Di seguito gli interventi pubblicati in questa sezione, in ordine cronologico.
Le tecnologie digitali sembrano trovare sempre più applicazione nel quotidiano degli utenti: oltre ai grandi progetti per i dispositivi indossabili, i grandi marchi stanno sondando con interesse il mercato dell’auto, in crisi e in attesa di rinnovamento. Apple, come Google e Samsung, si è data da fare in anticipo, siglando accordi con nomi prestigiosi quali Ferrari, Mercedes e Volvo.
La casa di Cupertino vuole portare il sistema operativo mobile iOs, lo stesso che equipaggia iPhone e iPad, su alcune delle macchine più lussuose al mondo. Il software arricchirà la dotazione dei modelli d’alta gamma dei produttori, trasformando le vetture Ferrari, Volvo e Mercedes in postazioni multifunzione, connesse a internet e in grado di sfruttarne i contenuti, per l’intrattenimento dei passeggeri (con video, musica e informazioni assortite) e per facilitare il guidatore (con dati sulla sicurezza e lo stato dell’auto, rilavamenti meteo, mappe e quant’altro).
La macchine in questione diventeranno dunque Apple-car, capaci di dialogare con gli ospiti grazie all’assistente vocale Siri e agli iPad Mini integrati, come nel caso di Ferrari FF. Stile e aura tecnologica andranno di pari passo, nella speranza di allettare ancor di più i possibili acquirenti. E intanto Apple pensa all’acquisizione di Tesla, l’auto elettrica nata da una strat-up della Silicon Valley: tra conterranei ci si intende.
Via Quo Media
L'obiettivo, particolarmente ambizioso, è quello di raddoppiare in futuro il valore della propria capitalizzazione di mercato, saltando dagli attuali 57 miliardi di dollari a quota 100 miliardi. Ha le idee chiare il numero uno di Starbucks, Howard Schultz, che parla di "fase iniziale della crescita e dello sviluppo" di una compagnia che nel novembre 2008 valeva sui listini azionari 5 miliardi di dollari, che oggi opera con 20mila punti vendita in 64 diversi Paesi (oltre la metà sono negli Usa, mentre India e Cina sono i nuovi bacini strategici da conquistare) e che ha fatto delle tecnologie mobili una risorsa assai importante.
Le transazioni via cellulare o altri dispositivi elettronici rappresentano infatti il 14% delle vendite "in store" della catena negli Stati Uniti, con ben cinque milioni di scontrini "staccati" via cellulare ogni settimana e circa 10 milioni di clienti che utilizzano l'app Starbucks.
Nuove app in vista per iPhone e Windows Phone Nuovi negozi (20 i punti vendita a marchio Teavana in procinto di aprire nel corso dell'esercizio fiscale corrente), nuovi menu ma non solo. A spingere verso l'alto i conti di Starbucks ci sono anche i programmi a premi e le app mobili: l'ultima trovata in tal senso è un'applicazione che permetterà ai clienti di effettuare in anticipo, direttamente dallo smartphone, le ordinazioni di bevande e cibarie varie. La sperimentazione partirà presto in alcune caffetterie statunitensi.
Sin d'ora, invece, gli utenti possono effettuare i pagamenti alla cassa con il dispositivo mobile, legando la transazione gestita tramite "Qr code" sul proprio account alla propria carta fedeltà Starbucks. L'app per iPhone, in tal senso, è stata appena aggiornata per offrire la possibilità di dare la mancia (50 centesimi, uno o due dollari) e per abilitare il pagamento, tramite la nuova funzione "shake to pay", agitando semplicente il telefonino e visualizzando così facendo la carta con codice a barre Starbucks nella parte anteriore dello schermo. Gli aggiornamenti per l'app Android, invece sono attesi entro la fine dell'anno mentre quella per i Windows Phone dovrebbe essere lanciata nello store di Microsoft nei prossimi mesi.
