Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
Dopo le indiscrezioni trapelate in rete nelle ultime settimane, Youtube ha finalmente lanciato il suo servizio di video streaming a pagamento. Ad annunciarlo è la stessa azienda su un post ufficiale, nel quale, dopo una premessa in cui si ripercorre brevemente la storia della piattaforma, si fa riferimento a quella che è la richiesta più frequente dei creatori di contenuti che pubblicano sul canale, ovvero “maggiore flessibilità nella monetizzazione e nella distribuzione dei propri contenuti”. “Ci abbiamo lavorato e vogliamo accontentarvi”, riferisce il post.
La comunicazione fa riferimento al lancio del nuovo servizio pilota, attivo da oggi, che permetterà ad un ristretto gruppo di partner di distribuire i propri contenuti facendo pagare agli utenti un abbonamento di 99 centesimi per la loro visione. Ogni canale avrà un periodo di 14 giorni di prova con previsione di sconti negli anni a venire. Il servizio pilota include diverse decine di canali a pagamento, con altri che verranno aggiunti in seguito. L’elenco è vario e comprende “Sesame Street”, il canale di arti marziali e lotta UFC, Comedy.TV, Baby first Plus e tanti altri presenti in una lista rilasciata da Youtube.
Il servizio di abbonamento sarà multipiattaforma, ciò vuol dire che, una volta sottoscritto l’abbonamento, che per ora fanno sapere è possibile effettuare solo tramite pc, i contenuti potranno essere fruiti da qualsiasi dispositivo mobile, con la possibilità a breve di potersi iscrivere al servizio anche tramite gli altri dispositivi. E come riportato nel post, “questo è solo l’inizio”.
Via Tech Economy
Su Facebook i Brand più seguiti in Italia ad Aprile 2013 sono KIKO Cosmetics, Libero, PosteMobile e Le Iene. Questo è quanto emerge dalla periodica rilevazione di Blogmeter che per questo mese ha analizzato 40 milioni di interazioni
Ed eccoci di nuovo a mostrarvi la rilevazione che ogni mese Blogmeter opera sui brand più seguiti su Facebook che si rivolgono al mercato italiano. Per la rilevazione che riguarda il mese di Aprile 2013, sono state rilevato 40 milioni di interazioni che riguardano appunto i brand monitorati. Con quali risultati?
Per il secondo mese consecutivo, per quel che riguarda la classifica dei Nuovi Fans, si piazza al primo posto la fan page KIKO Cosmetics Italia che ad aprile ha guadagnato ben 551 mila nuovi fans, un risultato eccezionale che si presenta per la prima volta in questo tipo di rilevazioni. In seconda posizione si piazza Glamoo Italia con 172 mila nuovi fans e in terza posizione troviamo la fan page di uno dei videogame più famosi, Need For Speed, con 166,115 mila nuovi fans. Ricordiamo che le ultime due sono delle new entry per questo mese, come lo sono anche Real Time e Hugo Boss che si piazzano rispettivamente in quarta e quinta posizione.
Passiamo a vedere ora uno dei dati, a nostro modo di vedere, più rilevante, cioè l’Engagement, quindi le interazioni sulle pagine. Anche per il mese di Aprile 2013 la fan page di Libero su Facebook è quella che accentra il maggior numero di interazioni, con una media giornaliera di 170 interazioni per ogni mille fans, quindi un livello di coinvolgimento molto alto rispetto al numero di fans. Al secondo posto troviamo la new entry Iron Man IT che in occasione dell’uscita nelle sale cinematografiche del terzo capitolo della saga ottiene durante il mese di aprile una media di 86,1 interazioni giornaliere per ogni mille fan; al terzo posto si conferma la pagina della rivista Famiglia Cristiana con un page engagement di 71,5. Segnaliamo, tra le new entry, la fan page di Mario – Una serie di Maccio Capatonda, la serie che va in onda su Mtv, la fan page di Porta a Porta e anche quella di Amici. Le ultime tre fan page sono la testimonianza della crescita del fenomeno della Social Tv.
