Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
I risultati di una nuova ricerca di marketing avviata dalla startup Crowdtap e dalla società di ricerca Ipsos fanno luce sulle modalità di fruizione delle notizie da parte della generazione più connessa, la cosiddetta generazione dei Millennials, definita in questo studio come i nati tra il 1977 e il 1995, che hanno grande familiarità con i media e le tecnologie digitali. Quando si tratta di fiducia, si legge dal rapporto, i Millennials scelgono quasi sempre fonti provenienti dai loro pari.
Gli user generated content (Ugc) sono contenuti mediali sviluppati dagli utenti. Possiamo includere in questa categoria gli aggiornamenti di stato sui social network, i post sui blog, i video su Youtube autoprodotti, le recensioni dei ristoranti, in pratica qualsiasi contenuto pensato e pubblicato da utenti non professionisti, spinti da nessuna specifica motivazione professionale se non quella di offrire la propria opinione nel vasto, e affollato panorama delle opinioni esistenti. Secondo lo studio della Ipsos e di Crowdtap i Millennials si fidano di questo tipo di contenuti al pari delle recensioni dei professionisti o dei contenuti più professionali.
Nello specifico circa la metà dei Millennials si fida delle informazioni che trovano sulle reti sociali (50%) e sui blog e bacheche (48%) a seguire su siti web (49%). Gli user generated content sono anche il 20% più influenti quando si tratta dei consigli d’acquisto e il 35% più incisivi rispetto ad altri tipi di supporti. Il fatto che i Millennials trascorrano più di cinque ore al giorno con questi contenuti chiarisce ulteriormente il quadro.
Via Tech Economy
Il processo di acquisto del consumatore è appare lineare e sempre più diversificato: ci si informa online e si acquista offline ma, al tempo stesso, si fa largo l’abitudine di cercare informazioni mentre si è nel punto vendita o di toccare con mano il prodotto in negozio per poi cercare online il prezzo migliore. L’87% dei consumatori in Italia compera in negozio dopo essersi documentato in rete. 7 su 10 invece, provano il prodotto in store prima di finalizzare l’acquisto online. Facebook e YouTube tra i social con il maggiore potere di influenza sui consumatori del Belpaese. È questo, in sintesi, quanto emerge dalla nuova edizione di Connected Commerce: A Snapshot of the Modern Shopper, una ricerca condotta da DigitasLBi in Belgio, Cina, Danimarca, Francia, Germania, Italia, Olanda, Singapore, Spagna, Svezia, Regno Unito e Stati Uniti, per tratteggiare il comportamento d’acquisto dei consumatori.
“Il potenziale di smartphone e tablet sta rendendo sempre più labili i confini tra lo shopping tradizionale e il mondo dell’online – afferma Carol Pesenti, head of Italy and Spain di DigitasLBi – e se da un paio d’anni si è diffusa tra i consumatori la tendenza Ropo (research online purchase offline, l’abitudine a documentarsi in rete su un prodotto prima di acquistarlo fisicamente in negozio), ora si assiste alla nascita di un fenomeno inverso, lo showrooming: visitare, cioè, il negozio per toccare dal vivo la merce e procedere con l’acquisto online, magari ad un prezzo più contenuto”.
“La diffusione su vasta scala di dispositivi mobile sempre più smart – afferma Gianfranco Pocecai, cto West Europe di DigitasLBi – sta letteralmente rivoluzionando non solo l’esperienza d’acquisto del singolo consumatore, ma anche il mondo del retail a livello globale. Si stanno delineando nuovi scenari per negozi e store che devono ripensarsi, adeguandosi ad un mondo sempre più digitale se vogliono mantenere la propria competitività sul mercato. Ma si fanno avanti anche nuove dinamiche per il consumatore, sempre più combattuto tra un’esperienza d’acquisto digitale e il negozio offline”.
Via Quo Media
“The marketing future belongs to just two groups: technicians and magicians.” Sir Martin Sorrell
Sì, le due cose che cito nel titolo, i dati e l’experience, c’entrano eccome gli uni con l’altra. In un suo recente e-book Scott Brinker dice con grande chiarezza che la celebrata coppia art & copy è fondamentale anche oggi, anzi lo è di più per creare l’esperienza e lo storytelling ma che “in a digital world, art and copy must be augmented by code and data“.
