Si chiama "addressable tv", ed è un tipo di pubblicità mirata sui cui le aziende statunitensi hanno investito 2,25 miliardi di dollari solo quest'anno, con un incremento del 79% rispetto allo scorso anno, con la prospettiva di diventare un terzo della pubblicità totale nelle trasmissioni audiovisive entro il 2022.
A rendere particolarmente allettanti gli spot della "tivù indirizzabile" per le imprese, è il fatto che questi non sono trasmessi in modo uguale per tutti come avviene tradizionalmente, ma vengono visualizzati dai telespettatori in modo personalizzato in base alla loro segmentazione (come l'ubicazione geografica, fasce d'età, sesso, etc.), ma anche ai loro gusti ed abitudini di consumo.
In Europa i televisori HbbTv (Hybrid broadcast broadband TV) che sono abilitati a ricevere questa tipologia di pubblicità sono già 44 milioni, di cui quattro milioni solo in Italia, ed alcune emittenti operanti anche nel nostro paese hanno già iniziato ad avvalersene, ma inun suo articolo pubblicato sul sito di Federprivacy,il presidente della principale associazione italiana dei professionisti della protezione dei dati solleva non poche perplessità:
"Con le moderne smart tv, un quarantenne dirigente d'azienda può vedere uno spot che gli propone una costosa berlina full optional, mentre nello stesso momento un suo coetaneo operaio sintonizzato sulla stessa emittente può invece visualizzare una pubblicità su un'utilitaria economica, magari da pagare a rate - spiega Bernardi - Le tecnologie basate sugli algoritmi e l'analisi dei comportamenti degli utenti utilizzate per la pubblicità su misura in televisione aprono criticità su vari fronti riguardanti i diritti fondamentali dell'individuo, con potenziali rischi di discriminazione e condizionamento delle opinioni personali, e non per ultimo sul rispetto della normativa sulla privacy."
In base al Regolamento UE 2016/679 sulla protezione dei dati personali, quando l'utente viene profilato per potergli proporre spot pubblicitari su misura in base all'analisi del suo comportamento, dei suoi gusti e delle sue abitudini di consumo, deve esserne infatti informato preventivamente in modo trasparente ed essere in grado di esprimere in modo consapevole il suo consenso, con il diritto di revocarlo in qualsiasi momento con la stessa facilità con cui lo ha manifestato, sapendo quindi come fare e a chi rivolgersi, e nel caso reputi tale trattamento troppo invasivo, deve anche potervisi opporre.
Anche se il fenomeno della "addressable tv" sembra destinato a vedere presto una larga diffusione anche in Europa ed in Italia, è quindi necessario rispettare le regole del GDPR, anche perché le sanzioniper chi non rispetta la privacy degli utenti possono arrivare fino a 20 milioni di euro o fino al 4% del fatturato annuo globale dei trasgressori.
Qual è il divario tra le aspettative dei consumatori nel nostro Paese ed esperienza offerta dai brand?Risponde l'analisi Authenticity Gap Italiadi Omnicom Pr Group realizzata su 9 settori produttivi e 81 marchi.
Le priorità degli italiani Dal report emerge che il consumatore esperto italiano focalizza le proprie aspettativein primissuCustomer Care (al primo posto con media di priorità di 1,8 su 9),seguito da Innovazione (secondo posto con 2,5 su 9) e Prodotti e servizi a maggior valore (2,9). Appena fuori dal podio il Rispetto dell’ambiente (3,4) e in quinta posizione l’impegno dell’azienda a Fare la cosa giusta (5,2). Meno prioritari nelle aspettative degli italiani, ma comunque rilevanti, i fattori legati a: Contributo alla comunità in cui si opera (6,5 su 9), Cura dei dipendenti (7,1), Performance finanziarie e operative (7,2), Comunicare in modo più frequente e credibile (8,1).
Dove c'è il gap più alto E proprio sul punto più importante, ovvero il Customer care (-30,7%), le aspettative sono maggiormente disattese. Seguono Rispetto dell’ambiente (-21,4%), Innovazione (-21,1%) e Prodotti e servizi a maggior valore (-16,1%). Nota positiva: Tutti gli altri fattori considerati non presentano gap in negativo tra aspettative ed esperienze e in alcuni casi l’esperienza va oltre alle aspettative.
I settori più e meno virtuosi In questo momento i settori che registrano il miglior rapporto tra aspettative vs esperienze risultano essere Automotive, Fashion e Technology mentre Energy & Utilities e Farmaceutico quelli con più aree di miglioramento specialmente in considerazione della grande percentuale degli intervistati che non sa decifrare in che direzione si siano mossi questi comparti negli ultimi 6-12 mesi (verso quindi un’offerta migliore o peggiore). Nel mezzo il food, che per oltre il 43% degli intervistati va in direzione positiva.
La ricerca del fattore sociale Il 75% degli intervistati in Italia vuole che le aziende vadano oltre agli obblighi normativi e si impegnino attivamente per risolvere problemi a sfondo sociale. Inoltre, il 72% si aspetta che le multinazionali guidino lo scambio di idee, prodotti e cultura anche in caso di politiche isolazioniste promosse dai Governi.
