Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
Amazon annuncia oggi che gli Amazon Coins sono ora disponibili anche per i clienti in Italia. Dopo l’annuncio dello “sbarco” della moneta virtuale sui dispositivi Android, riservata agli utenti di Stati Uniti, Germania e Gran Bretagna, è di oggi l’annuncio che sarà possibile acquistare Amazon Coins nel nostro paese con uno sconto fino al 10%. Sarà possibile utilizzarle per acquistare applicazioni, giochi e un’ampia gamma di contenuti in-app dall’App-Shop Amazon su Amazon.it, Kindle Fire e dispositivi Android.
Per “festeggiare” il lancio di Amazon Coins, i possessori di un Kindle Fire registrato su un account Amazon.it alla data di lancio, riceveranno in omaggio, direttamente sul loro account Amazon, 500 Amazon Coins per un valore di 5 euro. “Oggi tutti i possessori di Kindle Fire e tutti i clienti di App-Shop Amazon che scaricheranno l’app gratuita del giorno con l’ultima versione Android di App-Shop, riceveranno Amazon Coins per un valore di 5 euro utilizzabili per l’acquisto di nuove applicazioni e giochi come Cut the Rope 2, Minecraft o QuizDuello.” ha spiegato Mike George, Vice President di App-Shop Amazon and Games. “Continueremo ad aumentare le possibilità di ricevere e utilizzare Amazon Coins su una gamma di contenuti e attività sempre più ampia”.
Le Amazon Coins possono essere utilizzate come opzione di pagamento aggiuntiva per gli acquisti nell’App-Shop Amazon e non sostituiscono i “tradizionali” metodi di pagamento nè le forme di guadagno per gli sviluppatori che utilizzano App-Shop Amazon: essi, si legge in una nota, continueranno a ricevere il 70% dei ricavi sulle vendite, anche in caso di acquisti effettuati con le Amazon Coins.
Al contrario dei bitcoin, moneta digitale crittografata che può essere acquistata con valuta tradizionale sul web ed essere usata per pagare beni di ogni tipo nelle strutture che l’accettano, le Amazon Coins sono regolatie dall’azienda di Seattle, non hanno un sistema di cambio in dollari o euro e non possono essere impiegati in altri esercizi commerciali ma solo all’interno del negozio digitale di Amazon.
Via Tech Economy
Sponsorizzare le proprie attività artistiche, scientifiche, di beneficenza via internet è sempre più comune, anche in Italia. A dimostrazione di ciò c’è la diffusione delle piattaforme di crowdfunding, che nel nostro Paese sono ormai 54, di cui 41 attive e 13 in fase di lancio.
Questi numeri, se confrontati a quelli del web anglosassone, sono ancora piccola cosa, ma il fatto che il mercato del finanziamento popolare via web in Italia abbia raggiunto i 30 milioni di euro è senza dubbio un segnale che la tendenza si sta diffondendo anche nello Stivale e interessa realtà eterogenee.
La vera scommessa, a questo punto, è raccontare e pubblicizzare il fenomeno, così che più persone possano parteciparvi e più progetti possano trarne beneficio. Il sostegno dal basso online potrebbe essere sfruttato al meglio dagli atenei universitari, ad esempio, per progetti di studio e ricerca specifici, seguendo magari logiche social per raccogliere fondi. Il crowdfunding va poi diffuso anche al sud, dove sembra quasi sconosciuto. Un serbatoio che nel mondo raccoglie 5 miliardi di dollari di contribuiti spontanei non può essere ignorato: è una fonte virtuosa di finanziamenti per le idee della rete e non solo.
Via Quo Media
Il mondo del turismo sta vivendo una seconda importante rivoluzione, dopo l’avvento del web e dell’organizzazione fai da te dei viaggi resa possibile da siti come Expedia o Booking.com. Stando a quanto rilevato da Business Insider è lo smartphone a rappresentare l’ulteriore cambiamento, dal momento che in viaggio di lavoro o di piacere ci si rivolge ai propri telefonini per indicazioni, consigli e persino per fare prenotazioni on-the -go.
In un recente rapporto, si evidenzia come l’ adozione a livello mondiale di smartphone, tablet e altri dispositivi sta modificando radicalmente il modo in cui si viaggia – prima, durante e dopo. I player del settore dei viaggi stanno per questo puntando molto sul cellulare come un componente fondamentale delle loro strategie di business e stanno lavorando per rendere i loro prodotti e servizi più friendly verso il mondo della telefonia mobile. Quelli che non si adattano, dice BI, rischiano di diventare “reliquie” di un’epoca passata dominata dal desktop.