Non abbiamo mai avuto così tante informazioni a disposizione come oggi e nemmeno così tanti strumenti di marketing che permettono di interagire, relazionarsi, ascoltare le persone, al punto che il marketing ha superato l’IT nella spesa per il software. Eppure, c’è ancora una diffidenza diffusa nei confronti degli automatismi e del dato, “roba da tecnici” si dice, e poi il digitale è “un mondo a sé stante, fatto di gente che smanetta”. Mi piace contrapporre a questa visione una frase di Clive Sirkin, CMO of Kimberly-Clark: “We don’t believe in digital marketing. We believe in marketing in a digital world, and there’s a huge difference“.
Il digitale quindi è uno strumento (permeante) per fare business, non il business in sé, e di tutti questi dati bisogna fare un uso intelligente per prendere decisioni velocemente e mettere al centro il cliente, cosa che non si può pensare di fare senza dei processi automatici di marketing. Amazon ci ha insegnato che la strada è offrire sempre la proposta (e quindi l’esperienza) giusta al momento giusto e quasi metà dei top retailer online lavora sulla personalizzazione dell’e-commerce. Tutti trends che si stanno allargando ad un’esperienza offline e multicanale. Leggete anche qui quali sono per Forrester i top trend del CRM 2014. Strategia e dato, marketing e tecnologia.
Oggi poi gli strumenti di visualizzazione del dato e i software che permettono di programmare delle azioni derivanti da queste analisi sono diventati sempre più grafici, intuitivi e semplici da usare.
Il marketing dunque torna ad essere una scienza di dati e strategia, non solo comunicazione, e allora è ovvio che se non tutti coloro se ne occupano devono diventare degli esperti di tecnologia è altrettanto vero che la capacità di cavalcare il nuovo paradigma data driven è indispensabile anche perandare al cuore della customer experience, un terreno emozionale che si prepara su solide basi razionali e che oggi viene indicata come il nuovo business benchmark.
Voi che cosa ne pensate?
Gianluigi Zarantonello via Internetmanagerblog.com
Ti seguo e t’inseguo: il #SocialCare si fa «mobile». Ecco uno tra i risultati più sorprendenti del «Social Customer Engagement Index 2014», appena pubblicato da Social Media Today. Il 49,9% dei Brand interpellati conferma di “ingaggiare” i clienti per attività di Social Caring attraverso piattaforme mobili e di realizzare regolarmente Customer Care via mobile.
Social careUna crescita che lo studio condotto da Brent Leary, con la collaborazione di Paul Greenberg, sull’«uso e l’efficacia degli strumenti social per il Customer Service» definisce «drammatica» rispetto all’anno precedente, quando il livello di coinvolgimento si fermava al 38,1%. Un dato che deve far riflettere anche da noi. È necessario e ormai imprescindibile effettuare Customer Care online tramite le piattaforme consuete, quali Facebook, Twitter e altri social “emergenti”: ma queste piattaforme stesse, per prime, stanno evolvendo. L’accesso a Facebook si svolge prevalentemente da Mobile App: proprio di qualche giorno fa è l’annuncio che oltre un miliardo di utenti accede al social network da dispositivi mobili. Inevitabile così che il cliente “corra”: che chieda assistenza non solo quando è a casa la mattina, prima di andare in ufficio, o la sera al ritorno, o ancora quando è comodamente seduto alla scrivania e si accorge di un problema inatteso: bensì piuttosto quando è in giro, in macchina, in fila alla posta o alla banca, a far la spesa e in attesa alla cassa. Il cliente si muove. E l’azienda deve muoversi con lui: evolvere contestualmente all’evolversi della richiesta. Il cliente è al centro: il Brand, chiamato a seguirlo, se non vuole perderlo deve convincersi e piegarsi a inseguirlo.
Se il 62,5% delle compagnie che investono oltre 250.000 dollari l’anno nel #SocialCare offrono già il servizio via mobile device e il 73% di chi si dice «soddisfatto» del Social Customer Care delle aziende con cui è in contatto specifica che queste offrono assistenza via mobile, vero è che ancora molto alta resta la percentuale di chi deve mettersi al passo coi tempi. Siamo al 34,5%: se la metà o quasi delle compagnie ha intrapreso la strada del cambiamento, oltre 1 su 3 deve aggiornarsi.