Via IlSole24Ore.com
Più volte, nel corso di una giornata, ci colleghiamo a Facebook per leggere gli aggiornamenti di stato, guardare le foto o cliccare sui link pubblicati dagli amici. Oppure chattiamo senza sosta su WhatsApp, fresco acquisto miliardario del sempre più ambizioso Mark Zuckerberg. Bene: in futuro potremo andare molto oltre, sarà possibile usare il social network più affollato del mondo come una banca. La notizia è che il social network avrebbe chiesto in Irlanda, Paese delle sua sede europea, l’autorizzazione per trasformarsi in un’enorme cassaforte virtuale di denaro dei suoi utenti. Che potranno custodirlo o indirizzarlo verso vari scopi. Proviamo a capire cosa significa questa mossa e quali implicazioni, prospettive e rischi porterà con sé.
COSA SI POTRÀ FARE L’uso più immediato e scontato sarà la possibilità di trasferire denaro a un altro iscritto. Svolgere tutte quelle operazioni che oggi sono possibili con servizi come Paypal o, in punti vendita fisici, su Western Union e affini verso un bacino di 1,2 miliardi di persone. Acquirenti di oggetti di seconda mano, amici, congiunti, società. La sensazione, per una pure questione di logica, è che Zuckerberg vorrà offrire il servizio a commissioni molto più basse rispetto a quelle attuali e, soprattutto, integrare il tutto in modo armonico nella sua piattaforma. Per esempio, una madre indiana che lavora in Italia potrà mandare una somma ai figli a Nuova Delhi dal suo conto Facebook come allegato di un messaggio privato del social network. L’esempio non è casuale, perché le rimesse, i soldi inviati dall’Occidente verso i Paesi in via di sviluppo, sono una costante e un’opportunità di business gigantesca. Naturalmente il proprio conto potrà essere utilizzato per tutti i fini tipici della valuta virtuale: dal più classico e-commerce all’acquisto di applicazioni, contenuti multimediali (film, musica) o per pagare abbonamenti a piattaforme streaming, giornali e affini. Il tutto, è qui la differenza, con sconti o pacchetti pensati ad hoc per chi usa questo strumento anziché le classiche carte di credito. I fornitori di servizi faranno la fila.
QUANDO SI COMINCIA In verità è opportuno chiedersi se si comincia, poiché si tratta pur sempre di un’indiscrezione rivelata dal quotidiano Financial Times e che l’azienda californiana si è rifiutata di commentare. Comunque, ottenuto il via libera delle autorità, tra test e partnership, potrebbero volerci come minimo alcuni mesi. Sebbene una fase beta per un numero ristretto di persone, come da tradizione per le nuove iniziative targate Menlo Park, potrebbe partire quasi subito.
COSA CI GUADAGNIAMO NOI In verità, parecchio. Chi è abituato a spedire soldi all’estero sa benissimo quanto fastidiose e spesso poco giustificabili siano certe commissioni. Ma anche pagare con un bonifico oppure usare strumenti virtuali di trasferimento fondi, specie se le cifre si alzano, è un piccolo salasso. Facebook potrebbe rinunciare a fare margini sulle transizioni, secondo le ipotesi più ardite azzerando del tutto le commissioni, per fare denaro in altro modo.
COSA CI GUADAGNA FACEBOOK E qui è il vero nodo. La piattaforma di Mark Zuckerberg fa cassa soprattutto vendendo pubblicità. Com’è noto, non indifferenziata ma cucita su misura sui gusti, le preferenze, le fasce d’età e altre caratteristiche precise dei suoi utenti. Avere a disposizione uno storico dei loro pagamenti – per gli articoli di un sito di e-commerce ma anche per quel film, quel particolare disco, quel libro – significherebbe profilarli ancora meglio. Perché riflettiamoci: un conto è un generico "mi piace" lasciato sulla pagina di un cantante o un brand, un altro è la prova che sono disposto a spendere per un suo prodotto. Il coinvolgimento è maggiore, quasi totale. Ed è oro per i pubblicitari. Come gli inserzionisti sono oro per Facebook: che pur sì ha guadagnato 900 milioni di dollari nel 2013 dalle transazioni svolte all’interno del social network, per esempio per gli acquisti di vite extra e armi speciali per i popolari videogame che ospita, ma smartphone e tablet con i loro negozi digitali sono concorrenti sempre più spietati. Questo tipo di articoli digitali pesava per il 18 per cento sul totale dei ricavi a inizio 2012; si è dimezzato, scendendo al 9 per cento alla fine del 2013.