Ecco alcuni dei punti chiave del rapporto sul viaggio:
I dispositivi mobili sono compagni ideali per i viaggiatori permettendo loro di accedere a informazioni, servizi e prenotazione durante il viaggio. Entro il 2015, gli smartphone rappresenteranno un quarto delle vendite di viaggi online negli Stati Uniti. I tablet stanno configurandosi come importanti dispositivi per il completamento dell’acquisto online. Su di essi passa il 7% di tutte le prenotazioni di viaggi online a livello globale nel terzo trimestre del 2013. Ci sono notevoli ostacoli da superare prima che il cellulare possa diventare un canale chiave per la ricerca e per gli acquisti legati ai viaggi: bisognerà superare un design non user friendly dei servizi online, aspetto che impedisce gli utenti di completare le operazioni sul cellulare, e la mancanza infrastrutturale di Wi-Fi e di copertura 4G. Compagnie aeree, catene alberghiere e agenzie di viaggio online hanno bisogno di considerare tali nuovi scenari, come sta facendo Airbnb, ad esempio, che già si aspetta che la maggior parte del traffico arriverà da cellulare molto presto. L’ ulteriore prossima frontiera sarà rappresentata da sistemi indossabili e per automobili che rappresentano le piattaforme del futuro. Tanto che ci si aspetta che nuove app collegate al mondo dei viaggi debutteranno a breve sui wearable device, che sono il grande boom del futuro.
Via Tech Economy
La quasi totalità dei ventenni italiani utilizza quotidianamente internet e social network, ma meno della metà si preoccupa della sicurezza dei propri dati e delle informazioni condivise. Il 40%, secondo i dati della ricerca condotta dall’Università di Milano-Bicocca, non utilizza pin di protezione per smartphone e tablet, e non effettua log out per uscire dalle app. Il 20% non effettua una cancellazione sicura dei dati.
Questi comportamenti favoriscono gli hacker e i furti d’identità tramite le intromissioni nei dispositivi mobili connessi alla rete. Ai Millennials, però, interessa poco: sicurezza e nativi digitali non sembrano andare d’accordo, stando al campione di oltre mille studenti di venti università italiane utilizzati come campione per l’indagine.
Nello specifico, il 75% utilizza ogni giorno lo smartphone come strumento di navigazione internet, mentre l’85% lo sfrutta per la messaggistica istantanea, con Skype e WhatsApp tra i servizi più popolari. Solo il 25% degli intervistato usa il cellulare per giocare.
In generale, i giovani utenti hanno una percezione errata delle proprie abilità informatiche e dei pericoli in cui possono incappare navigando senza badare alla sicurezza: si sovrastimano nel primo caso, mentre nel secondo non temono furti d’identità e simili (61% dei casi). Insomma, serve un po’ di educazione alla tecnologia, teorica e comportamentale, anche per coloro che sono nati con l’hi-tech in mano.
Via Quo Media
Che il settore mobile sia diventato il chiodo fisso di Mark Zuckerberg è ormai chiarissimo. Gli assegni miliardari staccati dal Ceo di Facebook per acquistare prima Instagram e poi WhatsApp ne sono la prova più evidente. Come la recente trovata di costringere gli utenti Android a installare Messenger per poter utilizzare i messaggi di Facebook dal proprio smartphone. Immagini, fotoritocco, testo.
