Di seguito gli interventi pubblicati in questa sezione, in ordine cronologico.
La tecnologia oggi è estremamente pervasiva, con una possibilità senza precedenti di accedere dovunque e in molti modi a dati, occasioni di contatto, strumenti di lavoro e di svago. Questo processo evolutivo ha accelerato molto anche il classico effetto di hype legato a tutte quelle innovazioni che hanno un impatto sociale e sul modo di vivere e lavorare delle persone, rendendo ancora più pericoloso l’errore di seguire le mode tecnologiche, soprattutto per quanto riguarda le aziende.
A mio avviso infatti i risultati sono spesso deludenti in quanto si prende il tema da una prospettiva errata, non solo per la mancata riflessione sulla penetrazione nel target di determinati strumenti ma anche perché si trascura il fatto che le persone usano le tecnologie per appagare delle necessità, i famosi bisogni, di cui oggi si parla sempre meno nel marketing legato alle nuove tecnologie.
Al centro della nuova rivoluzione tecnologica infatti ci sono più che mai le persone, che diventano padrone di tecnologie consumer simili se non superiori a quelli presenti nelle aziende, mentre ancora oggi nelle imprese e sui media si guarda solo ai singoli nuovi mezzi, per altro in modo piuttosto superficiale.
E partiamo proprio dagli strumenti più popolari, i social media, che come dovrebbe essere ovvio a tutti traggono valore dalla partecipazione degli utenti e che non servono a nulla senza i contenuti generati dagli iscritti. Come si fa dunque a puntare su di un contenitore abilitante ma vuoto senza considerare il perché le persone che ci interessano dovrebbero essere lì e volere interagire con noi (senza comprare dei nomi un tanto al kilo)? Eppure è questo che si fa quotidianamente.
Un altro esempio lampante (e in rapido hype mediatico) è il cloud computing che, al di là delle esigenze di chi si occupa delle infrastrutture tecnologiche, diventa interessante per le persone nel momento in cui ne possono trarre un utilità ma che per esse è ( e deve restare) trasparente. E il cloud poi sarebbe molto meno interessante senza un’altra rivoluzione trasparente per l’utilizzatore finale, quella degli smartphone e tablet.
Questo mi porta al cuore del discorso, che diventa più chiaro se rispondiamo a una semplice domanda: quanti oggetti sono stati di fatto cannibalizzati e integrati in telefono cellulare, come sveglie, orologi, calcolatrici e tutto quello che oggi viene assolto da una app? Un’enormità.
Ma chi ci dice che tra 5-10 anni gli smartphone non esisteranno più, cancellati da nuovi device? E allora? Allora diventa cruciale capire cosa le persone vogliono (o potrebbero volere) e cosa fanno (o farebbero) con questi strumenti e dunque lavorare su questi concetti e non sul device o la tecnologia singola. I successi della Apple nel mercato consumer nascono proprio da qui, mettere sul mercato, a prezzi alti per altro, nuovi strumenti che hanno fatto di tecnologie in parte esistenti qualcosa di più bello, di tendenza e di irrinunciabile.
È anche il caso del Bring Your Own Device (BYOD), croce e delizia dei CTO/CIO moderni, dove l’attenzione si sposta dallo strumento da fornire al dipendente all’obiettivo di produttività, che può essere raggiunto in vari modi e con tecnologie che vengono in parte scelte dall’utilizzatore finale. Lo stesso concetto sta poi alla base della creazione di strumenti collaborativi e di social media corporate, dove una struttura abilitante può poi far emergere dinamiche sociali non del tutto prevedibili che portino innovazione e miglioramento.
Ancora una volta però al centro di tutto ci sono le persone, perché gli strumenti di collaborazione oggi ci sono ma ciò che fa la differenza è la cultura della condivisione e l’utilità che il singolo trova nell’utilizzo di questi mezzi e di queste opportunità. Le sfide dunque per le aziende rispetto alle nuove tecnologie e i nuovi paradigmi sono due:
A) Tema organizzativo interno, le competenze sono sempre più ibride e anche i processi interni devono adeguarsi sfruttando in modo intelligente le opportunità degli strumenti esistenti e futuri, partendo però dagli individui
B) Chi lavora con il cliente finale deve pensare alle persone e a ciò che viene da loro percepito come valore, per spostarsi da una tecnologia all’altra solo in base a ciò che meglio ci può rendere competitivi. Questo richiede delle persone con una profonda conoscenza degli strumenti ma anche dell’azienda nel suo complesso.