Per quanto riguarda i Tempi di Risposta in base alle richieste fatte sulle fan page, a guidare la classifica Response Time c’è PosteMobile che fa registrare un tempo di attesa medio di 1 ora e 16 minuti per rispondere alle domande degli utenti sulla propria pagina (264 in totale), segue Poste Italiane che ha risposto a 699 post degli utenti facendoli attendere mediamente 1 ora e 27 minuti, mentre al terzo posto si conferma Vodafone it con un response time medio di 1 ora e 36 minuti e 1.207 richieste degli utenti soddisfatte. TIM, pur perdendo la prima posizione, è il brand che ha risposto al maggior numero di richieste, ben 1.466.
Il post più coinvolgente, con oltre 39.800 interazioni, è quello pubblicato sulla fan page de Le Iene e ritrae Iary Blasi che invia un bacio virtuale ai fan del programma. In seconda posizione troviamo una foto sulla pagina di ROBA DA DONNE che ritrae una simpatica nonnina che per il suo novantunesimo compleanno chiede di mettere “mi piace” alla sua foto, ottenendo in risposta ben 36.600 interazioni! Terza posizione occupata da As Roma con il post che celebra l’accesso alla finale di Coppa Italia.
Via InTime
In questi giorni sto leggendo diversi articoli e report sulla digital transformation e l’evoluzione del CMO verso la sua versione “tecnologica”, tutti trend molto interessanti e incoraggiati rispetto alla mia professione. Il cliente d’altra parte vuole muoversi attraverso i diversi i canali e punti di contatto e diviene alla fine esso stesso un media per le aziende, ponendo al marketing nuove sfide strategiche.
Insomma, tutto bene, viste anche le grandi opportunità di occupazione nel settore del digitale?
In teoria sì. Ma le cose sono più complesse.
Prima di tutto è ancora difficile per la gran parte delle aziende valutare le competenze. Ormai quello del digitale, come ho scritto ormai tante volte, è un ecosistema complesso da cui emergono qua e là come punte dell’iceberg dei temi come i social media, il mobile (ancora visto soprattutto come app) e pochi altri.
Su tutte queste tematiche si scontrano due atteggiamenti ugualmente pericolosi: da una parte la convinzione che siano strumenti padroneggiabili da chiunque perché li maneggiamo anche per usi privati, dall’altra invece l’affido totale a dei guru più o meno della porta accanto che vengono ascoltati come oracoli ma ai quali manca tutta la parte strategica. Pochi invece cercano delle risorse adeguate interne, che poi possano interagire con cognizione di causa verso i fornitori e che riescano ad avere quella visione di insieme e quell’equilibrio fra managerialità e tecnicismo che altrove è già molto ricercato.
Un altro aspetto organizzativo forte poi è quello delle sovrapposizioni di ruoli tra IT, marketing e altre aree, visto che questi temi sono estremamente pervasivi e che oggi l’investimento in tecnologia sta diventando sempre meno appannaggio dei dipartimenti informatici che pure però devono essere coinvolti per garantire il giusto equilibrio.
Infine la paura di perdere potere da parte dei ruoli che esistono già è importante e diffusa e per questo molti manager e interi enti aziendali si occupano in modo parziale e spesso rudimentali di pezzi dell’ecosistema digitale, entrando inevitabilmente in collisione fra loro e soprattutto con chi viene incaricato di occuparsene nell’organizzazione. Oggi dunque, dove anche ci siano dei ruoli di digital marketing o anche di Chief Marketing Technology Officer, è ancora ingente la quantità di energie e tempo spesa in conflitti derivanti da organigrammi mal strutturati e in sovrapposizione.
Si tratta di problematiche comuni anche ad altre nazioni e culture e sono parte di un processo evolutivo, tuttavia io credo che oggi il nostro paese sconti più di altri una cultura manageriale basata sulla difesa del ruolo esistente e sulla paura di turbare gli equilibri complessivi (come in politica) , senza contare l’approccio spesso poco scientifico al marketing e alla comunicazione. Sono troppo drammatico?
Gianluigi Zarantonello via Internetmanagerblog.com
a velocità con cui le persone condividono informazioni, serie e profane, sui social network e sui siti di social media come Facebook, Twitter e YouTube è sconcertante. 137 milioni di aggiornamenti di stato al giorno appaiono su Facebook, 230 milioni di tweets al giorno vengono condivisi su Twitter e 72 ore di video vengono caricati su YouTube ogni minuto, numeri che aumentano ogni giorno. Senza dubbio, i social media sono vivi e vegeti. Le proprietà dei social media hanno chiaramente assicurato che il processo di creazione e condivisione dei contenuti è un’attività irresistibile per tutti. Ma la storia è del tutto diversa quando si tratta del recupero di contenuti. Chi non ha mai provato a cercare un vecchio post su Facebook? Missione impossibile se l’aggiornamento è stato postato più di un mese fa. E cercare dei tweet più vecchi di una settimana, utilizzando la ricerca su Twitter? Anche qui missione impossibile.
