Di seguito gli interventi pubblicati in questa sezione, in ordine cronologico.
C'era solo un modo per colmare la distanza che separa film, dischi, libri e videogiochi digitali dalle loro controparti fisiche: la condivisione. Prima dell'avvento degli acquisti virtuali eravamo soliti comprare una sola copia di un determinato libro, Cd o Dvd che poi veniva condivisa dalla famiglia. Al contrario nell'economia digitale i file risiedono all'interno dei nostri dispositivi personali e quella condivisione ha subito un blocco: se scarico legalmente un file sul mio cellulare non posso farlo ascoltare, vedere o leggere ad altri a meno che non gli dia anche lo smartphone. Qualcosa però sta cambiando.
A far rumore è soprattutto Apple che con il nuovo iOs 8 ha lanciato In Famiglia, un sistema per condividere tutti i propri acquisti, dalle app ai film passando per la musica, con un massimo di sei persone e dieci dispositivi. Chiaramente è previsto un controllo genitori per stabilire diversi livelli di accesso per ogni contenuto e per ogni utente incluso nel nucleo famigliare. Mossasi la Mela ecco arrivare uno dei suoi concorrenti, Amazon, che sta per lanciare Family Library, la libreria di famiglia. In questo caso i contenuti condivisi dovrebbero essere solo ebook, app e audiobook, senza musica e film, ma d'altra parte funzionerà sia sui dispositivi di Amazon sia tramite la sua app per Android e iOs. Se Amazon e Apple propongono la condivisione dello stesso contenuto su più dispositivi c'è anche chi sta lavorando alla condivisione del device stesso: il gaming. Al grido di “Condividi il tuo computer? Ora condividi anche i tuoi giochi”, il negozio virtuale Steam ha attivato il “Family Sharing” che consente di giocare coi videogame di tutta la famiglia senza bisogno di installarne nuove copie sullo stesso pc. Sony invece risponde con Share Play, previsto per novembre insieme al nuovo firmware della Playstation 4. Qui non si parla più di famiglia ma di amici e la teoria di un solo dispositivo condiviso diventa totale. L'amico che avremo invitato infatti giocherà con la nostra console e avrà pieno accesso alla nostra libreria di giochi attraverso la sua Play 4. Non c'è bisogno di nessun download, il passaggio avviene tutto in streaming, e ovviamente entrambi i giocatori dovranno avere l'abbonamento Playstation Plus. «Giocare insieme, condividere lo stesso videogioco, rappresenta da sempre un'esigenza imprescindibile degli utenti», afferma Marco Saletta, general manager di Sony Computer Entertainment Italia. «Se in passato questo avveniva riunendo più amici all'interno della stessa stanza, Share Play consentirà di vivere l'esperienza di condivisione senza limiti, mettendo in comunicazione tra loro utenti di tutto il mondo, connessi grazie a Playstation Network».
Insomma, la condivisione è la strada del futuro e i servizi che la mettono in pratica non mancano di certo ma a ben guardare quella che sembra una novità è in realtà una cosa già vista. Nell'ambito delle aziende la condivisione era in voga già dall'avvento della tecnologia. Nelle logiche di rete i fornitori di contenuti per le imprese offrono da tempo delle piattaforme a pagamento su cui poi vendono diversi servizi che possono essere usati da tutti i dipendenti. Senza dimenticare poi i software con licenze plurime in cui si compra un solo Cd o Dvd e lo si installa su più computer usando diversi seriali. La condivisione offerta agli utenti poi non è un regalo o una gentile concessione: a offrirla sono aziende che vendono sia i contenuti che i dispositivi per usufruirne. E non è un caso, con questo sistema Apple, Amazon e Sony raggiungono diversi obiettivi. Prima di tutto ci portano sempre più all'interno dei propri negozi, secondo poi tentano di convertirci definitivamente alla distribuzione digitale, che abbatte i costi e aumenta i ricavi. Terzo e più importante, si sprona tutta la famiglia e gli amici a comprare dispositivi che fanno parte del medesimo ecosistema. Se il papà ha l'iPhone e la mamma l'iPad il figlio non potrà avere Android, altrimenti addio condivisione. Se il mio amico ha una ricca libreria sulla Playstation non comprerò certo l'Xbox, sarei folle. Nel caso di telefoni e tavolette il vero passo avanti sarebbe stato avere In Famiglia, Family Library e soci, più una funzione per passare rapidamente da un utente all'altro sullo stesso device, così da poter condividere anche il device con tutta la famiglia, con un profilo per ognuno. I maggiori produttori però si rifiutano categoricamente di inserirla nei propri dispositivi e c'è da capirli: condividere va bene ma meglio non esagerare.
