Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
I numeri di telefono degli esercizi commerciali saranno accompagnati da un simbolo di autenticità. Un'occasione per agevolare la comunicazione con i clienti o un altro strumento di telemarketing asfissiante?
WhatsApp viene incontro alle esigenze delle aziende con i profili verificati . La piattaforma di messaggistica istantanea associerà un simbolo di autenticità dei numeri di telefono che fanno capo a negozi, esercizi commerciali e brand. Attraverso questi numeri verificati le imprese possano entrare direttamente in comunicazione con il miliardo di utenti che usa WhatsApp. Resta da capire se questi saranno utilizzati per una comunicazione più efficace o solo per nuove iniziative di telemarketing .
PROFILI VERIFICATI DI WHATSAPP AL SERVIZIO DELLE AZIENDE
Scrivendo a un numero verificato, evidenziato da una spunta bianca su fondo verde , nella chat apparirà automaticamente il nome del negozio o dell'azienda , anche se questi non sono registrati in rubrica. Nei piani di WhatsApp, che sta sperimentando questa funzionalità su un numero ristretto di attività, questa funzione è pensata soprattutto per i negozi locali che potranno usare i messaggini per contattare i clienti o proporre sconti . Per prevenire gli abusi, le aziende più "insistenti" potranno essere bloccate come avviene con qualsiasi contatto. Anche i grandi brand potranno sfruttare questa funzionalità, creand oun canale diverso dalle normali pagine Facebook e Instagram.
Via Business People
Android è il primo sistema operativo, mentre tra i brand Huawei lancia la sua sfida a Samsung e Apple. E’ questa la foto dello scenario del mercato smartphone italiano scattata da Mobilens di comScore, alla vigilia di Ifa, l’evento dedicato all’elettronica di consumo in programma a Berlino dall’1 al 6 settembre prossimi. Stando ai dati registrati nel nostro Paese nel mese di giugno, il 74,4% dei possessori di telefoni cellulari possiede uno smartphone, dato questo che ha registrato una crescita progressiva se si osserva il medesimo nello stesso mese del 2015 (60%) e dello scorso anno (70%).
Considerando la sola smartphone audience italiana, composta da 34 milioni di utenti, Android mantiene la leadership con il 73,5% (era al 69,7% nello stesso mese del 2016), seguito da Apple/iOS con una quota di mercato pari al 18,7% (nel 2016 al 17,9%). In calo Microsoft, scesa al 6,9% (era al 10,5% un anno fa), mentre si assiste alla scomparsa progressiva degli altri sistemi operativi (tra cui BlackBerry), complessivamente intorno all’1%.
Tra i leader di mercato, Android può anche beneficiare di una crescente fidelizzazione. Tra gli utenti del sistema targato Google che intendono cambiare dispositivo, solo l’11% ha dichiarato di voler passare a piattaforma iOS (erano 13,5% a giugno 2016), a fronte del 19.6% di utenti iOS pronti a fare il percorso inverso (contro il 15,3% di un anno fa). In più, nota ancora la ricerca, la stessa Android si prepara ad accogliere gli utenti con dispositivi di vecchia generazione prossimi ad un upgrade, che nel 75% dei casi sceglierebbero proprio il sistema operativo di casa Google.
Prendendo in considerazione la ripartizione delle quote di mercato dei singoli brand, Samsung detiene il primato con il 37,5%, anche se in calo rispetto al 41,9% di giugno 2016, seguito da Apple (18,7%), e Huawei con il 16,3%. Il produttore cinese ha raddoppiato il numero di utenti dell’anno scorso, registrando un +413% su scala biennale. Seguono Nokia (che perde 3,6 punti percentuali in un anno), LG, Wiko e Asus, che raggiungono complessivamente il 14,5% della quota di mercato.
A giugno 2017 risultano 1,7 milioni gli utenti che dichiarano di aver acquistato un nuovo smartphone negli ultimi 30 giorni. Tra questi il 79% sceglie un dispositivo con sistema operativo Android, mentre il 18,6% sceglie un dispositivo Apple/iOS, con Microsoft ferma al 2,2%. I brand più acquistati sono ancora Samsung (32,1%), Huawei (20,7%) e Apple (18,6%).
Nella top ten dei modelli più acquistati nei 30 giorni, il Samsung Galaxy S8 risulta essere il più scelto, anche se Huawei è presente nella graduatoria con 5 modelli (dal P9 Lite, secondo con il 3,8%, ai fortunati P8 Lite, anche in versione 2017, passando per i più recenti P10 Lite e P10 Plus). Oltre al Galaxy S8 (4,1% sul totale dei nuovi dispositivi), La casa coreana piazza altri due dispositivi, il Galaxy J5 (3,7%) e Galaxy S7 (2,6%), tra i primi quattro modelli. Primo dei due modelli Apple presenti nella top 10 è l’iPhone 5s 16GB, che con il 2,5% si posiziona al quinto posto, davanti al più recente iPhone 7 32GB al 2,1%.
Analizzando il costo dei nuovi smartphone, oltre un quinto degli acquirenti ha speso più di 400 €, mentre il per 17% degli utenti il costo del nuovo dispositivo era compreso nella fascia tra i 170 € e i 249 €. A seguire, con il 15,2%, la fascia tra i 125 € e i 169 €. Tra i criteri decisivi nel processo di acquisto di un nuovo smartphone, il sistema operativo rappresenta il principale driver che guida la scelta (49%), mentre al secondo posto per importanza attribuita (43,8%) si posiziona la disponibilità di App presenti per il modello desiderato (in crescita rispetto al 41,8% dello scorso anno). Le considerazioni legate ai costi rivestono invece un minor peso per gli intervistati, che in percentuale minore rispetto allo scorso anno attribuiscono un alto grado d’importanza a costo specifico del piano dati (36,6% a giugno 2017 vs 43,6% di giugno 2016), prezzo del dispositivo (32,9% vs 36,7%) e costo mensile complessivo del servizio (30,6% vs 34,8%).