QUALI RISCHI CI SONO Il più evidente è che Mark Zuckerberg sappia davvero tutto di noi, senza eccezioni e più zone franche. Il punto, inutile girarci intorno, è sempre lo stesso: capire a quanta privacy siamo disposti a rinunciare per avere servizi che già oggi ci sono familiari ma a tariffe più convenienti. Di sicuro Facebook non è un ente senza fine di lucro o con velleità di beneficenza, non raccontiamoci storie diverse. In questo caso farà soldi facendoci lo sconto. In passato è andata anche peggio.
Via Panorama.it
L’annuncio sarebbe alle porte, precisamente il 30 aprile in occasione di una conferenza dedicata agli sviluppatori prevista a San Francisco: in questa occasione, secondo indiscrezioni da Recode, Facebook annuncerà il piano per la realizzazione di una sua piattaforma pubblicitaria per mobile, che vada al di là del social network, da proporre agli investitori come un modo per trarre vantaggio dal suo enorme database di informazione sugli utenti.
Non si tratta di una notizia completamente nuova, se è vero, spiega Recode, che già a gennaio il colosso aveva annunciato la sperimentazione di nuovi modi per vendere pubblicità su app di terzi, definendo il test “come una rete di pubblicità mobile”. In passato Facebook si era tenuta alla larga dal costruire una rete di pubblicità esterna al social network perchè impegnata a venderla sul suo sito. E non era possibile, secondo Recode, contemplare una rete di advertising mobile fino ad oggi che lo scenario è completamente cambiato. Negli ultimi tre mesi del 2013, infatti, la pubblicità da mobile ha generato 1,24 miliardi per Facebook, una cifra record anche per i numeri a cui è abituata la creatura di Mark Zuckerberg. Di cui una buona fetta, forse il 50%, sarebbe arrivata da quegli annunci pubblicitari che suggeriscono agli utenti applicazioni da scaricare. Al momento Facebook non commenta l’indiscrezione.
Via Tech Economy
La messaggistica istantanea su piattaforma mobile è il vero cruccio dei padroni del web. Il core business su cui puntare senza esitazioni. Chiedere a Mark Zuckerberg, che per accaparrarsi WhatsApp ha staccato un assegno da 19 miliardi di dollari, e non contento sta facendo di tutto per trasformare la chat di Facebook in una App con chissà quali intenzioni. Cosa fanno, dunque, le altre big del Web per contrastare l'ascesa indisturbata del social network di Palo Alto? Mentre Microsoft annuncia che i telefonini Nokia d'ora in poi porteranno il suo marchio, la mossa più a sorpresa la cala Google che con un aggiornamento di Hangouts mira a prendersi gli Sms dei dispositivi basati su Android.
Per adesso l'aggiornamento in questione riguarda solo i possessori dei device più evoluti, cioè quelli su cui gira Android 4.4 KitKat. Ma nel giro di qualche settimana sarà disponibile per tutte le versioni. Proprio stamattina Google ha rilasciato la nuova release della celebre App che in principio era nata per portare sul mobile la chat di Google Talk. Oggi, scaricando l'aggiornamento, Hangouts chiede all'utente se voglia inglobare gli Sms o meno. Inglobare gli Sms in Hangouts significa dare l'ok a Google per la gestione dei tuoi messaggi di testo. In caso affermativo, Hangouts diventa immediatamente la App unica dalla quale gestire Sms e chat di Google. E se l'esperienza non sarà così esaltante, all'utente viene concessa la possibilità di tornare indietro.
