Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
Nielsen, la nota società di ricerca e misurazione delle audience, scommette sulla SocialTv, uno dei settori più promettenti del momento.
NM Incite, una joint venture tra Nielsen e McKinsey pensata per l’analisi e la ricerca nel campo dei social media, ha infatti annunciato l’acquisizione di SocialGuide, una startup newyorkese attiva nel settore della social tv. La startup, almeno stando alle dichiarazioni, analizzerebbe i dati provenienti dai social media per più di 30mila programmi TV trasmessi su 232 canali TV USA.
L’acquisizione di Social Guide non sorprende, visto che proprio Nielsen sostiene che il 50% delle audience televisive Nord Americane interagisce online tramite social media mentre guarda la TV.
Nielsen sembra intenzionata ad utilizzare i dati della startup velocemente per misurare il valore economico della social TV e per “quantificare la relazione tra social TV e Tv rating al fine di permettere agli inserzionisti pubblicitari di massimizzare l’impatto dei propri investimenti, e fornire nuove metriche in grado di illustrare l’impatto della social TV sui comportamenti dei consumatori e sull’abitudini di visione”.
Steve Hasker, responsabile globale media product e advertising solution di Nielsen, spiega: “La rapida adozione e l’uso dei social media da parte dei consumatori sta trasformando l’esperienza di visione televisiva in qualcosa di più immediato e condiviso.” I canali televisivi, difronte a queste trasformazioni, hanno bisogno di strumenti per comprendere “l’impatto dei social TV sulla loro programmazione, rating e sull’efficacia della pubblicità.”
Via Tech Economy
Ci sono temi nell’ambito del digitale che dovrebbero essere ormai assodati e invece restano sempre di attualità, uno di questi è il fatto che a ogni mezzo corrispondono contenuti, fini e strategie diverse. O meglio, corrisponderebbero.
Ne ho già scritto in passato: oggi ormai abbiamo sempre più strumenti a disposizione, sempre più potenti, sempre più complessi ma ci sfugge spesso il modo corretto di utilizzarli e, soprattutto, quali siano i contenuti più idonei, non in assoluto ma rispetto all’obiettivo che ci prefiggiamo.
Questo problema deriva a mio avviso da divesi aspetti, primo fra tutti la scarsa conoscenza delle tecnologie e delle loro potenzialità, dato che un mezzo piuttosto che un altro viene scelto per moda e perché “non si può fare a meno di esserci”, invece di esere valutato secondo l’approccio POST di cui tante volte ho parlato.
In secondo luogo poi concepiamo spesso degli aspetti grafici ed estetici come unico e solo metro di giudizio, mentre nell’ambito digitale la “bellezza” è tale e apprezzabile se funzionale e inserita in contesto per cui dà un’esperienza gratificante e soddisfa i bisogni di chi la utilizza.
Banalmente, e solo per fare un esempio, una splendida foto con una modella che indossa un capo è perfetta per trasmettere emozione e posizionamento ma lo è molto meno se lo scopo per cui la uso è quello di far comprare un capo che in quello scatto si intravede appena, in tal caso la soluzione probabilmente è un’immagine più semplice ma più chiara ed esplicativa. Inoltre, il sempre più massiccio utilizzo di immagini generate dagli utenti fa sì che prima della qualità intrinseca venga il coinvolgimento dato dalla rete sociale entro cui il contenuto viene vissuto.
Ancora, oggi più che mai un’esperienza digitale di un brand non può essere più concepita come separata da quella nel mondo fisico e, cosa ancora peggiore, non può non essere fluida e coerente attraverso diversi dispositivi come pc, tablet e smartphone, tanto per citare i più comuni.
Una coerenza che richiede di mettere al centro la progettazione del contenuto liberandolo dai vincoli imposti da altri media per pensarlo invece con una logica ad hoc che diventa “bella” e realmente entusiamante per il cliente solo quando ciò che proponiamo viene visto nel tipo di schermo e per il tipo di scopo per cui è stato progettato.
Content Marketing Maturity Model. Fonte: http://www.briansolis.com/2012/02/report-content-and-the-new-marketing-equation/
Molto importante diventa dunque anche la gestione strutturata dei nostri asset digitali, il cui ciclo di vita deve essere governato e la cui reperibilità deve poter essere immediata e completa, per dare la possibilità di accedere per ogni contenuto a tutto il materiale disponibile, sia esso di grande livello emotivo oppure estremamente funzionale.
Infine, social network come Pinterest o applicazioni come Flipboard, che utilizzano i contenuti già esistenti in altre forme ma con una modalità di fruizione che li rende completamente diversi in termini di esperienza, rafforzano affermazioni come quella che ogni azienda è una media company ed evidenziano come sia l’uso e il contesto a dare valore a un’immagine o a un testo, anche al di là del nostro diretto controllo.
Come vedete il tema va oltre una valutazione estetica fine a se stessa. Ma quanti lo hanno già capito?
Gianluigi Zarantonello via Internet Manager Blog
Facebook conta circa 1 miliardo di utenti, 80 milioni di questi fasulli. Molti di questi sfruttano dati di profili ‘veri’, rubando in sostanza l’identità digitale di persone reali: data di nascita, hobby, lavoro, luoghi visitati, fotografie.
