Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
Milano, 16 Ottobre – Marcella Bergamini, responsabile comunicazione e media director Danone, è stata insignita del Premio ‘Donna Comunicazione Aziende 2006’, Fiorella Passoni, Amministratore Delegato Gruppo Edelman, ha ricevuto il Premio “Donna Comunicazione Agenzie 2006” e Roberta Cocco, Direttore Marketing Microsoft, è stata eletta ‘Donna Marketing 2006’.
I tre ambiti ed imporatanti riconoscimenti istituiti dal Club del Marketing e della Comunicazione, giunti alla quinta edizione, sono stati dedicati alle donne manager che si sono particolarmente distinte per eccellenza, innovazione e professionalità nel competitivo settore Mar-Com. Le tre vincitrici sono state votate da oltre 4500 manager del comparto marketing e comunicazione di agenzie ed aziende italiane e multinazionali. La serata di gala si è svolta presso lo Spazio 30, prestigiosa location sita in via Vittorio Veneto 30 a Milano., alla presenza di 400 professionisti, consulenti, imprenditori e di oltre 50 giornalisti della stampa nazionale e di settore. Dopo il benvenuto di Riccardo Trombetta in qualità di “padrone di casa”, è stato Danilo Arlenghi, Presidente del Club del Marketing e della Comunicazione, affiancato dal vice presidente del Club Vittorio Spreafico a consegnare le tre targhe alle premiate, correlate dalle tre pergamene e da significativi ed esclusivi omaggi offerti da Ottaviani, Breil, Pikkanto, Sudoku e Coty Lancaster.
Interessante e costruttivo il contributo in pensieri e parole durante la conferenza iniziale che ha avuto per tema: “Innovazione al Femminile nel Marketing e nella Comunicazione”, offerto da autorevoli relatori, tra gli altri: Daniele Rosa, responsabile comunicazione Bayer; Miriam Forte Amm. Del. Telepromotion Service; Paolo Duranti Managing director Nielsen Media Reserch e dai giornalisti- editori Osvaldo Ponchia e Salvatore Sagone. Dopo il saluto e la testimonianza dei Presidenti delle Associazioni dello stesso comparto , partner del Club: Michele Cimino per Adico, Andrea Prandi per Ferpi, Furio Garbagnati per Assorel, Marisa Montegiove per ManagerItalia e Paolo Guazzone di CDVM Torino, è stata la volta del presidente di Mediawatch e responsabile Osservatorio sulla comunicazione e sul marketing per il Club, Carlo Giovannelli, che ha reso noto i risultati di una indagine socio-quali-quantitativa dal titolo “ La grande avanzata delle manager in rosa”, consultabile nell’allegato.
Ha fatto da corollario scenografico la sfilata statica di YULEA della giovane imprenditrice Claudia Bisceglie che ha proposto le sue ultime creazioni decisamente originali ed estremamente e suggestive.
La serata è proseguita, oltre il cocktail/buffet in rosa a cura di Party Round, con momenti di marketing relazionale a significare la mission del Club: Connecting Manager, ossia sviluppare rapporti interpersonali, generare contatti proattivi e allacciare relazioni durature per implementare il new business e il co-marketing, nonché la cultura e l’aggiornamento professionale.
L’utilizzo di musica d’autore all’interno degli spot televisive e radiofonici sembra essere una delle tendenze più evidenti degli ultimi anni, al punto che la creazione di jingle e pezzi ad hoc è praticamente scomparsa. Quando l’abbinamento tra prodotto e musica è ben realizzato si tratta di una relazione reciprocamente fruttuosa: il prodotto entra in maniera molto più efficace nel ricordo del consumatore mentre l’artista beneficia di una visibilità straordinaria in termini di ampiezza di copertura e passaggi, che si va a sommare alle cospicue royalties percepite per il prestito. Ben poche case discografiche possono infatti garantire la stessa frequenza di passaggi radiofonici e televisivi che le grandi aziende pianificano nelle loro campagne di marketing a supporto dei propri prodotti.Tra i tanti casi di binomio vincente basti pensare a Ligabue e alla sua “Happy Hour” che ha fatto da colonna sonora per mesi ai frequenti spot Vodafone o a Vasco Rossi che con la sua “Senza Parole” ha accompagnato il lancio della nuova Punto.L’universalità e la forte componente emotiva legata alla musica, unita alla notorietà del pezzo che funge da colonna sonora dello spot favoriscono l’immediata identificazione del prodotto e del marchio sottostante, a patto però che ci siano affinità tra la canzone prescelta e il prodotto che a questa viene abbinato.