Fortunatamente questa triste situazione sta cambiando, con implicazioni significative per tutti coloro che intendono comunicare, sia che si tratti di persone, per esempio nella gestione della reputazione, che di luoghi, prodotti e/o servizi.
Anche la ricerca sociale disponibile sui servizi di terzi, come Social Mention, non è l’ideale. Storicamente i siti di social media come Twitter e Facebook hanno concentrato le loro risorse sulla pubblicazione e sul consumo di informazioni in tempo reale. L’aspettativa era che gli utenti scorressero gli aggiornamenti e potenzialmente interagissero con essi mentre questi erano ancora freschi, entro minuti o ore dalla loro pubblicazione. Un supporto per scoprire ciò che è stato postato in passato non faceva parte del DNA di queste aziende, il che non meraviglia più di tanto, visto che la ricerca è complicata e costosa. L’unica area di search dove le aziende di social media hanno dimostrato grande capacità è stata quella della ricerca di persone (la corrispondenza con una rubrica di indirizzo email compresa). Non è una sorpresa: il successo di queste società dipende dal numero degli utenti attivi e dalla dimensione della rete di un individuo all’interno della rete. Ci sono stati momenti di speranza, come quando Twitter ha acquisito Summize nel 2008. Eppure una ricerca completa integrata con Twitter non è emersa; le ricerche sono state limitate ad un sottoinsieme di tutti i tweet degli ultimi giorni. Nei suoi primi anni Facebook ha permesso agli utenti di cercare soprattutto, se non tutti, gli attributi di persone, tra cui quelli potenzialmente sensibili come la religione, l’appartenenza politica e l’orientamento sessuale. Col passare del tempo sono emerse preoccupazioni sulla privacy, così come la complessità di offrire un sofisticato sistema di ricerca grazie alla crescita stellare della base degli utenti di Facebook. Il social network di Zuckerberg ha ridimensionato le opzioni di ricerca di persone e, da quando Facebook ha introdotto la ricerca per gli aggiornamenti sul Newsfeed, essa è stata limitata agli aggiornamenti degli ultimi 30 giorni.
Neanche i motori di ricerca generalisti sono stati molto utili. Microsoft, nella veste di Bing, ha iniziato a sperimentare mediante la ricerca sui social media nel 2009, il che portò alla nascita di Bing sociale il quale consentiva di effettuare ricerche limitate al sottoinsieme di dati recenti di Twitter e, successivamente, di Facebook. La ricerca Bing Social è stata offerta solo in pochi paesi tra cui gli Stati Uniti, il Regno Unito e la Germania. Anche nel 2009 Google ha preso la decisione senza precedenti di pagare Twitter per il privilegio di indicizzazione i tweet pubblicati su social del cinguettio, solo per cambiare idea a scadenza di contratto, spegnendo, di conseguenza, la loro ricerca in tempo reale. Nel 2012 Bing ha sostituito Bing Social con una barra laterale sociale, ma ancora una volta con una disponibilità concessa solo a pochissimi paesi.
Per chi volesse cercare gli archivi completi dei siti di social media, le soluzioni di terze parti come Topsy, si sono rivelate quelle più indicate. Topsy ed i suoi concorrenti acquistano dati social media direttamente dai siti di social media o attraverso distributori come DataSift e gnip.
Nel corso della loro maturazione le reti sociali online stanno cominciando però a rivalutare il valore delle immense quantità di contenuti storici e di altra natura che hanno accumulato. A gennaio Facebook ha annunciato una nuova esperienza di ricerca, chiamata Facebook Graph Search. Graph Search permette agli utenti di cercare informazioni all’interno di Facebook utilizzando un linguaggio naturale per le queries di ricerca, ad esempio ristoranti a Berlino apprezzati dai miei amici berlinesi. I risultati sono classificati utilizzando principalmente le relazioni tra le persone (amico, seguo) e popolarità dell’entità (mi piace). Naturalmente la realtà è un po’ più sfumata, è probabile che non tutti i mi piace valgano allo stesso modo. In confronto, i motori di ricerca tradizionali, come Google e Bing, utilizzano i link verso un elemento di contenuto come segnale primario per determinare la sua popolarità. Il potere del Graph Search risiede nella capacità di eseguire ricerche complesse che emulano il comportamento umano di altri tempi di chiedere un consiglio da un amico di fiducia.
