Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
Si naviga sempre più attraverso i dispositivi mobili: tablet e cellulari di ultima generazione raccolgono ormai il 20% del traffico web mondiale (+30% rispetto a dodici mesi fa). Viceversa, i personal computer perdono terreno e si attestano al 73% del traffico (-10% su base annua).
Nel dettaglio, stando ai dati della ricerca di GfK, gli smartphone possono contare sul 17% del tempo speso su internet in tutto il globo, mentre i pc a tavoletta arrivano al 6%. Con quistano terreno anche le tv connesse, con il 4% del traffico.
Via Quo Media
Quasi due terzi del consumo di video da mobile phone avviene a casa, almeno stando ad una ricerca dell’Interactive Advertising Bureau (IAB).
Il 63% del consumo di video digitali risulta, infatti, verificarsi tra le pareti domestiche e non in mobilità. Circa un terzo (36%) di questo consumo avviene in stanze dove è in un uso un altro device (second screen). Dati che rappresentano, secondo gli analisti, una grossa opportunità per l’advertising cross-media, attraverso la creazione di legami pubblicitari tra I contenuti presenti sui due dispositivi (es. spot televisivi legati a contenuti aggiuntivi da visualizzare sullo smartphone).
Opportunità accresciute dalla forte abitudine alla socializzazione dei consumatori. La ricerca ha, infatti, riscontrato che il 92% degli utenti condivide le clip video visualizzate da mobile con amici e conoscenti. Ciò potrebbe favorire la viralità dei mobile spot.
Per quanto riguarda le tipologie di contenuti video maggiormente consumate da mobile, lo studio conferma tendenze già note: video musicali (45%), trailer cinematografici (42%), Tutorials/How-To (41%), e brevi video divertenti (37%). La tipologia di video influisce anche sul grado di condivisione. I brevi video divertenti risultano i più socializzati (66%), seguiti dai video musicali (52%).
Le piattaforme mobili risultano, inoltre, un contesto particolarmente favorevole all’advertising. Il 53% degli utenti dichiara una propensione positiva o neutrale verso il mobile video advertising e risulta elevato il tasso di recall (44%), in particolare per gli spot brevi da 10-15 secondi. Quasi la metà (48%) degli utenti preferisce, però, contenuti pubblicitari connessi ai video che sta consumando.
David Levin, responsabile Creative & Technology per 360i, ha commentato i risultati dichiarando: “La pubblicità video su smartphone offre ad agenzie e brand un’opportunità unica per connettersi intimamente con i consumatori sui dispositivi particolarmente adatti alla narrazione interattiva. Ma prima dobbiamo vedere il mobile come schermo primario per il consumo on-demand, non come un ripiego”.
Via Quo Media
Gli smartphone di ultima generazione, sempre connessi in rete, arrivano al 27,7% di utenza, percentuale che sale al 54,8% tra i giovani, con un incremento del 10% in un anno. Quasi la metà della popolazione (il 47,4%, percentuale che sale al 62,9% tra i diplomati e i laureati) utilizza almeno un social network.
E le applicazioni del web permeano ormai ogni aspetto della nostra vita quotidiana: si usano per trovare una strada (lo fa con il pc o lo smartphone il 37,6% delle persone con accesso alla rete, una quota che sale al 55,2% tra i piu' istruiti), per effettuare operazioni bancarie (rispettivamente, il 25,6% e il 41,2%), fare acquisti (rispettivamente, il 19,3% e il 28,1%), prenotare viaggi (15,9% e 26,2%), cercare lavoro (11,8% e 18,4%), sbrigare pratiche con uffici (9,6% e 14,1%), prenotare una visita medica (6,6% e 8,5%).
Via Quo Media
Le testate di tutto il mondo tentano di utilizzare i social media per conquistare nuovi lettori, in particolar modo i più giovani, o quanto meno mantenere gli attuali. The New York Times ha pensato, però, bene di creare il proprio social media, Compendium.
Un ibrido a metà tra Storify e Pinterest, per i contenuti del newspaper creato dai New York Times Research & Development Labs.
Gli utenti possono iscriversi tramite l’account Facebook o Twitter. A quel punto, una volta aggiunto ai segnalibri il servizio, è possibile creare collezioni di articoli, video, fotografie o citazioni dalla testata in modo semplice tramite una finestra pop up; dopo di che condividere le collezioni con chi si vuole.