Ad annunciare l'aggiornamento di Hangouts era stato qualche ora fa, sul suo profilo Google+, uno degli sviluppatori di Mountain View, Mike Dodd. Proprio dalle parole di Dodd si capisce chiaramente cosa cambia per gli androidiani: «Gli Sms e gli hangout con lo stesso destinatario vengono uniti in una sola conversazione. – ha scritto Dodd - Potete scegliere se inviare un messaggio tramite Hangouts oppure via Sms, semplicemente agendo su un pulsante. Inoltre, è facile separare in ogni momento i diversi tipi di messaggi all'interno delle conversazioni. In altre parole, potete unirle o dividerle quando volete». Un aggiornamento che riguarda anche l'area contatti: «D'ora in poi i contatti saranno divisi in due sezioni principali, quelli con i quali si è comunicato via Hangouts e quelli telefonici, rendendo più semplice la navigazione nell'elenco e l'invio degli Sms».
L'aggiornamento riguarderà tutti i dispositivi Android nel giro di qualche giorno. E l'obiettivo di Big G pare abbastanza chiaro: mettere le mani sugli Sms e cercare di contrastare l'ascesa mobile di Facebook. Anche perché per ora gli Sms, seppur inviati tramite la App di Hangouts, resteranno a pagamento. Ogni utente continuerà a pagarli in base al suo piano telefonico. Google offrirà soltanto la piattaforma. Ma si fa largo un'ipotesi molto affascinante. Pare che da Mountain View vogliano lanciare la sfida al titano WhatsApp, rendendo gratuiti gli Sms. Zuckerberg è avvisato.
Via IlSole24Ore.com
Non un paywall, ma un abbonamento low cost che mette a disposizione contenuti extra e chat con i giornalisti della testata, oltre alla partecipazione a eventi speciali organizzati dalla rivista: questa l’idea di Slate, celebre magazine online che ha lanciato Plus, servizio che, con 5 dollari al mese o 50 l’anno, amplia l’esperienza dei lettori.
“Non è un paywall - spiega il direttore, David Plotz -. Il nostro modello è Amazon Prime, che continua ad aggiungere benefit agli iscritti”. E così farà Slate Plus, offrendo ingressi gratuiti a eventi riservati, incontri speciali con il pubblico e approfondimenti ad hoc. La struttura del magazine, invece, rimarrà invariata e ad accesso libero.
“La pubblicità rimane centrale per il nostro successo”, ha proseguito Plotz, ribadendo la scelta di non far pagare le pagine del sito principale. Per tutto il resto, invece, c’è l’abbonamento.
Via Quo Media
Ancora novità in casa Amazon, dopo le recenti acquisizioni che hanno allargato l’offerta della piattaforma di ecommerce. La compagnia di Jeff Bezos lancia oggi il nuovo store dedicato ai wearable device. Il sito si concentrerà su dispositivi come Shine Misfit, Jawbone UP24 e Narrativa clip, per citarne solo alcuni.
Il portale offre una serie di sezioni, tra cui quella per i dispositivi sanitari, i device per il fitness e il wellness, le telecamere indossabili e gli smart watch. In catalogo molti dispositivi conosciuti come il monitor Lumoback per il controllo della postura, la linea Fitbit, il Pebble smart watch e la gamma di telecamere GoPro. Lo spazio include anche un angolo sponsorizzato da Gizmodo con contenuti presentati dalla editor Sarah Zang.
Nel “microsito” saranno presenti guide e consigli per aiutare i clienti a scegliere il dispositivo indossabile giusto per il loro stile di vita e le proprie esigenze: tutto questo sarà possibile anche grazie all’aiuto di demo che illustreranno i prodotti in vendita e di clip che illustreranno le tecnologia alla base dei device. Recenti studi hanno dimostrato che, nonostante la familiarità con la tecnologia indossabile sia alta, sono ancora poche le persone che in realtà possiedono uno di questi gadget.