Ma la Facebook Graph Search ha alcune limitazioni. Graph Search conosce solo i dati all’interno di Facebook e solo su persone, luoghi, foto e interessi. La ricerca degli aggiornamenti dei Newsfeed sono in programma, ma non sono ancora inclusi, il che rappresenta un passo indietro rispetto al search precedente. I risultati di ricerca web forniti da Bing dovrebbero apparire per completare le informazioni non disponibili su Facebook (il che attualmente non funziona se l’accesso a Facebook è dall’Italia, personalmente l’ho segnalato come difetto). Facebook stesso dice che per ora Graph Search è un programma beta molto limitato al pubblico che utilizza Facebook in inglese americano.
Finalmente Twitter rinnova la propria ricerca Anche Twitter sta prestando maggiore attenzione a rendere rilevabili i dati storici. Negli ultimi anni ha riscritto il suo motore di ricerca e migliorato l’interfaccia di ricerca, ma gli utenti potevano cercare solo i tweets della scorsa settimana o giù di lì. A febbraio Twitter ha annunciato che avrebbe cominciato a restituire alcuni tweet più vecchi dalla search sul social. E ha inoltre rilevato che, in ultima analisi, l’obiettivo è quello di far emergere i migliori contenuti per la query degli utenti, il che non è necessariamente la stessa cosa della completezza che alcuni utenti potrebbero aspettarsi. Attualmente Twitter sta offrendo opzioni “Top” e “All” per filtrare i tweet, e ora sto notando tweets dal lontano 2008. Saranno filtrati i tweet oltre a quelli spam e quelli protetti? Questo resta da vedere. Anche LinkedIn scopre il valore della propria ricerca! Ancora dubbi sul fatto che le proprietà dei social media si siano rese conto dell’importanza di una robusta funzione di ricerca come una chiave per svelare il valore del loro patrimonio di dati? A marzo LinkedIn è entrato nella mischia, annunciando un sistema di ricerca significativamente migliorato. La gara per la migliore ricerca sociale è iniziata!
Le proprietà Google di social media sono dotate di ricerca di serie Non dovrebbe sorprendere troppo che le proprietà dei social media di casa Google abbiano incluso ricche opzioni di ricerca molto prima che i loro rivali, dal limitare una ricerca di eventi a Google+ ai film in 3D su YouTube. Che cosa devono sapere i comunicatori: la SEO non è limitata a Google Ora che le proprietà dei social media stanno rinnovando le loro caratteristiche di ricerca, i comunicatori devono pensare più che mai prima di assicurare che i loro prodotti, servizi, luoghi e/o persone, siano facilmente reperibili all’interno di un sito dei social media. Il capo di WPP, Martin Sorrell, ha osservato che i marketer hanno tardato a spostare budget dalla stampa al digitale rispetto alle persone che essi presumibilmente stanno cercando di raggiungere che sono già migrate al digitale. Ironia della sorte, anche quando i marketers investono nella comunicazione digitale, troppo spesso vi è un grave scollamento tra gli investimenti e i comportamenti degli utenti. In Search Engine Marketing (SEM), la maggior parte del budget viene assegnato agli annunci a pagamento (PPC / SEA), mentre la maggior parte dei clic degli utenti sono sui risultati SEO organici, cioè sui risultati earned media. E’ ormai noto che la SEO non è importante solo per i motori di ricerca, SEO serve anche per i social media, come parte di un’ampia strategia di ottimizzazione per i Social Media. Nella seconda parte di questo articolo in due parti, prenderò in esame le tecniche dei social media SEO applicabili ai molteplici casi aziendali e alle proprietà dei social media.