Schermi più grandi e fotocamere con risoluzioni migliori alcuni dei fattori tecnici presi in considerazione per i nuovi acquisti. Gli smartphone acquistati negli ultimi 30 giorni, hanno dimensioni dello schermo comprese tra i 5’’ e i 5,5’’ per il 43,7% dei casi, e superiori ai 5,5’’ nel 27,9% dei casi. La tendenza a schermi sempre più grandi viene confermata prendendo in considerazione l’intera smartphone audience italiana, che fa registrare le maggiori crescite in termini di utenti per gli schermi oltre i 5,5” (+69%), e per quelli compresi tra i 5’’ e i 5,5’’ (+57% rispetto a giugno 2016), che rappresentano ormai la gran parte degli smartphone (utilizzati dal 40,1% degli utenti). In calo del 3% invece il numero di chi possiede un dispositivo con dimensioni dello schermo tra i 4,5” e i 5” (quota al 22,2%).
La risoluzione della fotocamera frontale che risulta più diffusa nella platea italiana è 5 megapixel (+67% rispetto al 2016), ma quella che registra una maggiore crescita rispetto allo scorso anno va dai 5 megapixel in su (+ 353%). Tra le fotocamere posteriori, le più diffuse risultano avere una risoluzione compresa tra i 10 e i 14 megapixel, in crescita dell’89% rispetto al 2016. Dispositivi più grandi, più potenti e più performanti si traducono anche in nuove possibilità di utilizzo per i possessori di smartphone, e attività diverse dalla chiamata tradizionale. Tra queste sempre più diffuse la visione di contenuti video o televisivi (19 milioni di utenti, +16% rispetto allo stesso mese dello scorso anno), l’ascolto di musica (15 milioni, +11% rispetto allo scorso anno), la condivisione di foto e video sui social (+13%) e l’acquisto di beni e servizi (+22%), con la maggiore crescita registrata dalle videochiamate (+74%).
Via Prima Comunicazione
Ne abbiamo già parlato: il packaging è un venditore silenzioso, ma va preso sempre più sul serio come asset fondamentale all'interno del processo di vendita. Non si tratta solo della lotta allo spreco o dell’allungamento della shelf life, come già rilevato con i trend del packaging design dal Fuorisalone 2017, parliamo anche di una crescente capacità di coinvolgimento e comunicazione della brand identity.
Dagli esperti di TrendHunter ecco allora alcune macro tendenze del settore che, grazie a tecnologia e creatività, stanno rivitalizzando le confezioni del food&beverage ed aprendo a un nuovo engagement alimentare. Il tutto corredato da esempi concreti.
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Audio packaging L'interattività delle confezioni si fa sempre più musicale ed estende il dialogo con il consumatore alla dimensione audio. Il marchio arricchisce così la propria identità sensoriale e di lifestyle. Ad utilizzare questa tecnica sono stati tantissimi brand di rilievo, a partire da Coca-Cola, che ha utilizzato bottigliette ad hoc per riconnettersi ai giovani rumeni attraverso la musica. Qui sotto un video che spiega bene la strategia attuata.
Un altro esempio? La collaborazione tra la realtà musicale Shazam e Nestlè per un packaging promozionale e interattivo dedicato allo snack Kit-Kat e che con una semplice foto permette di partecipare a un concorso a premi. Altro caso di audio packaging: l'azienda di dolciumi Heshey per la propria barretta Take5, creata dall'unione di 5 sapori diversi, ha creato una confezione "da suonare", che consente ai consumatori di mixare 5 ritmiche diverse. A seguire un video dimostrativo.
2Confezioni "aumentate" Ovvero: l'utilizzo di elementi della realtà aumentata applicati al packaging sempre per dare vita a nuove forme di coinvolgimento a partire già dalla visita in store. Emblematico in tal senso il caso delle uova Vital Farm, che per enfatizzare il fatto che il prodotto provenga da galline allevate all'aperto ha elaborato un cartone che guardato attraverso lo smartphone si arricchisce di un scenografico prato verde dove gli animali scorrazzano felici. Per vedere il pack delle uova aumentato è necessario scaricare l'apposita app Roar, il cui utilizzo dà diritto anche a un coupon per le uova stesse.
3Packaging artistico-dichiarativo Dalla grafica esclusiva, impattante e altamente creativa (magari in collaborazione con determinati artisti) passando per forme dal rimando scultoreo. Non parliamo solo di una maggior attrattiva dal punto di vista estetico ma dell'utilizzo di etichette e design capaci di esprimere un messaggio profondamente agganciato ai valori della marca. Un packaging che già da solo è in grado di fare forti dichiarazioni d'identità, come nel caso delle lattine di birra femministe Her, pensate in opposizione all'estrema sessualizzazione della donna in ambito pubblicitario. Ad essere ritratte figure come Frida Kahlo o Yoko Ono.
Parliamo di una tendenza particolarmente vitale proprio nel settore bevande ed alcolici. Si pensi anche alla limited edition di vodka Absolut Mix lanciata dalla nota azienda in occasione del mese del Gay Pride e creata da artisti diversi.
Parafrasando McLuhan in sintesi: il packaging è il messaggio.
Via Mark Up
La Tv online e social di Facebook ha iniziato le sue "trasmissioni". La scorsa settimana, per ora solo negli Stati Uniti, il nuovo prodotto di casa Zuckerberg chiamato Facebook Watch ha lanciato la sua sfida a YouTube, Netflixe tutte le altre piattaforme rivali, broadcaster tradizionali compresi, non solo a colpi di audience ma di introiti pubblicitari. E' nel video online, infatti, che si dirigono sempre più i soldi della pubblicità digitale, come osserva in una nota CCS Insight.
Watch, cui si accede da web browser, app mobile e app per smart Tv di Facebook, non è il primo tentativo dell'azienda di Mark Zuckerberg di affermarsi nel mondo del video: il social network ha lanciato negli Usa l'anno scorso un apposito tab o bottone su cui cliccare per trovare facilmente tutto il materiale video presente su Facebook.
