci, con incidenze molto più elevate per quelle di maggiori dimensioni. Nel Nord circa il 64% delle imprese è presente nel web con un proprio sito, il 55,3% nel Centro e il 49,3% nel Sud e Isole Per quanto riguarda infine il commercio elettronico, l’Istat riferisce che a fine 2008 il 32,4% delle imprese ha effettuato acquisti online; le vendite hanno invece coinvolto il 5,5% delle imprese con almeno 10 addetti, per un valore complessivo pari al 3,5% del fatturato totale. Il 78,2% delle imprese che nel 2008 non hanno effettuato vendite on-line segnala, tra i maggiori ostacoli alla diffusione del commercio elettronico, la non adattabilità del prodotto o servizio offerto.