È questoil tempo che l’utente medio dedica ogni giorno alla fruizione di contenuti. Un tempo destinato ad aumentare di soli 18 minuti nei prossimi 5 anni, il che significa che l’attenzione umana, già praticamente satura, è il nuovo terreno di competizione per tutti i player, fuori e dentro la rete.
Per descrivere il fenomeno in USA si è arrivato a parlare addirittura di“peak media”.
Il digitale è ovviamente il mezzo più usato per la fruizione del contenuto: un cambiamento reso possibile dall’ascesa di internet, che ha costretto non solo i merchant e i service provider ma anche i gruppi editoriali a ripensare il proprio modo di fare business.
Perché quindi l’affiliate marketing?
Ilfatturato pubblicitarioderivante dalla stampa è infattiin calo costante dal 2012e il duopolio diFacebook e Googleha reso necessario trovare strategie pubblicitarie alternative.
Ecco quindi perché sono sempre di più i gruppi editoriali che potremmo definire “tradizionali” che si stanno rivolgendo all’affiliazione, un business in continua crescita chevale oggi 13 miliardi di euro a livello globale(fonte: The Awin Report 2017/2018), per aumentare le entrate. Una scelta fatta anche per compensare l’inefficienza e la mancanza di risultati di altri metodi di monetizzazione standard, quali ad esempio gli annunci display, e in grado di arginare anche il crescente utilizzo degliad blockerda parte degli utenti.
Tutto questo grazie a un semplice principio:la non invasività. Il lettore è sempre al primo posto e quello che gli si offre è un vero e proprio servizio; una lettura non solo interessante ma anche utile grazie areview di prodotto, gallerie di immagini e link ai siti dei brandche vendono l’oggetto del desiderio (il 43% delle vendite è influenzato da consigli e promozioni). L’obiettivo è trovare i prodotti giusti per i propri clienti, non viceversa. Lettori soddisfatti si trasformano in clienti felici e in una vittoria sia per il merchant che per il publisher. Grazie atecnologie di tracciamento, il sito che ha originato il click dell’utente, l’editore appunto, riceverà una commissione commisurata alla vendita che ha generato.
Importante è ovviamentepiena trasparenzae dichiarare quindi la finalità commerciale dietro questa attività, all’inizio o alla fine dell’articolo in questione: a differenza di quanto si pensa, gli utenti non hanno alcun problema a riguardo e anzi apprezzano contenuti ben fatti che aiutano a rimuovere quell’alone di incertezza che aleggia tutti gli acquisti effettuati online (“il prodotto che ho ordinato sarà come quello della foto? E se fosse di scarsa qualità?”). Il lettore saprà cosa compra ancora prima di ricevere il prodotto davanti alla porta di casa.
Gli stessi influencer d’altronde ci stanno abituando ormai aglihashtag #ad, #adv e #advertisingall’interno di post e story.
All’estero troviamo tanti importanti nomi dell’editoria che già lavorano con network d’affiliazione come ilTime, Telegraph, DailyMail, Independent e Business Insider. Grazie all’expertise acquisita sul mercato USA e UK infatti, da sempre precursori delle tendenze del digitale europeo, ilnetwork di affiliazione internazionale Awinha già raccolto interessanti insight e best practice.
I dati dell’affiliazione
I gruppi editoriali che hanno iniziato a lavorare con l’affiliate marketing hanno registratoun aumento del 31% del trafficoeuna crescita del 53% delle venditeche hanno contribuito a generare tra gennaio – aprile 2017 vs. gennaio – aprile 2018. Un altro fattore rilevante è comel’utilizzo dei codici scontoall’interno dei propri contenuti aumenti notevolmente i tassi di conversione, che hanno raggiunto il 2,28%, a differenza di una media di settore dell’1% -2%. Interessante anche notare come lo share delle vendite effettuatevia desktop e mobilesia praticamente 50-50 (con rispettivamente il 54% vs. il 46%), che aiuta a contestualizzare come vengono fruiti digitalmente i contenuti dei grandi editori. Per finire, i contenuti non conoscono limiti di tempo:gli articoli contribuiscono a generare revenue fino a 33 mesi dopo la loro pubblicazione, e senza costi aggiuntivi (SEO, baby!).