E su entrambi i fronti le nuove generazioni sono già dentro questo mondo, per cui non c’è poi tanto tempo residuo per muoversi.
Gianluigi Zarantonello via internetmanagerblog.com
Bandi per oltre 900 milioni di euro per contribuire ad azzerare il digital divide e accelerare lo sviluppo della banda ultralarga. Questa la notizia rilanciata dal Ministero dello Sviluppo economico e quello della Coesione territoriale, con cui si annuncia l’avvio di iniziative volte a portare la banda ultraveloce nelle case di oltre 7 milioni di cittadini, di cui 4 milioni al Sud.
Dei 900 milioni , specifica la nota, 237 sono privati e la procedura dei bandi partirà entro l’inizio di marzo. L’obiettivo è portare una velocità di almeno 2 mbps a tutti i cittadini e di accelerare lo sviluppo della banda ultralarga (da 30 mbps a 100 mbps) per circa il 40 per cento dei cittadini della Basilicata, Calabria, Campania, Molise e Sicilia.
I bandi porteranno infatti la banda larga a 2,8 milioni di cittadini residenti in 3600 località in tutta Italia e la banda ultralarga a 4 milioni di cittadini residenti in 180 comuni del Sud Italia. “A questo risultato – si legge nella nota – ha concorso in modo rilevante la rimodulazione dei programmi cofinanziati che, attraverso il Piano d’Azione per la Coesione d’intesa con le Regioni interessate, ha fatto confluire nel progetto più di 347 milioni“.
Il Piano Nazionale Banda Larga è nato nel 2009 con l’obiettivo di raggiungere gli 8 milioni di cittadini. Fino ad ora ha già portato internet di base a 4 milioni di cittadini, e si stanno realizzando le infrastrutture per connettere ulteriori 1,2 milioni di cittadini. Con questo ultimo bando la banda larga sarà portata anche ai residui 2,8 milioni di italiani sprovvisti di connettività.
“Oggi facciamo – dichiarano nella nota i ministri Corrado Passera e Fabrizio Barca – un passo in avanti fondamentale per lo sviluppo del Paese, contribuendo ad azzerare il divario digitale e dotando il Mezzogiorno della banda ultralarga. Era un impegno importante – hanno proseguito – che abbiamo assunto con il recepimento dell’Agenda Digitale Europea e che siamo riusciti a mantenere grazie a una forte collaborazione tra Governo e Regioni. Presto ogni cittadino e impresa italiani potranno avere la possibilità di collegarsi ad internet veloce, accedendo a opportunità professionali e personali che erano loro preclusi. Per questo azzerare il digital divide era innanzitutto un dovere morale della politica oltre che un’opportunità di sviluppo“.
I bandi possono rappresentare una forte spinta per l’intera filiera delle tlc, per il settore dell’impiantistica civile e dell’elettronica, generando circa 5000 nuovi posti di lavoro. Senza contare il vantaggio che tali investimento potranno generare sul Pil: un incremento pari a circa 1,3 miliardi di euro.
Via Tech Economy
Secondo un ultimo sondaggio targato Nielsen, Internet ha una notevole influenza sui consumatori interessati ad acquistare nuovi prodotti per categorie come l’elettronica (81%), elettrodomestici (77%), libri (70%) e musica (69%).
La tendenza sta prendendo piede anche per quanto riguarda i generi di alto consumo come il cibo e bevande (62%), igiene personale (62%), la salute personale/farmaci (61%) e la cura dei capelli (60%). Dal campione è emerso come gli intervistati residenti nelle zone dell’Asia del Pacifico, America Latina e Medio Oriente / Africa siano maggiormente influenzati nelle loro decisioni da ciò che osservano online. Inoltre, più della metà di tutti gli intervistati considerano Internet come fonte importante quando si tratta di acquistare nuovi capi d’abbigliamento (69%) e automobili (68%).