II Gruppo Volksvagen ha realizzato la più grande maxidecorazione europea mai sperimentata su un edificio, rivestendo il grattacielo della stazione Garibaldi di Milano con una pellicola adesiva di 52 metri di altezza per 32 di larghezza.
La decorazione è stata resa possibile grazie ad una speciale pellicola adesiva perforata 3M, in grado di mantenere inalterata la visibilità sia dall’interno che dall’esterno.
È on line ApertoDomenica.com, il portale che informa sulle aperture straordinarie dei centri commerciali in tutta Italia. Dal Piemonte alla Puglia, dalla Lombardia alla Sicilia, passando per le altre 16 Regioni italiane, www.apertodomenica.com contiene tutte le aperture domenicali e festive dei centri commerciali che hanno al loro interno un ipermercato o un superstore, basandosi sui dati resi noti dalle catene attraverso i loro siti web.
All'interno di www.apertodomenica.com sono visualizzate le aperture dei centri commerciali e degli ipermercati/superstore con una superficie di vendita di almeno 2.500 mq. La possibilità di comparire per i punti vendita più piccoli (supermercati, minimarket, discount, cash&carry, grandi superfici non alimentari) sarà attivata prossimamente.
Alcuni big spender della pubblicità non si accontentano più: non basta che il testimonial metta a disposizione la propria immagine e notorietà per promuovere i loro prodotti, ma deve idealmente diventare parte integrante del processo creativo, contribuendo alla realizzazione di un suo modello unico.Tra le aziende che anno trasformato il testimonial in designer spiccano la catena di abbigliamento di tendenza low cost H&M, con una tuta ideata da Madonna e venduta tra l’altro al popolare prezzo di 49,90 €, ma anche Damiani, che nel 2000 ha iniziato a commercializzare la fede nuziale disegnata da Brad Pitt per il proprio matrimonio con Jennifer Aniston, o Tag Heuer, con il golf watch realizzato in collaborazione con il campione Tiger Woods.Queste iniziative si sono rivelate soddisfacenti anche in termini di risultati di vendita, al punto che la tuta di Madonna è riuscita in breve tempo imporsi come oggetto di culto,mentre Brad Pitt, a dispetto del divorzio dalla Aniston, continua ad essere codesigner della linea D.Side di Damiani e Bernard Arnault, durante la presentazione dell’ultima semestrale di Lvmh (il gruppo che controlla Tag Hauer), si è dichiarato compiaciuto dei risultati raggiunti grazie alla collaborazione con Woods.L’utilizzo del testimonial dal resto è da sempre uno strumento efficace per catturare l’attenzione del grande pubblico, a maggior ragione quando la celebrità contribuisce alla realizzazione di un modello che porta il suo nome. Quando però una marca prestigiosa ricorre ad un importante testimonial in veste di designer è fondamentale che il prodotto finale non deluda le aspettative che ha generato, altrimenti potrebbe rivelarsi un’operazione controproducente per entrambi le parti.
Via Economy
I giganti della rete sono estremamente attivi in questo periodo ed uno degli ambiti dove la competizione si va facendo sempre più dura è quello dei social network.
A proposito di tali soggetti su Wikipedia si legge che “una rete sociale (spesso si usa il termine inglese social network) consiste di un qualsiasi gruppo di persone connesse tra loro da diversi legami sociali, che vanno dalla conoscenza casuale ai vincoli familiari”.
All’interno della definizione ci sono due elementi chiave: l’universalità di questo tipo di reti e l’importanza che al loro interno rivestono le relazioni e, soprattutto, le persone.
