Ecco il consueto aggiornamento dei dati Audiweb, tanto per avere il famoso numero degli utenti italiani di Internet.
Gli utenti con accesso alla rete a Luglio sono 23,8 milioni. Nella press release viene data grande enfasi al fatto che in un anno sono cresciuti del 10%. Resta il fatto che a Maggio 2010 erano sempre 23,8 milioni. Ad aprile erano 23,6.
Dato più interessante è invece quanti sono quelli che effettivamente usano Internet (non quelli che potrebbero usarlo) - e quindi il numero di utenti attivi nel giorno medio. A Luglio sono stati 10,8 milioni. Erano 11,7 a Giugno e Maggio.
Si è navigato in media 1 ora e 28 minuti al giorno, con una leggera contrazione rispetto ai mesi precedenti. Si sono viste in media 166 pagine per persona (non è cambiato quasi nulla).
Altre informazioni significative:
"Il 43,6% della popolazione italiana con più di 2 anni accede a internet almeno una volta al mese. Più in dettaglio, risultano 6 milioni gli uomini e 4,8 milioni le donne online nel giorno medio, con una maggiore concentrazione nell’area geografica del Nord-Ovest in cui si registra un dato medio quotidiano di 3,3 milioni di utenti attivi (il 22,4% della popolazione di riferimento).
Nel mese di luglio si conferma una maggiore concentrazione dell’uso di Internet nei giorni lavorativi (lunedì – venerdì), in particolare il lunedì che registra una media giornaliera di11,685 milioni di utenti attivi e 180 pagine viste per 1 ora e 34 minuti per persona. L’accesso a internet cala nel fine settimana (sabato – domenica), con circa 9 milioni di utenti attivi nel giorno medio per 1 ora e 22 minuti di tempo speso e 149 pagine viste per persona.
Nelle fasce orarie pomeridiane e serali si registra un incremento di audience, con un dato pressoché stabile a partire dalle ore 12:00 (5,5 milioni di utenti attivi nella fascia oraria 12:00-15:00) fino alle ore 21 (5,4 milioni di utenti attivi nella fascia oraria 18:00 – 21:00). "
Su YouTube arriva il primo spot interattivo. A produrlo è la compagnia francese Buzzman, per promuovere il bianchetto tedesco Tipp-Ex. Nel filmato un cacciatore si trova in un bosco, ma all’improvviso deve affrontare un orso.
L’utente può scegliere come far proseguire la storia (decidendo se sparare o meno all’orso) premendo uno dei due pulsanti che compaiono nel video. Il filmato è stato visto 4 milioni di volte in due settimane.
L'evento di oggi al Museo di Arte moderna di San Francisco (in programma alle 18.30 ora italiana e trasmesso in webcast su YouTube) non aggiungerà nulla di più a quanto si è detto e scritto nelle ultime settimane. Google infatti terrà a battesimo, così dicono i portavoce della casa californiana, "un'importante innovazione relativa all'infrastruttura tecnologica alla base del proprio motore di ricerca" e stando a quanto si è appreso annuncerà "Goggles", applicazione di search per immagini. Il menu che stanno preparando per Natale a Mountain View va però ben al di là della specialità con la quale la società californiana ha scalato le vette dell'universo hi-tech.
Tv e musica, infatti, sono le due nuove ambizioni di Google e rappresentano, a giudizio di vari esperti ed analisti, il guanto di sfida totale ad Apple ed al suo ecosistema. Lo store musicale che farà concorrenza ad iTunes - il negozio della Mela cattura circa il 70% delle vendite di brani digitali negli Stati Uniti e vanta oltre 160 milioni di utenti in 23 Paesi - e che si dovrebbe chiamare Google Music Store è in procinto di aprire i battenti prima delle festività natalizie. Le trattative con le major del disco sono quindi febbrili - occorre definire i termini degli accordi di licenza d'uso delle canzoni e dei video protetti dal "lucchetto" digitale Drm (Digital rights management) – e di pari passo si stanno perfezionando le funzionalità operative del servizio. Che secondo i rumors della Rete sarà logicamente aperto a tutti i dispositivi mobili basati su Android – in quest'ottica antagonisti diretti di iPhone e iPad - e sfrutterà le tecnologie alla base del motore di ricerca proprietario.