Watch offre video di ogni genere e durata, dalle serie Tv agli spettacoli live con ospiti che rispondono in tempo reale alle domande degli spettatori fino agli eventi sportivi, baseball compreso. Il servizio di Facebook accoglie contenuti che arrivano da aziende del digitale come BuzzFeed ma anche da gruppi dei media più tradizionali come A&E (network televisivo via cavo). Tra gli show di punta c'è il dietro le quinte sul Real Madrid raccontato dall'attore Orlando Bloom - segno che Zuckerberg non sta risparmiando sull'investimento.
Facebook sostiene che Watch è diverso dalle offerte rivali: la marcia in più è la caratteristica personale, community-oriented, che la renderebbero la più compiuta delle social Tv. Facebook può infatti suggerire i video da seguire in base agli interessi dell'utente e gli amici possono condividere i loro commenti mentre guardano un video o partecipano a gruppi dedicati a un determinato show. I video di qualità, con storie sceneggiate da autori accreditati, sono considerati da Facebook lo strumento giusto per attrarre quei giovani spettatori cui la Tv tradizionale non interessa più. I dati sugli show più seguiti aiuteranno l'azienda a tarare e personalizzare ulteriormente la sua offerta.
Gli analisti di CCS Insight si aspettano che nei prossimi anni le aziende del digitale entrate nell'arena del video professionale - Facebook, Amazon, Netflix, Apple, e così via - investiranno miliardi di dollari per avere contenuti dai grandi studios di Hollywood o per produrre serie esclusive. Watch non fa che aumentare la pressione sulle piattaforme rivali a migliorare la propria offerta.
Questo non significa dare per scontato il successo della "Tv online" di Facebook. Facebook ha la forza di un pubblico gigantesco e una capacità unica nel mondo social, tuttavia dovrà dimostrare di essere un canale credibile per chi produce o possiede contenuti. Gli analisti si aspettano inoltre che Watch resti per lo più una piattaforma gratuita e finanziata dalla pubblicità: un ottimo modo per moltiplicare gli spettatori ma non sempre efficace per generare guadagni. Senza contare che Facebook sta perdendo appeal fra i giovani: l'ultimo studio di eMarketer ha confermato un trend che rischia di compromettere la crescita della piattaforma di Zuckerberg a scapito di Snapchat e Instagram, più forti nel permettere la comunicazione per immagini chiesta dai teenager. Col potenziamento dell'offerta video Facebook cercherà probabilmente anche di colmare questo gap.
Via CorCom
Facebook vuole la musica sui social. Secondo Bloomberg Mark Zuckerberg sarebbe pronto offrire centinaia di milioni di dollari alle case discografiche per liberalizzare l’inserimento di musica nei video postati dagli utenti.
Facebook intende introdurre un software il quale segnerà con una "spunta" la musica che viola i diritti d'autore. Per Bloomberg, però, ci vorranno almeno due anni prima che questo sistema sia pronto. Il progetto andrebbe a rafforzerebbe i piani di Zuckerberg di fare concorenza a YouTube con la piattaforma Watch, che consente la condivisione e la visualizzazione di video.
Facebook Watch offrirà possibilità analoghe a quelle di YouTube agli utenti e ai creatori di contenuti. Questi ultimi, infatti, potranno caricare e monetizzare con le loro opere, con conseguente ritorno pubblicitario per Facebook in caso di buona riuscita del progetto.
Si tratta di una soluzione che gioverebbe a tutti i soggetti in questione. Facebook attirerebbe pubblicità e creatori di contenuti, più liberi nel loro lavoro e contenti della monetizzazione. Gli utenti riceverebbero un servizio migliore e più creativo mentre l e etichette riceverebbero ingenti somme e si libererebbero del problema di controllare tutti i contenuti potenzialmente illeciti.
Sarebbe proprio quest’accordo a rendere Facebook un cliente scomodissimo per YouTube. La nota piattaforma video, infatti, non ha mai risolto la questione copyright se non limitandosi a eliminare tutti i contenuti che contenessero canzoni protette. Se Facebook Watch dovesse espandersi velocemente e notevolmente, YouTube sarebbe costretta a operare cambiamenti importanti, magari simili.
Via CorCom
Tre nuove ricerche di IAB Europe – presentate oggi e disponibili sul sito datadrivenadvertising.org - dimostrano quanto i dati comportamentali permettano non solo di migliorare il gradimento e l’efficienza delle campagne di digital advertising, ma rappresentino anche una risorsa cruciale per tutto il settore dei media e per l’economia digitale nella sua globalità.
I consumatori europei che accedono al Web quotidianamente (e il 52% di questi lo fa per tre o più ore al giorno) sono più soddisfatti delle loro esperienze gratuite e supportate da annunci rispetto a quelle a pagamento (63% vs 40%). Inoltre, più di 8 utenti su 10 preferiscono visitare siti gratuiti supportati da annunci e i due terzi dei navigatori sarebbero contenti di condividere i propri dati per ricevere pubblicità mirata. (fonte: “GFK Europe online: an experience driven by advertising”)
“I dati ci dimostrano l’importanza del tacito accordo tra utenti e inserzionisti sulla gratuità dei contenuti online, resa possibile dagli investimenti pubblicitari” ha commentato Carlo Noseda, Presidente di IAB Italia. “Questo ci dà un’ulteriore conferma di come una regolamentazione troppo restrittiva, quali quella sull’ePrivacy (la cui entrata in vigore è prevista per il prossimo 25 maggio 2018), rischierebbe di compromettere l’equilibrio di tutto il settore digitale, rendendo più macchinosa la navigazione degli utenti e mettendo a rischio la qualità dei contenuti”.
Le campagne di advertising targettizzate sulla base dei comportamenti degli utenti, supportate da logiche ben gestite di programmatic adv, rappresentano un modello vincente non solo per gli inserzionisti, grazie alla maggior efficacia ed efficienza delle campagne di comunicazione mirate ai consumatori, ma anche per i consumatori, che ricevono contenuti pertinenti, interessanti e tempestivi. Gli annunci focalizzati sul target, infatti, hanno un tasso di click-through superiore di 5 volte in media rispetto alla pubblicità standard. Inoltre, quando i dati comportamentali vengono utilizzati per raggiungere persone che hanno già visto lo stesso prodotto in precedenza, il tasso di click-through è addirittura di 10 volte superiore.
