Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
La quasi totalità dei ventenni italiani utilizza quotidianamente internet e social network, ma meno della metà si preoccupa della sicurezza dei propri dati e delle informazioni condivise. Il 40%, secondo i dati della ricerca condotta dall’Università di Milano-Bicocca, non utilizza pin di protezione per smartphone e tablet, e non effettua log out per uscire dalle app. Il 20% non effettua una cancellazione sicura dei dati.
Questi comportamenti favoriscono gli hacker e i furti d’identità tramite le intromissioni nei dispositivi mobili connessi alla rete. Ai Millennials, però, interessa poco: sicurezza e nativi digitali non sembrano andare d’accordo, stando al campione di oltre mille studenti di venti università italiane utilizzati come campione per l’indagine.
Nello specifico, il 75% utilizza ogni giorno lo smartphone come strumento di navigazione internet, mentre l’85% lo sfrutta per la messaggistica istantanea, con Skype e WhatsApp tra i servizi più popolari. Solo il 25% degli intervistato usa il cellulare per giocare.
In generale, i giovani utenti hanno una percezione errata delle proprie abilità informatiche e dei pericoli in cui possono incappare navigando senza badare alla sicurezza: si sovrastimano nel primo caso, mentre nel secondo non temono furti d’identità e simili (61% dei casi). Insomma, serve un po’ di educazione alla tecnologia, teorica e comportamentale, anche per coloro che sono nati con l’hi-tech in mano.
Via Quo Media
Il mondo del turismo sta vivendo una seconda importante rivoluzione, dopo l’avvento del web e dell’organizzazione fai da te dei viaggi resa possibile da siti come Expedia o Booking.com. Stando a quanto rilevato da Business Insider è lo smartphone a rappresentare l’ulteriore cambiamento, dal momento che in viaggio di lavoro o di piacere ci si rivolge ai propri telefonini per indicazioni, consigli e persino per fare prenotazioni on-the -go.
In un recente rapporto, si evidenzia come l’ adozione a livello mondiale di smartphone, tablet e altri dispositivi sta modificando radicalmente il modo in cui si viaggia – prima, durante e dopo. I player del settore dei viaggi stanno per questo puntando molto sul cellulare come un componente fondamentale delle loro strategie di business e stanno lavorando per rendere i loro prodotti e servizi più friendly verso il mondo della telefonia mobile. Quelli che non si adattano, dice BI, rischiano di diventare “reliquie” di un’epoca passata dominata dal desktop.
Ecco alcuni dei punti chiave del rapporto sul viaggio:
I dispositivi mobili sono compagni ideali per i viaggiatori permettendo loro di accedere a informazioni, servizi e prenotazione durante il viaggio. Entro il 2015, gli smartphone rappresenteranno un quarto delle vendite di viaggi online negli Stati Uniti. I tablet stanno configurandosi come importanti dispositivi per il completamento dell’acquisto online. Su di essi passa il 7% di tutte le prenotazioni di viaggi online a livello globale nel terzo trimestre del 2013. Ci sono notevoli ostacoli da superare prima che il cellulare possa diventare un canale chiave per la ricerca e per gli acquisti legati ai viaggi: bisognerà superare un design non user friendly dei servizi online, aspetto che impedisce gli utenti di completare le operazioni sul cellulare, e la mancanza infrastrutturale di Wi-Fi e di copertura 4G. Compagnie aeree, catene alberghiere e agenzie di viaggio online hanno bisogno di considerare tali nuovi scenari, come sta facendo Airbnb, ad esempio, che già si aspetta che la maggior parte del traffico arriverà da cellulare molto presto. L’ ulteriore prossima frontiera sarà rappresentata da sistemi indossabili e per automobili che rappresentano le piattaforme del futuro. Tanto che ci si aspetta che nuove app collegate al mondo dei viaggi debutteranno a breve sui wearable device, che sono il grande boom del futuro.
Via Tech Economy
Sponsorizzare le proprie attività artistiche, scientifiche, di beneficenza via internet è sempre più comune, anche in Italia. A dimostrazione di ciò c’è la diffusione delle piattaforme di crowdfunding, che nel nostro Paese sono ormai 54, di cui 41 attive e 13 in fase di lancio.