Come? Lavorando anzitutto sul proprio mobile website, gettonato dal 51,8% delle compagnie per fornire assistenza in mobilità. Ma anche sulle App per smartphone (usate nel 36,3% dei casi) e per tablet (23,4%). Proprio in App realizzate appositamente per il SelfCare dichiara di voler impegnarsi a investire il prossimo anno il 31,7% delle aziende interpellate, rispetto a un 19,6% che si dedicherà invece al Mobile Self-Service, un 18,9% impegnato su Chat Live via mobile, un 16,7% che si indirizzerà sul «Click-To-Call» e un 12,9% focalizzato su forum accessibili in mobilità.
Resta però un pesante 32,2% che ammette di non volere o non poter impegnarsi a breve in nessuna di queste attività. Il problema maggiore? L’allocazione delle risorse per il 42,3% dei Brand: accanto però – attenzione – per il 29,6% alla «accettazione» della riorganizzazione aziendale che il Social Care impone. Non si tratta insomma solo di un problema di budget: nel 2012 la percentuale di chi individuava la maggior difficoltà nel reperimento risorse era ben più alta, al 48,2%. In un anno chi voleva trovare i soldi li sta trovando: il problema vero resta la persuasione del management, che ancora fatica a convincersi della necessità, dell’urgenza di una riprogettazione della struttura aziendale alla luce di un Customer Care che si faccia online, di un’evoluzione social del DNA del Brand. Anche perché a sfuggire, e con ciò a frenare, è il possibile ROI: il guadagno, il ritorno sul business. Ostacolo, questo, evidenziato dal 26,1%.
E dire che è chiaro ormai il principio: «Vuoi vendere? Aiuta». Gli affari oggi si fanno solo essendo utili, guadagnando credibilità, recuperando affidabilità. Ponendo in opera la «Youtility», un «marketing così utile che la gente sarà felice di pagare», costruito sullo «Help», sull’aiuto, non sull’«Hype», lo strillo pubblicitario. Un “marketing del volontariato” – un “egoismo altruista”, altruismo egoista – che «assiste comunicando, comunica assistendo»: che «ascolta, poi risponde», fermandosi a comprendere l’altro – il cliente – prima di agire.
Uno stop quanto mai complesso da realizzare la prima volta: richiede l’accettazione di una svolta, della sfida dell’innovazione, di una trasfigurazione della propria natura che non è mai indolore. Mettere in gioco il cuore, vestirsi di dedizione e spirito di servizio, per cambiare come cambiano i tempi, non è cosa che si realizza dall’oggi al domani. Reclama una “con-versione”, un mutamento di rotta in animo e spirito che, oltre a realizzarsi nelle coscienze dei singoli, deve nel concreto essere accompagnato e favorito da un’adeguata gestione delle risorse, del capitale umano presente in un’azienda: risorse che anzitutto internamente devono collegarsi, per capire poi come ci si collega, come ci si connette a livello globale nella sharing economy entro cui viviamo.
Rimettersi in gioco è quanto sarà richiesto anche nella scelta pratica delle piattaforme su cui porre in opera le proprie attività di Social Caring. Se Facebook e Twitter, come è evidente, non possono non essere presidiati – e tuttora veicolano il traffico maggiore – emergono però prepotentemente altre realtà come Instagram e YouTube, Google+, LinkedIn e Pinterest: molte delle quali utilizzate soprattutto via mobile. E non ci vorrà molto per vedere la scalata di piattaforme come WhatsApp o la concorrente WeChat: sempre più in voga, tanto da competere ormai col gigante di Zuckerberg per numero di utenti attivi. L’assistenza viaggerà presto (anche) via instant messaging: se ti seguo, devo “inseguirti”, cliente, ovunque tu vada, in mobilità. Un messaggino ci salverà: se non ci faremo trovare impreparati.
Via Tech Economy
Per festeggiare il suo ottavo compleanno, Twitter ha reso disponibile una funzione che consente agli utenti di viaggiare indietro nel tempo e ripescare facilmente il primo tweet inviato. Giochino sfizioso, che si scontra però con la scarsa capacità di fidelizzazione evidenziata dal social network nel corso degli anni e degli ultimi due in particolare.