Il Funnel del marketing è una schematizzazione del percorso del consumatore dal primo contatto con l’azienda fino alla fase post vendita. Per anni è stato rappresentato da un imbuto suddiviso in diverse fasi, prima individuate dall’acronimo AIDA (Awareness, Interest, Desire, Action), poi AIDAS (Awareness, Interest, Desire, Action, Satisfaction) per tener conto anche del momento post-vendita. Questa esemplificazione oltre a rappresentare il naturale assottigliamento dei soggetti raggiunti durante il percorso, permette di forzare i marketer a progettare azioni differenziate a seconda della fase e quindi dell’obiettivo della stessa.
Il modello AIDAS
Awareness: comprende le tattiche che hanno come obiettivo la semplice conoscenza del brand Interest: riguarda le azioni per catturare l’interesse più concretamente Desire: è la fase in cui si prova ad accendere il desiderio d’acquisto Action: qui si cerca di trasformare il desiderio in acquisto Satisfaction: infine si punta alla completa soddisfazione del cliente in modo da indurlo a parlare positivamente della sua esperienza e, magari, a ripetere l’acquisto
Le 5A di Kotler
Philip Kotler nel suo Marketing 4.0, considerando gli effetti che la rete esercita sul processo decisionale di acquisto, preferisce parlare di 5 A ossia Aware, Appeal, Ask, Act, Advocate. Se ben eseguita, ogni singola fase risponderà ad un bisogno specifico del potenziale cliente.
Aware: conosco il brand Appeal: mi piace questo brand Ask: valuto le alternative, chiedendo consigli e consultando recensioni Act: decido di comprare il prodotto/servizio Advocate: ne parlo e lo consiglio perché soddisfatto
Il volano del marketing
RecentementHubspot, azienda che produce software di supporto al marketing, ha teorizzato il Flywheel o “Volano del marketing”. L’idea è di porre enfasi sulla circolarità del processo, nel quale l’efficacia di ogni fase sprigiona energia per il successo delle successive. Attract: l’obiettivo iniziale è sempre di attirare l’attenzione del potenziale cliente con contenuti utili (informazioni, approfondimenti, consigli) e senza pensare alla vendita Engage: a questo punto è il momento di entrare in contatto con il pubblico interessato, ma secondi i suoi modi, luoghi e tempi. Intrattenendolo e rispondendo alle sue curiosità, ma anche rendendo semplice la ricerca delle informazioni e l’acquisto Delight: è la fase nella quale puntare alla massima soddisfazione del cliente durante e dopo la vendita (ad esempio semplificando l’accesso al supporto). Se ben eseguita porterà a fidelizzare il cliente e a trasformarlo in promotore del brand.
Ognuno di questi momenti, siccome risponde ad obiettivi specifici, dovrà essere legato a metriche diverse.Nella prima fase può aver senso tener d’occhio le visiti al sito web o il tasso di crescita dei follower sui social media. Nella seconda si potranno considerare le interazioni generate, il numero di messaggi ricevuti dai potenziali clienti, le conversioni. Nella terza si dovrà considerare il grado di soddisfazione, le recensioni, le menzioni positive.
Il mio consiglio è di scegliere uno di questi modelli e provare ad utilizzarlo nel vostro business. Per ogni fase individuate l’obiettivo, le azioni per raggiungerlo e le metriche per misurarne l’efficacia. Vi posso assicurare che si tratta di un ottimo esercizio per iniziare a concepire l’attività di marketing non come monolitica, ma fatta di fasi emicro-momenti.
I principali obiettivi che guidano l’articolazione di una strategia diomnichannel customer experience per le aziende italianesono ad oggi ancora principalmente di breve periodo e legati al miglioramento della customer acquisition e/o all’incremento delle vendite, entrambi segnalati dal 33% delle aziende analizzate, oltre che il miglioramento dell’engagement (per il 27% del campione).
Sono solo un terzo quelle che oggi personalizzano i contenuti in funzione dello specifico individuo, mentre circa il 44% dichiara di non farlo e il restante 23% del campione sta attualmente lavorando per favorire queste logiche di personalizzazione.
Le strategie di omnicanalità richiedono il coinvolgimento di più funzioni aziendali, ma solo inuna realtà su cinque vi è un elevato grado di commitment e sintonia tra tutte.
Queste sono solo alcune delle evidenze emerse dalla seconda edizione dell’Osservatorio Omnichannel Customer Experience,promosso dalla School of Management delPolitecnico di Milano.
La ricerca si è basata su oltre 100 interviste lato domanda e offerta, una survey condotta su un campione di grandi e medio-grandi aziende italiane appartenenti ai principali settori e tre momenti plenari di confronto e discussione che hanno coinvolto complessivamente oltre 150 aziende della domanda.
Consumatori: cambiamenti in atto
A spingere le aziende verso l’adozione distrategie di omnichannel customer experiencesono icambiamenti in atto nei comportamenti dei consumatori nel processo d’acquisto.
Nel 2018, gli individui che più marcatamente hanno messo in atto tali trasformazioni hanno raggiunto quota 35,5 milioni – in forte aumento (+3,8 milioni vs. 2017) per la prima volta dal 2012 – a dimostrazione del fatto che l’utilizzo di più punti di contatto digitali nel processo di relazione con l’azienda è in continua crescita.
Inoltre, è in corso unaprogressiva convergenza del ruolo degli spazi di comunicazione e di vendita: si riduce sempre più il gap tra il fenomeno dello showrooming (ricerca di informazioni in punto vendita e acquisto online) e dell’infocommerce (ricerca di informazioni online e acquisto in punto vendita), e tra gli eShopper si diffondono percorsi di acquisto che vedono un impiego sinergico, integrato e ibrido di touchpoint online e offline, utilizzati nella ricerca di informazioni e nel momento dell’acquisto.