Il progetto è stato affidato ad Andy Rubin, vice presidente di Google e "cervello" del sistema operativo mobile del colosso californiano (la cui versione 3.0 sarà rilasciata in autunno) e sarebbe proprio una sua precisa scelta quella di abilitare il negozio on line per il download a servizio "cloud based", in abbonamento, attraverso il quale poter riprodurre in modalità streaming i file multimediali direttamente sugli smartphone e sui tablet androidi e non si conoscono ancora i dettagli ufficiali del progetto. connessi in Rete. Che impatto potrà avere la discesa in campo di Google nella musica digitale è ovviamente presto per dirlo; c'è chi fa notare, riconoscendo le enormi potenzialità della regina dei motori di ricerca, che anche Amazon aveva tutte le credenziali per sfondare ma il suo store per la vendita di canzoni ha conquistato poco più del 12% del mercato. Come dire: il successo di "big G" non è scontato e dall'altra parte della barricata c'è una rivale che al momento non sembbra sbagliare un colpo. L'ultimo servizio di social network lanciato da Apple per seguire e condividere con gli amici le novità degli artisti preferiti, Ping Social Music Discovery, è stato utilizzato da oltre un milione di utenti iTunes in meno di 48 ore; la risposta di Google in tal senso potrebbe essere "Google Me, soprattutto se questo fosse strettamente integrato con il nuovo store musicale e con YouTube. In definitiva sfida senza esclusione di colpi, che troverà presto un ulteriore campo di battaglia nel piccolo schermo televisivo.
Tv e servizi on demand, ma la "vera" guerra sarà per la pubblicità La Google tv, la nuova televisione via Web che vede in Sony e Intel due partner eccellenti, sarà disponibile negli Stati Uniti in autunno e nel 2011 anche in Europa. Lo ha confermato di persona all'Ifa di Berlino (ieri) il Ceo Eric Schmidt, dando un po' di sostanza a quello che sarà un passaggio importante nella strategia della casa californiana in campo media: si navigherà in Rete via browser (Chrome) e si accederà a un'ampia gallery di contenuti video, gratuiti e a pagamento. Proprio la possibilità di offrire on demand show Tv e film in prima visione è l'altra faccia dell'offensiva televisiva di Google: la società è infatti in discussione con le grandi firme dell'industria dell'entertainment per predisporre un servizio di "pay per view" in streaming (con costi, si dice, nell'ordine dei cinque dollari per singolo titolo) appoggiato su YouTube. Che sia anche questa una riposta all'ultima trovata di Steve Jobs – la nuova Apple Tv e la possibilità di scaricare spettacoli televisivi e film da iTunes rispettivamente a 99 centesimi (servizio attivo solo negli Usa) e a 4,99 dollari – è fuor di dubbio. Ma Google, su questo fronte, se la dovrà vedere non solo con la società della Mela. All'Ifa Sony ha presentato nei giorni scorsi la nuova piattaforma Qriocity per offrire attraverso tutti i suoi prodotti (Tv Bravia, sistemi di home theatre, lettori Blu Ray, playstation 3) il noleggio on demand, sempre in streaming via Internet, di un'ampia collana di film e programmi Tv. Amazon sarebbe pronta a fare lo stesso, entrando in campo in tempo per Natale con un servizio "Web-based" per l'accesso illimitato a film e programmi in streaming, tramite specifico abbonamento e su pc, televisori con connessione Internet, lettori Blu-ray e la console Xbox 360 di Microsoft. Di questa partita fanno quindi parte anche specialisti dei media digitali come NetFlix e Hulu, assai popolari negli Stati Uniti. Per tutti c'è un obiettivo a cui tendere, ben più sostanzioso del business legato alle vendita e al noleggio di film e show: quello della pubblicità televisiva, una torta che vale su scala mondiale circa 180 miliardi di dollari. Una torta su cui Apple e Google vogliono ovviamente metterci le mani.
Di Altri Autori (del 03/09/2010 @ 07:17:22, in Media, linkato 1580 volte)
L’integrazione tra internet e televisione è il tema tecnologico caldo per la nuova stagione invernale dei grandi marchi del settore hardware e entertainment. Sony ha annunciato il lancio dei suoi nuovi servizi digitali che favoriscono la convergenza tra rete e piccolo schermo.