Via Tech Economy
L’80% della popolazione italiana tra gli 11 e i 74 anni, ovvero 38 milioni di persone, dichiara di accedere a internet da qualsiasi luogo e strumento. Sono 18 milioni gli Italiani che possono accedere da cellulare e 3,7 milioni da tablet. A riportarlo sono i nuovi dati resi disponibili da Audiweb che pubblica i risultati della Ricerca di Base sulla diffusione dell’online in Italia e i dati di audience del mese di Marzo 2013.
In base ai nuovi dati di Audiweb Trends, il report di sintesi della Ricerca di Base realizzata in collaborazione con Doxa, nel primo trimestre 2013 il 68,2% delle famiglie italiane (14,8 milioni) dichiara di disporre di un accesso a internet da casa attraverso computer, televisore o console di gioco. Il 71,6% delle famiglie connesse, 10,5 milioni, dichiara di avere una connessione veloce – ADSL o fibra ottica – con abbonamento flat nel 93,5% dei casi. Più in dettaglio, sono 37,8 milioni gli Italiani che dichiarano di accedere a internet da qualsiasi luogo e device (l’80,2% della popolazione tra gli 11 e i 74 anni), con una maggiore disponibilità di accesso a internet da casa attraverso computer (35 milioni di individui tra gli 11 e i 74 anni, pari al 74,5% dei casi).
L’accesso a internet dai device mobili registra valori significativi, con 17,9 milioni di persone che dichiarano di poter accedere a internet da telefono cellulare/smartphone (il 38% degli 11-74enni), e 3,7 milioni da tablet (il 7,8% dei casi).
L’online in Italia si conferma ampiamente diffuso tra tutti i profili socio demografici presentando tassi di concentrazione molto elevati tra quelli più qualificati in termini di istruzione e professione. I livelli più alti si registrano, infatti, tra i giovani (il 94% degli 11-34enni), tra i laureati (il 98% dei casi), tra gli studenti universitari (il 99,7%) e di scuole medie e superiori (il 96,6%), tra gli impiegati e gli insegnanti (il 97,7%), con un tasso di penetrazione del 100% tra i dirigenti, quadri e docenti universitari.
Per quanto riguarda l’utilizzo di device mobili, l’accesso a internet da cellulare/smartphone risulta più diffuso tra i giovani (oltre la metà degli 11-34enni), in particolare tra gli studenti universitari (il 68,6%) e tra gli studenti di scuole medie e superiori (il 60,8%). Si riscontrano tassi elevati anche tra i profili più qualificati in termini di istruzione e condizione professionale. Infatti, possono accedere a internet via mobile il 57,5% dei laureati, il 65,1% degli imprenditori e liberi professionisti e il 59% dei dirigenti, quadri e docenti universitari. Il report Audiweb Trends offre anche un approfondimento sulle attività effettuate da cellulare, da cui emerge che tra le attività più citate da chi dichiara di accedere a internet dal cellulare risultano: navigare su internet (il 65,8% dei casi), inviare/ricevere e-mail (il 40,5% dei casi), accedere ai social network (37,1%), scaricare e utilizzare applicazioni (37%), consultare motori di ricerca (36,2%), consultare il meteo (31,9%).
Sono inoltre 6,6 milioni le persone che dichiarano di aver scaricato e utilizzato almeno una volta un’applicazione e la maggior parte, il 76,9%, ha scaricato solo applicazioni gratuite. Tra le applicazioni utilizzate negli ultimi 30 giorni, le principali sono quelle legate ai giochi (59,5%), al meteo (47,1%), le applicazioni che permettono di accedere e chattare sui social network (45,3%), le mappe, itinerari, informazioni sul traffico (44,1%), le applicazioni per foto e immagini (39,5%).
Via Tech Economy
Continua a crescere l’importanza degli annunci pubblicitari web in formato video. Secondo i dati raccolti da Video Metrix, a marzo gli spot visionati online sono stati 13,2 miliardi nei soli Stati Uniti, cifra record per la categoria e in crescita del 33% rispetto a febbraio.
Il 52% degli americani, stando alla ricerca, ha visionato in media 82 video annunci pubblicitari su internet. La viralità dei messaggi su YouTube e altri portali ad alta frequentazione sembra funzionare: per ogni 5 minuti di filmati assortiti (musica, contenuti personali, spezzoni di film - 39 miliardi di visualizzazioni totali), gli utenti Usa hanno guardato 24 secondi di spot.