Via IlSole24Ore.com
Il mondo del turismo è sempre più digitale: la spesa più innovativa, infatti, quella che passa attraverso i canali digitali, è in crescita del 10%, per un valore complessivo vicino a 9 miliardi di euro nel 2014. A riferirlo sono i dati contenuti nella prima edizione dell’Osservatorio Innovazione Digitale promosso della School of Management del Politecnico di Milano, presentato oggi.
Dall’analisi emerge che se è vero che gli acquisti 2014 per Turismo e viaggi in Italia, sia riguardanti gli italiani che scelgono l’Italia o gli italiani che vanno all’estero, sia riguardanti gli stranieri che vengono in Italia sono rimasti stazionari (+1%) rispetto all’anno precedente, attestandosi intorno ai 50 miliardi di euro, la componente digitale ha un ruolo sempre più preponderante sul totale sia in valore, passando dal 16% del 2013 al 18% del 2014, sia a livello di importanza attuale e prospettica nelle considerazioni strategiche delle aziende di settore.
La spesa digitale degli italiani La spesa digitale degli italiani in turismo vale più di 7 miliardi di euro nel 2014, in crescita del 10% rispetto al 2013. Il peso della componente digitale sul totale mercato (31,5 miliardi) aumenta rispetto al 2013, passando dal 20% al 22%. Sui canali digitali, la spesa degli italiani è così suddivisa: per il 57% destinata a viaggi in Italia (in crescita in valore assoluto dell’11% rispetto al 2013) e per il 43% all’estero (+9% rispetto allo scorso anno). Cresce sul canale digitale il transato di tutti i settori merceologici: quello raccolto dalle strutture ricettive aumenta del 6% rispetto al 2013, il settore dei trasporti cresce dell’11%, quello dei pacchetti viaggio cresce del 13%. Rispetto allo scorso anno non cambia la composizione a livello di prodotti acquistati: il settore dei trasporti pesa per il 77% della spesa digitale nel Turismo, il 12% è destinato a pacchetti viaggio e l’11% direttamente alle strutture ricettive. Continua a crescere l’incidenza del Mobile Commerce sulla spesa digitale degli italiani in ambito Turismo: vale circa 340 milioni nel 2014, in crescita del 40% rispetto ad un anno fa. Rispetto al totale della spesa turistica digitale, il Mobile Commerce pesa per il 5% del mercato. La compente PC cresce anch’essa, seppur ad un ritmo inferiore (+9%). Gli attori del settore dovranno perciò adattarsi rapidamente anche a questa evoluzione, effettuando un doppio salto tecnologico: oltre alla digitalizzazione della propria offerta, sarà necessario essere già presenti su quei canali, come il Mobile, che sempre più influenzeranno e veicoleranno le vendite nei prossimi anni.
Le Agenzie di Viaggio Per comprendere al meglio l’impatto del digitale sulla filiera del Turismo, L’Osservatorio ha analizzato l’approccio delle Agenzie di Viaggio italiane all’utilizzo degli strumenti digitali. Tra gli agenti che hanno partecipato all’indagine (oltre 500, con punte di oltre 700 sulla singola domanda), il 49% dei rispondenti stima per l’anno 2014 una stabilità del proprio fatturato (ossia un valore compreso tra -5% e +5% rispetto all’anno 2013), il 24% una decrescita maggiore a -5% e, inaspettatamente, il 27% una crescita superiore al 5%. In particolare, è interessante notare come ben il 64% abbia dichiarato di prevedere a breve una crescita positiva per il proprio fatturato, segnale importante per un settore che negli ultimi anni ha conosciuto periodi di forte decrescita.
Incrociando l’andamento del fatturato atteso per il 2014 e la dimensione del fatturato dell’agenzia stessa, emerge che più la dimensione è piccola e più le prospettive sono positive: ad esempio, il 32% delle agenzie con un fatturato inferiore a 250 mila euro prevede infatti di crescere oltre il +5%, il 42% di rimanere stabile, il 26% di decrescere. Al contrario, sono le agenzie più grandi ad avere una visione più pessimista: infatti il 31% delle agenzie con un fatturato superiore ai 5 milioni di euro prevede di decrescere, il 62% di restare stabile e solo il 7% di crescere.