Anche in Italia ci si prepara a seguire queste orme e sono già attive le partnership conViviMilano,Notizie.it, Consigli.it, Today.it e Il Post. Proprio con Il Post ad esempio è stato realizzato un articolo in occasione del Black Friday 2017, che ha coinvolto, tra gli altri, alcuni clienti del network Awin (Unieuro, eDreams, Euronics, La Feltrinelli), che hanno registrato un AOV di 131 euro.
Grazie all’expertise del gruppo,Awinfornisce consulenza a tutte le realtà che desiderano avvicinarsi al mondo della pubblicità personalizzata, aiutandoli a stabilire che tipo di contenuto scegliere e quali strumenti utilizzare per rendere più efficace l’attività di promozione.
‘Se non puoi batterli fatteli amici’. E trasformali in una ‘categoria-di-scelta’ del tuo negozio online. È il pensiero che sta prendendo piede negli e-tailer statunitensi che stanno dedicando spazi alle influencer all’interno dei propri shop online. Non più solo testimonial, ma vere e proprie promoter commerciali, coinvolte soprattutto da realtà fashion e beauty, ma non solo. Spazi in cui poter suggerire prodotti alle utenti, spesso proprie follower sui social network. Collaborazioni firmate a quattro mani con l’e-tailer o, semplicemente, una selezione di items prescelta dalle star del web. Alla fine, dunque, oltre alle selezioni per brand, tipologia merceologica o prezzo, si potrà scegliere anche per influencer.
“Le persone non acquistano più seguendo un brand, acquistano perché hanno una connessione personale con qualcuno, queste nuove strategie retail seguono quest’idea”, riassumeIvka Adam, fondatrice e CEO del brand di gioielliIconeryche, all’interno del proprio sito, ospita una sezione dedicata a celebrities e influencer. Le commissioni sulle vendite, riportaWwd, possono variare dal 5% fino al 25 per cento.
“In molti casi, il ruolo di un retailer – suggerisceKirsten Greendella società di venture capital Forerunner Ventures – è stato quello di creare un contesto intorno a un prodotto. Gli influencer hanno l’opportunità di essere un mini store in sé perché possono mostrare il prodotto attraverso le proprie raccomandazioni e le modalità d’uso, è parte di un trend in ascesa che sta rimappando l’ecosistema retail ridefinendo i ruoli di tutti diversi player e l’aspetto dei loro business”.
I 20 anni della nascita di Google segnano un nuovo capitolo della storia del motore di ricerca, che ha modificato profondamente il nostro modo di acquisire informazioni e conoscenza. Da oggi la ricerca cambia sulla base di tre paradigmi:
da risposte a percorsi: non più semplici risposte a domande degli utenti, ma la proposizione di percorsi di ricerca, sulla base degli interessi;
da query all’assenza di query: non ci sarà necessità di fare una specifica richiesta, ma il motore farà emergere contenuti su misura per l’utente;
da testo a immagini: i risultati saranno più visivi (foto, video, storie)
Tutti questi cambiamenti sono resi possibili dai miglioramenti delle tecniche di Intelligenza Artificiale, che oggi sono in grado di comprendere concetti e non semplici parole.
Da risposte a percorsi Oggi gli utenti non fanno ricerche una tantum, ma spesso ritornano su ricerche precedenti. E così Google ha pensato di introdurre le “Activity Cards” che mostreranno le pagine visitate in precedenza e le query effettuate (eliminabili all’occorrenza) in modo da rendere più immediate le successive interrogazioni. Queste Card potranno essere salvate e organizzate in “Collections” tematiche (tipo Pinterest).
