Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
Peter Sondergaard di Gartner afferma che entro il 2020 la nuova organizzazione dovrà farsi carico di cinque capacità fondamentali.
1) coordinare l’architettura di tutte le tecnologie digitali con i loro impatti.
2) definire l’enterprise information architecture considerando gli innumerevoli asset informativi sparsi dentro e fuori l’azienda
3) garantire la sicurezza per tutte le tecnologie digitali
4) gestire l’ecosistema digitalizzato sia dentro sia fuori l’organizzazione
5) sviluppare e promuovere la leadership digitale, nei vertici aziendali
Trovo tutti i punti interessanti ma in particolare mi attirano per questo post il 2 e il 4.
L’informazione, il dato, l’asset digitale sono elementi che spesso si dimenticano o si sottovalutano, mentre nella realtà diventano tanto più cruciali quanto più sono ormai numerosi e complessi.
Che si tratti di gestire comunicazioni interne andando oltre la mail o di creare contenuto verso il cliente finale il fatto di avere una circolazione fluida delle informazioni e una capacità di reperimento e di distribuzione dei contenuti su più piattaforme è un requisito cruciale.
Siccome poi parliamo di ecosistemi, è alquanto pericoloso chiudere le informazioni in dei silos perché al contrario tutto oggi può avere un valore sul piano dell’analisi strategica complessiva. Le statistiche sui big data sono certamente di ispirazione a tutti i livelli ma credo che prima di arrivare a qualsiasi soluzione tecnologica ci sia un tema di organizzazione e di cultura.
Quante organizzazioni infatti si preoccupano davvero delle inefficienze dovute alla cattiva circolazione delle informazioni e alla difficoltà di gestirle? E quante si fanno guidare in modo convinto dalla lettura di tutti i dati oggi disponibili? A mio avviso poche, anche se il tema non è nuovo e ne parlai già in tempi non sospetti.
E voi, pensando alle esperienze di tutti giorni, come vi sentite di giudicare le vostre realtà?
Gianluigi Zarantonello via Internetmanagerblog.com
La combinazione smartphone e social network serve a correggere comportamenti imbarazzanti, ma Livr fa l'opposto: login solo con tasso alcolemico positivo.
Esiste un social network che in caso si beva solo acqua minerale non si potrà mai vedere. Si chiama Livr, funziona con un alcol test via Usb collegato al cellulare: se non si supera il test mostrando almeno un minimo tasso alcolemico, niente login. Uno strumento che incita irresponsabilmente all’ubriachezza? Secondo il CEO della startup, Kile Addison, è un social network composto da persone alticce, così come potrebbe esistere un social di vegani o di fashion victim.
Livr è appena nato e sta già facendo discutere animatamente, perché non si era mai vista una provocazione del genere però realizzata con tutti i crismi delle migliori applicazioni per smarphone e delle società che lavorano a progetti software-hardware. Livr, infatti, consente questo particolare login perché applica un tester al device, mentre l’applicazione ha una vocazione social: gli utenti abbastanza ubriachi per poter entrare nella rete possono scambiarsi pareri, fotografie, incontrarsi in qualche pub.
Come nelle migliori applicazioni di oggi, l’utente può filtrare secondo diversi criteri di ricerca le opzioni, che crescono a seconda del livello di alcol nel sangue: le migliori offerte nei locali, quelli più vicini, la geolocalizzazione dei post degli amici con la stessa passione per l’have a drink!. Ma ci sono tools davvero originali, che hanno fatto applaudire gli osservatori e (pare) garantito l’invito al SWSX ad Austin, come l’hot spot che calcola con un solo gesto touch i locali più frequentati e divertenti del momento e forse l’idea più forte di questa applicazione: il bottone Blackout, che cancella in modo permanente qualunque cosa è stata postata nell’ultimo login. La risorsa estrema in caso di selfie davvero improponibili che potrebbero causare l’immediato licenziamento o la rottura del fidanzamento.