Amazon aveva davvero bisogno di lanciare uno store dedicato a questo tipo di device? Solo il tempo ce lo potrà dire. Intanto sarà interessante osservare le mosse di Amazon per la promozione e la vendita di questi particolari dispositivi che saranno parte integrante dell’Internet of Things.
Via Tech Economy
Amazon ha presentato una partnership con Twitter che ci avverte che il futuro dello shopping si trova nel anche nel feed dei social media: nasce il servizio #AmazonCart per inserire in Carrello articoli del catalogo Amazon con un Tweet.
A partire da oggi, gli utenti (alcuni, solo nel Regno Unito per adesso) di Twitter possono collegare i propri account ad un account di Amazon e aggiungere automaticamente elementi al carrello twittando con un collegamento del prodotto Amazon con l'hashtag #AmazonCart. In questo modo, i clienti possono non lasciare il feed Twitter e il prodotto viene inserito in automatico nel carrello del proprio profilo di Amazon in attesa di essere acquistato.
E' potenzialmente un nuovo modello di business per Twitter, che finora ha fatto affidamento ai tweet sponsorizzati per monetizzare, ma da mesi è in cerca di nuovi modi per fare soldi con i suoi 255 milioni di utenti attivi mensili. Per Amazon, si aggiunge un altro modo semplice per i suoi consumatori di acquistare i propri prodotti del suo store.
Un portavoce di Amazon ha detto che Twitter non ottiene ricavi dagli elementi aggiunti ai carrelli attraverso #AmazonCart, ma ha rifiutato di discutere ulteriormente il suo rapporto con Twitter e quanti soldi la partnership porta nelle rispettive casse (difficile che l'accordo non valga un euro). "Siamo certamente aperti a lavorare con altre reti sociali", ha detto il portavoce di Amazon. "Twitter, in particolare, offre un ambiente ideale per i nostri clienti per scoprire consigli sui prodotti da artisti, esperti, grandi marchi e gli amici".
Quando si risponde con un tweet contenente un link ad un prodotto di Amazon aggiungendo l'hashtag #AmazonCartv i clienti che hanno già collegato il loro account Twitter con quello di Amazon saranno avvisati con un tweet di risposta da @MyAmazon e otterranno una mail da Amazon quando un elemento viene aggiunto al carrello. Al contrario, i clienti che non hanno ancora collegato i loro account riceveranno un tweet di risposta in cui viene chiesto di collegare gli account.
Non è chiaro, tuttavia, se i tweet che contengono questo hashtag saranno pubblici o privati. Se i tweet fossero pubblici, le persone rischierebbero di pubblicizzare le loro decisioni di acquisto rispondendo ad un tweet, e non ci sarebbe alcun livello di privacy.
Amazon ha chiarito sul suo sito che il tweet collegato al prodotto aggiunge soltanto l'articolo al carrello, e non è una conferma per l'acquisto. Per completare l'acquisto, bisognerà andare sul sito di Amazon, quindi andare nel carrello e procedere al check out come qualsiasi altro acquisto effettuato su Amazon.
I clienti di Amazon nel Regno Unito possono usare #AmazonBasket per aggiungere elementi ai loro carrelli a partire da oggi, mentre non sappiamo quando il servizio verrà esteso agli altri territori.
Via PianetaCellulare
Rinascere ancora una volta, come già fatto in passato: dopo aver ceduto i cellulari e gli smartphone a Microsoft, Nokia ora prova a farsi strada (è il caso di dirlo) nel settore delle cosiddette "auto intelligenti". La sua divisione che si occupa di investimenti, Nokia Growth Partners, ha annunciato la creazione di un fondo da 100 milioni di dollari proprio per contribuire allo sviluppo di tecnologia legata all'automotive: un settore scelto non a caso, visto che tra i gioielli della corona rimasti nel forziere ci sono le mappe di HERE.