La riscoperta della centralità dell’uomo, anche in economia, è di grande attualità nella letteratura manageriale e per questo le reti di relazioni online stanno avendo un grande successo sulla rete.
Un successo che non è sfuggito ai big del web, e non solo.
Ad esempio My Space, sito di social networking, è stato acquistato lo scorso anno da Rupert Murdoch per 580 milioni di dollari e, secondo Rohan, un analista della RBC Capital, potrebbe valerne 15 miliardi nel giro di tre anni.
Attualmente gli utenti sono più di 90 milioni, in seguito a un incremento senza precedenti, e Google ha appena messo sul tappeto 900 milioni di euro per avere l’esclusiva sulla raccolta pubblicitaria del network.
Dal canto suo Yahoo parrebbe disposta ad acquistare, per la modica cifra di 1 miliardo di dollari, il social network Facebook, creato due anni fa dal giovane Mark Zuckerberg e che oggi è visitato da 15 milioni di visitatori al mese.
Questi due esempi dimostrano come i giganti del web si stanno scontrando su di un nuovo terreno, quello degli aggregatori di persone, le reti che permettono agli individui di incontrarsi, scambiare file ed idee e collaborare. Google stessa produce più di 80 prodotti ogni anno ma l’unico limite che sembra ancora porsi all’avanzata del gigante di Mountain View è dato dalla concorrenza dei player che permettono alle persone di comunicare fra loro: instant messaging, voip e,appunto social network.
Si parla con grande frequenza negli ultimi anni di fare squadra, di network, di organizzazioni flessibili e reticolari. La tecnologia, soprattutto quella di rete, ha aperto all'uomo spazi inimmaginabili per entrare in contatto e in relazione con i suoi simili. Ne nasce dunque una forma di interazione a distanza che può essere considerata un’evoluzione di quella simultaneità despazializzata creata già da strumenti come il telegrafo o il telefono, l’uomo può interagire in modo sempre più veloce, preciso e ricco con il suo simile senza dover essere presente nello stesso luogo. Una rivoluzione che vale tanto nelle aziende e nelle organizzazioni quanto nella vita privata.
I grandi operatori di Internet se ne sono accorti ed hanno spostato su questo fronte la loro competizione. E penso che ne vedremo ancora delle belle.
Gianluigi Zarantonello
I giochi come veicolo promozionale: a ogni tipo di messaggio si può associare un tipo di gioco, in funzione anche del target da raggiungere.L'advergame è una forma di pubblicità avanzata. Non si tratta banalmente di vendere spazi pubblicitari per coprire i costi del gioco. Quello è tutt'altro: una promozione di un'iniziativa, che può essere un gioco ma banalmente qualsiasi altra attività. L'advergame è il contrario: il gioco nasce per veicolare il messaggio pubblicitario, ne è fortemente compenetrato, senza di esso non avrebbe ragione di essere. Ma come si aggancia il gioco al messaggio pubblicitario? In base a diverse tipologie, diverse relazioni possibili.AssociativiIl metodo più semplice e uno tra i più usati per legare il messaggio pubblicitario al gioco è la relazione di tipo associativo. Una questione di associazione di idee. Il gioco è associato a un certo prodotto. Una partita di calcio elettronico i cui tabelloni a lato indicano sempre la stessa marca di scarpe da calcio, i cui giocatori indossano - chiaramente riconoscibile - quella stessa marca, e quando si fa gol appare in tabellone lo stesso sponsor. In questi casi, l'associazione calcio-marca delle scarpe diventa automatica. Quasi a ogni azione, avremo sempre il messaggio bene in evidenza. È la relazione più ovvia e banale da realizzare, che ricalca modelli precedenti della pubblicità.IllustrativiIn questo tipo di giochi, il prodotto diventa in qualche modo l'oggetto stesso dell'azione di gioco. In sé, il gioco può essere slegato logicamente dal prodotto, ma il prodotto diventa il tassello fondamentale dell'azione. Un esempio tipico è dato dal modello Tetris, nel quale le tessere verticali in caduta possono essere oggetti di qualsiasi