Stando infatti a quanto scrive il Wall Street Journal, citando un'anticipazione del rapporto stilato da Twopcharts (un sito olandese che monitora l'attività degli account di Twitter), circa il 40% dei 20 milioni degli utenti che si registrano al servizio ogni mese invia almeno un tweet nel mese in cui si iscrivono. Fin qui tutto bene o quasi. Il problema è che, nel 2015, solo un quarto di questi account si presume possa essere ancora attivo. E non finisce qui. I dati di Twopcharts mostrano infatti come gli account creati in anni più recenti siano meno attivi di quelli che hanno abbracciato la piattaforma nel periodo 2006-2011. E con una progressione negativa molto evidente: circa il 25 % degli account creati nel 2008 sono cinguettanti ancora oggi, mentre solo il 10,7% di quelli creati nel 2012 sono in attività a distanza di poco più di un anno.
Dati che evidenziano, anche agli occhi dei meno esperti in fatto di dinamiche del Web, la difficoltà per il social network di mantenere un adeguato livello di "retention" degli utenti, di garantirsi continuità di "cinguettii" da parte di chi utilizza il servizio da più tempo. E quindi di sviluppare il proprio business pubblicitario. Il problema di fondo, infatti, è il seguente: Twitter genera introiti dall'advertising solo quando gli utenti interagiscono con l'annuncio, lo "re-twittano", lo utilizzano per segnalarlo fra i preferiti. O semplicimente ci clicca sopra. Tornando ai numeri che spiegano l'evoluzione della comunità del social network, degli 1,5 miliardi di account registrati complessivamente, solo 955 milioni (sempre secondo Twopcharts) esistono ancora oggi e solo il 13% di questi ha inviato un tweet negli ultimi 30 giorni. Una percentuale, quest'ultima, che equivale a circa la metà dei 241 milioni di utenti mensili attivi (e cioè account che accedono al servizio, anche senza pubblicare nulla, almeno una volta al mese) che Twitter dichiarava alla fine del 2013.
Sulla questione, i portavoce del social network non hanno profuso dichiarazioni, trincerandosi dietro il solito "no comment" ai dati prodotti da terze parti. Da Twopcharts fanno però anche sapere che circa la metà degli account registrati nel 2014 sono stati sospesi da Twitter probabilmente perché affetti da spam. Nel 2012 tale percentuale si fermava al 28 % e sono circa 500 milioni gli account registrati sospesi nel complesso dalla nascita del social network a oggi. Se veri, si tratta di numeri preoccupanti.
Via IlSole24Ore.com
Apple prova a rimpolpare il proprio bilancio allargando l’utenza potenziale e aprendo, in piccola parte, il proprio sistema: iTunes, il negozio virtuale di Cupertino, presto sbarcherà su Android, sistema operativo mobile rivale di iOs.
Lo store avrà un’applicazione ufficiale per il sofwtare sviluppato da Google e sarà quindi attivo su più piattaforme, nel tentativo di racimolare utenti e dollari attraverso la vendita di app (anche per i sistemi di BigG, come Google Play Music e Google Books), di musica e contenuti extra. Il mercato degli mp3 di iTunes, secondo i dati Nielsen, è in calo dell’11% dall’inizio di gennaio, motivo per cui Apple ha deciso di espandere il servizio andando a cercare nuovi ascoltatori su ìgli smartphone Android.
Ma il vero problema del download musicale risiede nella popolarità raggiunta dai siti che offrono (legalmente, gratis o a pagamento) lo stesso prodotto in streaming. Ecco perché la Mela ha lanciato (negli Usa) iTunes Radio e prova ora a diffondere la sua piattaforma su dispositivi di altre marche. Nel mondo, gli abbonamenti, le pubblicità e le licenze hanno fatto schizzare i ricavi di Spotify, Pandora e YouTube del 51%, mentre la musica scaricata ha perso il 2,1% nel 2013. Apple deve correre ai ripari (dai rivali).
Via Quo Media
Il primo prodotto pubblicitario di Pinterest non è ancora attivo, ma secondo quanto riportato da Ad Age il social network starebbe chiedendo impegni di spesa molto alti, tra 1 milione e 2 milioni di dollari, agli inserzionisti interessati ad acquistare spazi pubblicitari sulla piattaforma. Non solo, Pinterest starebbe progettando di stabilire i tra 30 e 40 dollari il costo per 1.000 visualizzazioni (CPM) dei suoi “promoted pins”, da visualizzare nel feed degli utenti.