A dominare la scena è, come prevedibile, Google, che proprio grazie a YouTube ha collezionato 2,3 miliardi di video adv nel mese di marzo. La nuova tv è, inutile ribadirlo, sul web.
Via Quo Media
u questo tipo di contenuti, ormai è chiaro, si gioca il futuro delle Media company. Meno certezze ci sono su come si riorganizzeraÌ il mercato pubblicitario, e su quale saraÌ il ruolo della tv come la conosciamo oggi
Guardare video sul pc, sul tablet o sullo smartphone eÌ ormai un’abitudine per la maggior parte degli utenti Internet. L’offerta eÌ sconfinata: solo in Italia sono oltre 260 le Media company, fra editori, emittenti televisive e radio, ad avere un’offerta video sui propri siti Web: approfondimenti complementari alla carta stampata, trasmissioni on demand e in diretta, video musicali, programmi radiofonici e via dicendo.
Secondo la più recente indagine dell'Osservatorio New Media e New Internet della School of Management del Politecnico di Milano, l’audience italiana eÌ di 25 milioni di utenti, pari all’80% degli utilizzatori di pc, e per molti di loro il device preferito eÌ ormai il tablet. Sono anche nati programmi che vanno in onda solo sul Web, alcuni di grande successo, con milioni di accessi.
Pubblicità raddoppiata in un anno
Che il video online sia il futuro, dunque, eÌ ormai chiaro a tutte le Media company, che stanno arricchendo l’offerta cercando di conquistare una quota del promettente mercato del video advertising. Meno chiaro, invece, in questo nuovo scenario che si va delineando, eÌ come si riorganizzeraÌ il mercato pubblicitario e quale saraÌ il ruolo della tv come la conosciamo oggi, in un contesto che vede gli investimenti in advertising in forte contrazione da ormai alcuni anni.
L’aumento degli utenti e del tempo dedicato da essi attrae sempre di piuÌ l’interesse degli investitori: in Italia nel 2012 la pubblicitaÌ sui video online eÌ raddoppiata rispetto all’anno precedente e vale oggi il 2% del totale del mercato televisivo (sia advertising che pay). EÌ ancora poco, ma si prevede che potraÌ arrivare fino al 10% nel 2017. Non si tratta certo di un trend che riguarda solo il nostro Paese. ComScore stima che negli Stati Uniti il 23% dei contenuti video visualizzati nello scorso mese di dicembre, pari a 39 miliardi, conteneva pubblicitaÌ, il 14% in piuÌ rispetto all’anno precedente. Ma mentre l’offerta cresce, le tariffe pubblicitarie scendono, mettendo in dubbio la sostenibilitaÌ nel lungo periodo di questo nuovo business.
L’online non esclude la tv, anzi
Anche il cambiamento delle abitudini rappresenta ancora un’incognita. L’utente non sta sacrificando l’offerta televisiva tradizionale a favore di quella online, anzi: a volte il successo di un programma o di un personaggio sul Web spinge al rialzo gli ascolti sulla tv. Si tratta piuttosto di un completamento, di un’estensione della fruizione in momenti della giornata o in luoghi in cui non si ha accesso allo schermo televisivo, oppure del desiderio di vedere un programma che si eÌ perso in tv. E sempre di piuÌ si utilizzano due dispositivi in contemporanea, ovvero il pc, il tablet o lo smartphone mentre si guarda la tv.
Resta poi da comprendere quale saraÌ l’impatto delle 'Smart TV', le tv di nuova generazione connesse a Internet, che nei prossimi mesi potrebbero giocare un ruolo particolarmente significativo nel cambiare l’esperienza dell’utente sullo schermo televisivo 'tradizionale'.
Via Wireless4Innovation
Campanello d’allarme per Facebook, che perde visitatori negli Stati Uniti, uno dei mercati più prolifici per il capo dei social network. Sono 6 milioni i profughi scappati nel mese di marzo dal sito in blu, per lo più annoiati dalla routine di like e tag, oppure scocciati dalle norme sempre più lassiste sulla privacy.