Questi numeri, se confrontati a quelli del web anglosassone, sono ancora piccola cosa, ma il fatto che il mercato del finanziamento popolare via web in Italia abbia raggiunto i 30 milioni di euro è senza dubbio un segnale che la tendenza si sta diffondendo anche nello Stivale e interessa realtà eterogenee.
La vera scommessa, a questo punto, è raccontare e pubblicizzare il fenomeno, così che più persone possano parteciparvi e più progetti possano trarne beneficio. Il sostegno dal basso online potrebbe essere sfruttato al meglio dagli atenei universitari, ad esempio, per progetti di studio e ricerca specifici, seguendo magari logiche social per raccogliere fondi. Il crowdfunding va poi diffuso anche al sud, dove sembra quasi sconosciuto. Un serbatoio che nel mondo raccoglie 5 miliardi di dollari di contribuiti spontanei non può essere ignorato: è una fonte virtuosa di finanziamenti per le idee della rete e non solo.
Via Quo Media
Amazon annuncia oggi che gli Amazon Coins sono ora disponibili anche per i clienti in Italia. Dopo l’annuncio dello “sbarco” della moneta virtuale sui dispositivi Android, riservata agli utenti di Stati Uniti, Germania e Gran Bretagna, è di oggi l’annuncio che sarà possibile acquistare Amazon Coins nel nostro paese con uno sconto fino al 10%. Sarà possibile utilizzarle per acquistare applicazioni, giochi e un’ampia gamma di contenuti in-app dall’App-Shop Amazon su Amazon.it, Kindle Fire e dispositivi Android.
Per “festeggiare” il lancio di Amazon Coins, i possessori di un Kindle Fire registrato su un account Amazon.it alla data di lancio, riceveranno in omaggio, direttamente sul loro account Amazon, 500 Amazon Coins per un valore di 5 euro. “Oggi tutti i possessori di Kindle Fire e tutti i clienti di App-Shop Amazon che scaricheranno l’app gratuita del giorno con l’ultima versione Android di App-Shop, riceveranno Amazon Coins per un valore di 5 euro utilizzabili per l’acquisto di nuove applicazioni e giochi come Cut the Rope 2, Minecraft o QuizDuello.” ha spiegato Mike George, Vice President di App-Shop Amazon and Games. “Continueremo ad aumentare le possibilità di ricevere e utilizzare Amazon Coins su una gamma di contenuti e attività sempre più ampia”.
Le Amazon Coins possono essere utilizzate come opzione di pagamento aggiuntiva per gli acquisti nell’App-Shop Amazon e non sostituiscono i “tradizionali” metodi di pagamento nè le forme di guadagno per gli sviluppatori che utilizzano App-Shop Amazon: essi, si legge in una nota, continueranno a ricevere il 70% dei ricavi sulle vendite, anche in caso di acquisti effettuati con le Amazon Coins.
Al contrario dei bitcoin, moneta digitale crittografata che può essere acquistata con valuta tradizionale sul web ed essere usata per pagare beni di ogni tipo nelle strutture che l’accettano, le Amazon Coins sono regolatie dall’azienda di Seattle, non hanno un sistema di cambio in dollari o euro e non possono essere impiegati in altri esercizi commerciali ma solo all’interno del negozio digitale di Amazon.
Via Tech Economy
Grazie a un accordo tra la piattaforma Vevo* e Mirriad technologies, i video musicali potranno ora ospitare product placement, da parte di inserzionisti, "a posteriori".
In estrema sintesi, l'idea è di prendere un video musicale esistente (possibilmente che faccia traffico) e - anche a distanza di tempo, piazzarci un bel product placement (ad esempio un bel posterone di prodotto sullo sfondo, mentre il cantante cammina per la città).
Il concetto è simile, per certi versi, a quello storico del placement nei videogames, concetto vecchio di anni.
Ma è un'idea che potrebbe avere delle implicazioni non banali.
Intanto, significa trasformare il video musicale in un "media" digitale - esattamente come un sito o un blog; dove cioè metto a disposizione uno spazio pubblicitario a favore degli inserzionisti. E così, mi immagino, su un qualche video famosissimo potrei vendere per un mese lo spazio a un'automobile, poi tirare giù il product placement e sostituirlo con quello di un soft drinks...