tipo: diversi tipi di orologi, caramelle, articoli per l'ufficio, o qualsiasi altra cosa, in linea di principio. L'oggetto da reclamizzare diventa l'oggetto del gioco.A obiettivoUna leggera variante del tipo precedente è data dalla trasformazione del prodotto nell'obiettivo del gioco per il passaggio del livello. Arrivare, dopo una serie di ostacoli, all'entrata autostradale, oppure banalmente comporre un puzzle elettronico il cui risultato è l'oggetto da promuovere. In questi casi, si cerca di dare risalto al valore finale del prodotto. L'equazione è data da: tendere a un oggetto nel gioco = tendere a un prodotto nel consumo. In più, se ben realizzato, si può sfruttare al tempo stesso anche il valore associativo o quello illustrativo del messaggio. Basta svolgere il gioco in modo tale da rispondere in corso d'azione alle caratteristiche di queste tipologie.DimostrativiSono tra i giochi più difficili da realizzare in maniera efficace. In questi casi si tende a dimostrare, attraverso il gioco, la validità del prodotto. Per esempio, un gioco automobilistico in cui la vettura ha esattamente le caratteristiche di listino dichiarate dalla casa produttrice (velocità assoluta, ripresa ecc.). In alcuni casi, equivalgono a una "prova virtuale" del prodotto. La differenza tra l'advergame dimostrativo e la prova virtuale sta nel fatto che il primo introduce un approccio competitivo (il superamento del livello piuttosto che la competizione vera con altri concorrenti), la seconda invece è fine a sé stessa.Quiz a premiAttorno a un prodotto si può arrivare a costruire una vera e propria gara di conoscenza. In questo caso, il successo del gioco sarà direttamente proporzionale alla diffusione e notorietà del prodotto. Si può tentare, però, l'operazione contraria: utilizzare il gioco a quiz come veicolo per la diffusione. Per il successo del gioco, tuttavia, occorrono quasi obbligatoriamente due ingredienti di stimolo: la possibilità di giocare in multiplayer - per sfidare amici e conoscenti - e magari un premio finale. La possibilità del gioco multiplayer diventa essenziale, perché un gioco a quiz a unico concorrente rischia di essere autoreferenziale e quindi annoiare velocemente. Il premio finale non deve essere necessariamente un premio in denaro: potrebbe essere il prodotto stesso - in una funzione di ulteriore promozione - oppure anche soltanto una classifica generale pubblica in cui al primo o ai primi tre si riconoscono degli attestati generici di bravura. Magari la gente non gioca per i premi, ma sicuramente gioca per una classifica. Una variante con maggiori chanche di successo di questa tipologia è quella del quiz associativo: invece che domande soltanto sul prodotto, si può allargare il campo magari all'ambito generale. Non soltanto domande sul cellulare, per esempio, ma sulle telecomunicazioni in generale. La molla vincente di questi giochi, però, è quasi sempre la competizione con un altro concorrente, nella scia dei giochi televisivi.ContestualiIn questo caso siamo vicini all'idea generica di sponsorizzazione. Infatti, il legame tra messaggio pubblicitario e gioco è dato dal contesto stesso del gioco. Si potrebbero definire anche ambientali, nel senso che l'ambiente di gioco riproduce le caratteristiche del messaggio pubblicitario. Inoltre, ci possono essere richiami pubblicitari espliciti, all'inizio o alla fine o, se si riesce, nel corso dell'azione. L'obiettivo di questo tipo di advergame, infatti, non è tanto reclamizzare un prodotto ma piuttosto un'idea. Perfetta per le iniziative di ordine amministrativo - per esempio la tutela dell'ambiente oppure l'educazione stradale - si rivela meno efficace per i prodotti di tipo aziendale. A meno che non si punti sulla conoscenza di un certo di tipo di problema al quale poi il prodotto reclamizzato offre una soluzione. In questi casi, il messaggio è indiretto, ma qualche volta si rivela addirittura più efficace.EducativiUna variante dei giochi contestuali è data dal valore educativo. In questo