Nello specifico, gli intervistati statunitensi affermano che internet è molto/abbastanza importante quando i effettua una nuova decisione di acquisto per prodotti di elettronica (73%), elettrodomestici (63%), auto (62%) e musica (59%). Poco meno della metà degli intervistati, invece, prendere in considerazione l’influenza di Internet per le decisioni riguardanti prodotti d’abbigliamento (48%) e auto (68%).
I risultati della ricerca “Nielsen Global Survey of New Product Purchase Sentiment”, si basano su un campione di più di 29.000 intervistati con accesso a Internet da 58 paesi nel mondo.
La ricerca continua poi sul versante social media. Questi ultimi, infatti, risultano parte integrante nel processo decisionale e strumento grazie al quale venire a conoscenza di nuovi prodotti.
“I consumatori cominciano a reputare sempre più spesso Internet (anche su dispositivi mobili)come un mezzo altrettanto valido se comparato con le pubblicità più tradizionali”, ha affermato Rob Wengel, vice presidente senior di Nielsen Analytics Innovation che continua: “I social media possono anche essere un modo per venire a conoscenza di potenziali nuovi prodotti o innovazioni future”.
Negli Stati Uniti, quasi il sessanta per cento (59%) degli intervistati ha detto di essere molto più propenso ad acquistare un nuovo prodotto dopo averne appreso le caratteristiche attraverso la ricerca attiva su Internet e quindi attraverso un forum (30%), d al sito web del produttore (45%), attraverso un articolo su un sito in voga (39%). Gli intervistati hanno anche detto di essere molto più propensi ad acquistare un nuovo prodotto dopo averlo conosciuto sui social media (30%), da un annuncio Web (29%) o da un video pubblicato su un sito di video-sharing (27%).
Via Tech Economy
L’Osservatorio New Media e New Internet della School of Management del Politecnico di Milano ha rilasciato oggi gli ultimi dati che fanno il punto sul consumo di nuovi media.
Secondo la ricerca, il mercato dei media è complessivamente in calo del 5%, con un picco del -10% per quanto riguarda i soli media tradizionali (radio, tv). Sono , invece, in rialzo i nuovi media che con un +3% sembrano proseguire la loro costante crescita. In testa troviamo la cosiddetta “New Internet”, che nella ricerca è il web basato sui nuovi dispositivi (smartphone, tablet, TV connesse), sui social network, sulle applicazioni, sui contenuti a pagamento e sui video virali, che fa la parte del leone con un +90% nel solo 2012.
Forte riduzione si riscontra, invece, nel campo pubblicitario: i ricavi dai media, infatti, dal 2008 sono scesi da 18,4 miliardi a 15,9, con una riduzione di 2,5 miliardi, con una diminuzione che, soltanto nel 2012, è pari al 5%.
Via Tech Economy
In settimana ho letto due articoli, per coincidenza casuale legati entrambi all’argomento di cronaca dell’elezione del nuovo Pontefice, che mi hanno fatto venire voglia di tornare sul tema dell’utilizzo delle nuove tecnologie da parte delle persone e, purtroppo, su alcune degenerazioni che stiamo osservando: il primo testo è di Massimo Melica e il secondo di Antonio Lupetti.
Premetto che non scrivo queste righe per particolari vene sociologiche quanto piuttosto perché nel mio lavoro mi occupo di studiare l’ecosistema digitale e il modo in cui le persone usano gli strumenti online e offline nella loro vita, in particolare ho lavorato sul tema dei social media fin dal 2002 e sul mobile web dal 2005 e dunque ho potuto apprezzare a pieno certi cambiamenti nel tempo.
Siamo sempre più aggressivi online (Image by © Royalty-Free/Corbis)
Il mio punto di partenza è che nell’ultimo anno sul (social) web, declinato anche in versione mobile, sono sbarcate davvero le persone comuni, tanto è vero che anche la politica ci ha voluto mettere il naso per le elezioni, pur con diversi esiti che ho già avuto modo di commentare. Per gli early adopters questo ha sicuramente significato un abbassamento della qualità delle conversazioni e di parte dei contenuti, ma per chi si occupa di digital marketing con un occhio strategico è significativo vedere come l’accesso si sia allagato e come ora la multicanalità rispecchi molto più da vicino la realtà sociale del paese, nel bene e nel male (e con le dovute cautele nell’analisi). Per molti di questi “nuovi” utenti non c’è stato il tempo di imparare a usare i mezzi e comprenderli, il target più adulto infatti non è entrato a pieno nei meccanismi per ragioni culturali, mentre i più giovani si sono trovati catapultati quasi automaticamente dentro questo mondo multicanale e social, dove la pervasività dei device tecnologici è radicata e sfuma sempre più la percezione del confine fra ciò che è tangibile e ciò che è digitale.