Topic Layer Il miglioramento delle capacità di ricerca passa anche dal potenziamento del cosiddetto “Knowledge Graph” ossia quell’insieme di relazioni tra fatti (persone, eventi, luoghi, argomenti) che Google costruisce nel tempo e che gli permette di “comprendere” le domande di ricerca. Viene introdotto il concetto di “Topic Layer” per descrivere la capacità del sistema di individuare e mostrare una serie di sotto argomenti (quindi articoli sempreverdi e nuovi) legati alla chiave di ricerca principale.
Il Feed diventa Discover Il News Feed, il flusso di notizie cui si accede usando l’app mobile di Google, usato da 800 milioni di persone al mese, viene rinominato “Discover”. Presto apparirà quando si aprirà google.com da un browser su dispositivo mobile. Il suo compito è di mostrare le news del giorno e quelle più rispondenti agli interessi del singolo utente. Ogni notizia sarà accompagnata da una sorta di tag tematico che, cliccato, farà partire una ricerca più ampia sullo specifico argomento. Si potrà decidere di seguire o smettere di seguire un topic, segnalando a Google l’interesse verso lo stesso.
Da testo a immagini I risultati della ricerca saranno sempre più visivi. Ad esempio conterranno le Storie AMP, il formato mobile promosso da Google che è in grado di contenere foto, video, testi al fine di raccontare una notizia. Ogni frammento della storia, cliccato, porterà a scoprire nuovi contenuti (attraverso la ricerca). La cosa interessante è che queste storie saranno composte automaticamente da un sistema di Intelligenza Artificiale.
Nella SERP vedremo anche più video, le cui anteprime saranno selezionate da un sistema di “computer vision” in modo permettere una immediata identificazione di quelli più rilevanti.
La sezioneGoogle Imagesverrà profondamente rinnovata in modo da mostrare sia le ricerche correlate alla parola inserita, sia delle descrizioni di contesto insieme alle foto. In pratica diventerà Pinterest. Saranno privilegiati i contenuti nuovi e quelli provenienti da siti autorevoli che danno grande spazio ai contenuti visivi. Verrà aggiunta anche la funzioneGoogle Lens, che permetterà di eseguire ricerche visive di dettaglio rispetto agli oggetti contenuti in una foto.
In definitiva i risultati di ricerca di Google conterranno meno link blu, più elementi visivi, dati strutturati e tasti-scorciatoia per semplificare le operazioni successive di ricerca. Chi pubblica sul web probabilmente dovrà puntare ancora di più sulla qualità, anche visiva, e sull’aggiornamento dei contenuti.
Per l’85% dei principali merchant italiani la consegna tradizionale a domicilio gestita da terzi (corrieri espresso, operatori postali) è la modalità più utilizzata dai propri web shopper. I consumatori prediligono, inoltre, gli strumenti di pagamento contestuali all’acquisto (carta di credito e PayPal), i quali generano il 96% del transato eCommerce B2c. Relativamente al post-vendita, il 78% degli operatori combina 2 o più strumenti di assistenza al cliente: tra questi, l’email e il telefono rappresentano le modalità più adottate (87% e 86%), seguono chat/chatbot (23%) e social network (11%).
È quanto emerge dalla fotografia scattata dall’Osservatorio eCommerce B2c Netcomm - School of Management del Politecnico di Milano*. La ricerca, presentata a Milano presso il Campus Bovisa in occasione del Convegno“Pagamenti e logistica per un eCommerce B2C di successo”, analizza le due fasi a valle della catena del valore eCommerce, ossia le attività volte a gestire l’evasione dell’ordine e assistere il consumatore durante l’acquisto.