Il disclaimer I due fondatori dell’app-social tengono comunque – se non altro per ragioni legali – a specificare la natura di questo prodotto e il senso di puro divertimento senza esagerare. Questo il disclaimer del sito, che è anche la risposta alle eventuali critiche:
L’applicazione LIVR è destinata agli adulti responsabili in età per bere alcolici. È intesa esclusivamente per scopi di intrattenimento. Non bisogna bere e guidare. Non bisogna bere troppo. L’eccessivo consumo di alcol può causare danni irreparabili o danni al vostro corpo e può essere letale.
Via Webnews.it
Le tecnologie digitali sembrano trovare sempre più applicazione nel quotidiano degli utenti: oltre ai grandi progetti per i dispositivi indossabili, i grandi marchi stanno sondando con interesse il mercato dell’auto, in crisi e in attesa di rinnovamento. Apple, come Google e Samsung, si è data da fare in anticipo, siglando accordi con nomi prestigiosi quali Ferrari, Mercedes e Volvo.
La casa di Cupertino vuole portare il sistema operativo mobile iOs, lo stesso che equipaggia iPhone e iPad, su alcune delle macchine più lussuose al mondo. Il software arricchirà la dotazione dei modelli d’alta gamma dei produttori, trasformando le vetture Ferrari, Volvo e Mercedes in postazioni multifunzione, connesse a internet e in grado di sfruttarne i contenuti, per l’intrattenimento dei passeggeri (con video, musica e informazioni assortite) e per facilitare il guidatore (con dati sulla sicurezza e lo stato dell’auto, rilavamenti meteo, mappe e quant’altro).
La macchine in questione diventeranno dunque Apple-car, capaci di dialogare con gli ospiti grazie all’assistente vocale Siri e agli iPad Mini integrati, come nel caso di Ferrari FF. Stile e aura tecnologica andranno di pari passo, nella speranza di allettare ancor di più i possibili acquirenti. E intanto Apple pensa all’acquisizione di Tesla, l’auto elettrica nata da una strat-up della Silicon Valley: tra conterranei ci si intende.
Via Quo Media
Ci sono tanti temi bellissimi sulla multicanalità, sul mobile e sul marketing del prossimo futuro in genere di cui mi avete visto scrivere tante volte qui e altrove. Cose entusiasmanti cui però troppo spesso manca un dettaglio fondamentale: i contenuti!
Sappiamo già che troppo spesso ci si innamora di una tecnologia senza prima valutare per quale pubblico, strategia e obiettivo la vogliamo adottare, con il risultato classico di rimanere delusi. Anche quando però il percorso POST viene correttamente declinato il rischio è di tralasciare la verità che qualunque strumento di comunicazione vuoto e fine a se stesso non si può chiamare tale. Non c’è niente di più triste di uno schermo nero o di un blog aggiornato all’anno prima. Ma non è così semplice come sembra e, soprattutto, la definizione dei contenuti dovrebbe venire prima della creazione degli strumenti che dovranno riempire e far vivere e non viceversa.
Oggi differenziarsi è un’operazione dura sul piano dei prodotti o dei servizi offerti ma non di meno è dannatamente difficoltoso poi far percepire questa differenza al cliente in termini di valori materiali e immateriali. Il cliente ha voglia di storie. La vostra, quella del prodotto, quella del testimonial, quella del mondo di riferimento del brand. E c’è già chi dice per questo che il sito corporate in quanto tale è morto.
In estrema sintesi dunque bisogna essere pronti a tre sfide reali:
1) la qualità dei vostri contenuti deve essere alta e basata non solo sulla piacevolezza visiva(fondamentale) ma anche sulla reale rilevanza che il fruitore vi attribuisce. Non è una semplice campagna advertising ma storytelling, e la metrica davvero rilevante è l’engagement.