caso, indipendentemente dall'ambientazione del gioco, si punta alla crescita di un intero settore. Per esempio, un gioco per i più piccoli potrebbe essere legato al lavarsi i denti o al combattere le carie. Si impara uno stile di vita. La ricaduta sui prodotti è, anche in questo caso, indiretta e di più lungo periodo: crescendo la cultura di un certo settore, si creano utenti consapevoli e, forse, clienti meglio disposti. Normalmente, è un tipo di relazione che funziona per le associazioni di categoria oltre che per scopi più prettamente sociali.Il targetIn tutti i casi, il target di riferimento di questi advergame è dato, per linee generali, da un'utenza giovane, mediamente tra i 12 e i 35 anni, tecnologicamente abbastanza preparata, aperta e con un livello culturale medio-alto. Se veicolati nel modo giusto e pensati fin dalla partenza per target particolari, tuttavia, gli advergame dimostrano di poter arrivare a qualsiasi target prefissato. D'altra parte, in Rete, il peso delle donne, per esempio, o quello degli anziani, è in costante aumento. È evidente che sarà diverso proporre uno sparattutto ai giovani o un quiz culturale per gli ultraquarantenni. Chi realizza il gioco e chi promuove il prodotto devono essere in stretta collaborazione almeno nelle fasi iniziali: definizione del messaggio, definizione del target, comprensione degli interessi del target.Dove collocarlo?Uno dei dubbi da sciogliere per la messa online di un advergame, riguarda la collocazione del gioco stesso: nel sito dell'azienda o in un dominio a sé stante, registrato per l'occasione? Pur non essendoci particolari controindicazioni per una scelta o per l'altra, bisogna valutare lo scopo dell'advergame: se si vuole spingere verso l'integrazione con i prodotti e i brand commerciali dell'azienda, il sito aziendale sarà la sua collocazione ideale. Se invece si vuole lanciare un prodotto nuovo oppure si vuol far crescere il contesto culturale nel quale il brand opera, un sito autonomo avrà maggiore impatto. Senza dimenticare altre forme di diffusione, come i Cd-Rom, normalmente però più costosi e meno capaci di ottenere risultati secondari.I risultati secondariTipicamente, infatti, all'advergame si possono abbinare una serie di operazioni in grado di fornire utili indicazioni all'azienda. Per esempio, si può introdurre una registrazione obbligatoria con la quale si potrà andare a profilare l'utente. Il grado d'approfondimento e di invasività della registrazione è a discrezione dell'azienda sponsor. Un consiglio valido sempre, però, è quello di ricordare che l'advergame è una forma di contatto poco o per nulla invasiva, che punta sulla spensieratezza e sul divertimento. Infarcirla di fastidiose domande preliminari può pregiudicare il suo successo. Molto meglio lasciare il gioco a una registrazione leggera (oppure senza registrazione) e magari utilizzare poi l'e-mail per ulteriori operazioni volontarie di profilazione.I costiContrariamente a quanto si può pensare di primo acchito, gli advergame possono essere realizzati anche a costi bassi. In pratica, in base alle esigenze comunicative e promozionali e, soprattutto, in funzione della complessità del gioco da realizzarsi, si può oscillare da poche migliaia di euro fino a impegnative campagne da decine e decine di migliaia di euro. In generale, però, è a portata di ogni tipo d'azienda.Advergame per PMIProprio per questo motivo, non bisogna pensare agli advergame come forme promozionali di esclusivo appannaggio delle grandi società o dei brand conosciuti. Queste godranno sicuramente di qualche vantaggio in termini di diffusione, ma un advergame può essere anche un ottimo strumento di fidelizzazione della propria clientela consolidata. Anzi, utilizzare un gioco per promuoversi può fornire un'immagine più leggera e informale della società, portare nuovi contatti, creare ulteriori occasioni di business, indipendentemente dalla grandezza della società proponente. Il tutto senza intaccare i livelli di professionalità riconosciuti.