Se ci si sofferma sull’utilizzo degli strumenti digitali, ne emerge un uso diffuso in tutte le fasi di relazione con il cliente, ad esempio: il 74% li utilizza nella fase di scelta per comparare le alternative da offrire, il 70% li utilizza per comunicare con il cliente durante il viaggio; l’82% li utilizza per raccogliere le impressioni dei viaggiatori dopo il viaggio e il 77% li utilizza per raccogliere dati digitali per inviare altre nuove comunicazioni al cliente.
Se entriamo nella fase di promozione dell’offerta, le Agenzie di Viaggio utilizzano sia canali a pagamento sia canali gratuiti per sponsorizzare i propri servizi. Tra i canali a pagamento, i più utilizzati sono le pubblicità sui social network (29%) e le pubblicità sui motori di ricerca (26%). Più di un terzo dei rispondenti non utilizza strumenti digitali a pagamento (34%). Tra i canali gratuiti, quasi la totalità dei rispondenti ha attivato un sito web dell’agenzia (82%), mentre il 70% invia e-mail pubblicitarie al proprio database contatti e il 60% utilizza fan page e profili all’interno di social network. Solo il 4% non utilizza strumenti digitali gratuiti. Strutture Ricettive e i loro clienti L’indagine sulle Strutture Ricettive, che ha coinvolto oltre 1700 esercizi, evidenzia un elevato utilizzo degli strumenti digitali in tutte le fasi di relazione con i clienti. Innanzitutto, emerge che la quasi totalità (98%) dei rispondenti ha costruito un proprio sito internet. L’86% delle strutture ha anche un proprio profilo su almeno un social network e un ulteriore 5% vorrebbe crearlo nei prossimi 12 mesi. Tra i social network, il più diffuso è Facebook (scelto da oltre il 98% di coloro che hanno almeno un profilo su un social network), seguito a distanza da Google Plus e Twitter (entrambi attorno al 50%). Meno comuni invece le strutture che hanno sviluppato addirittura una propria applicazione per Smartphone e/o Tablet (il 39% dei rispondenti).
Dall’analisi dei canali di provenienza delle prenotazioni emerge che mediamente il 25% del fatturato di una Struttura Ricettiva deriva da prenotazioni intermediate dalle OTA; il 20% proviene da Tour Operator, Agenzie di Viaggio tradizionali e grossisti. Ben il 44% del transato delle strutture rispondenti è legato a prenotazioni provenienti direttamente dal cliente finale, senza quindi alcuna intermediazione. Fatto 100 questo transato proveniente direttamente dal cliente finale, il 47% è generato da prenotazioni provenienti via email e il 21% da prenotazioni provenienti direttamente dal sito internet della struttura stessa.
Tra i canali di promozione digitali a pagamento, utilizzati da oltre il 70% di chi fa promozione, un ruolo di primo piano è svolto dalla pubblicità a pagamento sui motori di ricerca (43% circa dell’intero campione). Vi è poi la pubblicità sui social network (37%), quella su siti web in qualche modo legati al territorio e alla destinazione (25%) e quella su blog di viaggio e community online in cui si discute di temi correlati (15%).
“Dalle indagini su Agenzie di Viaggio e Strutture Ricettive emerge chiaramente la già diffusa presenza degli strumenti digitali a supporto delle fasi di relazione con il cliente. A questa presenza tuttavia non segue una reale conoscenza e un utilizzo strutturato e strategico di questi strumenti -spiega Alessandro Perego, Responsabile scientifico dell’Osservatorio Innovazione Digitale nel Turismo- Occorre quindi, per il futuro, che le Agenzie di Viaggio dedichino non solo tempo alla fase pre-viaggio ma sfruttino appieno le opportunità digitali che permettono un continuo contatto con il turista anche nelle fasi successive dell’esperienza di viaggio. Tale contatto e i servizi di assistenza connessi potrebbero essere fondamentali nell’indurre il cliente a ripresentarsi nuovamente in agenzia. Dall’altra parte, è necessario che le Strutture Ricettive effettuino un vero processo di ottimizzazione dei diversi canali digitali per evitare sovrapposizioni e arrivare al cliente finale, sfruttando appieno anche la raccolta dei dati e dei riscontri dai clienti.”