Resta da vedere se Compendium riuscirà a conquistare i lettori, vista la forte limitazione posta dal non poter condividere contenuti diversi da quelli del newspaper. In ogni caso, potrebbe rivelarsi un simpatico modo per archiviare e conservare i contenuti del giornale, soprattutto per i lettori più assidui e per gli abbonati digitali con accesso agli interi archivi della testata. O un modo alternativo per riscoprire diversamente contenuti, viste le collezioni già create da membri della redazione.
Via Tech Economy
L’Apple Store genera un fatturato molto maggiore ma Google Play crescerebbe molto più velocemente. Questi i dati di un report della società di ricerca App Annie Intelligence, immediatamente contestato dalla azienda di Cupertino.
Lo store digitale di Apple generebbe un volume di fatturato 4 volte superiore a quello del concorrente, ma non avrebbe un tasso di crescita molto forte (+12.9% annuale nel 2012); mentre il rivale Google Play sarebbe in fase di forte espansione (+311%).
La tendenza sarebbe simile anche se si guarda al numero di app scaricate. Apple, al momento, sarebbe ancora in vantaggio (10% in più di download), ma Google crescerebbe più rapidamente. Il download di app Android sarebbe, infatti, incrementato del 48%; contro il 3.3% registrato per la piattaforma rivale.
Bertrand Schmitt, CEO di App Annie, spiega: il “divario tra i ricavi globali tra iOS e Google Play è ancora lì, ma il divario si sta restringendo ogni mese, creando maggiori opportunità per gli editori di generare una crescita significativa delle entrate in diversi paesi su Google Play .”
I fatturati delle due piattaforme arrivano, infatti, da paesi diversi; riflettendo una diversa distribuzione dei device e abitudini differenti di consumo.
Apple ha però contestato i dati della società di ricerca sostenendo che la crescita è stata ben più sostenuta e pari al 200% in un anno. Venturebeat, dopo essere stato contattato dalla compagnai californiana, ha fatto qualche calcolo, basandosi sui dati rilasciati dalla società sui pagamenti agli sviluppatori. La progressione storica sembra realmente indicare una crescita maggiore.
Via Tech Economy
L’11% dei consumatori digitali italiani (1.5 milioni), addirittura, pianifica di utilizzare soltanto, o almeno preferenzialmente, la rete per gli acquisti di Natale.
Dato positivo anche per quanto riguarda il volume: il 34.5% dei consumatori digitali dichiara che acquisterà più regali dell’anno scorso anche se il 24.1% ne effettuerà di meno. Gli utenti italiani sembrasi sentano più sicuri rispetto agli acquisti online. Si riducono, infatti, gli indecisi, dal 41.6% nel 2011 al 24.1% nel 2012.
Roberto Liscia, presidente di Netcomm, commenta i risultati dichiarando: “In uno scenario economico stagnante, il 2012 si è caratterizzato come un anno di forte crescita dell’e-commerce … Per avere un’idea del mercato di riferimento basti pensare che in Italia gli utenti Internet attivi hanno superato la quota dei 28 milioni. Tra questi, il 42% – 12 milioni di individui – ha fatto un acquisto online almeno 1 volta negli ultimi 3 mesi e il loro numero è aumentato del 25% rispetto allo scorso anno… La crescita di acquirenti si riflette anche nei volumi di vendita che quest’anno dovrebbero ampiamente superare i 10 miliardi di euro: secondo l’Osservatorio CartaSì la crescita del valore delle transazioni online nel 2012 è superiore di oltre il 15% rispetto all’anno scorso”.
Via Tech Economy
Meno anarchia e più precisione, così comincia la nuova stagione di Twitter, che per aggiornarsi e proporsi come social network sempre più professionale ha deciso di riscrivere alcuni passaggi del proprio regolamento. Tra questi, quello che definisce la ‘proprietà’ dei messaggi. Il micro-blog, al punto 5 dei termini del servizio, ribadisce la propria libertà di utilizzo dei tweet scritti dagli utenti.