Via Marketing Journal
Una tendenza in forte crescita, specie nel settore dell’abbigliamento, è il proliferare di negozi monomarca, cioè con prodotti facenti capo ad un unico brand. L’apertura di nuovi centri commerciali, con dimensioni consistenti e una vasta offerta disponibilità di spazi interni, ha ulteriormente favorito una diffusione capillare di negozi monomarca in tutto il territorio. Per alcune categorie merceologiche il maggiore livello di specializzazione garantito da queste tipologie di negozi è coinciso con una migliore differenziazione in termini di gamma e proposte. Catene di intimo come ad esempio Calzedonia e Yamamay hanno infatti dato un forte impulso al settore, ampliando la gamma di offerta introducendo nello stesso tempo una maggiore creatività e stagionalità nell’assortimento.Uno dei motivi alla base del successo di questa formula distributiva è la forte specializzazione a livello di prodotto, che rafforza il legame tra consumatore e brand, a tutto vantaggio delle marca. Se nel tradizionale negozio multimarca i legami affettivi più forti del cliente sono quelli relativi all’insegna o a al proprietario in quello monomarca è la fedeltà al brand la variabile fondamentale. Inizialmente attratto dalla forte specializzazione dei prodotti il consumatore spesso scopre, all’interno del negozio, che l’offerta è molto più ampia di quanto immaginato: Louis Vitton oltre ai tradizionali accessori propone anche vestiti, mentre Geox affianca alle famose scarpe sportive modelli più eleganti ma anche capi di abbigliamento e Montblanc spazia dagli articoli per la scrittura ad una vasta gamma di accessori.I vantaggi per la marca sono numerosi, dalla maggiore fidelizzazione della clientela all’assenza dei diretti concorrenti spesso presenti nel negozio tradizionale. Anche la citata migliore possibilità di differenziazione, derivante dall’estensione del numero di categorie merceologiche presentate nel punto vendita, consente di affacciarsi in nuovi settori, mentre la velocità di riassorbimento e il legame più diretto con il cliente garantiscono un più rapido aggiornamento della merce.Un altro aspetto da considerare, specie per i marchi più commerciali, è il maggior valore percepito da parte del cliente nel momento in cui effettua l’acquisto. Il paio di scarpe comprato nel negozio monomarca ha infatti un impatto emozionale diverso rispetto al medesimo acquisto effettuato in un negozio tradizionale, il che può consentire, ad esempio, migliori margini a livello di prodotti.Il fenomeno dei negozi monobrand è un realtà in forte crescita in America e Asia ma anche in Europa e in particolare in Italia il trend appare positivo, sia per il franchasing che per i negozi di proprietà.
Sta emergendo la tendenza, da parte dei media, a far sì che la Generation Content lavori non solo per i propri siti o i propri blog... ma che si trasformi un uno stuolo di autori che lavorano per riempire di contenuti media più "istituzionali".Tra gli esempi più eclatanti di questa tendenza, è l’ esperimento di Current TV, la televisione via cavo dell’ex-vicepresidente americano Al Gore.Questa emittente è destinata ad un target “smart” 18-34 ed ha, tra i suoi punti qualificanti, la partecipazione (a pagamento) degli utenti nella generazione di contenuto e pubblicità.Le regole sono semplici: tutti gli utenti del sito possono inviare i propri commercial autoprodotti, a condizione che siano centrati su una delle marche sponsor del sito.Se il filmato piace alla marca e all'emittente, lo spot viene messo in onda e il creatore riceve 1.000 dollari. Se poi lo spot piace molto lo sponsor può decidere di metterlo in onda anche su altri media… e il creatore ricevere fino a 50.000 dollari (cifra peraltro difficile da raggiungere e comunque modesta per una grande azienda).Tra i primi sponsor Sony – con una operazione di perfetta integrazione prodotto/comunicazione (il prodotto videocamera è lo strumento per fare la pubblicità a sé stesso…e Sony ha inserito nel sito ampi tutorial per aiutare ad usare meglio e più creativamente il proprio prodotto).Sempre su un fronte analogo, l’attività di coBRANDiT, una agenzia che compra (a 100 dollari al pezzo) clip, documentari, pubblicità, materiali autoprodotti dal pubblico, per poi rivenderli alle aziende, ai media online o offline, per utilizzarli in ricerche etnografiche che esplorano il mondo della marca.