Il behavioural targeting sta segnando un nuovo paradigma per la pubblicità in tutti i media: per la radio, l’out-of-home, la Smart TV e anche la TV lineare. Ad esempio, nei principali mercati europei, i dati comportamentali acquisiti digitalmente già contribuiscono al 20% della spesa pubblicitaria radio. (fonte “The Economic Value of Behavioural Targeting in Digital Advertising”)
Un’analisi economica più ampia, inoltre, fa emergere il forte contributo della pubblicità digitale in termini di investimenti, indotto e occupazione. È un settore che si è evoluto molto velocemente, da industria emergente al principale mezzo pubblicitario in Europa: nel 1999 deteneva una marginalissima quota dello 0,5% sul totale della pubblicità, mentre nel 2016 ha registrato investimenti del valore di 41,9 miliardi. Considerando anche altre componenti meno dirette, come la creazione di contenuti e il sostegno all’evoluzione degli altri media e degli altri settori del digitale, il contributo del digital advertising è stimato a 118 miliardi di euro in termini di BIL (Benessere Interno Lordo). (Fonte: “The economic contribution of digital advertising in Europe”)
“Alla luce di questi dati, è indubbio che le nuove regolamentazioni mettano a rischio la salute della pubblicità digitale e quella dell’intero settore dei media, con un risvolto nettamente negativo sull’indotto, sull’occupazione e, di conseguenza, sull’intera economia digitale”, ha continuato Carlo Noseda, Presidente di IAB Italia. “Non condividiamo, quindi, la nuova Proposta di Regolamento ePrivacy, tra cui l’opt-in come unica base per l’erogazione di pubblicità: come Associazione, ci impegniamo a promuovere la democraticità del Web, grazie a una logica di mercato basata sulla fruizione gratuita di contenuti e servizi di qualità, consentita proprio dalla pubblicità. Le nuove regole, inoltre, andrebbero a danneggiare le parti “deboli” della catena degli operatori online e ad incrementare ancora di più i vantaggi competitivi dei BIG del web. IAB Italia si sta muovendo da diversi mesi – assieme alle altre IAB dei principali mercati europei e a IAB EU – per convincere le Istituzioni europee a rivedere il testo della proposta di Regolamento e ad approvare una serie di emendamenti che garantiscano il nostro mercato e allontanino i rischi di impatto negativo evidenziati in questi documenti. L’Associazione ha già incontrato i principali a Bruxelles coinvolti nell’iter di approvazione della proposta di Regolamento ePrivacy e continuerà a sensibilizzare i più importanti stakeholder che seguono questo dossier”.
Il modello di analisi proposto da IAB Europe dimostra, quindi, che l’attuazione dei regolamenti porterebbe ad una ulteriore concentrazione del mercato e influenzerebbe la redditività della pubblicità digitale come modello di finanziamento per gli editori.
Via Prima Comunicazione
La linea di demarcazione tra TV e video digitale è sempre meno netta. Sempre più spesso, la televisione sta diventando un canale di digital ad buying, con la possibilità di automatizzare le decisioni d’acquisto guidate dai dati ad una target audience specifica. Mentre il video on demand e lo streaming guadagnano viewer e i produttori di contenuti sono in cerca di piattaforme dove distribuire i loro prodotti, l’acquisto di annunci pubblicitari su canali e dispositivi sta diventando un processo sempre più singolare.
Con questo cambiamento, l’acquisto di annunci televisivi sta subendo una rapida evoluzione, passando da un approccio one-to-many a uno “one-to-one addressable, audience based e cross screen”, ossia indirizzabile a ogni singolo spettatore a partire dai dati sul pubblico e multischermo. Si sta allontanando dalle metriche gross rating points (GRP) e cost per point (CPP) per raggiungere i target demografici generali e i target di pubblico.
Utilizzando la tecnologia di trading in programmatic e i dati di prima e terza parte per raggiungere la target audience, la possibilità di acquistare spot televisivi in linea con il digitale sta finalmente diventando una possibilità.
Come si presenta il tv ad-buying landscape?
Come per qualsiasi tecnologia emergente, le definizioni possono variare e causare più confusione che orientamento. Proveremo quindi a fare un confronto tra la TV tradizionale lineare rispetto alle opzioni di acquisto “addressable”. La suddivisione si può riassumere essenzialmente in tre categorie:
TV tradizionale lineare
Con l’ad buying per la tv tradizionale, rispetto alla tv via cavo e alla programmazione in broadcasting, una pubblicità è servita a più consumatori, a livello nazionale o locale, attraverso le filiali di broadcasting televisive o satellitari. Gli annunci sono acquistati su una base contestuale e non rispetto ad ampi target demografici come quelli fissati dal GRP di Nielsen (ad esempio, gli uomini di età compresa tra i 25 e i 34 anni). Gli annunci sono acquistati in anticipo – spesso in upfront.
Addressable linear TV
I marketer possono rivolgersi a specifiche utenze domestiche utilizzando i dati forniti dai decoder delle emittenti e da altri fornitori di dati. Gli operatori hanno implementato la tecnologia sui loro decoder per permettere a diverse case di vedere annunci diversi. La maggior parte delle principali compagnie televisive satellitari e radiotelevisive hanno implementato funzionalità di questo tipo. Quasi 50 milioni di famiglie americane, ad esempio, sono già selezionabili tramite i decoder abilitati di Comcast, Time Warner Cable, AT&T e altri distributori.