La pervasività dei dispositivi tecnologici
Per certi versi insomma la diffusione tecnologia è andata più veloce della sua comprensione, e le campagne di sensibilizzazione, di cui ho parlato in tempi ancora non sospetti, non sono state ancora abbastanza incisive.
Io però non credo a quelle visioni secondo cui la colpa di certe situazioni va data al mezzo, le persone plasmano ciò che viene dato loro da usare sulla base di un contesto più ampio e certi fenomeni partono da lontano. Prendiamo ad esempio il desiderio di visibilità a tutti i costi, l’interesse morboso per il banale e il trash, la voglia di cavalcare le polemiche e le risse verbali: il mondo dei reality show e di molti programmi televisivi ha preceduto di gran lunga le cose di cui discutiamo oggi e la vera grande differenza non sta dunque nei concetti ma nell’accesso universale e semplice ai mezzi di comunicazione, che ora sono nelle mani del singolo a costo zero e con una visibilità potenzialmente globale.
Un approccio simile può aiutarci a comprendere un altro aspetto, quello della velocità che porta a diffondere in automatico le cose più assurde senza verifica e approfondimento. Da tempo le persone dedicano una quota minore di attenzione a capire in profondità le cose che sentono, quale che sia il mezzo che abbiano a loro disposizione, a causa dell’enorme quantità di stimoli che ricevono ogni giorno. Allo stesso tempo, come detto queste stesse persone oggi possono accedere a costo zero a dei mezzi per produrre testi, foto e anche video gratuitamente e con delle piattaforme di publishing che garantiscono loro visibilità potenzialmente globale verso un pubblico che però a sua volta ha poca quota di attenzione disponibile. Questo porta naturalmente alla contrazione della profondità del contenuto, che viene prodotto e fruito su base veloce e contestuale e perde spesso di senso dopo poco tempo, appena è passata la contingenza spazio-temporale. In questo contesto, in cui anche i tg sfornano versioni da sessanta secondi, è piuttosto prevedibile che la verifica delle fonti e la riflessione prima di agire/condividere/commentare non sia spontanea per delle persone che non sono mai state educate in tal senso.
Dovendo catturare l’attenzione in pochi instanti ecco dunque che la polemica, il gesto eclatante e la satira becera siano il modo migliore di attrarre l’attenzione e generare visibilità, perché è più facile distruggere che costruire e bene lo insegna anche la politica, sia con i partiti tradizionali sia soprattutto con il Movimento 5 Stelle che ha fatto della critica aggressiva e violenta allo status quo il suo tratto distintivo, fatto innegabile comunque la pensiate sulle sue proposte. Anche molti autori estremamente seguiti in rete devono, a mio avviso, gran parte della loro visibilità al fatto di trattare dei temi di largo interesse e ad alto contenuto di passionalità e polemica, generando scontri verbali fra i commentatori e larghi numeri di condivisioni. Leggete qui questa simpatica sintesi di Rudy Bandiera.
I toni accesi poi si propagano a 360 gradi e fanno sì che anche le interazioni fra le persone e con le aziende e le istituzioni in rete si facciano sempre più tese ed aggressive, solo per basarmi sulla mia attività lavorativa infatti posso dire che man mano che passano gli anni le critiche che naturalmente possono manifestarsi sui social o negli altri punti di contatto diventano sempre più volgari, rabbiose e spesso pretestuose ogni giorno che passa. La dinamica sociale, lavorativa e anche democratica certo non può trarre gran beneficio da questo modo di comunicare e di relazionarsi.