«Alla luce di tali evoluzioni nei comportamenti dei consumatori, risulta necessario per le imprese saper progettare e veicolare le proprie strategie di relazione, cogliendo non solo la parte razionale, ma anche quella istintiva ed emotiva dei propri clienti», affermaGiuliano Noci, Responsabile Scientifico dell’Osservatorio Omnichannel Customer Experience. «Questo si traduce nella capacità di saper disegnare journey sempre più personalizzati e progettare experience di marca che siano integrate sui diversi touchpoint, sia fisici sia digitali. Purtroppo i dati dimostrano comele realtà aziendali che hanno dedicato un significativoeffortsia allo sviluppo della dimensione strategico-organizzativa, sia di quella legata a dati e tecnologie rappresentino solo il 5% del totale».
Strategia e organizzazione aziendale in ottica omnichannel
L’organizzazione aziendale rimane un grosso freno al pieno sviluppo di strategie omnicanale.Solo nel 20% delle realtà considerate tutte le business unit interessate hanno un elevato grado di commitment.
Nella maggior parte dei casi,le aziende dichiarano un disallineamento nel commitment delle diverse funzioni coinvolte(77%), dovuto a due ragioni differenti: per il 56% sussiste una diversa percezione dei benefici e per il 21% dei casi un disallineamento negli obiettivi specifici di ciascuna funzione.
«Il raggiungimento di un’integrazione sinergica dei diversi punti di contatto attivati dipende strettamente dalla struttura organizzativa dell’azienda. Inoltre, più l’organizzazione è priva di silos organizzativi e profondamente integrata, più l’impresa sarà in grado di cogliere in modo tempestivo le esigenze del cliente, condividere tali informazioni internamente e introdurre le opportune azioni di risposta in tempo reale», dichiaraNicola Spiller, Direttore dell’Osservatorio Omnichannel Customer Experience.
«Analizzando la situazione italiana emerge che solo per l’8% delle aziende tutte le figure dell’organizzazione partecipano alla gestione dell’omnichannel customer experience, che è nativa e pervasiva all’interno dell’azienda. Nella maggior parte dei casi (44%) esistono figure coinvolte occasionalmente o al bisogno nella gestione dell’omnichannel customer experience, senza una formalizzazione del loro specifico ruolo e per il 41% sono presenti figure coinvolte in modo continuativo e con ruoli dedicati», ha continuato il Direttore.
Dati e Tecnologia
Va inoltre evidenziato che, secondo la ricerca,la quasi totalità delle aziende raccoglie e immagazzina i dati di anagrafica cliente (95% dei casi analizzati)e le informazioni di contatto del cliente (95%).
«Il 90% delle imprese analizzate dichiara di utilizzare alcuni dei dati raccolti per costruire i segmenti funzionali alla progettazione ed erogazione di iniziative di marketing e comunicazione ai già clienti», dichiaraMarta Valsecchi, Direttore dell’Osservatorio Omnichannel Customer Experience. «Eppure i dati utilizzati sono ancora soprattutto quelli più basici e tradizionalmente raccolti(come anagrafica cliente e storico dei prodotti acquistati). Inoltresolo poco più di un terzo degli intervistati personalizza i contenuti delle attività di marketing e comunicazione in funzione dello specifico individuo, mentre circa il 44% dichiara di non farlo e il restante 23% sta attualmente lavorando per favorire queste logiche di personalizzazione».
E ancora meno utilizzano tecnologie adeguate per utilizzare i dati per interagire con nuovi utenti: solo il 28% ha una DMP di riferimento (il 9% delle aziende intervistate si è dotato di una DMP proprietaria; il 19% si affida invece alla DMP di terzi) e solo il 25% usa strumenti di Analytics evoluti (leggi di più su Programmatic Italia).
Le startup impegnate nell’omnichannel customer experience
Nel corso della ricerca sono state analizzate anchele principali startup italiane ed estere operanti in ambito omnichannel customer experience– 530 realtà operanti in tutte le fasi del processo – finanziate da investitori, formali e informali, negli ultimi due anni.
Tra queste giovani realtà,quelle che si occupano di analisi e gestione integrata sui diversi touchpoint del contenuto (26%) o di collezione e integrazione dati (20%) rappresentano numericamente quasi la metà dell’ecosistema di settore.
Il 19% gestisce trasversalmente l’intero processo di omnichannel customer experience management, supportando l’azienda sia nelle fasi di collezione e integrazione dei dati e di generazione degli insight, sia nella comunicazione integrata sui diversi touchpoint.
Sempre con il 19% di diffusione figurano le startup incentrate sulla gestione di un unico touchpoint, ossia quelle realtà che supportano l’azienda nell’automazione e nella personalizzazione dei messaggi su uno specifico canale.
Segue la categoria delle startup focalizzate sulla fase di data activation e, in particolare, sulla Marketing Automation (11%). Si tratta di soluzioni che ricevono in input i dati integrati sul consumatore e li utilizzano per rendere più rilevanti ed efficaci le azioni verso i clienti.