2) i vostri contenuti devono essere liquidi: che si tratti di testi, foto o video l’esperienza non si può interrompere tra un device e l’altro e contemporaneamente lo sforzo di adattamento e rilavorazione da parte vostra deve essere minimo. La capacità di distribuire e declinare i vostri contenuti attraverso tutti i touch point (social inclusi) non è meno fondamentale che l’abilità nel crearli. Senza contare poi che il contenuto è uno di quei fili che legano i vostri owned, earned e paid media.
3) i contenuti si evolvono nel tempo ma si deve poter sempre scorgere il filo rosso che li lega, per sedimentare e costruire. Come già per i social, parliamo di relazione più che di comunicazione pura, non basta l’azione eclatante ma serve piuttosto un percorso constante.
Tutto dunque parte dal brand e dalle sue storie e valori, se un marchio non ne possiede o non ne sa dare una rappresentazione, beh, ha un problema. E non piccolo!
Il 12% dei consumatori online fa regolarmente shopping da device mobili, come tablet e smartphone, contro il 9% della media globale ed europea, mentre il 47% usa i social media per seguire un brand (il 23% in Gran Bretagna). Inoltre, il 22% degli italiani utilizza il canale online anche per ricercare un particolare prodotto o marchio prima di entrare in negozio. È quanto emerge dalla PwC Total Retail Survey 2014, ricerca che ha analizzato i comportamenti di consumo online di 15.000 consumatori in 15 paesi, tra cui oltre 1.000 italiani.
“Il consumatore italiano online è una figura nuova, cresciuta negli ultimi 3-4 anni dal momento che circa il 60% degli intervistati compra sul web da meno di 4 anni e il 21% da meno di un anno“, spiega la società. Nonostante sia “immaturo”, il consumatore italiano è attivo nell’acquisto online, con il 25% degli intervistati che usa il canale digitale almeno una volta a settimana. L’85% afferma inoltre di acquistare direttamente dai siti dei produttori, contro il 78% della media globale e sopra la media di altri paesi europei (78% Francia, 75% Olanda, 76% Germania e 62% Uk). La possibilità di trovare prezzi migliori è il vero motivo che spinge il consumatore all’acquisto online (lo dice il 70% degli intervistati), ma anche perché può comprare da casa (motivazione citata dal 51%). Inoltre, il 35% degli italiani compara prezzi tramite smartphone quando già si trova in negozio. Infine, nel 2013 il 59% dei consumatori ha continuato a preferire i canali offline per il contatto col prodotto, percentuale comunque in diminuzione rispetto al 73% del 2012.
Via Tech Economy
A gennaio sono stati 27,4 milioni gli utenti online collegati almeno una volta da un computer. L’audience online da pc nel giorno medio è rappresentata da 13,2 milioni di utenti collegati in media per 1 ora e 19 minuti. Sono i dati resi disponibili, come ogni mese, da Audiweb.
L’audience si concentra principalmente nelle ore pomeridiane e di prima serata. Infatti, risultano 7,2 milioni gli utenti online tra le ore 15 e le 18 e 7,1 milioni tra le ore 18 e le 21. Risultano 7,3 milioni gli uomini e 5,8 milioni le donne online nel giorno medio, con una concentrazione maggiore tra i 35-54enni (6,4 milioni di utenti) che rappresentano il 48,5% della popolazione online nel giorno medio. In base ai dati sulla provenienza geografica, invece, la popolazione online nel giorno medio risulta composta da utenti dell’area Sud e Isole nel 29,6% dei casi (3,9 milioni), dell’area Nord-Ovest nel 26,7% dei casi (3,5 milioni), dell’area Centro nel 16,4% (2,2 milioni) e dall’area Nord Est nel 15,2% (2 milioni).
Audiweb rende noto anche i dati sulla fruizione di contenuti video. Nel mese di gennaio sono state rilevate 99,5 milioni di stream views con 8,3 milioni di utenti che hanno visualizzato almeno un contenuto video su uno dei siti degli editori iscritti al servizio, con una media di 35 minuti e 36 secondi di tempo speso per persona. Nel giorno medio risultano 3,2 milioni le stream views, con 1,1 milione di utenti che hanno dedicato in media 8 minuti e 31 secondi per persona alla visione dei contenuti video sui siti degli editori iscritti.