Il modello di linguaggio offline non aiuta…
Quello che mi preoccupa di più di tutto però è sempre la scarsa percezione delle conseguenze, non solo perché spesso notizie assurde vengono prese per vere ma soprattutto in quanto ciò che viene condiviso in rete è pubblico e per molti versi incancellabile, il pentimento dunque per una foto, una frase, un fatto privato spiattellato al mondo è sempre tardivo e può pesare sulla vita delle persone più giovani e impreparate. Pensate solo ai recruiter che sempre più si documentano online sul loro candidato, all’importanza dei legami sociali per trovare un’occupazione e incrociate questo parametro con la difficoltà di trovare oggi un lavoro…
Alla fine di questo lungo, e spero non troppo noioso, ragionamento, mi sento dunque di dire che siamo in una fase sociale difficile e in un clima culturale teso che si riverbera sul digitale come sugli altri media, quello che possiamo e dobbiamo auspicare è una maggiore attività di educazione all’approfondimento, al dialogo non urlato e alla comprensione delle conseguenze dell’utilizzo scorretto degli strumenti che abbiamo in mano.
L’educazione civica, democratica e anche comunicativa delle nuove generazioni non può essere lasciata al fai da te davanti ad un mondo globale dove la gestione dell’informazione è la chiave per competere. Io vedo molto da fare, e voi?
Gianluigi Zarantonello via internetmanagerblog.com
Secondo i nuovi dati rilasciati da Netcomm, il consorzio del commercio elettronico italiano, il numero di utenti che hanno effettuato un acquisto on-line negli ultimi tre mesi continua a crescere sfiorando la soglia dei 14 milioni di eShopper, con una media di 3,5 acquisti nel trimestre.
Stando all’ultima rilevazione di marzo, il 47,7% dell’universo dei navigatori internet, pari a 13,8 milioni di individui, ha effettuato acquisti in rete negli ultimi tre mesi superando la cifra dei 9 milioni dello scorso anno.
In occasione del Digital Fashion promosso da Netcomm, è stato presentato un focus specifico della ricerca relativo al solo campo della moda. Dai dati emerge come i consumatori che hanno comprato un prodotto di moda almeno una volta nella vita sono cresciuti di 200mila unità negli ultimi sei mesi (arrivando a toccare quota 8 milioni) rivelando di aver comprato per il 40,6% un capo di abbigliamento; il 36% ha comprato scarpe; il 30,4% accessori; e per il 15% hanno acquistato borse da donna.
“I consumatori italiani mostrano nell’acquisto di prodotti ‘moda’ una grande e crescente attenzione, al punto che stiamo parlando di 8 milioni di eFashionShopper” – commenta Roberto Liscia, Presidente di Netcomm – Consorzio del Commercio Elettronico Italiano.
Continuando, Liscia spiega che tale crescita è spiegabile innanzitutto grazie all’incremento dell’utilizzo di smartphone e tablet che incidono per un totale del 165% sugli acquisti online. Anche il buon rapporto qualità/prezzo sembra influire parecchio sulle scelte d’acquisto (36%) anche se il principale fattore di scelta rimane essere il connubio tra credibilità del sito, del brand, del prodotto e dell’occasione. Fattore rilevante rimane, comunque, la difficoltà di reperire alcuni prodotti se non grazie all’utilizzo dei negozi online, fattore che incide per il 10,4% dei casi.
Il focus continua nello specifico con i dettagli relativi ai prodotti maggiormente acquistati in rete. I prodotti ‘fashion’ più gettonati online sono capi di abbigliamento (40,6%), seguiti da scarpe (36%), accessori, ovvero guanti, calze, cappelli e sciarpe (30,4%) e, infine, borse da donna (15%). Il 40,7% degli acquirenti online dichiara di non aver mai acquistato alcun prodotto di queste categorie.
Proseguendo, dai dati emerge anche l’ammontare dei soldi spesi per questo genere di prodotti. Quelli per cui in media si spende di più sono le borse da donna (spesa media 85 euro), seguite dalle scarpe (70 euro) e dai capi di abbigliamento (65 euro). Per gli accessori si tende a spendere in media l’ammontare più basso (circa 53 euro).
Infine la ricerca illustra i fattori che maggiormente determinano il buon fine delle transizioni online. Tra questi emerge con forza la convenienza, intesa come buon rapporto qualità/prezzo, per il 35,9% degli acquirenti di articoli fashion, seguita da credibilità del sito venditore per il 27,1% dei rispondenti, quindi dall’occasione irrinunciabile per il 20%, la marca del prodotto in vendita 13,1%, infine la difficoltà di trovare quel prodotto in altro modo 10,4%.