La gestione del pagamento “Nel 2018, l’utilizzo degli strumenti di pagamento contestuali all’ acquisto è la modalità più apprezzata dai consumatori: ben il 96% dell’eCommerce è generato attraverso carta di credito (64%) e PayPal (32%). Resta basso l’impiego di altri mezzi di pagamento, come il bonifico (2%) e il contrassegno (2%)”AffermaValentina Pontiggia, Direttore dell’Osservatorio eCommerce B2c Netcomm – School of Management del Politecnico di Milano“É confermata, inoltre, la bassa incidenza delle frodi, pari a un valore dello 0,15% del mercato (in linea con quanto registrato nel 2017). La sicurezza percepita rimane però una delle principali barriere all’acquisto online da parte di molti potenziali clienti”.
Tra le diverse fasi del customer journey, quelladi check-outrisulta essere quella più critica: su 100 visitatori che inseriscono nel loro carrello almeno un prodotto, ben 88 abbandonano il sito senza finalizzare l’acquisto. Ridurre il tasso di abbandono del carrello, lavorando sull’offerta di strumenti di pagamento per intercettare le preferenze di tutti i potenziali clienti e semplificando il processo di acquisto, rimane una delle sfide più critiche per i merchant eCommerce.
Le modalità di consegna del bene “L’85% dei merchant intervistati dichiara che la consegna tradizionale a domicilio gestita da terzi (corrieri espresso, operatori postali) è la modalità più utilizzata dai propri web shopper. L’8% dei merchant, concentrati soprattutto nell’Alimentare, segnala invece come soluzione più impiegata la consegna a domicilio con mezzi propri, mentre il 7% il ritiro in store.”AffermaRiccardo Mangiaracina Direttore Scientifico dell'Osservatorio eCommerce B2c Netcomm – School of Management del Politecnico di Milano“A fianco della consegna standard, aumenta l’offerta di servizi a valore aggiunto, che arricchisce e migliora il servizio base e rappresenta un fattore competitivo di differenziazione rispetto alla concorrenza. Attraverso questi servizi i merchant vogliono sia ridurre i costi delle mancate consegne (uno dei principali freni all’acquisto online) sia migliorare il livello di servizio e la soddisfazione del cliente, con ritorni importanti sul fatturato.”
Tra i servizi a valore aggiunto offerti dai primi 50 merchant di prodotto in Italia, quelli più semplici, come la consegna in un giorno definito e “al piano”, sono offerti da circa il 40% degli operatori, mentre quelli che puntano alla riduzione delle consegne fallite, come la consegna al sabato, serale o su appuntamento, sono adottati dal 20%. Ancora poco offerti i servizi che puntano sulla velocità, come la consegna same day (15% dei merchant) e la consegna in due ore (6% dei merchant, concentrati nel food delivery). I principali merchant dell’Informatica ed elettronica offrono invece la consegna con installazione.
Supporto al cliente durante il processo di acquisto L’analisi condotta sui primi 100 merchant per fatturato, operanti in Italia, ha evidenziato un utilizzo consapevole e maturo di diversi sistemi di assistenza al cliente, sia sincroni (telefono, chat…) sia asincroni (email, post sui social…).
“La strategia dei merchant italiani è combinare l’offerta di più strumenti di assistenza: Il 78% ricorre infatti ad almeno 2 canali. L’email e il telefono rappresentano le modalità più adottate (87-86%), seguono chat/chatbot (23%) e social network (11%). Al tempo stesso, cresce anche l’uso di mezzi meno tradizionali come Skype e WhatsApp” concludeSamuele Fraternali, Ricercatore Senior dell’Osservatorio eCommerce B2c Netcomm – School of Management del Politecnico di Milano “La scelta del canale di assistenza è influenzata dal comparto merceologico di appartenenza: nei prodotti prevale l’email mentre nei servizi il telefono, più adatto a gestire consulenze più complesse. Adottare adeguati sistemi di assistenza favorisce la capacità di convertire l’interesse in acquisto e di creare una relazione prolungata e ricca di valore con il proprio consumatore”.