Audiweb avvisa che i nuovi dati sulla fruizione di internet da mobile (smartphone e tablet) nel mese di gennaio sono ancora in elaborazione e verranno pubblicati a breve.
Via Tech Economy
Oggi voglio provare a proporre un post un diverso, con alcune citazioni di personalità e siti rilevanti del mondo digital che poi commenterò brevemente per evidenziare dei concetti che in altri paesi sono al centro di molti dibattiti ma che in Italia sono ancora poco percepiti. Molte cose le ho già toccate più volte ma queste frasi testimoniano come siano temi reali e di alto livello.
Citazione 1
It is impossible to separate digital from marketing because understanding and connecting with the customer is marketing - Esmeralda Swartz su CMO.com
Partiamo dalla base: la divisione fra digital e marketing è piuttosto artificiosa ormai, non si può pensare a delle attività e a una strategia senza i nuovi strumenti. Contemporaneamente, il digitale non è da solo sufficiente a cambiare il mondo.
Citazione 2
Marketing technology is about both efficiency and experience - Scott Brinker su http://chiefmartec.com/
Detto che la divisione dunque non c’è bisogna capire come approcciare le tecnologie per fare marketing, che nel mondo stanno diventando la prima spesa IT a livello assoluto. Non si può ridurre il tutto però solo a un fatto tecnico: automatizzare gli strumenti deve sì portare risparmio ma non può non collegarsi all’esperienza che il cliente deve avere attraverso tutti i touch point. I marketers dunque non devono avere paura della tecnologia, la devono conoscere(ciascuno per quanto gli basta) e sfruttare attivamente.
Citazione 3
In 2014, brand will have to stop thinking social media as a silos and approach it as a social business one where technologies and methodologies are deeply integrated into the core of the business – Charlene Li www.altimetergroup.com
Il concetto del superamento del silos è piuttosto costante in tutti i commenti sullo scenario e non può non applicarsi ai social media, croce e delizia di molte aziende che sono in bilico tra la voglia di usarli e la paura della perdita di controllo (oltre che con dei risultati non soddisfacenti). Il fatto di usarli in modo separato dal resto dell’ecosistema aziendale non porta sostanziali benefici, mentre l’ascolto e la relazione che permettono con il cliente delle grandi opportunità
Citazione 4
2014 will be a tipping point for mobile marketing. [...] There is no other platform that is as personal, as pervasive and provides the opportunity for proximity – Greg Stuart – www.mmaglobal.com.
Sul mobile ormai si possono scrivere trattati ma io credo che non siano ancora così chiare le opportunità offerte dal modo con cui la gente lo usa. Relativamente pochi ad esempio valorizzano la navigazione e la fruizione dei propri owned media da cellulare, e anche nelle stesse app non viene spesso creato del valore aggiunto per il cliente, non partendo dai suoi bisognie anche dal suo livello di adozione del mezzo.
Citazione 5
You may never turn your CIO and CMO into the best of friends, but you should be able to convince them they are natural allies – Glen Hartman – su Harvard Business Review
Citazione 6
Find the right digital leaders. Leadership is the most decisive factor for a digital program’s success or failure. Increasing C-level involvement is a positive sign, and the creation of a CDO role seems to be a leading indicator for increasing the speed of advancement - Brad Brown, Johnson Sikes, and Paul Willmott suhttp://www.mckinsey.com/
Le ho messe assieme perché toccano entrambe il tema organizzativo e la sorprendente (per chi non segue da tempo questi trend) convergenza fra CIO e CMO, causata dalla consumerizzazione dell’IT e dalla nuova centralità della tecnologia nel business.