Nasce, grazie alla collaborazione con Google, Sony Internet tv. Gli apparecchi della casa giapponese si avvarranno delle applicazioni sfotware sviluppate a Mountain View e del suo browser Chrome, che permetterà agli utenti di navigare a tutti gli effetti il web direttamente dal televisore.
Il primo mercato a essere sondato dal nuovo sodalizio sarà quello americano, che tra l’autunno e l’inverno accoglierà i primi modelli di tv integrata di Sony dotati di tecnologia Biv (Bravia Internet Video), che tramite apposite app abilita l’accesso ai contenuti digitali dei social network e dei siti web affini. Il sistema funzionerà in simbiosi con Qriocity, servizio che offre contenuti on demand in streaming (film e video, per il momento). Si potranno integrare nel sistema anche la consolo Ps3 di Sony, i suoi lettori Blu Ray, gli impianti home theatre e, tra pochi mesi, anche i computer della serie Vaio. Il tutto senza la necessità di decoder o dispositivi terzi.
Negli Usa, la visione di un film a definizione normale costa 3,99 dollari, mentre per l’alta definizione il prezzo sale a 5,99 a visione. In Europa, a partire da novembre, sarà invece possibile acquistare la visione (anche multipla) a termine di scadenza di 14 giorni.
Il sito americano Amazon, tra i più importanti operatori di e-commerce nel mondo, sta sviluppando un servizio in abbonamento per la visione via internet di programmi televisivi e film.
Durante l’estate, la compagnia con base a Seattle ha cercato di allettare società come Nbc, Time Warner, News Corporation e Viacom, offrendo loro la possibilità di una partnership che porterebbe Amazon in competizione con Google, Nteflix e Hulu, che già forniscono show w cinema via web in abbonamento.
Il servizio di Amazon sarà disponibile su browser o dispositivi digitali di ultima generazione, quali televisori connessi a internet, lettori Blu-ray e la console Xbox 360 di Microsoft.
Dopo Apple è la volta di Google: i big della tecnologia strizzano l'occhio a produttori di contenuti per il piccolo schermo, sognando una televisione quasi esclusivamente on-demand. Il colosso di Mountain View, secondo quanto pubblicato su Financial Times, avrebbe intenzione di sfruttare YouTube per proporre l'affitto di pellicole online.
Pagando un gettone di 5 dollari, l'internauta avrebbe la possibilità di vedere il film di suo interesse per le 48 ore successive all'acquisto. Il tutto, ovviamente, sfruttando una connessione internet e utilizzando, preferibilmente, una tv griffata Google.
L'offerta andrebbe a concorrere con quella di Netflix, che ha siglato a inizio mese un contratto di 5 anni per lo streaming a noleggio dei film prodotti da Paramount, Lionsgate e MGM, e con quella che Apple è procinto di lanciare.
È più piccolo di un tablet, più grande di un cellulare o di un player multimediale portatile. Fa telefonate, e si può usare per navigare. Esce domani, tra i mugugni degli addetti ai lavori
Non è un tablet, non nel senso stretto del termine. Non è un cellulare, viste le dimensioni. E non è neppure un prodotto della stessa categoria di un iPod Touch: il Dell Streak è un MID unito a un telefono, un apparecchio pensato cioè per la connettività ubiqua, un'idea che circolava a cavallo tra 2008 e 2009 e non ha mai preso particolarmente piede. Ora però l'azienda USA decide di provarci, e lancia sul mercato il suo mini-tablet/telefono da 5 pollici equipaggiato con Android. Raccogliendo qualche scetticismo tra gli osservatori, interdetti per le scelte di prezzo e non solo riguardo il nuovo nato: ai più sembra destinato a battersi, e non sarà una sfida facile, con il tablet iPad più che con gli smartphone.
Tecnicamente Streak non è messo male: buono schermo da 5 pollici, fotocamera da 5 megapixel con flash, connettività 3G HSDPA, WiFi e Bluetooth. Non manca il GPS, un lettore di card microSD fino a 32GB che si aggiungono ai 512MB di ROM, i 512MB di RAM e i 2GB di memoria su un'altra microSD presente a bordo (e non accessibile all'utente) che si possono usare per archiviare le applicazioni. La CPU è un ottimo Snapdragon da 1GHz. Il problema di Streak è l'OS: monta Android, ma la versione 1.6 vecchia ormai quasi un anno, e l'azienda non prevede di aggiornarlo alla 2.2 (Froyo) se non al volgere del 2010. Inutile dire che, naturalmente, fioriranno le ROM non ufficiali "cucinate" appositamente per il dispositivo: ma l'idea di lanciare un prodotto con una release di Android vecchia, e di aggiornarlo alla attuale quando la successiva (3.0, Gingerbread) sarà alle porte, ha fatto arricciare più di qualche naso.