Via Osservatori Digital Innovation del Politecnico di Milano
Da qualche tempo ormai, si sta parlando delsorpasso di Instagram su Facebook.
I Millennials hanno già ampiamente dimostrato di preferire il social del visual storytelling per eccellenza a quello che è diventato Facebook, una sorta di repository di informazioni di nessun valore per le nostre vite (sede di lamentele, polemiche e commenti gratuiti), fake news, inserzioni pubblicitarie mal targettizzate e condivisioni di contenuti virali quanto anonimi.
Perché Instagram piace più di Facebook?
Così, mentre Facebook arranca, Instagram attira sempre più pubblico. Perché? Per svariati motivi.
In primis, perché siamo tutti per natura edonisti per cui apprezziamo le cose belle (una bella fotografia, una gallery armoniosa o un invidiabile stile di vita – che, anche se di plastica, ci è d’ispirazione). Oltre a questo ci siamo tutti un po’ stancati di leggere cavolate qua e là e quindi preferiamo che siano le immagini a parlare; del resto, l’interpretazione personale che noi facciamo di una determinata immagine e le emozioni intime che questa ci suscita, rappresentano un’esperienza di gran lunga più coinvolgente di quella che faremmo leggendo le dozzinali riflessioni di qualcun altro. Inoltre, Instagram risulta molto meno invadente del fratello poiché manca di tutti quegli aspetti che, a lungo andare, diventano fastidiosi, ad esempio il pulsante per la condivisione, limitando così lo spam isterico di notizie non sempre meritevoli di essere condivise.
Per tutte queste ragioni – e perché i due social network sono figli dello stesso padre –Facebook punta nuovamente ad assomigliare un po’ di più a Instagram, testando la Visualizzazione griglia e implementando un nuovo strumento dedicato all’Influencer Marketing.
Facebook testa la Visualizzazione griglia
Nella versione desktop, potrete notare la comparsa di un’opzione alternativa alla classica “Visualizzazione lista”, ovvero la “Visualizzazione griglia”: un nuovo modo di visualizzare i post del profilo, suddividendoli in griglie di immagini quadrate (o card, in caso di contenuti di solo testo)… proprio come Instagram.
Dopo aver fatto un copia/incolla della funzione Stories (senza troppo successo),Facebook dimostra ancora una volta di voler diventare sempre più instagrammabile, per stare al passo con i tempi e con i gusti dei Millennials.
In ogni caso, la nuova feature non è stata ancora ufficializzata e potrebbe rimanere uno dei tanti test a cui periodicamente viene sottoposta la piattaforma.
Facebook punta sull’Influencer Marketing
Facebook alza un altro po’ l’asticella e testa uno strumento volto a facilitare la connessione tra aziende e influencer – personalità che su Facebook non sono mai risultate particolarmente di spicco. Si chiamaBranded Content Matchinged è un motore di ricerca intelligente che permette alle aziende di individuare facilmente quali creator vantano l’audience più affine al proprio target di riferimento.
Gli influencer potranno inserire all’interno della piattaforma tutte le informazioni necessarie a stilarne un profilo preciso (collaborazioni migliori, numero fan, …) volto ad alimentare ildatabase di creator interno a Facebook. Le aziende potranno autonomamente accedere a questi profili, selezionandoli per caratteristiche d’interesse (età, genere, stato sentimentale, livello di studio, …) e ottenere subito una lista dei creator più affini al proprio target di riferimento. Per ogni creator sarà visibile anche il tasso di engagement e le visualizzazioni dei propri video in media per facilitare la scelta dell’influencer ideale da parte dell’azienda, in base agli obiettivi di comunicazione.
Questo tipo di strumento dà la possibilità a Facebook di sfruttare la nuova forma pubblicitaria dell’Influencer Marketing(che attualmente riscuote più successo rispetto alle classiche inserzioni) per aumentare l’attrattiva della propria piattaforma per gli inserzionisti.