I due mondi dunque devono ricominciare a parlarsi e a lavorare assieme, anche perché il livello di complessità di tutto questo sta diventando davvero alto e richiede entrambe le competenze.
Siccome poi la complessità di cui sopra impatta su tutte le aree aziendali è ormai necessario avereall’interno delle organizzazioni degli innovatori leader che possano guidare questo processo evolutivo. È ovviamente necessario però che abbiano legittimazione organizzativa sufficiente per essere ascoltati e seguiti.
Citazione 7
Marketing is too important to be left to the marketing department – David Packard
Chiudo con questa che non mi sembra necessario commentare.
Quanto sono pronte alla sfida le vostre realtà?
Gianluigi Zarantonello via Internetmanagerblog.com
Instant messagging, app geolocalizzate, piattaforme fotografiche. A ciascuno il suo social. Le comunità connesse iniziano a diversificare il consumo digitale, la dieta mediatica si arricchisce e accanto a Facebook attecchiscono altri social network. La supremazia di casa Zuckerberg è ancora indiscussa, ma qualcosa sta cambiando. Servizi come WeChat e WhatsApp spopolano, con tassi di crescita a tre cifre. WeChat ha segnato un balzo del 379% nel 2013 secondo il Global Web Index. Poi c'è la crescita inarrestabile di Instagram e Foursquare: nei dati di Vincenzo Cosenza si assestano rispettivamente a 150 e 10 milioni di utenti attivi. E poi ci sono social "regionali": l'Estremo Oriente abbraccia QZone, con oltre 620 milioni di utenti cinesi.
In Italia Facebook distanzia i competitor: ci accedono una volta al mese in 26 milioni e 16 lo fanno da mobile, con la fascia di pubblico maturo in crescita, i cosiddetti "silver users". Campanello d'allarme globale è allora la lenta diaspora dei giovani, al punto che il Cfo di Facebook David Ebersman ha riconosciuto che negli ultimi mesi si registra un calo di utenti: «Abbiamo visto una diminuzione, in particolare tra gli adolescenti». Accanto ai grandi player cresce una miriade di piattaforme fruite in mobilità e condivise da comunità verticali. Quanto questi attori scesi nell'agone digitale possano entrare in concorrenza con un colosso come Facebook è presto per dirlo. Tendenzialmente non saranno mai in relazione diretta. Ma le sfide dei prossimi mesi si giocheranno sui servizi premium in mobilità, sulla crescente geolocalizzazione e sulla necessità di legare tribù sempre più verticali. I casi italiani di successo si moltiplicano: a Milano tre informatici under trenta hanno messo in rete CityGlance, prima social app per chi utilizza i mezzi pubblici. A testare gli algoritmi sono più di 7mila utenti e a breve sarà esteso anche in altre nove città.
D'altronde l'ha dichiarato più volte proprio lo stesso Zuckerberg: «Non si crea una comunità, le comunità esistono già e fanno ciò che vogliono». E allora sembra proprio che queste lo stiano ascoltando, perché negli ultimi tempi si registrano lenti ma graduali movimenti verso altre piattaforme. Beninteso, sono scosse di una magnitudo contenuta per un ecosistema digitale in assestamento. Al momento però ciò che si registra è una tendenza all'integrazione e all'uso combinato di più social. Secondo il rapporto Pew Research Center, circa il 73% degli utenti accede a piattaforme social. Facebook domina, ma molti utenti diversificano la navigazione: il 42% adotta più social, rispetto al 36% che accede esclusivamente a Facebook. «Altri servizi ne minacciano il predominio. Instagram ha molti utenti che accedono in mobilità più volte al giorno, mentre Pinterest e LinkedIn intercettano specifici gruppi demografici», sostiene Maeve Duggan, coautore del rapporto.
Queste nuove agorà vivono nel sottobosco della rete. E l'esperienza di navigazione evolve, virando dal come stiamo al dove stiamo. Lo sa bene Stefano Ceccon, italiano espatriato a Londra. Nato trent'anni fa a Bassano del Grappa, ingegnere biomedico, ha messo ordine al caotico traffico londinese, implementando London Crowd, una app che ha avuto milioni di download ed è stata annoverata da Forbes tra le migliori per districarsi nella giungla londinese.