Via Tech Economy
Continua la corsa degli investimenti pubblicitari sul web, che nel Stati Uniti, mercato principe a livello mondiale, hanno toccato un nuovo picco nel 2012. L’anno si è concluso con un trimestre da 10,31 miliardi di dollari (+14,9% rispetto allo stesso periodo del 2011).
Da Oltreoceano arrivano dunque buone notizie per il settore internet, che tra ottobre e dicembre ha fruttato come mai prima sino ad ora, nonostante i venti di crisi siano tutt’altro che sopiti, anche in America. La rete è capace di attirare i pubblicitari anche quando i budget sono ridotti, facendo leva sull’enorme mole di utenti potenziali e sui costi relativamente bassi delle campagne online.
La chiusura in grande stile ha permesso al mercato pubblicitario statunitense di incassare sul web 35,57 miliardi di dollari nell’intero 2012. Un record che probabilmente sarà battuto già nel 2013 e che sin d’ora manda segnali di ripresa a tutta l’economia mondiale: il digitale può essere la zattera per guadare la recessione.
Via Quo Media
Continua a crescere l’importanza degli annunci pubblicitari web in formato video. Secondo i dati raccolti da Video Metrix, a marzo gli spot visionati online sono stati 13,2 miliardi nei soli Stati Uniti, cifra record per la categoria e in crescita del 33% rispetto a febbraio.
Il 52% degli americani, stando alla ricerca, ha visionato in media 82 video annunci pubblicitari su internet. La viralità dei messaggi su YouTube e altri portali ad alta frequentazione sembra funzionare: per ogni 5 minuti di filmati assortiti (musica, contenuti personali, spezzoni di film - 39 miliardi di visualizzazioni totali), gli utenti Usa hanno guardato 24 secondi di spot.
A dominare la scena è, come prevedibile, Google, che proprio grazie a YouTube ha collezionato 2,3 miliardi di video adv nel mese di marzo. La nuova tv è, inutile ribadirlo, sul web.
Via Quo Media
L’80% della popolazione italiana tra gli 11 e i 74 anni, ovvero 38 milioni di persone, dichiara di accedere a internet da qualsiasi luogo e strumento. Sono 18 milioni gli Italiani che possono accedere da cellulare e 3,7 milioni da tablet. A riportarlo sono i nuovi dati resi disponibili da Audiweb che pubblica i risultati della Ricerca di Base sulla diffusione dell’online in Italia e i dati di audience del mese di Marzo 2013.
In base ai nuovi dati di Audiweb Trends, il report di sintesi della Ricerca di Base realizzata in collaborazione con Doxa, nel primo trimestre 2013 il 68,2% delle famiglie italiane (14,8 milioni) dichiara di disporre di un accesso a internet da casa attraverso computer, televisore o console di gioco. Il 71,6% delle famiglie connesse, 10,5 milioni, dichiara di avere una connessione veloce – ADSL o fibra ottica – con abbonamento flat nel 93,5% dei casi. Più in dettaglio, sono 37,8 milioni gli Italiani che dichiarano di accedere a internet da qualsiasi luogo e device (l’80,2% della popolazione tra gli 11 e i 74 anni), con una maggiore disponibilità di accesso a internet da casa attraverso computer (35 milioni di individui tra gli 11 e i 74 anni, pari al 74,5% dei casi).
L’accesso a internet dai device mobili registra valori significativi, con 17,9 milioni di persone che dichiarano di poter accedere a internet da telefono cellulare/smartphone (il 38% degli 11-74enni), e 3,7 milioni da tablet (il 7,8% dei casi).
L’online in Italia si conferma ampiamente diffuso tra tutti i profili socio demografici presentando tassi di concentrazione molto elevati tra quelli più qualificati in termini di istruzione e professione. I livelli più alti si registrano, infatti, tra i giovani (il 94% degli 11-34enni), tra i laureati (il 98% dei casi), tra gli studenti universitari (il 99,7%) e di scuole medie e superiori (il 96,6%), tra gli impiegati e gli insegnanti (il 97,7%), con un tasso di penetrazione del 100% tra i dirigenti, quadri e docenti universitari.