Affrontiamo un aspetto interessante nella formazione e che in verità interessa l’intero processo di gestione della forza vendita, il confronto con i contesti internazionali e la necessità per un’azienda di gestire la diversità culturale.
“La Formazione alle vendite è lo sforzo fatto da un datore di lavoro di fornire alla forza vendita l’opportunità di acquisire attitudine lavorative, concetti, regole, contenuti e capacità in modo da aver maggiore successo nell’espletamento del proprio lavoro: fare trattative e perfezionare le vendite” (Dubinsky, 1999).
Ma cosa succede, come deve comportarsi un’azienda in presenza di venditori operanti in Paesi diversi? Pensiamo a realtà aziendali altamente internazionalizzate, in cui la politica di sviluppo su Paesi esteri ha comportato la creazione di una rete di vendita internazionale, Europea ed extraeuropea.
Alcune ricerche hanno dimostrato che la tendenza delle imprese internazionalizzate, chiaramente in relazione al loro grado di internazionalizzazione, è di prediligere una formazione fortemente “market-oriented”.
Le differenze culturali possono tradursi, nell’ambito della vendita, in necessità di approcci diversificati, con stili di comunicazione e di negoziazione adeguati ai diversi contesti.
In questo senso, in organizzazioni che operano su mercati esteri e che devono far fronte ai diversi scenari, la diversità culturale può essere attenuata dalla Formazione, se questa viene adattata in rispetto di queste diversità. Ci sono diversi contributi di ricerca ed analisi comparative circa la Formazione alle vendite in Europa, in Nord Europa (Regno Unito, Olanda e Finlandia) e Sud dell’Europa (Spagna e Portogallo) ad esempio. Le maggiori differenze riscontrate riguardano il valore degli investimenti destinati alla Formazione, il supporto finanziario utilizzato in maggior parte dalle aziende del Sud Europa, e gli effetti dei programmi formativi. Nonostante le imprese del Nord Europa non beneficino di ingenti supporti finanziari di origine nazionale o comunitaria, esse investono maggiori risorse nella Formazione della forza vendita che per di più viene, per la maggior parte, tenuta durante le normali attività lavorative. Al contrario, nonostante buona parte dei programmi formativi sia finanziato, le imprese del Sud Europa sono meno disponibili ad investire denaro in questa direzione e circa due terzi dei corsi è tenuto al di fuori delle ore lavorative. Per quanto riguarda i metodi, differenze sono ravvisate nel fatto che le aziende del Nord Europa prediligono la Formazione interna, mentre quelle del Sud si rivolgono prevalentemente a strutture esterne. Non ci sono grosse differenze in termini di contenuto, piuttosto si riscontrano differenze nell’importanza attribuita ad essi. Ma l’aspetto della diversità culturale non riguarda soltanto la gestione e Formazione di venditori operanti in realtà diverse ma anche le difficoltà che venditori o managers delle vendite possono incontrare in marketplaces caratterizzati dalla convivenza di diverse realtà culturali.
E’ necessario che la Formazione li prepari ad agire in contesti di vendita differenti, sebbene spesso essi, mossi da una falsa sicurezza, non comprendono i benefici di tale tipo di orientamento. (Bush, V.D., Ingram, T.N., “Building and Assessing Cultural Diversity Skills: Implications for Sales Training”, Industrial Marketing Management, Volume 30, No. 1, January 2001, pp. 65-76)
Sono auspicabili ulteriori studi in questo ambito.
Antonia Santopietro
|
|
Ci sono 861 persone collegate
<
|
novembre 2024
|
>
|
L |
M |
M |
G |
V |
S |
D |
| | | | 1 |
2 |
3 |
4 |
5 |
6 |
7 |
8 |
9 |
10 |
11 |
12 |
13 |
14 |
15 |
16 |
17 |
18 |
19 |
20 |
21 |
22 |
23 |
24 |
25 |
26 |
27 |
28 |
29 |
30 |
|
|
|
|
|
|
|
|
|