Secondo alcuni analisti, però, a preoccupare il colosso di Mountain View non dovrebbero essere i piccoli. Perché il futuro non sarà dettato dalla frammentazione, bensì dalla concentrazione. «Avremo un unico grande social network che assorbirà tutti gli altri, perché offrirà un valore aggiunto», afferma Margherita Pagani, docente di Digital marketing alla Bocconi e all'Emlyon Business School, che ha esposto la sua tesi in un paper su Mis Quarterly. «Si tratta della "legge del gigante", speculare a quanto avviene nelle molecole e possibile scenario anche per il mondo digitale: l'evoluzione futura sarà dettata da dinamiche di integrazione a livello di network».
L'obiettivo comunque è presidiare questo ecosistema, aggregando e cercando di mantenere forti barriere in uscita. «In questo contesto il modello Google registra più opportunità perché offre servizi differenziati e gratuiti». Per Pagani un altro elemento che potrebbe spiegare la curva decrescente di Facebook è legato alla privacy: «L'elemento dell'intrusività, ovvero il fatto che i dati personali possano essere sempre più controllati, non va sottovalutato. L'utente oggi è molto più sensibile al tema».
Questo un possibile scenario. Ma c'è anche chi ha pronosticato una desertificazione del social più popolato al mondo, suscitando stupore e ilarità, oltre all'ironica risposta della stessa Facebook. Per John Cannarella e Joshua Spechler della Princeton University, Facebook sarà abbandonato entro il 2017 dall'80% degli utenti. La ricerca si basa sul confronto tra le curve delle epidemie e quelle delle reti sociali. Certo, si tratta di uno scenario irrealistico. Ma è anche vero che le evoluzioni a cui la rete ci ha abituato sono imprevedibili.
Via IlSole24Ore.it
Alcuni lo hanno già definito il colpo del secolo. Facebook ha comprato per 19 miliardi di dollari WhatsApp, l'applicazione di messaggistica per dispositivi mobili più diffusa al mondo. L'accordo siglato nella serata di ieri prevede che il colosso di Menlo Park paghi 4 miliardi in denaro, 12 miliardi in azioni (quasi 184 milioni di titoli) e altre 3 miliardi di dollari in azioni vincolate date direttamente a impiegati e fondatori di WhatsApp, che però si sbloccheranno tra quattro anni.
La mossa porterà al social network fondato da Mark Zuckerberg una società con oltre 450 milioni di utenti attivi al mese (il 70% di essi attivi ogni giorno) e oltre un milione di nuovi iscritti ogni 24 ore, come rivelano gli stessi i dati forniti dall'azienda fondata nel 2009 e con sede a Mountain View, California. Secondo gli analisti è questo il motivo che ha spinto Facebook a sborsare una così alta somma: il social network vuole continuare ad alimentare la sua crescita in termini di utenti che secondo molti sta rallentando. E ancora - come si legge in una nota sul blog aziendale di Facebook - "l'acquisto accrescerà la connettività e l'utilità di Facebook nel mondo". In altri termini aumenterà ancora di più la sua presenza nella telefonia mobile, una delle aree su cui Zuckerberg punta maggiormente.
"WhatsApp presto arriverà a connettere un miliardo di persone. I servizi che hanno già superato quella soglia hanno un valore immenso", ha detto l'amministratore delegato di Facebook, Zuckerberg, aggiungendo: "Conosco Jan da molto tempo e sono molto felice di poter lavorare con lui e con il suo team per rendere il mondo più aperto e connesso". La decisione di Facebook fa terra bruciata intorno a quello che si credeva essere l'acquisto d'oro degli ultimi anni nel settore tecnologico: quello di Skype messo a segno da Microsoft nel 2011 per 8,5 miliardi di dollari. L'accordo con WhatsApp rappresenta un nuovo episodio della strategia messa in atto da Facebook: acquistare con mosse miliardarie i potenziali rivali per portarsi in casa milioni di nuovi utenti e ridurre la possibilità di perdere terreno.