Zuckerberg vuole coprire ogni possibilità, senza lasciare spazio a eventuali competitor, in un mercato sempre più esasperato. E in questa sorta di monopolizzazione del settore mobile, c'è ancora un pezzetto del mosaico facebookiano fuori posto: quello dei messaggi che si autodistruggono. Chiariamolo subito: Zuckerberg ci aveva provato con Snapchat, la celebre App che di fatto ha lanciato la moda del messaggio «usa e getta». Ma Evan Spiegel, il ragazzino di Los Angeles che ha inventato Snapchat, rifiutò un assegno da tre miliardi di dollari, balzando agli onori delle cronache (non si sa se per follia o per coraggio...). Tutto ciò accadeva qualche mese fa. Ora Zuckerberg ci riprova, ma stavolta ha deciso di abbandonare la strada del corteggiamento a Snapchat per passare al piano B: attaccare Snapchat e magari sottrargli il mercato. Per farlo, Facebook avrebbe confezionato in casa una App concorrenziale a Snapchat. A riferire l'indiscrezione è il Financial Times. Secondo il quotidiano finanziario l'App studiata dai programmatori di Palo Alto si chiama Slingshot (che in italiano significa "fionda"). Un'applicazione alla quale l'azienda di Zuckerberg starebbe lavorando da ormai qualche mese, e che potrebbe comparire nei vari store già in questo mese di maggio. Non sarebbe casuale, infatti, la rimozione dagli store di due App di casa Facebook, ovvero "Poke" e "Facebook Camera", due applicazioni concorrenti a Snapchat e Instagram. Con la seconda già in mano, e con Slingshot in arrivo, Zuckerberg avrebbe deciso di rimuoverle per rinfrescare il pacchetto App. Slingshot, secondo i primi rumors, dovrebbe permettere di inviare brevi messaggi, foto e video che scompaiono poco dopo essere stati visualizzati dal destinatario. Perché pare essere proprio questa la nuova esigenza dei chattatori da smartphone. E dopo che anche Yahoo! ha virato in questa direzione, con l'acquisto di Blink, Zuckerberg cala l'ennesimo asso. Se Slingshot farà tremare Snapchat, però, è tutto da vedere.
Via IlSole24Ore.com
Facebook sta lavorando per ampliare il suo servizio di video advertising che permette alle imprese di mostrare sul social spot simili a quelli televisivi: secondo quanto riporta in esclusiva Reuters, la novità riguarderà gli utenti del social network in Gran Bretagna, Brasile e altri cinque paesi. L’operazione rinnova l’interesse della compagnia verso lo sviluppo di nuove features per la promozione pubblicitaria che, secondo gli analisti, potrebbero essere in grado di aiutare la società a catturare un’ulteriore fetta di mercato dedicata al brand advertising.
Facebook ha iniziato a vendere questo tipo di annunci negli Usa a marzo di quest’anno solo per un ristretto gruppo di aziende, tra cui la società di assicurazione Progressive Corp e l’emittente televisiva NBC, un’unità della Comcast Corp. Il test ha avuto un riscontro positivo e sarà esteso anche in altri paesi, anche se la cautela nell’estensione dei video promozionali in auto-play è d’obbligo, considerato l’impatto sul pubblico e il giro d’affari.
Facebook, a partire dal prossimo mese, lavorerà con un gruppo limitato di inserzionisti in Francia, Germania , Brasile, Giappone, Canada, Australia e Gran Bretagna. Ogni annuncio dovrà superare un test di controllo di qualità in collaborazione con la società impegna in video analytics Ace Metrix. Da una dichiarazione di un portavoce Facebook a Reuters, la maggior parte degli spot non apparirà sui mercati internazionali fino a settembre, visto che la società sarà impegnata con la sezione marketing al fine di garantire gli standard di qualità richiesti da questo tipo di attività. Le aziende, i cui spot sono ritenuti accettabili, potrebbero però cominciare a vedere in onda su Facebook i video già nel mese di giugno, in tempo per i Mondiali di Calcio.
Le inserzioni pubblicitarie su Facebook sono cresciute dell’82% fino a raggiungere i 2,27 miliardi dollari nel primo trimestre di quest’anno. Il prezzo che le aziende pagano per pubblicare un annuncio video su Facebook è determinato dalla dimensione del pubblico così come viene analizzato dalla società di misurazione Nielsen. I clienti possono scegliere orari specifici della giornata per i loro spot e possono indirizzare gli annunci a seconda dell’età e del sesso del proprio target di riferimento.
Gli annunci video online, che in genere portano ricavi più alti rispetto ad altre forme di annunci online, potrebbero aiutare Facebook a rafforzare le sue entrate sul fronte della pubblicità, soprattutto nei mercati internazionali dove il ricavo medio della società per utente è inferiore rispetto agli Stati Uniti e Canada.
Infatti circa l’84% dei 1,28 miliardi di utenti mensili di Facebook sono al di fuori degli Stati Uniti e del Canada, con 87 milioni di utenti mensili in Brasile e 34 milioni di utenti mensili nel Regno Unito. Gli utenti brasiliani che ogni giorno usano uno smartphone per connettersi a Facebook sono aumentati del 75% arrivando a 35 milioni.