Liberatasi di quello che era diventato a tutti gli effetti un business ingombrante, schiacciato dalla concorrenza senza esclusione di colpi di nuovi giganti del settore come Apple e Samsung, Nokia è libera di tentare nuove avventure: la relativa salute di cui gode il suo sistema di mappe deve aver convinto il management che si trattasse di un argomento interessante da esplorare, e la scelta di investire in iniziative legate alla "connected car" è un chiaro tentativo di sviluppare un nuovo ramo di business parallelo all'attuale.
L'idea che dopo i cellulari, le automobili possano diventare intelligenti non è d'altronde campata in aria: sono anni che i grandi marchi del settore propongono sistemi di bordo sempre più sofisticati, capaci di leggere i segnali, parcheggiare l'auto, avvisare in caso di cali di attenzione o colpi di sonno. Poi c'è anche Google che sta sperimentando automobili in grado di guidarsi da sole, e ancora Google e pure Apple stanno lavorando alla creazione di sistemi di intrattenimento di bordo basati su Android e iOS. Nokia ha già in casa un'enorme mole di informazioni ottenuta tramite le mappe HERE, ha la competenza per valutare e collaborare allo sviluppo di hardware e software: dunque, perché non provarci?
"I veicoli diverranno la prossima piattaforma ad alto tasso tecnologico, analogamente a quanto successo ai telefoni e ai tablet" ha spiegato Paul Asel, uno dei dirigenti di Nokia Growth Partners. Ora la consociata di Espoo inizierà a distribuire assegni da 5 a 15 milioni di dollari ciascuno, per aiutare aziende che hanno già sviluppato soluzioni interessanti ad espandere il proprio giro d'affari e garantire un adeguato ritorno dell'investimento al finanziatore. Nel prossimo futuro, in ogni caso, potrebbe capitare di acquistare un'automobile con a bordo un sistema di infotainment marchiato Nokia.
Via Punto Informatico
Amazon annuncia oggi che gli Amazon Coins sono ora disponibili anche per i clienti in Italia. Dopo l’annuncio dello “sbarco” della moneta virtuale sui dispositivi Android, riservata agli utenti di Stati Uniti, Germania e Gran Bretagna, è di oggi l’annuncio che sarà possibile acquistare Amazon Coins nel nostro paese con uno sconto fino al 10%. Sarà possibile utilizzarle per acquistare applicazioni, giochi e un’ampia gamma di contenuti in-app dall’App-Shop Amazon su Amazon.it, Kindle Fire e dispositivi Android.
Per “festeggiare” il lancio di Amazon Coins, i possessori di un Kindle Fire registrato su un account Amazon.it alla data di lancio, riceveranno in omaggio, direttamente sul loro account Amazon, 500 Amazon Coins per un valore di 5 euro. “Oggi tutti i possessori di Kindle Fire e tutti i clienti di App-Shop Amazon che scaricheranno l’app gratuita del giorno con l’ultima versione Android di App-Shop, riceveranno Amazon Coins per un valore di 5 euro utilizzabili per l’acquisto di nuove applicazioni e giochi come Cut the Rope 2, Minecraft o QuizDuello.” ha spiegato Mike George, Vice President di App-Shop Amazon and Games. “Continueremo ad aumentare le possibilità di ricevere e utilizzare Amazon Coins su una gamma di contenuti e attività sempre più ampia”.
Le Amazon Coins possono essere utilizzate come opzione di pagamento aggiuntiva per gli acquisti nell’App-Shop Amazon e non sostituiscono i “tradizionali” metodi di pagamento nè le forme di guadagno per gli sviluppatori che utilizzano App-Shop Amazon: essi, si legge in una nota, continueranno a ricevere il 70% dei ricavi sulle vendite, anche in caso di acquisti effettuati con le Amazon Coins.
Al contrario dei bitcoin, moneta digitale crittografata che può essere acquistata con valuta tradizionale sul web ed essere usata per pagare beni di ogni tipo nelle strutture che l’accettano, le Amazon Coins sono regolatie dall’azienda di Seattle, non hanno un sistema di cambio in dollari o euro e non possono essere impiegati in altri esercizi commerciali ma solo all’interno del negozio digitale di Amazon.
Via Tech Economy
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