Pinterest ha annunciato il progetto di introdurre pin promossi sei mesi fa e da allora ha testato il prodotto su un gruppo selezionato di clienti in modo gratuito. Ecco cosa ha detto Pinterest sui suoi annunci: “Dal momento che così tante persone usano Pinterest per segnare con un “pin” i prodotti che vorrebbero comprare in futuro, gli inserzionisti riconoscono il potenziale del social network nel mondo dell e-commerce. Inoltre Pinterest permette ai brand di includere informazioni legate allo shopping nei loro pin per permettere alle persone di conoscere il costo dei prodotti e dove possono essere comprati.”
Secondo uno studio condotto nel mese di novembre, ogni pin pubblicato sulla bacheca digitale vale una media di 0,78 dollari per il marchio di appartenenza del prodotto. Non male se calcoliamo che Pinterest ha più di 70 milioni di utenti, secondo uno studio che è uscito lo scorso giugno.
Come accade per la pubblicità di Google, un promoted pin di Pinteres avrebbe il vantaggio di colpire persone interessate e probabilmente disposte anche a compare il prodotto visualizzato. E’ molto probabile, ed è certamente la speranza del social, che cercando un dato prodotto su Pinterest, nel guardare un promoted pins ad esso correlato, esso si tradurrà in una intenzione di acquisto.
Via Tech Economy
L'obiettivo, particolarmente ambizioso, è quello di raddoppiare in futuro il valore della propria capitalizzazione di mercato, saltando dagli attuali 57 miliardi di dollari a quota 100 miliardi. Ha le idee chiare il numero uno di Starbucks, Howard Schultz, che parla di "fase iniziale della crescita e dello sviluppo" di una compagnia che nel novembre 2008 valeva sui listini azionari 5 miliardi di dollari, che oggi opera con 20mila punti vendita in 64 diversi Paesi (oltre la metà sono negli Usa, mentre India e Cina sono i nuovi bacini strategici da conquistare) e che ha fatto delle tecnologie mobili una risorsa assai importante.
Le transazioni via cellulare o altri dispositivi elettronici rappresentano infatti il 14% delle vendite "in store" della catena negli Stati Uniti, con ben cinque milioni di scontrini "staccati" via cellulare ogni settimana e circa 10 milioni di clienti che utilizzano l'app Starbucks.
Nuove app in vista per iPhone e Windows Phone Nuovi negozi (20 i punti vendita a marchio Teavana in procinto di aprire nel corso dell'esercizio fiscale corrente), nuovi menu ma non solo. A spingere verso l'alto i conti di Starbucks ci sono anche i programmi a premi e le app mobili: l'ultima trovata in tal senso è un'applicazione che permetterà ai clienti di effettuare in anticipo, direttamente dallo smartphone, le ordinazioni di bevande e cibarie varie. La sperimentazione partirà presto in alcune caffetterie statunitensi.
Sin d'ora, invece, gli utenti possono effettuare i pagamenti alla cassa con il dispositivo mobile, legando la transazione gestita tramite "Qr code" sul proprio account alla propria carta fedeltà Starbucks. L'app per iPhone, in tal senso, è stata appena aggiornata per offrire la possibilità di dare la mancia (50 centesimi, uno o due dollari) e per abilitare il pagamento, tramite la nuova funzione "shake to pay", agitando semplicente il telefonino e visualizzando così facendo la carta con codice a barre Starbucks nella parte anteriore dello schermo. Gli aggiornamenti per l'app Android, invece sono attesi entro la fine dell'anno mentre quella per i Windows Phone dovrebbe essere lanciata nello store di Microsoft nei prossimi mesi.
Via IlSole24Ore.com
Condividere la buona cucina e il piacere di stare a tavola grazie ai social network. Una mania che spopola sulle varie piattaforme, da Instagram a Facebook e Pinterest, dove ormai si trovano veri e propri album tematici con foto ai piatti dei grandi chef e non, scattate direttamente nei ristoranti.
Una pratica ormai mondiale che, però, fa inorridire i maestri dell’arte culinaria come raccontano il New York Times e Culture visuelle che hanno riportato le proteste di chef del calibro di David Chang, Moe Issa o di Alexandre Gauthier e Gilles Goujon.
Per non parlare degli eccessi del Four Barrel Coffee di San Francisco che all’ingresso ha addirittura appeso un cartello con il divieto “Non postare questa foto su Instagram, tu hipster” o dell’Eva Restaurant di Los Angeles che strizza l’occhio alla crisi economica offrendo uno sconto del 5% a chi lascia il proprio telefonino all’ingresso.