Infine, è stata identificata una categoria residuale (5%) in cui sono state raccolte tutte le startup che non rientrano nei cluster precedenti, come quelle di Salesforce Management o quelle relative survey di feedback, quiz o sondaggi da veicolare ai consumatori.
uso degli influencer per le attività di marketing sta crescendo enormemente, ma non sempre esse vengono dichiarate esplicitamente nei post. InBuzzooleabbiamo svolto una ricerca per capire quanto sono stati usati nel 2018 gli hashtag della trasparenza, consigliati dalla Digital Chart dello IAP.
Analizzando le conversazioni in lingua inglese su Instagram contenenti il solo hashtag #AD si scopre che sono state oltre 2,6 milioni, provenienti da oltre 364.000 account, per un totale di 2,9 miliardi di interazioni
Invecei post in lingua italiana contenenti gli hashtag della trasparenza(#Ad, #Adv, #sponsorizzato, #sponsored, #inserzioneapagamento, #prodottofornitoda, #pubblicità, #advertising)nel 2018 sono stati 190.000 (+235% da gennaio a dicembre), prodotti da circa 42.000 account e con oltre 200 milioni di interazioni. Il 66% dei post proviene da Instagram, il 27% da Twitter e il 7% da Facebook (un dato sottostimato dato che il social network non permette di effettuare rilevazioni puntuali, per motivi di privacy).
Il dato impressionante è checirca il 99% delle interazioni si è sviluppato su Instagram. Segno che questa piattaforma è divenuto il luogo più attraente per compiere attività di Influencer Marketing.
L’industria più attenta alla trasparenza è quella del fashion (abbigliamento e calzature, anche sportive) con il 29% dei post, segue il beauty (cosmetica e profumi) con il 20,8%, gli accessori (borse, gioielli) con il 13,4% e il food/drink con il 13,2%.
Insomma si intravedono segnali di miglioramento anche se il lavoro da fare è ancora molto.
Impossibile disegnare precisamente il peso delle azioni sommerse, ma ci sono ancora tante aziende ed influencer che preferiscono nascondere queste attività di marketing pensando che in questo modo il messaggio risulti più genuino. Io credo, invece, che la credibilità e l’efficacia di questa leva passi dalla costruzione di un rapporto trasparente con i propri pubblici.
Spotifyha annunciato il lancio di nuovi formati pubblicitari ad attivazione vocale, che permetteranno agli ascoltatori di impartire comandi finalizzati all’interazione con il contenuto degli annunci.
I nuovi formati, attualmente in fase di test negli Stati Uniti, saranno disponibili solo a un gruppo circoscritto di utenti mobile del servizio gratuito e solo a quelli che hanno già attivato i controlli vocali nelle impostazioni della app. Agli iscritti sarà data comunque la possibilità di disattivarne l’erogazione.
Nel dettaglio,al suo avvio l’inserzione audio incoraggerà gli utenti a navigare un contenuto dicendo “Play Now”, dando all’ascoltatore il tempo di rispondere. Nelle fase iniziali, questi formati saranno indirizzati solo agli ascoltatori di playlist sponsorizzate e podcast, una tipologia di contenuto su cui la società sta investendo molto ultimamente (leggi qui l’articolo dedicato).
Nel primo trimestre dell’anno, il fatturato di Spotify è cresciuto del 32% sfiorando gli 1,5 miliardi di euro e raggiunto i 217 milioni di utenti.
Con il termine digital marketing si fa riferimento a tutte quelle attività di marketing che vengono pensate ed erogate attraverso il web e i dispositivi digitali. Si tratta di una quota sempre più rilevante del marketing aziendale, tanto che dovremmo abituarci a chiamarlo semplicemente marketing. Per avere un quadro delle tendenze attuali Altimeter ha svoltoun’indagine su 500 senior digital marketercon oltre 1000 dipendenti in US, Canada, UK, Francia, Germania e Cina. Ecco gli aspetti che ritengo più interessanti.
L’obiettivo principale dei marketer rimane quello classico della “brand awareness”(37%), seguito dalla “lead generation” (26%) che segnala anche la spinta verso una maggiore attenzione alle metriche di business. Solo il 20% cita la “customer experience”.
Le sfide attuali del marketing riguardano la difficoltà di reperire sul mercato professionalità adeguate, sempre più trasversali (55% ma al 61% tra gli europei)e di riuscire a trasferire le innovazioni (pratiche digitali) a tutti i reparti aziendali(54%). Purtroppo permango anche altri problemi: provare l’efficacia del marketing sui risultati di business, acquisire le giuste tecnologie di supporto (martech), ottenere supporto e investimenti dal top management.
Le professionalità del marketing più ricercate riguardano l’analisi dei dati (41%), gli esperti software e di automazione (38%) e di User Experience Design (36%).Bassissima ormai la richiesta di professionisti SEO e di pianificazione pubblicitaria.
Le metriche più usate per difinire il successo delle attività riguardano il grado di fedeltà del cliente o Customer Lifetime Value (61%) e l’impatto sui ricavi (55%).Come a dire che, nonostante un obiettivo generale di brand awareness, il top management preme per un tipo di marketing orientato alle vendite.
Per comprendere il grado di maturità della funzione è stato chiesto se si fosse provveduto a mappare la “digital customer journey”. Il 62% ha risposto positivamente e il 37% ha detto che lo sta facendo o lo farà. Il 62% ha dichiarato anche di aver approntato un framework per la personalizzazione dei contenuti rispetto ai diversitouchpoint.