Inizialmente, lo strumento sarà utilizzabile solo su Facebook… furbacchione di un Mark!
Con l’arrivo della funzioneShopping, Instagram si appresta a diventare ilPostalmarketdella rete, annichilendo le aspirazioni di Pinterest e dando del filo da torcere ad Amazon e eBay .
Shopping nelle Storie Da oggi le aziende, piccole e grandi, potranno inserire all’interno delle Storie un adesivo contenente un link ad una pagina con la descrizione del prodotto. Da qui l’utente potrà procedere all’acquisto andando sul sito del brand. I marketer potranno monitorare, negli Insights, il numero di click sullo sticker e quelli verso il loro sito. La funzione, testata da giugno, è stata già usata mediamente da 90 milioni di persone al mese.
Shopping in Esplora Viene anche inaugurato un nuovo canale Shopping nella sezione Esplora dell’applicazione (in attesa di un app dedicata che sarebbe in sviluppo). In pratica raccoglierà i post contenenti il tag di Shopping provenienti dagli account seguiti o da quelli consigliati dall’algoritmo secondo le nostre abitudini di utilizzo del social medium.
In definitiva l’app di Kevin Systrom vuole dimostrare ai 25 milioni di profili business iscritti, e non solo, che è in grado di portare traffico gratuito e acquirenti verso i loro siti. Presto però, come già accaduto con Facebook e come è fisiologico che sia, ci si renderà conto che senza un adeguato supporto pubblicitario non basterà usare uno sticker per ottenere conversioni. Ovviamente il consiglio, soprattutto alle piccole imprese, è di non cedere alla facile tentazioni di appaltare la community ad Instagram, ma di lavorare per costruirla sul proprio terreno.
Nonostante il grande e continuo lavoro, diretto e con influencer di ogni sorta, da parte dei brand,Googlestrapazza ancora i social media quando si tratta di portare traffico ai siti web del lusso. È quanto emerge dal report ‘Luxury Brands Online 2018’ redatto dall’agenziaPmxche ha analizzato i comportamenti online dei consumatori americani. I motori di ricerca, infatti, rappresentano il 49,7% delle fonti di traffico ai siti web dei marchi del lusso (questi, non solo americani), e oltre il 95% di questa fetta di torta riguarda Google. Il 21,4% del traffico deriva da siti di shopping online (5,4% dai department store), in primisAmazonseguito daMacy’seEbay. Il 3,3% dei navigatori virtuali approda ai siti dei marchi del lusso attraverso i servizi via email. A sorpresa solo il 5,9% del traffico deriva dai social network e appena lo 0,2% da Instagram, superato da Facebook (2,5%), YouTube (1,9%), Reddit (0,3%).
Questo limitato apporto al traffico del sito risalta ancor più se confrontato con i tassi di crescita dell’ingaggio social. Sempre secondo il report, nell’ultimo anno i social network hanno visto un incremento del 20% dei luxury social media follower. Combinando Instagram, Facebook e Twitter, gli oltre 90 fashion brand presi in considerazione dal report Pmx contano oltre 677 milioni di likes e follower, nel 2017 erano 564. Instagram, in particolare, vanta una crescita annua del 23% a 346 milioni. Il social network fotografico si conferma un ottimo strumento di engagement; delle oltre 1 miliardo di interazioni con i luxury brand il 95% deriva proprio da Instagram mentre Facebook si ferma appena al 4 per cento.
Questo distonico andamento tra traffico social e traffico web, tuttavia, non è detto si traduca in un effetto ‘spiazzamento’ sul fronte delle vendite online. Vero è che dopo la visita al sito web di un luxury brand il campione americano esaminato da Pmx visita un sito di shopping (38,9%) oppure si rivolge a un motore di ricerca (17,3%), un social network (6,5%, in primis Facebook e YouTube), oppure Amazon (2,4%). Ma gli strumenti attuali puntano a favorire sempre più il passaggio diretto dal social media alla piattaforma e-commerce, non necessariamente attraverso il sito web del marchio.