Addressable over-the-top & connected TV
Per Connected TV si intende semplicemente qualsiasi schermo TV che si collega a Internet attraverso un dispositivo di streaming over-the-top (OTT) come Apple TV, Google Chromecast, Roku o Amazon Firestick o una console di gioco. Le Smart TV, invece, si collegano in modo nativo. Negli Stati Uniti, secondo comScore, la metà delle famiglie abilitate al WiFi guarda in streaming contenuti OTT da servizi come Netflix, Hulu e Amazon in media 40 minuti al giorno . “Pensiamo che la vera opportunità sia quella di coinvolgere il pubblico digitale e attivarlo sugli OTT. La tecnologia e l’ impiantistica sono già pronti per prendere decisioni in real-time” ha dichiarato Tore Tellefsen, VP of TV solutions di dataxu. Dunque, ormai è concreta la possibilità di acquistare annunci pubblicitari in tempo reale decidendo cosa servire e mostrare al consumatore dall’altra parte del televisore. Gli inserzionisti possono anche misurare le prestazioni dell’OTT usando le stesse metriche che usano per il digital e il mobile. “Quello che è possibile fare in TV sta cambiando radicalmente. Stiamo facendo leva sugli stessi pubblici digitali e sui dati relativi ai loro consumatori e clienti e li ritroviamo sulle smart TV “, ha continuato Tellefsen.
What about programmatic TV?
Qui ci riferiamo alla TV programmatica come metodo di acquisto che utilizza i dati STB (Set-Top-Box, ossia dal decoder) per informare l’audience targeting utilizzando attributi come in-market, HHI (redditi familiari), status della famiglia e così via oltre ai dati proxy GRP di Nielsen e che può utilizzare software per automatizzare il processo di trading. Mentre il programmatico fornisce una migliore comprensione del pubblico rispetto alle GRP, lo svantaggio rispetto al metodo addressable è che gli annunci pubblicitari possono comunque raggiungere gli spettatori al di fuori delle specifiche del pubblico. C’è meno spreco rispetto a un tradizionale acquisto televisivo, ma ci sono ancora “rifiuti” lasciati indietro. Solo l’addressable tv consente agli inserzionisti di effettuare collegamenti davvero one-to-one. Acquistare in questa modalità, infatti, non significa necessariamente che vengano utilizzati processi automatizzati o programmatici; molto è ancora fatto manualmente.
Quanto è grande il mercato?
In breve, non è ancora un grande mercato, ma è in crescita. Videology, che offre una piattaforma per l’addresable tv buying e per il video advertising, sostiene che nella prima metà del 2017 il 25% delle impressions sulla piattaforma utilizza i dati di prima parte (dei marketer) per il targeting, dato in aumento rispetto 16% del 2016. Dal primo al secondo trimestre di quest’anno, l’ad spend nel comparto dell’addressable linear TV è aumentata del 150% sulla piattaforma di Videology. Nella prima metà del 2017, il numero di inserzionisti che hanno condotto una campagna esclusivamente sulla TV connessa (CTV) è aumentato del 21 % rispetto a tutto il 2016. Più della metà delle campagne sono state condotte con un componente CTV e il 90% ha adottato un approccio cross-screen.
Quali sono le maggiori sfide?
L’abilitazione tecnologica, compresa l’automazione e l’attrito di comunicazione tra i team digitali e televisivi sono solo un paio delle barriere alla crescita del dell’addressable TV media buying e del media buying cross-device e cross-platform.
Sfide di scala
La porzione di spese pubblicitarie televisive destinate all’addressable TV è ancora esigua, ma in crescita. eMarketer si aspetta che superi i 2 miliardi di dollari negli Stati Uniti nel 2018, rispetto ai 900 milioni spesi nel 2016. Questo dato rappresenta, tuttavia, solo il 3% di tutta l’ad spending televisiva. I distributori, però, stanno iniziando ad aprire inventory addressable sui network e sulla programmazione via cavo nazionale.
Sfide di misurazione
Un’altra preoccupazione riguarda la mancanza di standard di misurazione e di parametri di riferimento su tutte le varie piattaforme e i vari publisher. Solo a febbraio, il Media Rating Council ha accreditato il Digital in TV Ratings di Nielsen che misura la visione dei contenuti televisivi su computer e dispositivi mobili. Nel mese di marzo, invece, comScore ha lanciato OTT Intelligence che misura la visione domestica dei contenuti OTT negli Stati Uniti. Il servizio fornisce una sola fonte di visualizzazione di decine di fornitori di contenuti OTT tra cui Netflix, Amazon, Hulu e YouTube. Le misure riportate includono la portata delle famiglie, le dimensioni del pubblico e la demografia, insieme a una varietà di metriche d’uso. Ma i provider di misurazione aumentano costantemente.
Non dimentichiamo Facebook e Google
La minaccia posta dai giganti digitali che entrano in TV, naturalmente, dipende dalla prospettiva dalla quale si guarda, ma sia Facebook , sia Google, stanno scuotendo lo status quo. L’autunno scorso, Facebook ha confermato che sta testando la distribuzione di annunci su piattaforme TV collegate a Internet come Roku e Apple TV attraverso il suo Audience Network. Acquistare attraverso Facebook offre agli acquirenti la possibilità di targetizzare il pubblico in modo uniforme tra tutti i fornitori di streaming, che non sarebbe possibile raggiungere direttamente. Facebook ha iniziato a prendere in licenza contenuti e a sviluppare contenuti originali e ha debuttato nel mese di agosto con Watch, il suo nuovo centro video, per competere con altri servizi di streaming. YouTube è lo strumento più grande e potente di Google per attirare dollari televisivi verso il digitale. Questa primavera Google ha introdotto un nuovo pacchetto, YouTube TV, in cinque mercati e ha anche annunciato all’inizio di quest’anno che DoubleClick Bid Manager s’inserirà in diverse SSP per consentire agli inserzionisti di acquistare annunci televisivi e confrontare le prestazioni in TV e digitale sulla piattaforma.
Cosa ci riserva il prossimo futuro?