La questione è delicata e la prolissità con cui il fondatore Jack Dorsey spiega le nuove norme è eloquente: serve più ordine per rendere Twitter profittevole: “Twitter dispone di un insieme di regole in continuo aggiornamento che definiscono il modo in cui l'ecosistema dei propri partner possa interagire con i contenuti dell'utente. Ciò che è dell'utente resta dell'utente”, dicono dalla compagnia, ma in sostanza nessun ‘proprietario’ può bloccare l’uso dei tweet da parte del social network, anche per scopi commerciali.
I messaggi diventano sempre più crogiolo di informazioni (ri)vendibili, tanto che Twitter sta progettando un archivio storico ti tutto il twittato, così da definire meglio trend e argomenti più dibattuti (e, ancora, monetizzare queste ricerche). Il problema della proprietà e del riutilizzo dei contenuti è già stato affrontato da Facebook e YouTube: la net economy nasce come divertimento, cresce diventando un fenomeno e finisce per divenire un’impresa adulta. Poi, o arrivano introiti veri, oppure ci si spegne. E’ il mercato (web), bellezza.
Via Quo Media
Da due settimane è online il sito di PitstopAdvisor che permette di trovare officine di auto e moto sull’intero territorio nazionale, e dove gli utenti sono parte attiva del sistema analizzando o redigendo recensioni sui singoli punti vendita.
La piattaforma di PitstopAdvisor presenta dinamiche nei servizi e nella partecipazione degli utenti, che ricalcano per certi versi quelli di TripAdvisor, il più noto dei portali “social” per il turismo; ma nel caso di PitstopAdvisor l’idea è tutta italiana. Il progetto è nato dall’idea di Elena Giaveri, laureata in moda all’Istituto Europeo di Design, assieme all’amica Graziella Carta, laureata in economia all’Università di Milano-Bicocca; arrivando a realizzare un sito web ispirato proprio alle bacheche dove vengono pubblicate le recensioni degli alberghi.
In cinque mesi il progetto è arrivato in Rete affidando l’idea originaria e la struttura di base del sito a una agenzia di comunicazione che ne ha curato il lancio. Il costo finora del progetto è stato di solo 10mila euro, come per ogni startup che si rispetti, ma le due fondatrici puntano già al lancio di un’applicazione software per sistema iOS, per arrivare ad una community simile alla straniera Repair Pal.
Tra le caratteristiche principali del sito, c’è la possibilità di ricercare l’officina o il rivenditore più vicino (inserendo cap o nome di una città) con la relativa valutazione, e la ricerca può avvenire sia per marca dei prodotti che per area geografica (Regioni, Provincie e Comuni). In alternativa si può utilizzare la mappa per zoom successivi, e gli utenti possono poi aggiungere recensioni, commenti e assegnare un voto (da una a cinque “chiavi inglesi”); contribuendo così a stilare una serie di classifiche costruite su differenti criteri come: qualità, risparmio, efficienza e competenza. In fne, si sta puntando a sviluppare una intera community che supporti con costanza i trend di crescita del sito.
Via Tech Economy
Amazon lancia un nuovo servizio per brand e aziende. La compagnia, sulla scia del successo di simili iniziative nei social media, ha introdotto le Amazon Pages, un servizio molto simile alle brand page di Facebook ma con la marcia in più dell’integrazione completa nei servizi della popolare piattaforma di e-commerce.
Le pagine dovrebbero servire come strumento di marketing e relazione con i consumatori, “una destinazione personalizzata” all’interno del sito di e-commerce (www.amazon.com/brandname).
La possibilità di inserire post e integrarli facilmente in Facebook fa leva, inoltre, sulla tendenza emergente del social commerce. La forte focalizzazione sull’immagini sembra tentare di replicare il successo di social visivi come Pinterest, legandolo strettamente ad obiettivi di vendita grazie all’“Add to Cart” integrato nelle rappresentazioni dei prodotti delle aziende. Gli strumenti analitici permettono poi di misurare i risultati raggiunti.