Snapchat dichiara di avere 188 milioni di persone che usano l’app quotidianamente e che accedono, in media, 20 volte al giorno. Le nazioni con più “Snapchatter” sono gli Stati Uniti e il Canada con 93 milioni e l’Europa con 73 milioni. Per capire qual è la situazione in Italia ho dato un’occhiata alle informazioni direachriportate utilizzando lo strumento diadvertisingdella piattaforma.
Quanti sono gli utenti italiani di Snapchat?
Gli italiani che usano Snapchat sono circa 2,5 milioni. Un dato non entusiasmante sia se lo si rapporta allo scorso anno, quando erano 2 milioni, sia se lo si confronta con nazioni simili alla nostra. Ad esempio in Spagna, dove la popolazione internet è inferiore a quella italiana, Snapchat raggiunge 4 milioni di individui. La Francia, che ha una popolazione simile alla nostra, ha la più alta presenza di Snapchatter del continente: 17,5 milioni.
Qual è la composizione demografica degli italiani su Snapchat?
Il 60% degli italiani su Snapchat sono donne (1,5 milioni) mentre gli uomini coprono il restante 40% (1 milione). Questa è la prima peculiarità del servizio, visto che suInstagramsi ha una leggera prevalenza delle donne, mentre suFacebookaccade l’opposto.
La seconda peculiarità riguarda la prevalenza dei teenager dai 13 ai 18 anni che rappresentano il 39% degli iscritti italiani.Nè in Instagram, né in Facebook si riscontra questa situazione, anche se stiamo parlando di circa 1,1 milione di ragazzi. L’altro gruppo che ha una presenza percentuale importante è quello della fascia 19-24 che rappresenta il 33% degli utenti raggiungibili. Seguono i 25-29enni al 13,5%. I 30-35enni sono solo il 4% mentre tutti gli altri sono il 10,5% (da notare che il sistema non fornisce dati sui più anziani e ciò è un’ulteriore conferma della sua focalizzazione sul pubblico giovane).
In definitiva Snapchat in Italia può essere considerato uno stimolante terreno di comunicazione, ma non per tutte le aziende.Sicuramente i brand che vogliono parlare ad un pubblico giovane farebbero bene ad iniziare a comprendere i codici comunicativi degli Snapchatter e ad utilizzarli nelle loro sperimentazioni. Tutti gli altri, che magari non hanno risorse adeguate, farebbero bene a massimizzare gli sforzi sugli altri social media.
Per rimanere sempre aggiornati sulle statistiche riguardanti i social media in Italia vi consiglio di tenere d’occhio la pagina dell’Osservatorio Social Media, mentre per i dati internazionali c’è “Social Media Statistics“.
La seconda trimestrale 2018 di Facebook ha mostrato, per la prima volta, segnali di rallentamento dell’impero Zuckerberg in termini di ricavi e utenti. Pur raggiungendo2,2 miliardi di personeogni mese, negli ultimi tre mesi si è registrato un calo in Europa sia degli utenti giornalieri (-3 milioni) che mensili (-1 milione).
Per capire cosa sta succedendo in Italia, ad un anno dalla mia ultima rilevazione, condivido a beneficio di tutti i dati disponibili sulla sua ampiezza.
Lo strumento nativo di advertising segnala 31 milioni di account potenzialmente raggiungibili. Una penetrazione di circa il 91% se si considera che gli utenti mensili di internet sono stimati in circa 34 milioni (Audiweb).
Secondo le mie stime nel giorno medio sono 25 milioni gli italiani che visitano il social network. In mobilità lo usano quasi la totalità: almeno 29 milioni una volta al mese e 24 milioni quotidianamente.