Via Quo Media
Smartphone, video e social network sono gli elementi trainanti la crescita degli Internet Media, ossia l’unico comparto che fa registrare performance positive (+18%) nell’intero mercato che soffre di in calo complessivo del 5%. E’ quanto emerge dalla fotografia scattata dall’Osservatorio New Media & New Internet del Politecnico di Milano.
Il mercato dei media, infatti, nel 2013 perde quasi altri 800 milioni di euro, a fronte del calo di tutti i gli attori più tradizionali – stampa (-13%), televisione (-4%) e radio (-9%). Gli Internet Media, in crescita del 18% rispetto al 2012, raggiungono nel 2013 un valore di 1,9 miliardi di euro, soprattutto grazie alle componenti innovative di smartphone, tablet, connected tv, social network, applicazioni, pay, video e data-driven advertising, che nel loro complesso prendono il nome di New Internet e che nel 2013 crescono del 73%.
“Nell’ultimo anno la contrazione del mercato complessivo dei Media, che include introiti pubblicitari e ricavi Pay, è stata pari al 5%. Ma non tutti i canali Media stanno registrando un trend negativo” afferma Andrea Rangone, Responsabile Scientifico dell’Osservatorio New Media & New Internet. “Gli Internet Media, infatti, in 5 anni hanno duplicato il loro valore, passando da un’incidenza sul totale mercato Media del 5% nel 2008 a un’incidenza del 12%. Prevediamo che tra 5 anni, nel 2018, possano arrivare a pesare oltre il 20%.”
Il panorama è assai articolato: smartphone, tablet e connected Tv moltiplicano le occasioni di fruizione di Internet; i Social Network stanno sempre più diventando il luogo privilegiato di interazione digitale e la porta di ingresso ad Internet; le Applicazioni, nuova modalità di accesso ai contenuti a fianco del browser; gli iVideo, si stanno diffondendosi in modo pervasivo in Rete e, infine, nuovi emergono nuovi modelli di revenue basati sulla vendita di contenuti a pagamento a fianco della pubblicità. A partire da questa edizione dell’Osservatorio è stata aggiunta un’ottava componente che sta trovando un’iniziale applicazione in Italia: la pubblicità basata sui dati (Data-driven Advertising), che cambia profondamente la pubblicità Online rendendola più mirata e profilata grazie proprio all’utilizzo delle informazioni degli utenti.
“Il mercato Media abilitato dal New Internet ha registrato una crescita del 73% nel 2013, arrivando a superare i 600 milioni di euro” afferma Marta Valsecchi, Responsabile della Ricerca dell’Osservatorio New Media & New Internet. “Mentre la restante componente degli Internet Media, quella che definiamo Old Internet e che è composta dai formati più classici su Pc (come Standard Display Advertising, email Marketing, Search, Classified e Performance Advertising), mostra un incremento di soli 2 punti percentuali. Il peso del New Internet sul totale mercato Internet Media passa così dal 22% al 32% e prevediamo che nel 2018 arrivi a valere circa i due terzi”.
Nel dettaglio troviamo che:
i ricavi Media su Smartphone crescono del 167% superando i 200 milioni di euro; i ricavi Media su Tablet sono vicini al raddoppio (+94%) per un valore assoluto di poco superiore ai 50 milioni di euro; i ricavi Media su Connected Tv aumentano dell’85% raggiungendo circa 25 milioni di euro; i ricavi sulle Applicazioni segnano un incremento del 120% arrivando a valere circa 130 milioni di euro; la pubblicità sui Social Network registra una crescita del 75% e sfiora così i 100 milioni di euro; i ricavi legati ai Video Online crescono del 37% arrivando a 260 milioni di euro; i ricavi Pay aumentano del 43% per un valore assoluto di quasi 70 milioni di euro. Anche i dati di utilizzo da parte degli utenti delle diverse componenti del New Internet sono molto elevati e in forte crescita: il 75% degli Internet user usa almeno un device connesso (smartphone, pc, tablet) davanti alla Tv; il numero di applicazioni mediamente installate è superiore a 30 sia per smartphone sia per tablet, ma il reale utilizzo è concentrato su molte meno; il 40% circa delle applicazioni scaricate viene, infatti, usato solo una o due volte, mentre solo 4-5 vengono utilizzate tutti i giorni; sono ben 27 milioni gli utenti unici che mensilmente sono attivi sui social, l’82% degli Internet user, con Facebook che resta il social network più frequentato.
Via Tech Economy
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