Ovviamente qui parliamo di coda lunga dei contenuti. La manipolazione ex post, su quei contenuti che non muoiono subito ma che permangono nel tempo in rete. Anzi, il fatto che certi content (io penso sempre a "Thriller", vedi mio post di un po' di tempo fa) più che dei pezzi di contenuto ospitati dentro un media sono in fondo diventati dei media essi stessi.
E anche la pianificazione ex post e non ex ante. In Advertising cerco di indovinare chi vedrà il mio programma e se il target coincide con il mio, ci piazzo la mia pubblicità.
Qui invece posso, come inserzionista, analizzare chi abitualmente guarda proprio quel video, quel contenuto (e non quel canale) e decidere che mi interessa piazzare il mio prodotto dentro il videoclip "Mission Impossible (Piano/Cello/Violin)" ma non dentro "Elektronik Supersonik" o viceversa, basandomi su dei dati fattuali e non predittivi.
Tenendo conto che una faccenda è avere i break pubblicitari all'inizio, un'altra è avere il placement dentro il video, inevitabile e non skippabile.
In realtà, nel caso specifico, le case discografiche e gli artisti avranno diritto di parola, esprimendo il proprio parere sull'adeguatezza o meno dell'inserimento di un certo brand nel proprio video.
Ed infine, ecco il primo video modificato a posteriori - con l'inserimento di un poster Levi's che nel filmato non c'era...
di Roberto Venturini
Surfing the web: questa è la promessa che ha fatto vincere a Vurb la competizione TechCrunch Disrupt New York. Tra le 26 startup che si sono date battaglia ne sono state individuate 6 papabili: Boomerang Commerce, ISI Technology, Mimi, Mink, ShowKit e Vurb ed è proprio quest'ultima che ha convinto la giuria composta da personaggi di spicco dell'industria digitale e del mondo del finanziamento, tra questi Roelof Botha (Sequoia Capital), Marissa Mayer (Yahoo!) e Fred Wilson (Union Square Ventures). Il palco newyorkese è talmente prestigioso che il premio di 50mila dollari (35mila euro circa) passa in secondo piano rispetto all'essersi qualificati al primo posto.
Cosa fa Vurb Si tratta di un motore di ricerca "decisionale" web e mobile. In un'unica pagina, cercando ad esempio un film, si otterranno i nomi delle sale cinematografiche in cui viene proiettato, le recensioni, spoiler e anticipazioni multimediali (per il momento su Netflix). Oltre a ciò sarà possibile acquistare i biglietti online e, per concludere la serata, si potrà scegliere un ristornate limitrofo in cui mangiare le specialità desiderate. Informazioni che potranno essere condivise sulle reti sociali classiche.
Perché ha vinto L'obiettivo di Vurb è sfruttare i legami tra le informazioni fruibili e presentarle in un'unica pagina, cosa comoda per chi naviga da postazione fissa e quasi imprescindibile per chi fa uso di dispositivi mobili. Il modello su cui si basa tende a ridisegnare la ricerca, eliminando i link a cui siamo abituati e restituendo immagini o "mattonelle" più pratiche per chi naviga da mobile e più simili a quanto offre l'interfaccia grafica dei più comuni sistemi operativi. L'idea non è riuscita a convincere la giuria all'unisono: Fred Wilson si è mostrato reticente ma i suoi dubbi sono stati controbilanciati da Michael Arrington il quale, oltre ad essere uno dei fondatori di TechCrunch, ha anche finanziato Vurb.
Via IlSole24Ore.com
Rinascere ancora una volta, come già fatto in passato: dopo aver ceduto i cellulari e gli smartphone a Microsoft, Nokia ora prova a farsi strada (è il caso di dirlo) nel settore delle cosiddette "auto intelligenti". La sua divisione che si occupa di investimenti, Nokia Growth Partners, ha annunciato la creazione di un fondo da 100 milioni di dollari proprio per contribuire allo sviluppo di tecnologia legata all'automotive: un settore scelto non a caso, visto che tra i gioielli della corona rimasti nel forziere ci sono le mappe di HERE.