Come sta cambiando la composizione demografica degli iscritti a Facebook in Italia? Oggi il 58% degli utenti ha più di 35 anni. La fascia con più utenti è quella 35-46 con 6,7 milioni di iscritti. Interrogando lo strumento di advertising emerge chiaramente la drastica diminuzione dei giovani (non è detto che si siano disiscritti, ma potrebbero non essere stati attivi e quindi non considerati dal tool come raggiungibili dalla pubblicità).
Considerando la fascia 13-29 il calo, rispetto allo scorso anno, è di 2 milioni di persone. In particolare i 13-18enni diminuiscono del 40%, i 19-24enni del 17%, i 25-29 del 12%. Calano anche i 30-35enni e i 36-45enni. A crescere solo le fasce più avanzate: quella dei 46-55enni e quella degli ultra 55enni che fa un salto del 17%.
La mutazione di Facebook mi sembra irreversibile. E’ sempre il centro commerciale più grande del paese, ma per i giovanissimi non è più la prima destinazione social, mentre per i più maturi rimane il luogo nel quale intrattenere relazioni e apprendere informazioni.
Per ulteriori statistiche sui social media in Italia vi consiglio di tenere d’occhio la pagina dedicata dell’Osservatorio Social Media in Italia.
Di Max Da Via' (del 28/08/2018 @ 07:57:07, in Mercati, linkato 1760 volte)
In Cina 802 milioni di persone accedono a Internet, il 57,7% della popolazione (soprattutto quella che vive in zone urbane). Da dispositivi mobili si connettono ben 788 milioni di individui. E’ quanto emerge dal nuovorapportodell’agenzia governativa China Internet Network Information Center (CNNIC).
Si tratta di numeri strabilianti se confrontati con quelli di altripaesi: l’Europa conta 700 milioni di connessi, l’Africa 450 milioni, l’America Latina 430 milioni e il nord America 345 milioni.
Le altre statistiche rivelate mostrano un utilizzo molto avanzato dei servizi di rete:
il 71% fa acquisti in rete
il 21% degli utenti cinesi usa servizi finanziari (+30% rispetto a 6 mesi prima)
il 43,6% ordina cibo da dispositivo mobile
il 42% accede ai servizi pubblici attraverso app come WeChat e Alipay (i vari livelli di governo hanno una presenza stabile sulle piattaforme social più diffuse)
il 30,6% usa app di bike sharing
il 43,2% usa app per la prenotazione di taxi e il 37,3% quelle per bus e treni
le vendite online sono state pari a circa 600 miliardi di dollari nella prima metà del 2018 (+30% rispetto allo scorso anno)
il 74% usa applicazioni basate sulla condivisione di video (tra queste la più famosa è Douyin, conosciuta in occidente come Tik Tok)
E’ la fotografia di un popolo dinamico all’interno di un territorio che non è l’Internet che conosciamo, ma sarebbe più appropriato definire Wide Area Network, un recinto rigidamente controllato dal governo. La mano “invisibile” dello stato da un lato ha dato grande impulso allo sviluppo della rete, dall’altro regola la diffusione di servizi e contenuti. La censura si abbatte sulle VPN (che permetterebbero di scavalcarla) e su 135 siti tra i più visitati al mondo, compresi i social network occidentali. Neanche i servizi locali vengono risparmiati: l’aggregatore di notizie Jinri Toutiao (ByteDance) e il servizio di live streaming Kuaishou (Tencent) sono stati costretti a rimuovere alcuni contenuti considerati inappropriati.
Siamo di fronte ad un fenomeno che vale la pena studiare attentamente per le sue ricadute geo-politiche e per le dinamiche tecno-economiche già in atto.In particolare sarà interessante capire quanto i servizi cinesi riusciranno ad espandersi oltre il Grande Firewall, minacciando i giganti della tecnologia occidentali e se questi riusciranno ad entrare in Cina, sacrificando frammenti della loro identità.