Via Tech Economy
Il servizio di musica in streaming ora ha 40 milioni di utenti attivi, mentre gli ascoltatori stanno creando o aggiornando 5.000.000 nuove playlist ogni giorno.
Spotify ha rivelato di aver raccolto più di 4 milioni di abbonati al suo servizio di streaming musicale nel corso dell'ultimo anno. L'ultima volta che Spotify ha rivelato il numero di utenti a livello mondiale è stato nel marzo 2013. Allora, 6 milioni di utenti erano abbonati al servizio.
Ad oggi, Spotify ha raggiunto ormai i 10 milioni di abbonati paganti in tutto il mondo, con il servizio che copre oggi 56 paesi. In totale, ci sono oltre 40 milioni di utenti attivi su Spotify - questo numero comprende sia gli abbonamenti a pagamento che la fruizione (limitata) gratuita del servizio. Un abbonamento Premium Spotify include l'ascolto senza pubblicità mobile e offline per 9,99 ero al mese, mentre chi non vuole abbonarsi può solo ascoltare alcune radio gratuitamente, non potendo però scegliere la musica che vuole ascoltare.
La crescita del numero di abbonamenti di Spotify è dovuta in parte all'ultima revisione della società delle sue applicazioni mobili, che dalla fine del 2013 consente agli appassionati di musica di ascoltare in streaming tramite l'app per Android e iOS dei brani gratuitamente. E' molto probabile che, dopo un periodo iniziale di ascolto gratuito, in molti decidano di passare alla versione premium per avere accesso al catalogo senza limiti, potendo anche ascoltare in modalità offline i brani sui device mobile. Al momento, Spotify ha dichiarato che il numero di download delle sue app mobili è aumentato di quattro volte da quando sono disponibili.
Spotify ha inoltre stretto accordi di partnership con operatori quali Sprint negli Stati Uniti e Vodafone nel Regno Unito, Italia ed altri paesi, dando la possibilità ai clienti di ciascun vettore la possibilità di combinare con il proprio piano tariffario l'abbonamento premium di Spotify.
"Abbiamo avuto un anno incredibile, passando da 20 a 56 mercati" Daniel Ek, CEO e fondatore di Spotify ha detto in un comunicato. "10 milioni di abbonati è un traguardo importante sia per Spotify che per l'intera industria della musica".
In confronto, il servizio di radio via internet più diffuso negli USA, Pandora, contava 76 milioni di utenti attivi ad aprile 2014. Nel mese di ottobre del 2013, Apple ha detto che 20 milioni di ascoltatori stavano usando il suo iTunes Radio.
Via PianetaCellulare
Questa settimana al New York Times sono accaduti due fatti inattesi: la direttrice Jill Abramson è stata licenziata e un rapporto riservato sul futuro digitale del giornale è filtrato all'esterno. C'è un legame tra i due episodi? Ufficialmente no, ma leggendo le 96 pagine del documento (intitolato: «Innovation») è lecito pensare di sì. Per due motivi. Primo: si tratta di una dura requisitoria contro la cultura conservatrice dei vertici e della redazione. Secondo: il documento è firmato (tra gli altri) da Arthur Gregg Sulzberger, figlio ed erede dell'editore. Non c'è da stupirsi dunque se la Abramson è stata rimossa. Ma il caso supera i confini del Times perché «Innovation» sta facendo il giro del mondo e viene indicato come una pietra miliare nell'impervia e ineluttabile strada verso il giornalismo digitale. Il Rapporto non mette in discussione l'eccellenza della redazione ma la sua capacità di raggiungere il lettore sul web. Il dito è puntato contro una cultura obsoleta che mette al centro il giornale cartaceo, con i giornalisti convinti che il lavoro sia concluso quando un articolo viene mandato in stampa e i vertici che dedicano troppo tempo a definire una prima pagina sempre meno strategica. Infatti i lettori della versione di carta sono ormai una minoranza: 5 milioni contro i 30 milioni del web (negli Usa) e i 20 milioni del mobile. Ma ci sono segnali preoccupanti: i numeri sono in discesa e la home page è frequentata ormai solo da un terzo degli utenti. I lettori che arrivano dai social network (il 30%) non bastano a compensare il calo.