Altro fattore che gioca a sfavore è il prezzo. Chi desidera acquistarne uno potrà optare per la versione abbinata a un contratto biennale con AT&T al prezzo di 300 dollari più le rate mensili dell'abbonamento, oppure optare per la versione "libera" (ma SIM-locked, e visto quello che si dice della rete AT&T...) al costo di 550 dollari (più le tasse). Streak è un telefono, nel senso che ha un modulo di connessione 3G ed è equipaggiato per le chiamate GSM: ma le sue dimensioni difficilmente lo renderanno adatto a finire nelle tasche dei jeans. Eppure, se come pare scontato il MID Dell andasse confrontato con l'offerta Apple o Motorola, Streak costerà più di un iPod Touch (che ha solo il WiFi), di iPhone 4 e di un Droid X nella versione con contratto, e più di iPad WiFi nella versione semi-libera (e appena 50 dollari in meno di iPad 3G).
Resta da capire, se questi sono i prezzi dell'unità da 5 pollici, quanto potranno costare le future versioni da 7 e 10 pollici: esistono interpretazioni diametralmente opposte sulla lungimiranza della scelta operata da Dell, ma è indubbio che questo tipo di prodotto - come sempre accade per i compromessi tra diversi formati, in questo caso tra tablet e smartphone - finisca inevitabilmente per risultare interessante per una nicchia più che per la totalità dei consumatori. Il lancio nel Regno Unito, avvenuto a giugno, parrebbe confermare questa ipotesi.
In definitiva, per il tablet Dell non esiste una previsione chiara sul successo o insuccesso dell'operazione. A suo vantaggio va ricordato che si tratta di uno dei pochi prodotti di questa categoria visti al CES 2010 che finalmente trovano la strada del mercato: resta da capire, visto che si tratta di un pezzo grosso come e quanto Apple, se l'azienda di Cupertino abbia qualcosa da temere dal primo approccio della concorrenza al campo dei tablet.
Il servizio Adwords di Google – la piattaforma per creare annunci pubblicitari utilizzando parole chiave – non viola il copyright di alcun marchio. Ma come già avviene, Google avrà il compito di eliminare, a seguito di una segnalazione, link che rimandano a siti che vendono merce contraffatta o di dubbia provenienza. Lo ha stabilito ieri la corte di giustizia europea in relazione alla vertenza che oppone il motore di ricerca californiano al colosso della moda Lvmh, titolare di brand come "Louis Vuitton" ma anche il gruppo Viaticum, con marchi come "Bourse des Vols".
Tutto verte intorno alla possibilità di impiegare a scopo pubblicitario «parole chiave corrispondenti a marchi altrui nell'ambito di un servizio di posizionamento su internet». Un esempio: un rivenditore di borse "Louis Vuitton" partecipa a un'asta e si aggiudica la possibilità di far comparire il proprio negozio tra i link sponsorizzati. Il rivenditore si aggiudica così il diritto di comparire in cima alla classifica dei risultati quando un navigatore ricerca parole come "borsa" o "Louis Vuitton". Il brand, ovviamente, non appartiene al merchant ma questo tipo di utilizzo, come spiega la sentenza della Corte europea, «non viola il copyright dei marchi nel consentire agli inserzionisti l'acquisto di parole chiave corrispondenti ai trademark».
Un pronunciamento che rimarca la "neutralità" di Google in quanto piattaforma tecnologica. O quasi. Perché se è vero che Google non infrange i trademark permettendo che siano utilizzati come parole chiave per le ricerche sponsorizzate, ci sono almeno un paio di punti che sono stati rimarcati. Il primo: i rivenditori che smerciano prodotti dalla provenienza non «facilmente rintracciabile» sono ritenuti responsabili della violazione dei trademark e dunque non possono accedere al programma di Adwords che frutta a Google ogni anno circa 23 miliardi di dollari. Il secondo: nel caso in cui gli venga segnalata la natura fraudolenta di un link sponsorizzato, Google non è responsabile solo se elimina il link tempestivamente. La sentenza ha comunque rimarcato il concetto che, in generale, il service provider non è responsabile della violazione del trademark. L'attenzione si sposta quindi sugli inserzionisti. «Se un marchio è stato utilizzato come parola chiave – si legge nella sentenza – il suo titolare non può pertanto far valere nei confronti della Google il diritto esclusivo che egli trae dal suo marchio. Egli può invece far valere tale diritto nei confronti degli inserzionisti che fanno visualizzare da Google annunci che non consentono, o consentono soltanto difficilmente, all'utente di sapere da quale impresa provengono i prodotti o servizi».