Liberatasi di quello che era diventato a tutti gli effetti un business ingombrante, schiacciato dalla concorrenza senza esclusione di colpi di nuovi giganti del settore come Apple e Samsung, Nokia è libera di tentare nuove avventure: la relativa salute di cui gode il suo sistema di mappe deve aver convinto il management che si trattasse di un argomento interessante da esplorare, e la scelta di investire in iniziative legate alla "connected car" è un chiaro tentativo di sviluppare un nuovo ramo di business parallelo all'attuale.
L'idea che dopo i cellulari, le automobili possano diventare intelligenti non è d'altronde campata in aria: sono anni che i grandi marchi del settore propongono sistemi di bordo sempre più sofisticati, capaci di leggere i segnali, parcheggiare l'auto, avvisare in caso di cali di attenzione o colpi di sonno. Poi c'è anche Google che sta sperimentando automobili in grado di guidarsi da sole, e ancora Google e pure Apple stanno lavorando alla creazione di sistemi di intrattenimento di bordo basati su Android e iOS. Nokia ha già in casa un'enorme mole di informazioni ottenuta tramite le mappe HERE, ha la competenza per valutare e collaborare allo sviluppo di hardware e software: dunque, perché non provarci?
"I veicoli diverranno la prossima piattaforma ad alto tasso tecnologico, analogamente a quanto successo ai telefoni e ai tablet" ha spiegato Paul Asel, uno dei dirigenti di Nokia Growth Partners. Ora la consociata di Espoo inizierà a distribuire assegni da 5 a 15 milioni di dollari ciascuno, per aiutare aziende che hanno già sviluppato soluzioni interessanti ad espandere il proprio giro d'affari e garantire un adeguato ritorno dell'investimento al finanziatore. Nel prossimo futuro, in ogni caso, potrebbe capitare di acquistare un'automobile con a bordo un sistema di infotainment marchiato Nokia.
Via Punto Informatico
L’utilizzo di strumenti di comunicazione a distanza nella fornitura di servizi medici sta diventando sempre più diffuso con il mercato del c.d. eHealth, e in particolare della telemedicina, che promette un fatturato a livello mondiale di oltre 60 miliardi di euro, ma che nasconde problematiche di carattere legale che potrebbero rallentare la sua crescita. Le linee di indirizzo nazionali recentemente approvate dalla Conferenza Stato-Regioni in materia di telemedicina sono un passo in avanti verso l’introduzione della telemedicina in Italia che è già molto diffusa in altri Paesi europei come la Danimarca, la Svezia, la Norvegia ma anche la Gran Bretagna e la Spagna.
ehealthLa telemedicina si caratterizza per la fornitura di servizi medici tramite mezzi di comunicazione a distanza. E si distingue in tre sottocategorie quali la televisita che prevede una comunicazione a distanza tra medico e paziente, la teleassistenza che è invece un sistema di assistenza a distanza per esempio a beneficio di persone anziane o che stanno seguendo un processo di riabilitazione e il teleconsulto che prevede un confronto a distanza tra medici ad esempio tra un medico generalista ed uno specialista durante il trattamento di un paziente quando in una situazione di emergenza lo specialista non può raggiungere il paziente.
Le linee di indirizzo identificano i criteri di accreditamento da parte delle strutture sanitarie per l’erogazione di prestazioni in telemedicina e soprattutto per il loro rimborso da parte del servizio sanitario nazionale fornendo delle indicazioni – che dovranno essere testate nella loro implementazione pratica – circa la valorizzazione dei servizi in telemedicina che forniscano un valore aggiunto rispetto ai servizi tradizionali.
Ma le formalità burocratiche da adattare ai fini del riconoscimento di servizi forniti a distanza non rappresenta l’unico ostacolo normativo alla crescita della telemedicina. Infatti i sistemi di telemedicina non solo comportano la possibilità per il paziente (un altro medico/paramedico) di effettuare delle comunicazioni vocali con il proprio dottore, ma anche di trasmettere dati relativi alle rilevazioni che il paziente effettua a distanza tramite strumenti di autoanalisi al fine di consentire al medico di prescrivere il trattamento da eseguire. Ciò comporta quindi la raccolta a distanza di dati sensibili relativi ai pazienti che sono poi conservati in una banca dati in cloud a cui il medico può accedere in remoto.