Incredibilmente giornali digitali assai meno prestigiosi fanno meglio del Times. E non solo un sito aggregatore come l'Huffington Post (90 milioni di utenti al mese nel mondo, il doppio del Times), ma anche BuzzFeed (40 milioni), snobbato per il suo giornalismo pop, le liste, le classifiche, le gallerie di immagini. Succede che quando questi siti pubblicano articoli basati sugli scoop del Times, vengono cliccati molto più del sito originario. Perché sul web la strategia di comunicazione vale almeno quanto la qualità dei contenuti. E il numero degli utenti che arrivano a BuzzFeed dai social network è sei volte quello del Times.
L'allarme lanciato dal Rapporto è affilato come una lama: il New York Times, come tutti i giornali tradizionali, è un gigante dai piedi d'argilla. Non solo si stanno moltiplicando i concorrenti digitali (Upworthy, First Look media, Vox...) ma stanno risorgendo antichi rivali come il Washington Post, grazie agli ingenti investimenti di Jeff Bezos, fondatore di Amazon. E poi ci sono i protagonisti di sempre, il Financial Times e il Wall Street Journal, che nei mesi scorsi hanno annunciato la scelta strategica del "Digital First". Che cosa significa?
Il direttore del Financial Times, Lionel Barber, lo scorso ottobre lo ha spiegato così: l'orario di lavoro dei giornalisti viene anticipato; gli articoli vengono pubblicati al più presto sul web (e sul mobile), meglio se nei momenti di picco di lettura; la sera un piccolo team editoriale decide il menu da mandare in edicola, scegliendo tra quanto già pubblicato online. Un completo rovesciamento di prospettiva: il focus non è più sul giornale come manufatto complesso, ma sui singoli articoli, ciascuno dei quali deve essere promosso in modo adeguato. Perché questa svolta? Perché nell'ottobre 2013 gli abbonamenti digitali del Ft già superavano di centomila le copie vendute su carta.
Una strategia analoga è in via di realizzazione al Wall Street Journal dove, al centro della redazione, sono stati collocati gli esperti di social network e analytics (che seguono i flussi del web). Al contrario al New York Times questi tecnici vengono snobbati in nome dell'antica separazione tra redazione e area business. Verrà anche qui il momento del "Digital First"? Certo, ma non oggi, perché il sorpasso del digitale non c'è ancora stato: gli abbonati alla versione cartacea sono 1,25 milioni, quelli digitali 760mila. Traducendo in fatturato, la carta fornisce il 75% del fatturato pubblicitario (497 milioni su 667) e l'82% di quello da abbonamenti (674 milioni su 824). Ma il tempo stringe, le abitudini dei lettori cambiano in fretta e i concorrenti sono più avanti.
La parola chiave è "sperimentare". Senza troppa paura di sbagliare. Tra le richieste contenute nel Rapporto, la più eversiva è forse quella di far sedere allo stesso tavolo tecnologi e giornalisti. Perché il giornalismo – ormai è chiaro – è diventato una professione tecnologica.
Via IlSole24Ore.com
Di Admin (del 27/05/2014 @ 07:40:00, in Retail, linkato 1804 volte)
Se è ormai evidente che i nuovi canali e servizi digitali (eCommerce, Mobile, ecc.) costituiscono un’opportunità per tutti i settori per gestire in maniera innovativa ed evoluta la relazione con i propri consumatori, non a tutti è chiaro che in alcuni ambiti specifici essi rischiano di avere effetti disruptive se non vengono adeguatamente gestiti e integrati nelle strategie e nei processi aziendali. Basti pensare, ad esempio, alla disintermediazione dei canali di vendita fisici con l’eCommerce oppure alla nascita di nuovi servizi in competizione con quelli tradizionali, come sta accadendo con i nuovi servizi di car sharing gestiti dal consumatore mediante un’applicazione su smartphone.
Uno dei settori fortemente impattati dalla rivoluzione digitale e mobile è il mondo retail, che si divide tra ambiti in cui tali rischi sono già un’evidenza percepita (ad esempio l’elettronica e il fashion) e altri in cui non è ancora del tutto chiaro quali siano le opportunità e quali le minacce (ad esempio il grocery).