I canali con le più elevate performance sono i social media, comprese le opportunità a pagamento (69%)e il sito web(56%) che viene usato sia per generare lead che per la vendita diretta. Bassa la considerazione delle app e dell’email.
Le tecnologie più innovative maggiormente utilizzate sono gli schermi digitali, per connettere le esperienze online e offline,gli assistenti vocali e l’Intelligenza Artificialeper erogare contenuti personalizzati e raccomandazioni d’acquisto. Ancora poco usata la Realtà Aumentata e Virtuale.
Questa è la fotografia dello stato del digital marketing nelle grandi organizzazioni, che fa il paio con quanto detto sulruolo del CMOe che può essere utile per capire la direzione che sta prendendo il marketing, continuamente sotto pressione per provare la sua rilevanza in contesti di mercato sempre più competitivi.
L’email marketingè una di quelle strategie che si evolve ma la sua importanza rimane sempre prevalente. C’è solo una cosa che non cambia: il denaro che muove.
Marketo, software company americana, ha stimato chel’apertura delle mail sia la prima attività che gli utenticompiono su internet; benil 94% di loro si collega alla rete proprio per questo.
Ma mentre le strategie, le tattiche e gli strumenti seguono un ciclo fisiologico di nascita, espansione e declino, perchél’email marketing mantiene saldamente il suo primato?
Perché potremmo definirlo “democratico”,è in grado di superare ogni tipo di barrierada quella anagrafica a quelle culturali.
E dichiara la sua invincibilità a colpi diROI.
Email kills the Social Stars
(se hai capito la citazione, pat pat sulla spalla amico!)
Come fu profetizzato che la radio sarebbe morta con l’avvento della televisione così - per qualcuno - l’email marketingavrebbe dovuto perire sotto i colpi di tweet, post, repost e pin.
Sembra addirittura che, nel 2010,Sheryl Sandbergl’attualedirettrice operativa di Facebook, abbia decretato:
L’era della posta elettronica è finita
Ma è molto probabile sia saltata troppo velocemente alle conclusioni.
Innegabilmente i Social Media hanno visto una decade d’oro, di vera esplosione globale ma è altrettanto vero che ad oggi il loro numero è sempre maggiore, ci sono social dedicati ad ogni fascia d’età (sarebbe più corretto dire che sono presidiati da precise fasce anagrafiche al momento) creando anche frammentazione.
L’email marketing rimane invece un pilastro
Se nel 2010 la stima di email inviate si attestò a 247 miliardi al giorno, sembrerebbe chenel 2020 queste saliranno a 307 miliardi al giorno.
L’email marketing nel 2020, nuove tendenze in arrivo
Dopo aver chiarito che l’email marketing è vivo e lotta con successo, ecco4 macro trendche possiamo aspettarci di abbracciare (o almeno conoscere) nel 2020:
User Generated Content
Responsive Interactivity
Accessibilità
Automazione
Vediamo nello specifico come declinare queste azioni nella strategia di email marketing.
UCG, User Generated Content: performa meglio nelle mail!
Come User Generated Content - o contenuto generato dagli utenti - si intende qualsiasi forma di creazione (video, immagini, testi o anche audio) che non è stato prodotto e condiviso dal brand ma direttamente dal cliente finale.
Neanche a dirlo,i contenuti che provengono direttamente dagli utenti, creano unalto grado di coinvolgimento, che aumenta esponenzialmente quando vengono coinvolti evangelist del brand e prospect.
Un ottimo tips è quindi quello diincentivare e motivare il consumatore nella loro produzionepropri e originali tramite l’email marketing darà sempre unsenso di autenticità migliorando direttamente la conversione.
What the world wants today is the real thing”
Hilltop Coca-Cola, 12 febbraio 1971
Qualche numero? 3DCart afferma cheben l’82% degli utenti considera estremamente utili le review dei clienti. Il 70%di loro (presente!)è alla ricerca di recensioni da consultare prima di procedere all’acquisto.
Inoltre, chi è iscritto ad una newsletter dimostra una probabilità 3 volte maggiore di condividere i contenuti ricevuti sui social media rispetto ai lead provenienti da altri canali.
Di conseguenzal’email marketing è in grado di creare una relazione simbiotica con i social media, incrementando l’UCG da poter poi sfruttare in un secondo momento.
Hai bisogno di un termometro immediato che misuri il gradimento o la soddisfazione dei tuoi utenti? Inserisci una domanda o, meglio ancora, creane una che rimandi ad un sondaggio più ampio.
Per farlo però, i consumatori hanno bisogno di un perché. Se grandi brand riescono a raccogliere UCG di qualità facendo leva “solo” dietro al potere del brand stesso, marchi minori hanno bisogno di qualche sforzo in più da inserire all’interno dei funnel di email marketing.
Un esempio può essere quello di appoggiarsi allagamificationcreandocontest,spingendo la condivisione brand-consumer.
Interattività e coinvolgimento, per mail sempre meno flat
Quello delmobile-firstè un mantra che ripetiamo ormai da qualche anno.
Ma se lo storico sorpasso del mobile sul desktop è targato autunno 2017, sarànel 2020che nello specificol’apertura delle mail sarà effettuata in maggioranza dagli smartphone.
E se una dem ha già tante traversie da affrontare per portare alla conversione, immagina cosa potrebbe accadere se non fosse neancheresponsive.
Quindi che il mantra mobile first inizi - già da ora - ad entrare nelle liturgie di ogni strategia di email marketing.