“Ci sarà un continuo aumento e una diffusione dei consumi sui televisori connessi e sulle smart TV, e non solo attraverso i pacchetti più economici”, spiega ancora Tellesfen. Le più grandi content company avranno le loro applicazioni – come Disney che estrae contenuti da Netflix per le sue app OTT. Naturalmente, vorranno una connessione diretta con il consumatore. Questa spinta dell’industria cambia le regole dei giochi per chi ha sempre distribuito contenuti attraverso altri e ora ha la possibilità di connettersi direttamente. “Se si creasse la giusta predisposizione di tutte le parti in causa alla collaborazione per far aprire i broadcaster nazionali ad un approccio addressable, si verificherebbe un’esplosione di inventory indirizzabili” continua. “Addressable”, però, non è solo per la TV. Non appena si dice multi-dispositivo, la gente pensa al desktop, al tablet, al telefono – ma si dovrebbe pensare ben oltre. E’ la nostra auto, il nostro frigorifero, il nostro televisore, è fuori casa con cartelloni pubblicitari connessi. Si tratta di una convergenza massiccia ed è proprio davanti ai nostri occhi. Questa convergenza e la proliferazione di opportunità stanno cambiando il modo in cui le company danno forma ai propri budget per la produzione di reach media. I marchi possono finalmente acquistare famiglie invece di programmi e momenti di visione utilizzando i dati, il che rappresenta un enorme passo avanti. Questo è un grande momento per i marketer per includere la TV indirizzabile in una campagna cross-screen con il digital video. Ci aspettiamo di vedere i primi esperimenti già dal mese prossimo.
Via 360com
Il mercato degli investimenti pubblicitari in Italia chiude i primi sette mesi in calo dell’1,2% rispetto allo stesso periodo del 2016. Se si esclude dalla raccolta web la stima sul search e sul social, l’andamento registra una contrazione del 3,9%. Il singolo mese di luglio si attesta a -7,3% (-12,3% senza search e social). Lo dicono i nuovi dati Nielsen sul mercato pubblicitario in Italia nel mese di luglio 2017 (.pdf).
“Come avevamo previsto, il mese di luglio ha chiuso in flessione, per i motivi di dipendenza dagli eventi mediatici trainanti che, com’è risaputo, si concentrano nei periodi estivi degli anni pari” – spiega Alberto Dal Sasso, TAM e AIS Managing Director di Nielsen. “Bisogna però aggiungere che il calo del singolo mese è stato più significativo di quanto potessimo aspettarci”.
Relativamente ai singoli mezzi, la tv chiude i sette mesi in calo del 3,4%, condizionata da un luglio particolarmente negativo (-17,6%).
L’andamento della stampa continua a essere negativo: nel singolo mese, i quotidiani e i magazine perdono rispettivamente il 12,3% e l’8,1%, portando la raccolta nel periodo cumulato rispettivamente a -10,9% e -7,1%. Prosegue invece il buon periodo della radio che chiude i primi sette mesi con una crescita del 3,4%, seppur rallentata dalla performance negativa di luglio (-5,1%).
Sulla base delle stime realizzate da Nielsen, la raccolta dell’intero universo del web advertising chiude in positivo a +6,6% (-1,9%, se si escludono il search e il social).
Buono l’andamento della GoTV (+12%) e del transit (+1,2%), mentre continua il trend negativo dell’outdoor (-19,3%). La raccolta positiva nel mese di luglio per cinema e direct mail consente a questi due mezzi di colmare in parte il gap negativo registrato nei mesi scorsi, attestandosi rispettivamente a -8% e -0,7% nel periodo gennaio – luglio 2017.
Per quanto riguarda i settori merceologici, se ne segnalano otto in crescita, con un apporto complessivo di circa 42 milioni di euro. Per i primi cinque comparti a livello di quote di mercato, si registrano andamenti differenti: dopo quattro mesi con segno positivo, gli investimenti del settore automobilistico si fermano a -0,4%. Positiva la performance del pharma (+3,3%). Continua invece l’andamento negativo per le telecomunicazioni (-4,9%), gli alimentari (-4,7%) e la distribuzione (-10,9%). Tre settori – elettrodomestici, giochi/articoli scolastici e informatica – crescono a doppia cifra, incrementando gli investimenti rispettivamente del 51,7%, 44,4% e 26%, con un apporto complessivo di circa 24 milioni di euro.
“I recenti dati di crescita della produzione industriale – conclude Dal Sasso – confermano il trend di ripresa anche in vista del 2018: la discreta salute della nostra economia sembra confermata dai numeri che arrivano da più istituzioni. Il trend del mercato della comunicazione rimane in fase di recupero, seppur contenuta, nel medio periodo. Sarà importante vedere se settembre e la ripresa della stagione ci confermeranno le previsioni per la fine dell’anno o se sarà necessaria una ricalibrazione. Non dimentichiamo che le elezioni politiche del 2018 influenzeranno il Sistema Paese già a partire dall’autunno, impattando anche sul mercato della pubblicità”.
-Leggi o scarica i dati Nielsen sul mercato pubblicitario in Italia nel mese di luglio 2017 (.pdf)
Via Prima Comunicazione
Dalla cameretta allo stadio grazie agli eSport. Nessuno tra quelli che hanno preso in mano un joystick di un Sega Mega drive avrebbe mai pensato di poter diventare una superstar mondiale con una vera e propria curva di fan ad esultare per un suo gol a FIFA. E invece gli eSport sono diventati un vero e proprio fenomeno del digitale (e non solo). Le sfide ai videogiochi hanno iniziato ad attrarre pubblico già dalla fine degli anni ’90, nel suo primo evento, Alexander Muller, managing director SK Gaming, ha raccolto un pubblico di 1200 persone. “Ho subito capito che le sfide tra videogiocatori erano uno spettacolo con un forte potenziale. Adesso riusciamo a radunare facilmente 15000 persone riempiendo interi palazzetti”.
L’industry degli eSport è nata circa 7 anni fa, cresce del 40% anno su anno “e per la fine dell’anno prossimo raggiungerà un valore complessivo di 1 miliardo di dollari. Le iniziative proliferano, così come i partner. L’ultimo in ordine temporale è Mercedes, con cui abbiamo firmato un accordo globale. È un segmento giovane, mondiale, dove i fan sono anche giocatori e team owner”, racconta Bernhard Mogk, senior vice president global sales & business development di ESL – Turtle Entertainment.