Non sono gli accademici o i tecnofan a dirlo, ma il consumatore medio, quello che incontriamo per strada tutti i giorni. Una ricerca del nostro Osservatorio sul Mobile Marketing & Service rivela, infatti, che il 60% circa degli utilizzatori di smartphone fa uso del proprio cellulare nelle fasi di ricerca e di scelta del prodotto da acquistare: raccoglie informazioni sul prodotto, legge recensioni online, confronta prezzi, cerca promozioni, cerca informazioni sui punti vendita.
Non solo: l’utilizzo dello smartphone è già alto anche mentre si è dentro il punto vendita. Capita di usarlo al 90% degli utenti, ma quasi il 40% lo utilizza già sempre o spesso, soprattutto per confrontare i prezzi. D’altro canto esistono applicazioni (ad esempio quella di Amazon per citarne una) che incentivano proprio il confronto prezzi con una semplice scansione del bar code del prodotto.
Come trasformare la potenziale minaccia in opportunità per un retailer tradizionale?Facendo leva sui propri asset, in primis proprio i punti vendita sul territorio. Le nuove tecnologie consentono, infatti, di trasformare la customer experience dentro e fuori i negozi. Vediamo alcuni esempi. Lo smartphone, sempre presente nelle tasche dei consumatori, può consentire di intercettare l’utente mentre si trova nei pressi del punto vendita e stimolarlo ad entrare: sono già diverse le Applicazioni di invio coupon geo-localizzati, che mettono a disposizione questi servizi anche per i piccoli esercenti. Tramite i nuovi device l’utente non solo può ricevere coupon, ma può anche scegliere autonomamente le proprie promozioni (Esselunga lo dimostra). E sfruttando i tempi morti della giornata il consumatore può ordinare dallo smartphone o dal Tablet la propria spesa quotidiana e scegliere l’orario in cui andare a ritirarla nel negozio sotto casa (a Milano da Carrefour è già realtà).
E quando l’utente è già dentro il punto vendita? Le opportunità sono innumerevoli, alcune già concrete, altre in divenire. La possibilità di localizzare l’utente indoor e di fornirgli comunicazioni e promozioni mirate; l’opportunità di utilizzare lo smartphone come strumento di self-scanning e self-checkout per i punti vendita non dotati di sistemi di questo tipo; l’opportunità di ridurre lo stock in magazzino ipotizzando di ordinare online la taglia o il colore mancante; la possibilità di dare al cliente maggiori informazioni sui prodotti e/o fargli vivere esperienze multimediali ingaggianti tramite iniziative di realtà aumentata o digital signage (ad esempio, mettere a disposizione assistenti virtuali, fornire proposte di abbinamento di abiti, dare informazioni sulla tracciabilità dei prodotti); la possibilità di monitorare, tramite sensori e tecnologie di eye tracking, i “punti caldi” di attenzione e sosta dei consumatori tra gli scaffali.
Qual è l’ingrediente fondamentale per passare dalla teoria ai fatti? Un cambiamento culturale e organizzativo importante, che passi da un forte commitment da parte del top management aziendale e che introduca in azienda nuove competenze specialistiche e relazioni più intense tra le diverse funzioni aziendali (Marketing, IT e Store Management in particolare). A cui si aggiunge la consapevolezza che il rischio di invasività è dietro l’angolo: occorre, dunque, ripensare anche i propri sistemi di CRM andando, da un lato, ad immagazzinare la grandissima mole di dati (big data) che i nuovi canali digitali consentono di raccogliere e, dall’altro, a profilare i propri consumatori in maniera più accurata ed evoluta.
Via Agenda Digitale
Il verdetto della rete internet sui brand dell’Automotive non lascia scampo. E’ il marchio Fiat il più discusso in assoluto, una supremazia che si esplica anche su Twitter con il profilo dell’azienda guidata da Marchionne primo per numero di follower. Se dai brand passiamo ai modelli, la musica non cambia, l’antica e immarcescibile Alfa Romeo Giulietta non conosce rivali sul web, mentre su Facebook la pagina che performa meglio porta la firma di Audi Italia. E sempre su Twitter va segnalata l’impresa di Peugeot Italia, primo per interazioni ricevute. Il marchio Fiat è quindi al centro delle discussioni degli utenti online, ma non sempre le citazioni le sono favorevoli. Sotto questo aspetto i brand più apprezzati sono quelli asiatici, Hyundai e Kia. Sono queste le evidenze più significative che emergono dall’indagine firmata da Blogmeter attraverso la piattaforma proprietaria Online Reputation.