Ma non si fermerà qui:è il momento di integrare responsive, interazione, ux design e microcopy.
Prima di abbandonare la professione o la lettura lascia che mi spieghi meglio.
Se ai “vecchi tempi” l’interazione all’interno dei una mail era volta specificamente all’intrattenimento dell’utente, nei prossimi anni verrà lasciato spazio allafunzionalità.
Mai più “spettatori passivi”, l’intenzione massima sarà quella dipromuovere l’engagement e impedire che gli utenti abbandoninoper noia o per poco coinvolgimento.
Segnati questi elementi come tra i più interessanti che vedremo sempre più spesso nel 2020:
Bottoni e CTAanimate
Effetti arolloverper mostrare le offerte di prodotti
Carosellidi immagini e prodotti interattivi controllati dagli utenti
Inserimento diaccordionper favorire la leggibilità anche delle mail long-form
Sondaggi, votazioni eUCG interattivi
Accessibilità: una caratteristica da non sottovalutare
Glismart-speakercon assistenti vocali in grado di leggere le mail ai consumatori, sono una features che continuerà a crescere anche l’anno prossimo con l’implementazione di almeno 250 milioni di nuove unità.
Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, le persone affette da disabilità visive nel mondo sono circa 1,3 miliardi, di queste 36 milioni sono considerate cieche.
Sono dati molto significativi che rappresentano una delicata sfida per gli email marketers.
E - anche in questo caso - la tecnologia viene in aiuto. È bene iniziare a ragionare anche in ottica di contenuti, design e codice accessibile.
Contenuti accessibili
Mantieni il testo delle tue mail conciso e focalizzato.
Una ricercaLitmussuggerisce che l’intervallo di attenzione medio riposto in una mail arriva ad un massimo di 13,4 secondi in un adulto medio, in grado di leggere almeno 250-300 parole al minuto.
Il copy ideale?50 parole.
Fatti guidare da questi 3 piccoli accorgimenti:
Usafrasi brevi
Limita il gergoe le parole complesse
Crea contenuti per unpubblico globale
Design accessibile
Progettare in funzione dell’accessibilità significa soprattutto superare un paradigma, passando da template con grande utilizzo di immagini ad unaprogettazione che lasci maggior spazio al testo in HTML.
Per progettare una mail accessibile e che ambisca ad un più ampio pubblico:
Usatesto sviluppato in HTML
Stabilisci unaforte gerarchia visivanelle tue mail
Evitalunghe porzioni ditesto giustificato al centro
Utilizza unfont size appropriato
Ottimizza l’interlinea
Usa unforte contrasto cromaticoper facilitare il lettore
Codice accessibile
La maggior parte delle tecnologie assistive si basa soprattutto sullo scanning del codice HTML. Per questo alla base di una mail accessibile c’è soprattutto un codice scritto bene.
Prima di sparare nell’etere la tua mail assicurati che:
Sia inserito untesto alternativo per tutte le immagini
Letabelle di HTMLsianoaccessibiliagli screen reader
UsaHTML Semantico
Specifica una linguanel codice HTML
L’accessibilità delle mail è un viaggio non una destinazione, dove è ogni piccolo passo a portare un miglioramento significativo per il lettore.
Ricorda cheaumentare l’accessibilità e l’usabilitàdi una mail non è solo un doverosoatto di inclusivitàma anche un modo sicuro per aumentare il ROI.
La parola del futuro è Automazione
Se l’ultimo decennio è stato spettatore di importanti progressi nel campo dell’email automation, il prossimo decennio potrebbe invece cambiare completamente il modo in cui utilizziamo il canale.
I servizi di marketing in cloud si sono armati di una poderosa quantità di dati e potenza di processi, tanto da elaboraremodelli statistici sempre più complessieottimizzazione cross-channelche hanno spianato la strada al machine learning e all’automazione.
Machine learning e deep learning saranno quindi impegnati anche nell’esecuzione di benchmark sulle prestazioni per i servizi di posta.
Aumenterà l'automazione delle fasi del ciclo di vita del clientee dei flussi di lavoro, e unasegmentazione automatizzata più intelligenteporterà a maggiori prestazioni,personalizzazioneeaccessibilità.
Inoltre, l’automazione dei reportrenderà sicuramente più facile il lavoro dei marketers,riducendo i costieaumentando il ROIdi un canale che può vantare unReturn on Investmentgià positivo.
L’ottimizzazione riguarderà anche glia/b test e i test multivariatie una maggioreintegrazione tra i servizi di marketing in cloudaprirà la strada a una migliore esperienza digitale, sia per i consumatori che per i professionisti, portando finalmente ad una reale"single customer view".
Previsioni?
È sfortunatamente inopinabile che non esistano (ancora) oracoli del marketing. Ma qualche base statistica invece sì. Il panorama dell’email marketing viaggia alla stessa velocità degli sviluppi tecnologici.
Di conseguenza i progressi in quasi ogni aspetto di questo canale consentiranno ai professionisti di avere un impatto maggiore nelle loro interazioni, di essere più accurati nei loro report e - magari - saranno anche in grado diportare valore effettivo nella posta in arrivo di ogni lettore.