Una sentenza che dimostra, secondo Google, che «i diritti legati ai trademark non sono assoluti, per una decisione che va nella direzione, più volte invocata da noi, di andare incontro meglio agli interessi del consumatore massimizzando la scelta delle chiavi di ricerca».
La replica di Lvmh: «La decisione della Corte Ue è una tappa molto importante nella chiarificazione delle regole che governano lo spazio della pubblicità online di cui Lvmh è uno dei primi clienti».
Il meccanismo contestato 1 Mountain View vende le parole chiave Adwords è la piattaforma tecnologia per creare annunci pubblicitari online attraverso l'utilizzo di parole chiave scelte dall'utente. Questa attività, tra le principali del gruppo, frutta a Google ogni anno circa 23 miliardi di dollari di ricavi. 2 Un'impresa «acquista» un marchio altrui Un rivenditore di borse di alta gamma, per esempio, può acquistare da Google un link così detto "sponsorizzato" e una parola chiave che può corrispondere anche a un marchio registrato (nel caso di Lvmh, "Louis Vuitton"). 3 La ricerca del marchio «porta» all'investitore Quando un navigatore digita nel motore di ricerca la parola Lvmh il link "sponsorizzato" rimanda, per esempio, al rivenditore che ha deciso di attirare clienti utilizzando un nome importante della moda. Secondo la Corte Ue non c'è violazione del brand. 4 Rischi di utilizzo illecito per il brand utilizzato Se il link sponsorizzato rimanda a un sito internet di prodotti contraffatti, Google dovrà rimuovere quel link solo dietro segnalazione diretta del titolare del marchio. Non c'è quindi l'obbligo di controllo preventivo da parte del motore di ricerca.
Ci sono voluti quattro anni per raggiungere il traguardo, ma domenica Twitter ha potuto festeggiare i 20 miliardi di messaggi postati dai propri utenti. L’onore inconsapevole è toccato a un internauta giapponese, che poco dopo la mezzanotte ha lasciato un tweet sulla propria pagina, ricevendo in cambio decine di commenti di congratulazioni.
“Sembra che abbia postato il 20miliardesimo messaggio. Mi stanno scrivendo da tutto il mondo. E’ incredibile. Ho pensato fosse uno scherzo”. Queste le parole dell’utente nipponico, sorpreso da tanta attenzione.
Il fatto non fa che rafforzare la fama del social network fondato nel 2006, decisamente in ascesa nell’ultimo anno. Se per raggiungere i 10 miliardi di messaggi erano serviti quasi quattro anni, per raddoppiare la quota sono bastati cinque mesi, e sono ormai 190 milioni gli accessi unici quotidiani al sito. Proprio il Giappone ha contribuisce in maniera massiccia al traffico del micro-blog, con il 12% complessivo dei tweet (8 milioni al giorno), secondo solo agli Stati Uniti.
Torna a crescere l’industria musicale digitale, almeno in Gran Bretagna.
Dopo un quinquennio di flessione, causata soprattutto dal diffondersi delle connessioni internet veloci e della pirateria che consente di scaricare intere discografie in pochi minuti, nel 2009 le entrate generate dal settore danno segnali positivi e raggiungono il 33% totale del mercato musicale d’Oltremanica.
Lo scorso anno, gli utenti web britannici hanno speso 30,4 milioni di sterline in musica digitale, con una crescita del 72% rispetto al 2008. Il Regno Unito si conferma leader europeo nel settore, con un mercato dal valore doppio rispetto a quello di Francia e Germania.
Il vero motore dell’economia musicale, però, restano i concerti e le esibizioni dal vivo, che nel 2009 hanno fruttato la cifra record di 1,5 miliardi di sterline.