Via Tech Economy
La passione degli italiani per dispositivi e contenuti digitali cresce costantemente: secondo la recente ricerca ”State of Media Democracy” di Deloitte in Italia si sta assistendo ad un vero e proprio boom. Secondo l’indagine condotta tra marzo e aprile 2014 su 2.127 consumatori provenienti da tutte le aree geografiche e di tutti i gruppi di età, il 44% degli italiani vanta il possesso di ben tre device, ovvero tutti quelli considerati dall’indagine: tablet, smartphone e laptop. Solo un anno fa questa la percentuale era ferma a 31%; a crescere sono soprattutto i tablet, in possesso del 58% degli italiani contro il 38% del 2013, l’85% degli italiani invece ha uno smartphone, mentre lo scorso anno ci si fermava al 72% mentre i laptop diminuiscono: nel 2014 il 77% degli italiani ne ha uno, nel 2013 l’85%.
Una vera e propria esplosione che rende gli italiani degli onnivori digitali che fanno dei device e della rete un uso a 360°. Gli onnivori, ovvero quel 44% di utenti cui riferisce l’indagine, sono molto attivi sui social: il 61% interagisce con i social network una o più volte al giorno e solo 8 su 100 non possiede un profilo. Facebook e soci sono strumenti a tutti gli effetti utili, per il 62%, come modo per informarsi sui brand meglio di quanto si farebbe su Internet ma, per un 59% è anche una opportunità per risolvere questioni legate al customer care.
E gli onnivori digitali non “tradiscono” le aspettative neppure quando si parla di tv: come categoria ha il 24% di possibilità in più rispetto ai “non onnivori” di guardare film o serie in streaming, e neppure nel mondo dei giochi. In questo caso i possessori di laptop, tablet e smartphone hanno l’8% in più di essere giocatori assidui e il 9% di essere comunque giocatori occasionali.
Sul fronte delle abitudini degli italiani online, l’uso di internet è al primo posto sia come navigazione libera, come fonte di ricerca, sia come fruizione social, con ben il 77%. Molto più staccata la televisione, con il 47%; sotto 13 punti percentuali rispetto alla tv ecco i libri al 34% e un po’ più sotto la musica al 30%. Crollano tra le preferenze degli italiani la lettura dei quotidiani d’informazione (25%) e il cinema (21%).
Via Tech Economy
Lo spread digitale costa all’Italia 10 milioni di euro al giorno di minori investimenti in reti, tecnologie e servizi innovativi. La stima arriva dal Censis. Per recuperare il gap internazionale il nostro Paese dovrebbe azzerare il disavanzo nella bilancia dei pagamenti per i servizi informatici, sviluppare il commercio online e l’uso della moneta elettronica, fino a raggiungere i livelli medi europei.
Ma, soprattutto, sarebbe il caso di razionalizzare le banche dati della pubblica amministrazione centrale. Verrebbero così recuperati 3,6 miliardi di euro l’anno, ossia quasi 10 milioni al giorno). I numeri del ritardo italiano parlano ancora di un basso grado di confidenza con le nuove tecnologie digitali. Tra 16 e 74 anni chi utilizza internet è il 58% del totale (la media europea è del 75%). Ci sono poi da considerare i possibili spazi di crescita per il commercio online.
Le imprese attive nel commercio elettronico in Italia sono complessivamente il 5% del totale (la media europea è del 14%). Altro capitolo, il ritardo nella diffusione dei pagamenti elettronici. In Italia il denaro contante è, infatti, utilizzato nell’82,7% delle transazioni, contro una media Ue del 66,6%. L’Italia è poi al penultimo posto in Europa per uso dei servizi online della pubblica amministrazione. Degli oltre 500 milioni di messaggi e-mail dei ministeri, solo il 27% è in uscita. In crescita invece la posta elettronica certificata: nel primo quadrimestre 2014 segna un +172% rispetto allo stesso periodo del 2011.
Via Quo Media
Se l’Italia arrivasse ad azzerare il disavanzo nella bilancia dei pagamenti per i servizi informatici, se sviluppasse il commercio online e l’uso della moneta elettronica fino a raggiungere i livelli medi europei, e se riuscisse a razionalizzare le banche dati della pubblica amministrazione centrale si renderebbero disponibili per nuovi investimenti in reti, tecnologie e servizi innovativi 3,6 miliardi di euro all’anno: quasi 10 milioni al giorno. Questo è il valore dello spread digitale secondo il Censis nel 7° numero del “Diario della transizione” che ha l’obiettivo di cogliere e descrivere i principali temi in agenda in un difficile anno di passaggio attraverso una serie di note di approfondimento diffuse nella primavera-estate del 2014. Tale spread, sostiene il Censis, attualmente penalizza l’Italia nella competizione internazionale.