Qual è l'approccio alla gestione del denaro da parte dei giovaninativi digitali(Generazione Z o "Greta" che dir si voglia) e degli ormai sempre più adultiMillennial(o Generazione Y che dir si voglia)? A rispondere è un'analisi effettuata dall’Ufficio Studi diHype, la soluzione di banking digitale, che ha messo a confronto i due cluster su questi temi sulla base dei propri dati (70mila clienti under 18 e 500mila Millennial).
Monitoraggio costante via mobile. Primo dato significativo è la frequenza giornaliera di accesso all’app: 0,68 volte al giorno per i giovanissimi della Generazione Z e 0,57 volte per i Millennial. Una differenza che pare infinitesimale, ma che in realtà fa da chiaro indicatore di come i giovanissimi ricorrano con maggiore naturalezza alla propria mobile bank.
Accredito e pagamento abituali.Cresce del +214% il numero dei Millennial che ha accreditato il proprio stipendio su Hype nel 2019 rispetto all’anno precedente, mentre la Generazione Z, pur non avendo un’entrata fissa, presumibilmente ricorre all’app per ricevere la «paghetta» dai propri genitori. Il 70% degli under 18 utilizza infatti l’app per ricevere abitualmente denaro. Le principali voci di utilizzo di Hype mostrano come entrambe le generazioni abbiano comportamenti simili, con una spiccata propensione all’utilizzo della soluzione come abituale strumento di pagamento.
Le voci di spesa principali. A far la parte del leone per entrambi i target sono gli acquisti pressoi negozi al dettaglio. Spicca l’importante peso specifico degli acquisti relativi ad abbigliamento ed accessori, che caratterizza maggiormente il cluster della Generazione Z (11,8% della spesa, rispetto a un più limitato 5,78% dei Millennials). Al secondo posto si posizionano gli acquisti relativi alfood, che evidenziano una significativa differenza di comportamento tra generazioni, in linea con le diverse età: mentre i giovanissimi della Generazione Z mostrano una maggiore propensione al consumo di cibo fuori casa (spendono l’8,71% in ristoranti, il 3,78% in fast food), la Generazione Y sceglie sì in maniera significativa la ristorazione (7,39% ristoranti), ma bilanciata da un 6% di spesa per alimentari in gdo (la Generazione Z si ferma a 3,43%).
Per cosa si risparmia. Guardando al “salvadanaio virtuale” dell'app, che consente l’accantonamento progressivo di cifre destinate ad una finalità preimpostata, emergono come diametralmente opposte, tra i due target, le finalità legate agli accantonamenti a medio termine. Per la Generazione Z il principale obiettivo di risparmio riguarda l’acquisto diprodotti elettronici o software, quindi un investimento sul patrimonio tecnologico personale, mentre i Millennial sono più orientati verso il consumo “analogico”, presentando come principale voce di risparmio la categoria“veicoli e trasporti”, con un peso relativamente significativo anche della voce “viaggi e vacanze”. Questo dato può essere spiegato dalla maggiore autonomia e libertà di movimento dei Millennial, ma anche da un loro forte desiderio di svago off-line, mentre la Generazione Z tende sempre più a far rientrare nell’orbita della tecnologia anche il proprio tempo libero.
Una cosa è certa: quest’anno ha cambiato in modo permanente la natura di molti eventi. Certo, gli eventi fisici continueranno ad esistere, tuttavia molte agenzie nel reinventarsi probabilmente hanno scoperto che digitalizzare può essere una mossa strategicamente potenziale anche per il loro business. Sicuramente viene sacrificata una parte qualitativa, indiscusso punto di forza del formato esperienziale, che tuttavia viene compensata dall’efficienza e dal risparmio economico che organizzare un evento in digitale comporta.
Questa accelerazione verso il digital content, porta chi lavora nell’industria degli eventi a dover cercare una solida strategia di contenuto e le giuste tecnologie – in questo senso, esistono svariate piattaforme e tool che vengono in aiuto, per rendere gli eventi un contenuto 100% digitale.
Quando parliamo di content strategy, dobbiamo tenere in considerazione principalmente alcuni fattori:
live streaming: è la metodologia tramite cui dobbiamo far rivivere nel modo più immersivo possibile l’experience ai nostri utenti, mantenendo alto l’interesse e l’engagement;
contenuti on-demand: un vantaggio che deriva dalla digitalizzazione degli eventi, è quello di poter mettere a disposizione degli utenti anche una serie di contenuti satellite, che possono essere fruiti (gratuitamente o in logica paid) per un lasso di tempo più lungo e pre-determinabile.
In realtà, dietro la crisi, si nascondono una serie di altri vantaggi:
accessibilità: non essendoci più la barriera dello spostamento, che una partecipazione fisica implica, l’accessibilità agli eventi aumenta esponenzialmente, superando anche i confini del territorio nazionale;
durabilità: si crea la possibilità di poter rivivere l’experience attraverso i contenuti disponibili online;
responsabilità ambientale: abbattendo la costrizione di dover essere presenti fisicamente per poter fruire dell’esperienza, diminuisce radicalmente l’impatto negativo che gli spostamenti hanno sull’ambiente.
Un cambiamento che implica una serie di opportunità ma che porta con sé anche delle insidie. In particolare, si invitano i marketer a non ricommettere l’enorme errore che è stato fatto nei primi anni del nuovo millennio.