Un nuovo filone di entertainment che valica le barriere del digitale per conquistare anche i broadcaster tradizionali. I canali televisivi si stanno già preparando per ospitare le sfide dei videogiocatori a diversi titoli, ma c’è chi è già on air da più di un anno. “Abbiamo introdotto gli eSport nel palinsesto televisivo qualche tempo fa. Abbiamo fatto il primo passo, ora dobbiamo consolidare la presenza di questi contenuti all’interno della nostra programmazione. Per ora è un fenomeno che attrae i giovani, più che la massa, ma nei prossimi 10 anni avrà una diffusione molto più ampia. L’anno scorso abbiamo trasmesso la eLeague, quest’anno abbiamo ritagliato lo spazio per un magazine settimanale in cui facciamo il punto delle varie leghe. L’obiettivo è creare show live, in primetime”, rivela Zeljko Karajica, ceo di 7 Sport – ProSiebenSat 1 Sports.
Uno dei driver della crescita forsennata degli eSport è la community, “che ha ancora voce in capitolo sull’evoluzione della industry. Infondo è nata così, da una venue che ospitava circa un migliaio di persone, ed è cresciuta fino a ospitare 15000 persone. Alcuni player fanno decine di migliaia di chilometri all’anno per partecipare ai tornei, e guadagnano cifre molto alte”, commenta Muller.
Il prodotto è appetibile, anche a livello pubblicitario. P&G ha scelto alcuni videogiocatori del Bayern Monaco come testimonial per una campagna, e non vedo perchè gl altri brand non dovrebbero prendere in considerazioni altri player per le loro pubblicità. Hanno un grande seguito social e un pubblico targetizzato. Qualunque tipo di brand avrebbe un potenziale interesse a investirci”, spiega Karajica
Le stesse franchige sportive hanno messo gli occhi sul segmento, creando le proprie squadre di player. Bayern Monaco, PSG, Shalke 04 e AS Roma, per esempio, stanno già competendo sui campi virtuali. “Queste squadre si portano dietro i loro sponsor, e sono sempre più numerose quelle che dimostrano interesse nel formare il proprio team”, aggiunge ancora Karajica. “Brand e organizzaioni ci cercano sempre più spesso, ci vogliono e sanno che hanno bisogno di noi”, conclude Muller
Via 360com
Mentre Amazon esercita un potere sempre crescente come motore di ricerca, sta anche diventando una piattaforma pubblicitaria competitiva e, di conseguenza, sta ponendo la prima vera sfida a Google e Facebook, che hanno da tempo controllato i budget pubblicitari digitali in modo virtualmente indisturbato. Dei due, Google inizialmente rischia di perdere di piùma man mano che le offerte pubblicitarie di Amazon si espandono, anche Facebook potrebbe trovarsi costretto a salutare un po’ dollari pubblicitari.
Allo stesso tempo, è improbabile che Amazon riesca a rovesciare questo cosiddetto “duopolio” fino a quando non comincerà a fare di più con i media online e a dominare una fetta più ampia del tempo dei consumatori. La cosa più probabile, invece, è che ci ritroveremo con tre powerhouse della pubblicità digitale anziché due.
Amazon e la search
Una ricerca mostra che molti consumatori si rivolgono ad Amazon quando cercano informazioni sui prodotti. Le cifre variano dal 31% al 55% quando si tratta di ricerca per la prima volta – e uno studio della società di marketing tecnologico Kenshoo ha scoperto che il 72% delle persone visita Amazon prima di fare un acquisto per avere maggiori informazioni sui prodotti online.
Secondo Collin Colburn, analista del team di marketing B2C presso la società di ricerche di mercato Forrester, l’ uso di Amazon come motore di ricerca continuerà a crescere per due motivi:
-Amazon è costruito come un motore di ricerca specifico di prodotti e i consumatori possono cercare qualsiasi cosa relativa a questi ultimi e ottenere risultati rilevanti meglio e più rapidamente di quanto possano con Google.
-In secondo luogo, Colburn ha osservato come Amazon sia unico nel nella gestione delle sue pagine di elenco che hanno praticamente tutto ciò che un acquirente potrebbe desiderare di sapere – tra cui prezzo, descrizione, immagini e recensioni – che dà ai clienti un one-stop-shop per la ricerca, anche se non finalizzando effettivamente l’acquisto su Amazon.
“Si sono costruiti un notevole vantaggio nella selezione e nell’assistenza rispetto ai concorrenti e continuano a crescere il loro potere di mercato “, ha dichiarato Nathan Grimm, direttore marketing dell’agenzia Indigitous con sede a Seattle. “Mentre i negozi al dettaglio continuano a lottare e chiudono, un numero sempre maggiore di attività si sposterà su Amazon. La loro quota di ricerca dipende in larga misura dal fatto che sono un canale privilegiato per l’acquisto di prodotti, per questo la quota di Amazon nella search è destinata a crescere”.
Inoltre, Kevin Mannion, direttore strategico presso la società di business intelligence Advertiser Perceptions, ha detto che ritiene che Amazon abbia una sempre maggiore influenza sull’idea stessa che gli inserzionisti si sono fatti e si stanno facendo della search.
I nostri dati mostrano che gli inserzionisti sono sempre più pronti a ridurre la spesa nella ricerca digitale tradizionale e sono più propensi a trovare opportunità di ricerca alternative. Amazon è una di quelle. E forse il più importante”, ha commentato. La ricerca all’interno di Amazon è essenziale per i dati che Amazon può condividere con i marketer e le agenzie. E mentre lo shopper lascia il suo walled garden, Amazon è in grado di tenere traccia e ritargettizzare acquirenti che hanno esplorato una categoria di prodotti e considerato anche i marchi dei concorrenti “.
La piattaforma di advertising
È questa conoscenza del comportamento dei consumatori che rende Amazon un potente nemico contro Google e Facebook, che dominano da tempo il panorama del marketing digitale.
Infatti, il report dal titolo “Advertiser Perceptions Q4 2016 Programmatic Intelligence” ha rilevato che il nascente business degli annunci di Amazon è stata la DSP più utilizzato e preferita l’anno scorso. A tal proposito, Mannion ha affermato che Amazon ha ottenuto buoni risultati anche in un altro studio in procinto di essere pubblicato, confermando Amazon come “player significativo” tra le DSP. Questo è in parte perché ha i suoi piazzamenti esclusivi su Amazon.com e altre proprietà Amazon che altre DSP non riescono a raggiungere, così come perché Amazon può offrire il targeting in base a ciò che i consumatori stanno comprando su Amazon e può riferire sulle vendite, così come su come l’ acquisto e il comportamento di ricerca siano cambiati durante la pubblicazione degli annunci.