Per quanto riguarda l’utilizzo di device mobili, l’accesso a internet da cellulare/smartphone risulta più diffuso tra i giovani (oltre la metà degli 11-34enni), in particolare tra gli studenti universitari (il 68,6%) e tra gli studenti di scuole medie e superiori (il 60,8%). Si riscontrano tassi elevati anche tra i profili più qualificati in termini di istruzione e condizione professionale. Infatti, possono accedere a internet via mobile il 57,5% dei laureati, il 65,1% degli imprenditori e liberi professionisti e il 59% dei dirigenti, quadri e docenti universitari. Il report Audiweb Trends offre anche un approfondimento sulle attività effettuate da cellulare, da cui emerge che tra le attività più citate da chi dichiara di accedere a internet dal cellulare risultano: navigare su internet (il 65,8% dei casi), inviare/ricevere e-mail (il 40,5% dei casi), accedere ai social network (37,1%), scaricare e utilizzare applicazioni (37%), consultare motori di ricerca (36,2%), consultare il meteo (31,9%).
Sono inoltre 6,6 milioni le persone che dichiarano di aver scaricato e utilizzato almeno una volta un’applicazione e la maggior parte, il 76,9%, ha scaricato solo applicazioni gratuite. Tra le applicazioni utilizzate negli ultimi 30 giorni, le principali sono quelle legate ai giochi (59,5%), al meteo (47,1%), le applicazioni che permettono di accedere e chattare sui social network (45,3%), le mappe, itinerari, informazioni sul traffico (44,1%), le applicazioni per foto e immagini (39,5%).
Via Tech Economy
In questi giorni sto leggendo diversi articoli e report sulla digital transformation e l’evoluzione del CMO verso la sua versione “tecnologica”, tutti trend molto interessanti e incoraggiati rispetto alla mia professione. Il cliente d’altra parte vuole muoversi attraverso i diversi i canali e punti di contatto e diviene alla fine esso stesso un media per le aziende, ponendo al marketing nuove sfide strategiche.
Insomma, tutto bene, viste anche le grandi opportunità di occupazione nel settore del digitale?
In teoria sì. Ma le cose sono più complesse.
Prima di tutto è ancora difficile per la gran parte delle aziende valutare le competenze. Ormai quello del digitale, come ho scritto ormai tante volte, è un ecosistema complesso da cui emergono qua e là come punte dell’iceberg dei temi come i social media, il mobile (ancora visto soprattutto come app) e pochi altri.
Su tutte queste tematiche si scontrano due atteggiamenti ugualmente pericolosi: da una parte la convinzione che siano strumenti padroneggiabili da chiunque perché li maneggiamo anche per usi privati, dall’altra invece l’affido totale a dei guru più o meno della porta accanto che vengono ascoltati come oracoli ma ai quali manca tutta la parte strategica. Pochi invece cercano delle risorse adeguate interne, che poi possano interagire con cognizione di causa verso i fornitori e che riescano ad avere quella visione di insieme e quell’equilibrio fra managerialità e tecnicismo che altrove è già molto ricercato.
Un altro aspetto organizzativo forte poi è quello delle sovrapposizioni di ruoli tra IT, marketing e altre aree, visto che questi temi sono estremamente pervasivi e che oggi l’investimento in tecnologia sta diventando sempre meno appannaggio dei dipartimenti informatici che pure però devono essere coinvolti per garantire il giusto equilibrio.
Infine la paura di perdere potere da parte dei ruoli che esistono già è importante e diffusa e per questo molti manager e interi enti aziendali si occupano in modo parziale e spesso rudimentali di pezzi dell’ecosistema digitale, entrando inevitabilmente in collisione fra loro e soprattutto con chi viene incaricato di occuparsene nell’organizzazione. Oggi dunque, dove anche ci siano dei ruoli di digital marketing o anche di Chief Marketing Technology Officer, è ancora ingente la quantità di energie e tempo spesa in conflitti derivanti da organigrammi mal strutturati e in sovrapposizione.
Si tratta di problematiche comuni anche ad altre nazioni e culture e sono parte di un processo evolutivo, tuttavia io credo che oggi il nostro paese sconti più di altri una cultura manageriale basata sulla difesa del ruolo esistente e sulla paura di turbare gli equilibri complessivi (come in politica) , senza contare l’approccio spesso poco scientifico al marketing e alla comunicazione. Sono troppo drammatico?
Gianluigi Zarantonello via Internetmanagerblog.com
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