Tale raccolta e trattamento di dati personali quindi pone problematiche legali rilevanti con riferimento, tra gli altri, ai soggetti che operano come titolari del trattamento dei dati raccolti che a giudizio del Garante dovranno essere gli ospedali in cui il paziente è in cura piuttosto che gli sponsor del progetto, alle misure di sicurezza da adottare per proteggere dall’accesso ai dati raccolti nella banca dati sulle quale il Garante si è pronunciato con riferimento al c.d. fascicolo sanitario elettronico e il dossier sanitario elettronico, alle finalità per i quali i dati raccolti possono essere utilizzati che dovranno essere accettate espressamente dal paziente per iscritto e non potranno essere meramente generiche e alle misure da adottare in caso di trasferimento dei dati raccolti al di fuori dello Spazio economico europeo per esempio nel caso di utilizzo di server cloud situati negli Stati Uniti o in India che richiedono, tra gli altri, o l’espresso consenso al trasferimento da parte del paziente, o l’adozione delle c.d. clausole contrattuali standard o nel caso di trasferimento a società americane l’adesione delle stesse al c.d. programma Safe Harbor. Ehealth2Le limitazioni sopra indicate possono essere evitate in caso di trattamento di dati anonimi, ma come ha di recente chiarito il c.d. Article 29 Working Party che è un organo consultivo della Commissione europea in materia di privacy, i requisiti da soddisfare ai fini della qualificazione dei dati come “anonimi” sono molto stringenti. Quindi non solo la mera sostituzione del nome della persona a cui i dati si riferiscono con uno pseudonimo non basterebbe se qualcuno ha accesso all’elenco dei nomi che collega l’individuo al suo pseudonimo, ma ogni modalità di anonimizzazione che rende l’individuo a cui i dati si riferiscono identificabile tramite gli strumenti “che possono essere ragionevolmente utilizzati” anche indirettamente non potrebbero bastare.
E la rilevanza di quanto indicato in precedenza è stata confermata dai Garanti europei che di recente hanno deciso di avviare un’indagine circa le applicazioni mediche scaricabili su smartphone e tablet per verificare la loro conformità alla normativa applicabile in materia di trattamento dei dati personali.
Infine, la telemedicina crea rilevanti problemi anche in materia di responsabilità da prodotto che ai sensi della normativa dettata dal Codice del Consumo è c.d. “oggettiva”. Ciò vuole dire che in caso di danno, il consumatore non dovrà provare la colpa del produttore, ma unicamente la presenza del difetto al fine di poter richiedere il risarcimento dei danni subiti. Con riferimento alla telemedicina se il dispositivo tramite il quale i dati raccolti dal paziente e poi comunicati al medico è difettoso e quale conseguenza di ciò il medico fornisce una diagnosi errata, il produttore del dispositivo potrebbe essere tenuto al risarcimento dei danni subiti dal paziente con l’ulteriore punto interrogativo derivante dal fatto che la comunicazione dei dati errati potrebbe nella particolare circostanza dipendere dal difetti del sistema di comunicazione utilizzato.
Questo argomento è di enorme attualità al momento e le questioni sopra indicate saranno da me affrontate in una presentazione che si terrà oggi 7 maggio ad un workshop in materia di telemedicina organizzato dall’ETSI, l’European Technical Standard Institute.
Via Tech Economy
Amazon ha presentato una partnership con Twitter che ci avverte che il futuro dello shopping si trova nel anche nel feed dei social media: nasce il servizio #AmazonCart per inserire in Carrello articoli del catalogo Amazon con un Tweet.
A partire da oggi, gli utenti (alcuni, solo nel Regno Unito per adesso) di Twitter possono collegare i propri account ad un account di Amazon e aggiungere automaticamente elementi al carrello twittando con un collegamento del prodotto Amazon con l'hashtag #AmazonCart. In questo modo, i clienti possono non lasciare il feed Twitter e il prodotto viene inserito in automatico nel carrello del proprio profilo di Amazon in attesa di essere acquistato.