Il numero non sembra scalfire nel profondo la popolarità della creatura di Mark Zuckerberg, che conta più di un miliardo di iscritti nel mondo, ma rivela alcuni suoi punti deboli: perdere utenti in uno dei paesi cruciali per la crescita economica del social network non è un buon sintomo. A marzo, Facebook ha lasciato per strada il 4% dei suoi visitatori statunitensi. Nel Regno Unito, il calo si è assestato a quota 1,4 milioni (-4,5%). Due indizi fanno quasi una prova. Sembra che anche in Canada, Francia, Germania e Giappone i favori nei confronti del sito vadano scemando.
Secondo gli esperti anglosassoni, la perdita di qualche utente è cosa fisiologica: difficile attrarre nuovi iscritti in mercati ormai saturi, mentre è arduo convincere chi utilizza sporadicamente il social network a non spendere più tempo sulla propria bacheca. Facebook fatica a trovare modelli di business alternativi alla pubblicità, che è strettamente correlata al traffico creato dagli utenti: gli esperimenti legati all’e-commerce e quelli correlati ai contenuti non hanno dato sin qui i frutti sperati. L’acquisizione di Instagram ha portato in dote 30 milioni di internauti, più avvezzi però alla condivisione compulsiva che a fare massa online.
Zuckerberg non sembra preoccupato dai segnali di affaticamento: il social network soffre in Occidente ma riscuote grande successo in India (+4% e utenti in crescita di 64 milioni di unità) e Sud America (+7 milioni di iscritti in Brasile). Con la app Home sui cellulari Android, Facebook spera di contaminare massicciamente anche il mondo mobile. La diaspora americana, vista da questa prospettiva, fa meno paura. Ora non resta che convincere gli investitori (e Wall Street) della bontà delle prospettive future.
Via Quo Media
La Commissione Ue sta lavorando sui media digitali e la tv connessa, ovvero “la prossima rivoluzione nel mondo creativo e digitale“, affinché ci sia una “rapida convergenza” tra tutti i media ma che soprattutto abbiano norme comuni. Sono questi i punti chiave del discorso sul futuro dei media pronunciato in apertura della conferenza annuale dell’Emma (European magazine media association) a Bruxelles, pronunciato dal vice presidente della Commissione europea responsabile per la Digital Agenda, Neelie Kroes.
La Kroes sottolinea come internet e il mondo digitale stiano trasformando l’industria dei media facendola sconfinare sempre più nei settori delle telecomunicazioni e delle Ict. Tali trasformazioni, sono per la vice presidente motivo per chiedersi verso quali significati virerà la parola “media” nel 2060, e anche l’occasione per affermare che “il cambiamento è inevitabile, adattarsi è imperativo. Per tutti i settori coinvolti, il mio consiglio è lo stesso”, afferma la Kroes: “Non difendetevi dalla rivoluzione del digitale ma sfruttate a vostro vantaggio le opportunità dell’online, adattatevi e innovate. I settori che lo hanno fatto già godono dei loro frutti digitali, quelli rimasti indietro già si sentono schiacciati”.
Altro punto chiave preso in considerazione dalla Kroes è quello della convergenza tra Internet e TV. Ad oggi in Europa le tv connesse sono 40,4 milioni, ma la previsione è che entro il 2016 siano in quasi tutte le case degli europei. La scommessa è quindi quella di assicurare rapidamente che standard tecnici, regole legali e contenuti convergano e tutelino sia i consumatori, inclusi quelli più deboli come i minori, che le emittenti radiotv, il mondo di internet e delle imprese. Questo è quanto assicurato dalla Kroes presentando un Libro verde sulla questione e lanciando le consultazione pubbliche che resteranno aperte sino a fine agosto.
Sono cinque i nodi su cui Bruxelles chiede opinione e contributi degli attori di questi settori chiave per delineare gli sviluppi di un futuro prossimo. In primo luogo, le regole del gioco, ovvero come creare le condizioni necessarie affinché le imprese europee possano affrontare la concorrenza internazionale, soprattutto quella americana. Secondo, la protezione della libertà dei media e dei valori europei, inclusa la tutela dei minori e l’accessibilità per i disabili. Terzo, mercato unico e norme comuni, in modo che ci siano standard tecnici compatibili. Poi, i finanziamenti, e il modo in cui gli utenti e la convergenza internet-tv influenzeranno e quanto la produzione dei contenuti, dai film agli spettacoli. Infine, apertura e pluralismo dei media: se internet e tv finiranno per convergere, si aprono domande sul filtraggio dei contenuti di internet da parte delle pubbliche autorità e sulla loro accessibilità, per esempio per film recenti di successo o i grandi eventi sportivi. “Un dibattito a livello Ue ci permetterà di affrontare questi cambiamenti – ha sottolineato la Kroes – di contribuire alla crescita delle imprese, di incoraggiare la creatività e di difendere i nostri valori“.