È successo nel 2012 con Instagram, il social network per condividere fotografie, pagato un miliardo di dollari in denaro e azioni. La cosa invece non è andata in porto nel 2013 quando il colosso di Menlo Park aveva offerto 3 miliardi di dollari per acquistare il servizio di messaggistica Snapchat che a sorpresa aveva rifiutato: i due fondatori poco più che ventenni hanno sfidato il gigante scommettendo sulla loro crescita.
Facebook nel rivelare l'accordo ha fatto sapere che il co-fondatore e amministratore delegato di WhatsApp, Jan Koum, entrerà nel consiglio di amministrazione del social network e per ora continuerà a mantenere la sua indipendenza. L'annuncio è arrivato a mercati chiusi e il colosso fondato da Zuckerberg ha accusato il colpo cedendo fino al 5% dopo che nel corso della giornata aveva raggiunto un massimo storico di 69,08 dollari per azione.
Via IlSole24Ore.com
Brand Finance ha rilasciato la sua classifica dei 500 marchi più importanti al mondo, che valuta i maggiori brand del mondo secondo determinati parametro, per determinare quali sono quelli che valgono di più e i più “potenti”.
Dalla classifica emerge che, a livello di singoli paesi, i marchi americani occupano 185 dei 500 posti, le prime 9 posizioni su 10. In testa c’è Apple, seguita dall’unica straniera in un panorama tutto a stelle e strisce, ovvero Samsung, mentre al terzo e quarto posto troviamo Google e Microsoft. Tali aziende occupano posizioni stabili rispetto all’anno passato, mentre Verizon, General Electric e At&t hanno scalato la classifica piazzandosi, rispettivamente, al quinto, sesto e settimo posto. Di fatto, nelle prime 10 posizioni si piazzano brand legati al mondo dell’It.
Per quanto riguarda Samsung si è assistito ad un miglioramento della reputazione del gigante coreano grazie all’aumento di affidabilità, al ritmo più veloce nell’innovazione e ad una più ampia gamma di dispositivi, fattori che hanno fatto lievitare il valore del marchio da 20 miliardi di dollari a 79. Tra gli altri successi tecnologici troviamo Netflix , che ha quasi raddoppiato il suo valore di brand ed appare nel Brand Finance Global 500 per la prima volta. Il suo valore è cresciuto del 93% in un anno. Facebook, che sta recuperando terreno dopo il debutto in borsa, quest’anno ha aumentato del 76% il suo valore fino ad arrivare a 9,8 miliardi dollari e piazzandosi al 122 posto.
Dalla classifica emerge, inoltre, che è la Ferrari il marchio che ha registrato i valori piu’ alti in una vasta gamma di parametri del Brand Strength Index di Brand Finance: desiderabilità, lealtà e fiducia dei consumatori, identità visiva, presenza online e soddisfazione dei dipendenti. “Il cavallino rampante sul campo giallo è immediatamente riconoscibile in tutto il mondo, anche dove le strade asfaltate sono ancora da raggiungere. Nel suo paese d’origine e tra i suoi numerosi ammiratori in tutto il mondo Ferrari ispira qualcosa in più della semplice lealtà di marca, di culto, di devozione persino quasi-religiosa, il potere del suo marchio è indiscutibile”, ha affermato David Haigh, amministratore delegato di Brand Finance. Essendo di nicchia e un marchio di lusso, con una produzione ufficialmente limitata, Ferrari è tuttavia lungi dall’essere il brand con il maggior valore di mercato al mondo. I 4 miliardi di dollari di valore lo posizionano al 350esimo posto della relativa classifica dei marchi con la maggior valutazione.
Via Tech Economy
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