L’avvento del digitale e tutti gli errori di valutazione delle aziende Media
Agli inizi del 2000, quando si iniziavano a intravedere i presupposti di quello che sarebbe stato l’avvento dei digital media (e più tardi il boom dei social media), le aziende media avevano iniziato a forzare i propri modelli di business per cercare di adattarli ai nuovi formati digitali. Trattandosi di un formato dal costo davvero irrisorio a confronto dell’offerta analogica di televisione, radio e stampa, le aziende hanno iniziato a vendere le properties digitali come plus, per convincere i brand ad acquistare spazi pubblicitari sui media tradizionali.
Questa strategia di vendita ha funzionato a suo tempo, tuttavia ha reso davvero complicato, per tutti gli anni a venire, valorizzare e monetizzare i contenuti digitali in modo significativo. È rimasta sempre viva, da allora, una percezione dei servizi digitali in quanto cheap rispetto a quelli analogici che porta le aziende ancora oggi a investire molto più budget in media tradizionali piuttosto che digitali.
Questo perchè fin dall’inizio, durante il passaggio al digitale non è stata applicata nessuna vera strategia per sfruttare a pieno le potenzialità dei nuovi formati, ma le aziende hanno semplicemente preso i propri modelli di comunicazione tradizionali e li hanno applicati a un’esperienza più economica e mercificata.
Per questo motivo, diamo per scontato che una produzione video televisiva sia molto più costosa rispetto a quella per un video YouTube, che un ebook debba essere necessariamente più economico di un libro vero, che un articolo online abbia un valore inferiore a un pezzo stampato su un giornale nazionale. Diamo per scontate tutte queste cose e ci sbagliamo.
Non è il medium che definisce il valore di un contenuto (e di un evento)
Ogni contenuto prodotto, che sia destinato alla fruizione online o offline, ha il comune obiettivo di creare un’esperienza positiva per il consumatore. Pertanto, ogni esperienza digitale che creiamo dovrebbe essere di valore per il nostro target di persone e avere l’obiettivo di rendere la loro vita migliore – anche offline – e non solo essere più conveniente per le aziende.
Pertanto, oggi che ci troviamo di fronte al dilemma su come evolvere le strategie di eventi sul territorio in esperienze digitali, non dobbiamo cadere nella stessa trappola che ci spingerebbe semplicemente a prendere un contenuto e tradurlo in chiave virtuale, ma dobbiamo fare uno step in più. È necessario partire da una vera e propria content strategy che non abbia l’obiettivo di trovare la soluzione più conveniente per ill nostro business, ma più di valore per i nostri consumatori.
Quindi un evento virtuale sarà sicuramente diverso da un evento fisico, ma non per questo dev’essere considerato meno di valore, meno costoso o meno “esperienziale”.
A sostegno di questa tesi, possiamo anche scomodare Marshall McLuhan, il quale sosteneva che
Quando ci ritroviamo di fronte a qualcosa di nuovo, guarderemo istintivamente ad esso attraverso vecchi stereotipi. In questo modo, tentiamo semplicemente di adattare i vecchi modelli alla nuova forma, invece di chiederci come questa nuova modalità andrà a influenzare tutte le ipotesi formulate prima del suo avvento.
Insieme, verso un nuovo mondo
Tante cose cambieranno nel mondo di domani, quello post-pandemia, durante la quale molti hanno visto crollare gran parte delle proprie certezze ma, al tempo stesso, potranno vederne nascere altrettante. L’essere umano ha una resistenza innata al cambiamento, tuttavia è importante – ora più che mai – guardare al futuro con fare pionieristico e avveniristico, cogliendo prontamente la nascita di nuovi trend.
Tra questi, possiamo già elencarne alcuni:
aumenta la domanda di contenuto: abituati a vivere nella frenesia di una vita dettata da ritmi sempre più concitati, siamo stati improvvisamente catapultati in una realtà temporale dilatata. Così, all’aumentare del tempo a disposizione per noi stessi, da investire nella crescita personale o anche solo in un intrattenimento costante, aumenta anche la necessità di entrare in contatto con un numero di contenuti sempre maggiore;
aumento degli abbonamenti ai servizi online: seguendo lo stesso ragionamento, saranno sempre di più le persone che sceglieranno di abbonarsi a sevizi online per accedere a contenuti come podcast, film, ebook, ecc. – e, per la prima volta, avranno effettivamente il tempo di usufruirne;
abbattimento della barriera qualitativa: oggigiorno, le persone dimostrano di non badare tanto alla sofisticatezza del contenuto, quanto alla sostanza e al valore dello stesso;
In questa situazione d’emergenza, quello che viene richiesto alla aziende è la capacità di trasformazione: ad esempio, è interessante capire come trasformare il proprio team per rispondere nel modo più efficace possibile alla crescente domanda di eventi virtuali. È comprensibile che l’obiettivo principale delle aziende rimanga quello di fare il possibile per salvaguardare il proprio business, tuttavia varrebbe la pena fermarsi un attimo e affrontare questo cambiamento forzato non come una via d’uscita da una situazione potenzialmente di crisi, ma come l’opportunità di evolvere verso nuovi modi di fornire contenuti.
Per questo, il consiglio è quello di non cedere alla tentazione di rendere gli eventi digitali semplicemente una versione digitalizzata di quelli fisici, ma di mettere a punto una vera e propria strategia di contenuto, pensando più in grande, in modo più lungimirante. Il futuro degli eventi si fa sempre più ibrido, tra fisico e digitale, aprendo scenari fino a poco fa inesplorati ma non per questo meno potenziali. Facciamoci trovare pronti.