Via Quo Media
Sono anni ormai che diciamo che i prossimi saranno i 12 mesi del mobile e, puntualmente, ci siamo trovati a constatare che invece il boom non è stato sperato, vuoi per le tariffe alte di navigazione, vuoi per tanti altri motivi.
Eppure, lentamente, gli smartphone e i tablet hanno continuato la loro avanzata e, al di là dei report internazionali, oggi se siete pendolari come me avrete potuto constatare quanta gente traffichi su questi dispositivi durante i viaggi.
Nonostante tutto questo ancora oggi le aziende non hanno ancora una vera strategia in merito, e mentre in tanti si affannano a costruire applicazioni solo per la necessità di “esserci ” in qualche modo, il consumatore si sta evolvendo ben più velocemente e, anche se non se ne rende conto, si muove già in una logica di ecosistema, di cui smartphone e Tablet sono solo un pezzo.
Gartner infatti in ambito business ha individuato in 4 grandi forze complementari i motori del cambiamento enterprise e tre di queste riguardano da vicino anche il mondo consumer: il cloud, il mobile e il social computing/networking.
Non si tratta di elementi slegati ma di strumenti che abilitano le persone a gestire diversamente la loro realtà quotidiana, in cui lo strumento utilizzato per fare ciò che si vuole è solo un fattore contingente, mentre quello che conta davvero è l’esperienza e il raggiungimento dello scopo per cui si usa un sito o un servizio.
immagine tratta da Sevensheaven.nl
Il cloud consumer infatti rende sempre disponibili i propri contenuti nel passaggio da un device all’altro, aprendo davvero la possibilità di un utilizzo trasparente del mezzo tecnico da parte di nuove generazioni che sono già perennemente connesse.
I device sempre più performanti e usati in modo ibrido tra svago e lavoro hanno sposato alla perfezione questo concetto dell’accesso perenne e trasversale, ed i grandi player non si sono fatti sfuggire l’opportunità di costruire degli ecosistemi fatti da software, servizi (vedi Google) e, nel caso di Apple, anche Hardware. Non a caso dunque il cloud consumer è un mercato sempre più ricco e vivace.
Un ruolo rilevante nella penetrazione del mobile web poi sicuramente lo hanno avuto i social media, ne ho scritto già parecchio tempo fa, in quanto rispondono perfettamente alle esigenze di riempire gli spazi vuoti e insieme di aiutarci a estendere la nostra personalità tramite il device più privato che abbiamo, il telefonino.
La diffusione dirompente dei social media ha però anche distratto l’attenzione dalla necessità di pensare una strategia mobile che passa in larga parte per l’ottimizzazione dei siti. Solo per citare la mia esperienza diretta, in assenza di alcun incentivo negli ultimi 18 mesi il traffico da dispositivi mobili sulle properties (ottimizzate) del Gruppo per cui lavoro è come minimo raddoppiato (e in molti casi la crescita è stata superiore). Ma la consapevolezza generale è ancora molto bassa, anche in contesti aziendali evoluti.
Che cosa voglio dire con tutto questo discorso, che ovviamente richiederebbe anche molto più spazio e approfondimento? Ancora una volta mi piace sottolineare come i media digitali (e non) sono un ecosistema che evolve in maniera organica e graduale sotto la spinta di diversi fenomeni, un contesto che non può essere affrontato in modo puntuale sui singoli aspetti e strumenti. La necessità dunque di una strategia e di una visione di insieme diventa sempre più cruciale, per creare i fattori abilitanti (un esempio: i contenuti liquidi adatti a ogni device) e per distinguere emantenere correttamente in equilibrio owned e earned media.
Nel nostro paese siamo ancora lontani da una maturità nei ruoli e nelle competenze ma credo che a medio periodo i nuovi assetti organizzativi e le competenze e le figure di Chief Digital Officer e diChief Marketing Tecnologist dovranno per forza affermarsi sul mercato, come già accade altrove.
Gianluigi Zarantonello via internetmanagerblog.com
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