Internet. Per quanto riguarda il grado di confidenza degli italiani con le nuove tecnologie digitali, le persone con età compresa tra 16 e 74 anni che utilizzano internet sono il 58% del totale, contro il 90% del Regno Unito, l’84% della Germania e l’82% della Francia (la media europea è del 75%). Di questi, solo il 34% interagisce via web con le amministrazioni pubbliche, contro il 72% della Francia, il 57% della Germania e il 45% del Regno Unito (la media europea è del 54%). Ed è ancora forte il ritardo del nostro Paese sul fronte degli investimenti in reti di nuova generazione. In Italia le famiglie con un componente di età compresa tra 16 e 74 anni con accesso alla banda larga sono solo il 68% del totale, contro l’87% del Regno Unito, l’85% della Germania e il 78% della Francia (la media europea è del 76%). I laureati italiani in discipline scientifiche e tecnologiche con meno di 30 anni sono solo 13,2 ogni mille abitanti della stessa età, contro i 22,1 della Francia, i 19,8 del Regno Unito, i 16,2 della Germania (la media europea è di 17,1). E le start-up innovative, alle quali la normativa riconosce agevolazioni fiscali, faticano a crescere e a dare spinta propulsiva all’innovazione. Delle 2.254 imprese iscritte nell’elenco ufficiale, il 60,9% non ha nemmeno un sito internet. Non stupisce che la bilancia dei pagamenti per servizi informatici dell’Italia sia strutturalmente in deficit, con un saldo negativo che nel 2012 ha raggiunto 1,49 miliardi di euro: le esportazioni valgono 1,88 miliardi e le importazioni ammontano a 3,37 miliardi.
Commercio online. Le imprese attive nel commercio elettronico in Italia sono complessivamente il 5% del totale, contro il 22% della Germania, il 19% del Regno Unito e l’11% della Francia (la media europea è del 14%). Le imprese italiane con almeno 10 addetti che hanno un sito web attraverso il quale ricevere ordinazioni o prenotazioni online sono l’11,7% del totale, con un valore delle vendite realizzate via web pari solo al 2,1% del valore totale delle vendite (si oscilla tra il 2,6% al Nord-Ovest e lo 0,5% nel Mezzogiorno). Il fatturato complessivo delle vendite online delle imprese con almeno 10 addetti, e che realizzano via web almeno l’1% del proprio fatturato, è arrivato a 12,2 miliardi di euro nel 2013, molto meno dei 96 miliardi del Regno Unito, i 50 miliardi della Germania e i 45 miliardi della Francia. Se l’Italia incrementasse le vendite online e i fatturati realizzati via web, raggiungendo il livello di commercio elettronico dei principali competitor europei, potrebbe liberare risorse da investire in reti e servizi innovativi per circa 1,4 miliardi di euro all’anno.
Pagamenti elettronici. Non va meglio con i pagamenti elettronici. Le transazioni con carte di pagamento (escluse le carte di moneta elettronica) sono solo 28 per carta all’anno, contro le 167 del Regno Unito, le 129 della Francia e le 30 della Germania. In Italia il denaro contante è utilizzato nell’82,7% delle transazioni, contro una media europea del 66,6%. Il maggior costo rispetto alla media europea della gestione del contante confrontato con mezzi elettronici equivalenti è stimabile in circa 450 milioni di euro all’anno.
Servizi online della pubblica amministrazione. Il nostro Paese è al penultimo posto in Europa per uso dei servizi online della pubblica amministrazione. Degli oltre 500 milioni di messaggi e-mail dei ministeri, solo il 27% è in uscita: segno di una scarsa interattività con l’esterno. Nel primo quadrimestre del 2014 le caselle di posta elettronica certificata sono cresciute del 172% rispetto allo stesso periodo del 2011, superando la soglia di 15 milioni di caselle attive. La firma digitale ha raggiunto a maggio 2014 la quota di 5,3 milioni di certificati attivi, in crescita rispetto all’inizio del 2012 del 62%. Pur registrando una notevole diffusione, la firma elettronica è però uno strumento ancora sconosciuto nella cultura collettiva. La pubblica amministrazione spende (dati al 2012) oltre 3,9 miliardi di euro per beni e servizi Ict, con un trend in contrazione nel tempo (-8% rispetto a 5 anni prima), nonostante la crescita costante del parco tecnologico installato. Ad esempio, le caselle di posta elettronica dei ministeri e degli enti nazionali ammontano a poco meno di 2 milioni, in crescita rispetto all’anno precedente del 14,3%. La quota delle spese dello Stato destinate alla gestione e manutenzione dell’esistente è pari al 57% del totale della spesa Ict, in aumento del 3% rispetto all’anno precedente. La parte assorbita dagli investimenti si riduce progressivamente e riguarda principalmente la manutenzione evolutiva di applicativi esistenti, che pesa per il 41% del totale dei nuovi investimenti. Il 50,6% del valore dei nuovi contratti Ict è affidato con trattativa privata. Nel primo semestre del 2014 l’amministrazione centrale dello Stato ha speso 24,5 milioni di euro in consulenze informatiche, con una forte riduzione (-37%) rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Nel 2013 le spese in consulenza informatica sono state pari a 93,7 milioni di euro, che corrispondono ‒ per avere un ordine di grandezza ‒ al 73,4% della spesa destinata a traslochi e facchinaggi.