L’indagine, che ha preso in considerazione i primi tre mesi del 2014, ha analizzato le discussioni online su 40 brand, 350 modelli e 11 tematiche legate al mondo dell’automotive, per un totale di oltre 950 mila messaggi pubblicati su più di 6.600 fonti tra social network, forum, blog, siti di news, ecc. Tramite il motore proprietario di analisi semantica (Text Mining) di cui sono provviste le piattaforme Blogmeter, sono state individuate oltre 300 mila espressioni di sentiment, positive o negative, legate ad un brand o ad un modello oggetto dell’analisi. Inoltre, grazie alla piattaforma proprietaria Social Analytics sono stati analizzati 65 profili social (pagine Facebook o profili Twitter) gestiti dai brand, per un totale di oltre 2 milioni e 700 mila interazioni tra like, post, commenti, condivisioni, tweet, retweet, favorite e follow. E’ interessante notare che il 50% del buzz complessivo legato al settore proviene dai social network, il 34% dai forum (qui si concentrano maggiormente le discussioni a carattere tecnico), mentre i blog producono più contenuti rispetto ai siti di news (oltre il 6% delle discussioni complessive), ma questi ultimi raccolgono più commenti (in media un post su un sito di news viene commentato 5 volte di più rispetto ad un blog).
Come anticipato all’inizio, Fiat si laurea come il brand più discusso in assoluto con quasi 190 mila citazioni nel trimestre. La maggior parte dei messaggi (circa il 70%) hanno riguardato temi corporate, primo fra tutti la fusione con l’americana Chrysler che ha portato alla nascita di un nuovo gruppo, la Fiat Chrysler Automobiles, settimo produttore mondiale di automobili. Ma proprio questa importante operazione ha diviso gli utenti italiani della rete: in particolare hanno suscitato una certa criticità la dismissione, da parte di Fiat, della catena produttiva italiana e il cambio della sede legale e fiscale, due aspetti che alla fine hanno portato la Casa del Lingotto a diventare il brand meno apprezzato del campione con il 52% delle espressioni di sentiment negative. Il secondo brand automotive più discusso in Italia, con oltre 73 mila citazioni, è BMW, mentre al terzo posto, con 66 mila citazioni, troviamo Volkswagen. I brand più apprezzati sono però quelli coreani: Hyundai, con il 77% di opinioni positive e Kia con il 73%. Ambedue sono apprezzati per la garanzia di 5 e 7 anni, il favorevole rapporto tra qualità e prezzo e il design sportivo dei SUV.
Per quanto riguarda invece il modello più discusso in assoluto, l’Alfa Romeo Giulietta si impone con oltre 24 mila citazioni, seguita dalla Volkswagen Golf a quota 20 mila e dalla Fiat 500 con 19 mila citazioni; mentre quelli più apprezzati sono due nuovi modelli prodotti da Peugeot e Nissan, rispettivamente la 308 (con il 74% di opinioni positive) e la Qashqai (69% di sentiment positivo). Su Facebook è la pagina di Audi Italia quella che performa meglio grazie al seguito maggiore dell’intero panel (circa 850 mila fan) e con il maggior numero di interazioni ricevute nel periodo di analisi: oltre 400 mila. Citroen Italia si posiziona al secondo posto sia per engagement (più di 182 mila interazioni complessive nel trimestre) che per numero di fan (768 mila), ed è anche la pagina che ha pubblicato più contenuti (589 post nei tre mesi). Volkswagen Italia è invece la pagina che cresce di più con oltre 82 mila fan acquisiti nel trimestre esaminato e anche quella che produce i post più engaging del periodo.
Su Twitter infine, ritroviamo ancora il brand Fiat, il cui profilo registra più follower in assoluto (oltre 48 mila), ma va specificato che è l’unico del panel ad essere internazionale in quanto viene gestito in doppia lingua (italiano/inglese). Se invece cerchiamo il profilo italiano più seguito in assoluto il palmares va attribuito a quello di Seat Italia con oltre 22 mila follower, mentre sul versante engaging svetta Peugeot Italia con più di 5.200 interazioni ricevute tra citazioni spontanee, retweet, reply e favorite. I due tweet più engaging del periodo sono stati però pubblicati da Renault Italia, il brand più loquace dell’intero panel con 748 tweet pubblicati nel periodo d’analisi.
Via Spot and Web
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