E' potenzialmente un nuovo modello di business per Twitter, che finora ha fatto affidamento ai tweet sponsorizzati per monetizzare, ma da mesi è in cerca di nuovi modi per fare soldi con i suoi 255 milioni di utenti attivi mensili. Per Amazon, si aggiunge un altro modo semplice per i suoi consumatori di acquistare i propri prodotti del suo store.
Un portavoce di Amazon ha detto che Twitter non ottiene ricavi dagli elementi aggiunti ai carrelli attraverso #AmazonCart, ma ha rifiutato di discutere ulteriormente il suo rapporto con Twitter e quanti soldi la partnership porta nelle rispettive casse (difficile che l'accordo non valga un euro). "Siamo certamente aperti a lavorare con altre reti sociali", ha detto il portavoce di Amazon. "Twitter, in particolare, offre un ambiente ideale per i nostri clienti per scoprire consigli sui prodotti da artisti, esperti, grandi marchi e gli amici".
Quando si risponde con un tweet contenente un link ad un prodotto di Amazon aggiungendo l'hashtag #AmazonCartv i clienti che hanno già collegato il loro account Twitter con quello di Amazon saranno avvisati con un tweet di risposta da @MyAmazon e otterranno una mail da Amazon quando un elemento viene aggiunto al carrello. Al contrario, i clienti che non hanno ancora collegato i loro account riceveranno un tweet di risposta in cui viene chiesto di collegare gli account.
Non è chiaro, tuttavia, se i tweet che contengono questo hashtag saranno pubblici o privati. Se i tweet fossero pubblici, le persone rischierebbero di pubblicizzare le loro decisioni di acquisto rispondendo ad un tweet, e non ci sarebbe alcun livello di privacy.
Amazon ha chiarito sul suo sito che il tweet collegato al prodotto aggiunge soltanto l'articolo al carrello, e non è una conferma per l'acquisto. Per completare l'acquisto, bisognerà andare sul sito di Amazon, quindi andare nel carrello e procedere al check out come qualsiasi altro acquisto effettuato su Amazon.
I clienti di Amazon nel Regno Unito possono usare #AmazonBasket per aggiungere elementi ai loro carrelli a partire da oggi, mentre non sappiamo quando il servizio verrà esteso agli altri territori.
Via PianetaCellulare
Quando Dennis Crowley e Naveen Selvadurai annunciarono Foursquare nel 2009, gli smartphone non avevano il “potere” di individuare in modo affidabile la posizione dell’utente. Per questo motivo la funzionalità principale del servizio erano i check-in. Dopo 5 anni e l’arrivo di altre app che integrano simili feature, l’azienda ha deciso di cambiare approccio. I check-in esisteranno ancora, ma verranno spostati in una seconda app, denominata Swarm, che permetterà di trovare gli amici nelle vicinanze, utilizzando una “social heat map”. Foursquare invece diventerà una discovery app e fornirà suggerimenti basati sulle preferenze personali degli utenti. In tutto il mondo, milioni di persone usano Foursquare per incontrare i loro amici e per scoprire nuovi luoghi. Ma la maggior parte delle persone esegue solo un’operazione alla volta. L’azienda di New York ha notato che solo 1 sessione su 20 viene aperta per entrambe le funzioni (social e discovery). Ciò significa che solo il 5% degli utenti utilizza l’app per trovare gli amici e trovare un ristorante. Per questo motivo, Foursquare ha deciso di separare le due “esperienze” in due app, sviluppando Swarm. Un simile approccio è stato seguito anche da Facebook, che presto rilascerà anche la funzionalità Nearby Friends.
Negli ultimi mesi sono stati eseguiti diversi test. In base ai risultati, l’azienda ha notato che, per entrambe le app, la durata delle sessioni era minore, ma il loro numero era maggiore. Swarm sfrutterà una tecnologia di location sharing passiva, per cui non visualizzerà l’esatta posizione, indicando solo gli amici che si trovano nelle vicinanze. Come detto, i check-in manuali saranno ancora presenti nell’app, ma la registrazione della posizione verrà effettuata automaticamente, anche quando l’app è chiusa. Swarm sarà disponibile per iOS e Android nelle prossime settimane e successivamente per Windows Phone.
Via Webnews.it
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