Via Tech Economy
Dopo il colpo di Facebook che per la cifra record di 19 miliardi di dollari lo scorso febbraio ha messo le mani su WhatsApp, sembra che il mercato delle applicazioni di messaggistica e videochiamate sia diventato il nuovo terreno di conquista dei gruppi hi-tech. Oggi il colosso cinese dell'e-commerce, Alibaba, ha investito 215 milioni di dollari in Tango, l'applicazione californiana di videochat che conta 200 milioni di utenti in tutto il mondo ed è stata valutata un miliardo di dollari.
Nulla rispetto ai numeri di WhatsApp (si parla di 450 milioni di utenti attivi al mese e di 1 milione di nuovi iscritti al giorno), ma la mossa rappresenta un passaggio strategico per il gruppo cinese: entro la fine dell'anno dovrebbe arrivare a Wall Street con un Ipo che potrebbe raccogliere fino a 25,1 miliardi di dollari, diventando la più grande della storia. Quella di Facebook nel maggio 2012 aveva raccolto la cifra record di 16,1 miliardi di dollari.
Il co-fondatore di Tango, Eric Setton, ha dichiarato in un'intervista al Financial Times che l'investimento servirà per espandere il gruppo e poter competere con i grandi del settore: "Siamo ancora sfavoriti, abbiamo molto lavoro davanti a noi", ha detto Setton, ricordando che non ha ancora un piano strategico di cooperazione con il colosso cinese, ma che immagina e spera "che ci saranno un numero di iniziative da lanciare insieme".
Tango, fondata nel 2009 a Mountain View, ha 110 dipendenti: una struttura molto più grande rispetto a WhatsApp che con solo 55 impiegati è riuscita a conquistare il settore. Inoltre Tango si sostiene anche grazie alle entrate della pubblicità, a differenza del gruppo fondato da Jim Koum che ha di recente ricordato di non voler ospitare messaggi promozionali.
Ma il mondo delle applicazioni di messaggistica continua ad attrarre investimenti, soprattutto dopo l'esplosione del mercato mobile che rappresenta per i grandi gruppi hi-tech un treno su cui saltare per continuare a espandersi: la società giapponese di commercio online, Rakuten, ha comprato per 900 milioni di dollari la startup di messaggistica Viber che conta oltre 100 milioni di user attivi ogni mese. E ancora il rivale cinese di Alibaba, Tencent, sta investendo capitali sulla sua applicazione WeChat che di recente ha raggiunto i 350 milioni di utenti mensili (molti di essi all'interno del Paese orientale) mettendo in pericolo il primato di WhatsApp.
Pur essendo usata soprattutto in Cina, WeChat si sta espandendo anche in altri Paesi dell'Asia e in Sud America. Inoltre Trecent ha delle partecipazioni nella popolare startup di messaggistica nata in Corea del Sud, Kakao Talk. Ma il primo acquisto in questo mercato era stato messo a segno da eBay, che nel 2005 aveva comprato Skype per 2,6 miliardi di dollari, poi nel 2011 passata nelle mani di Microsoft per la cifra di 8,5 miliardi.
Intanto WhatsApp non sta a guardare: il gruppo comprato da Facebook userà infatti parte dei soldi arrivati nelle sue casse per sviluppare un sistema di telefonate Voip e così poter conquistare anche questo settore dominato da Viber e Skype. Il motivo? Secondo alcuni analisti ci sarebbero ormai troppe alternative alla semplice applicazione di messaggistica (tra queste WeChat, la giapponese Line, la tedesca Telegram e la neonata Kik) e WhatsApp, adesso che è diventata grande, deve cambiare per poter sopravvivere.
Via America 24
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