In effetti, a Dmexco, Marc Pritchard, Chief Brand Officer di P&G, ha dichiarato che la pubblicità su piattaforme come Amazon consente al marchio di comprendere meglio il comportamento dei consumatori e di distribuire annunci pubblicitari quando è più probabile che essi producano vendite. Per altre aziende, come Samsung, ad esempio, Amazon seppur degna di rispetto è una piattaforma considerata solo come ecommerce e non ancora un punto di riferimento in altri contesti come quelli appena citati.
Amazon versus Google
Tra i due attori del duopolio, Amazon è più simile a Google, il che significa che ora si sta preparando soprattutto per soddisfare i consumatori alla ricerca di informazioni.
E, secondo Joe Migliozzi, amministratore delegato dell’e-commerce e della retail media unit di Shop+ e capofila di Mindshare North America, il modello di business di Amazon non dipende dagli introiti pubblicitari, per questo gode della libertà di cambiare il panorama competitivo.
Ad esempio, l’ambizione principale di Amazon Echo è quella di sottoscrivere più abbonamenti Prime e vendere di più, non vendere annunci”, ha commentato. Tuttavia, Echo ha stravolto il business della search sia per quanto riguarda la voce, sia per la particolarità delle sue risposte: non c’è spazio, o almeno uno spazio molto limitato, per la pubblicità search a pagamento in un mondo dove una singola voce risponde alle query “.
Anche Jason Hartley, Senior Vice President e National Head of Search e paid search presso l’ agenzia di marketing digitale 360i, ha concordato sul fatto che la sfida di Amazon sia significativa in quanto ha sconvolto il monopolio virtuale di Google sulla search. Mentre Google perde quote di mercato nella ricerca di prodotti, sta anche perdendo le entrate derivanti dagli annunci pubblicitari utilizzati per servire i consumatori che effettuano tali ricerche. Dato che Amazon fa un lavoro migliore di monetizzazione delle proprie ricerche, Google potrebbe vedere ulteriori perdite nel budget dei prodotti di consumo e retail che comandava.
Inoltre, Hartley ha osservato come la pubblicità sia un mezzo per raggiungere un fine per Amazon, ossia vendere più prodotti, mentre per Google la pubblicità sia il fine stesso “poiché, con poche eccezioni, non vende nulla o non fa soldi sui beni a cui indirizza le persone tramite ricerche”.
Allo stesso tempo, Hartley ha osservato come Amazon abbia anche alcune limitazioni – per esempio, se non vende un determinato prodotto, il marchio dietro a quest’ultimo non può pubblicizzare sulla piattaforma. E ci sono anche verticali, come i viaggi, che Amazon probabilmente non toccherà.
In futuro ci sarà molta concorrenza per le ricerche di retail tradizionale e consumer goods (CPG) e Amazon sarà alla pari in termini di volume di ricerca, ma non necessariamente di pubblicità perché, ancora una volta, per Amazon non rappresenta una priorità di reddito quanto vedere i prodotti”, ha aggiunto.
Amazon versus Facebook
Anche Facebook potrebbe perdere quote di mercato a causa di Amazon, sebbene non sia un concorrente diretto in quanto i consumatori utilizzano la piattaforma per diverse ragioni. Facebook potrebbe, tuttavia, essere comunque danneggiato se i budget pubblicitari continuassero a spostarsi su Amazon man mano che la sua offerta di advertising continua a espandersi.
“Fino a quando Amazon non inizierà a competere maggiormente per i media online, non sfiderà direttamente Facebook “, ha commentato Grimm. Amazon fa delle piccole incursioni nel mondo delle piattaforme social con Amazon Video e Amazon Music, ma non ha un social network o un portale di notizie con un’ ampia diffusione “.
L’oligopolio
Hartley ha messo in luce anche la probabilità che Amazon segua un percorso simile a quello di Facebook e Google nella pubblicità digitale.
“Per il prossimo anno, penso che vedremo la maturazione dei prodotti di pubblicità digitale su Amazon, che significherà guadagni precoci per coloro che capiranno come funziona il sistema, seguiti da una rapida ascesa della concorrenza man mano che più player impareranno a sfruttare efficacemente l’opportunità pubblicitaria offerta dalla piattaforma. Anche perché nello spazio sempre più affollato di Internet, diventerà molto più difficile per i brand avere successo e creare ROI “, ha continuato. “Questa è la stessa rotta percorsa da Facebook e Google i primi tempi. Ma con il suo ritmo di crescita Amazon, probabilmente, vivrà altri tre-cinque anni di successo senza dover ancora attuare strategie particolarmente sofisticate”.
Tuttavia, ha anche notato come Amazon sia noto per i suoi rapodi movimenti, dunque, questo periodo di tempo potrebbe essere compresso se Amazon dovesse dare priorità alla pubblicità e lavorare a stretto contatto con i marchi e le agenzie e “condivide i dati più efficacemente”.
Nathan Grimm crede che Amazon possa ritagliarsi “una bella fetta” del mercato degli annunci digitali servendo annunci ai clienti dello shopping.
“Tuttavia, l’awareness e le preferenze dei consumatori sono costruite principalmente altrove, quindi, Amazon dovrà controllare un pezzo molto più grande del tempo dei consumatori prima di rubare una grossa fetta di budget pubblicitari da Facebook e Google”, ha aggiunto. “Lo vedo più che altro diventare un terzo pilastro della pubblicità su Internet, ma non un sostituto di Facebook o Google “.
Infatti, molte aziende stanno investendo nella pubblicità di Amazon dai loro team di shopper marketing o retail e non con i loro budget di marketing. Questo significa che non si tratta necessariamente di sottrarre dollari a Google, ma piuttosto di mettere di più in Amazon.
Via 360com
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