Amazon permetteva già ad alcuni brand come Levi’s e Sony di gestire un proprio Brand Stores all’interno del proprio sito. Le pagine, quindi, a maggior ragione sembrano aver maggiormente come scopo la comunicazione, per quanto strettamente connessa alla distribuzione-vendita, e l’interazione con i consumatori. E, probabilmente, tentano di impedire l’emersione di forti concorrenti nel mercato dell’e-commerce, provenienti dal campo variegato dei social media. L’emersione del social commerce potrebbe, infatti, creare grosse opportunità per servizi come Pinterest, The Fancy, o addirittura Facebook. Amazon tenta di restringere, probabilmente, queste possibilità offrendo ai brand la possibilità di inserire contenuti e di stimolare dinamiche social.
Via Tech Economy
Mi occupo di strategia e marketing digitale ormai da 12 anni e spesso mi trovo a riflettere sull’evoluzione tumultuosa e complessa del settore avvenuta in questo tutto sommato breve periodo. Nel dire questo mi riferisco indubbiamente al progresso della tecnologia (social, mobile, di publishing e via elencando) ma ancora di più al modo in cui si stanno modificando ruoli organizzativi e professioni.
12 anni fa quasi nessuna azienda italiana avrebbe pensato di annoverare fra le sue fila un responsabile del marketing digitale, 6 anni fa il dipartimento it non si sarebbe trovato spesso in concorrenza con lui e ancora 3-4 anni fa nessuno avrebbe strutturato dei team (interni o in outsourcing) per il presidio dei social media. E sono solo alcuni dei possibili esempi.
Immagine tratta da http://www.eysinksmeets.com
Il mondo infatti si è profondamente digitalizzato con un processo graduale di cui l’enfasi mediatica degli ultimi anni evidenzia solo la punta dell’icerberg, fatta di social media e telefonini.
Il vero cambio di direzione però sta avvenendo nel modo in cui le persone usano le tecnologie, anche presistenti, e sull’impatto sociale, organizzativo e di competenze che tutto questo comporta.
Come ho già scritto tante volte infatti la differenza fra tangibile e virtuale ormai sta perdendo sempre più di significato, e anche se le persone non ne hanno ancora piena consapevolezza già oggi il passare da un ambiente fisico a uno o più device e viceversa è un processo naturale e senza soluzione di continuità.
Immagine tratta da http://blog.inner-active.com/
Di conseguenza anche la netta separazione di conoscenze fra chi si occupa più prettamente di tecnologia e chi invece in azienda si interessa di marketing, commerciale, strategia etc. sembra un retaggio poco credibile, perché a entrambe le parti sono richieste sempre più ibridazioni.
Se ci mettiamo in questa prospettiva allora diventa davvero chiaro come il mezzo tecnologico scelto sia solo un di cui della strategia che abbiamo in mente e venga scelto come conseguenza e non premessa. Molti editori ad esempio stanno capendo che il loro business è il contenuto che producono, non la carta che stampano, mentre altri grandi, come Blockbuster, non hanno saputo vedere questo aspetto e per questo hanno patito dei colpi tremendi e spesso mortali.
Ancora, grandissimi player dell’online, come Google, scrivono nei loro report che il grande goal del digitale è l’influenza sui comportamenti e sulle vendite offline, mentre la guerra per lo sviluppo di ecosistemi fatti di hardware, software e app store è il centro della competizione fra Apple, la stessa Google, Amazon, Microsoft e molti altri.
Si potrebbe obiettare che si tratta di pure player tecnologici che si stanno allargando, ma allora che dire di casi come Walmart Lab, in cui Il più grande retailer del mondo sta costruendo un laboratorio su questi temi, o degli investimenti in multichannel retail di altri colossi come Tesco o Mark & Spencer?
A mio avviso dunque gli strumenti digitali sono già oggi una leva cruciale per qualsiasi tipo di azienda ma non possono essere più visti come un’entità separata e figure come i chief marketing tecnology officer, in crescita ovunque seppure con job description variegate, potrebbero essere un esempio dei ruoli chiave del futuro, perché non sono al servizio della tecnologia ma del business, che aiutano anche con i nuovi media.
Se l’obiettivo non è chiaro invece non si possono porre le corrette fondamenta e qualsiasi investimento, quale che sia la sua portata, è destinato al fallimento.
Certo che oggi, con la persistente difficoltà di incontro e dialogo fra le diverse figure, tutto sembra lontano. Ma io lo trovo inevitabile. E voi?
Gianluigi Zarantonello via Internet Manager Blog
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