I furti d’identità online sono sempre più frequenti, i vertici del social network lo sanno, ma le misure restrittive e i controlli sono sporadici. Spesso lo scopo finale è quello di catturare informazioni e contatti a fini pubblicitari, qualche volta si tratta di semplice hackeraggio dilettante, altre ancora c’è una vera e propria attività di stalking.
Facebook ammette il problema ma fa poco o nulla per arginarlo. Intanto, i doppi profili e i falsi account proliferano, rendendo il mondo virtuale ancora più confusionario di quello reale.
Via Quo Media
Smartphone e tablet sono le nuove vie di rifornimento per l’e-commerce mondiale. Lo dice una ricerca di Monetate svolta nel corso del trimestre estivo, secondo cui il traffico dai dispositivi di ultima generazione verso i negozi online è aumentato dell’11% tra luglio e settembre.
Nel complesso, l’accoppiata smartphone-tablet porta ora il 18,4% degli utenti ai siti come Amzon e eBay. La connettività perenne di questi dispositivi agevola certamente gli acquisti via web, in mobilità e senza ostacoli di sorta.
Gli utenti sono sempre più attenti alle offerte (ricevute via e-mail o attraverso siti visitati in rete) e con cellulari e tablet di ultima generazione possono trovare in diretta i prezzi migliori e completare lo shopping velocemente, ovunque si trovino.
Via Quo Media
Mi occupo di strategia e marketing digitale ormai da 12 anni e spesso mi trovo a riflettere sull’evoluzione tumultuosa e complessa del settore avvenuta in questo tutto sommato breve periodo. Nel dire questo mi riferisco indubbiamente al progresso della tecnologia (social, mobile, di publishing e via elencando) ma ancora di più al modo in cui si stanno modificando ruoli organizzativi e professioni.
12 anni fa quasi nessuna azienda italiana avrebbe pensato di annoverare fra le sue fila un responsabile del marketing digitale, 6 anni fa il dipartimento it non si sarebbe trovato spesso in concorrenza con lui e ancora 3-4 anni fa nessuno avrebbe strutturato dei team (interni o in outsourcing) per il presidio dei social media. E sono solo alcuni dei possibili esempi.
Immagine tratta da http://www.eysinksmeets.com
Il mondo infatti si è profondamente digitalizzato con un processo graduale di cui l’enfasi mediatica degli ultimi anni evidenzia solo la punta dell’icerberg, fatta di social media e telefonini.
Il vero cambio di direzione però sta avvenendo nel modo in cui le persone usano le tecnologie, anche presistenti, e sull’impatto sociale, organizzativo e di competenze che tutto questo comporta.
Come ho già scritto tante volte infatti la differenza fra tangibile e virtuale ormai sta perdendo sempre più di significato, e anche se le persone non ne hanno ancora piena consapevolezza già oggi il passare da un ambiente fisico a uno o più device e viceversa è un processo naturale e senza soluzione di continuità.
Immagine tratta da http://blog.inner-active.com/
Di conseguenza anche la netta separazione di conoscenze fra chi si occupa più prettamente di tecnologia e chi invece in azienda si interessa di marketing, commerciale, strategia etc. sembra un retaggio poco credibile, perché a entrambe le parti sono richieste sempre più ibridazioni.
Se ci mettiamo in questa prospettiva allora diventa davvero chiaro come il mezzo tecnologico scelto sia solo un di cui della strategia che abbiamo in mente e venga scelto come conseguenza e non premessa. Molti editori ad esempio stanno capendo che il loro business è il contenuto che producono, non la carta che stampano, mentre altri grandi, come Blockbuster, non hanno saputo vedere questo aspetto e per questo hanno patito dei colpi tremendi e spesso mortali.
Ancora, grandissimi player dell’online, come Google, scrivono nei loro report che il grande goal del digitale è l’influenza sui comportamenti e sulle vendite offline, mentre la guerra per lo sviluppo di ecosistemi fatti di hardware, software e app store è il centro della competizione fra Apple, la stessa Google, Amazon, Microsoft e molti altri.
Si potrebbe obiettare che si tratta di pure player tecnologici che si stanno allargando, ma allora che dire di casi come Walmart Lab, in cui Il più grande retailer del mondo sta costruendo un laboratorio su questi temi, o degli investimenti in multichannel retail di altri colossi come Tesco o Mark & Spencer?
A mio avviso dunque gli strumenti digitali sono già oggi una leva cruciale per qualsiasi tipo di azienda ma non possono essere più visti come un’entità separata e figure come i chief marketing tecnology officer, in crescita ovunque seppure con job description variegate, potrebbero essere un esempio dei ruoli chiave del futuro, perché non sono al servizio della tecnologia ma del business, che aiutano anche con i nuovi media.
Se l’obiettivo non è chiaro invece non si possono porre le corrette fondamenta e qualsiasi investimento, quale che sia la sua portata, è destinato al fallimento.
Certo che oggi, con la persistente difficoltà di incontro e dialogo fra le diverse figure, tutto sembra lontano. Ma io lo trovo inevitabile. E voi?
Gianluigi Zarantonello via Internet Manager Blog
Amazon lancia un nuovo servizio per brand e aziende. La compagnia, sulla scia del successo di simili iniziative nei social media, ha introdotto le Amazon Pages, un servizio molto simile alle brand page di Facebook ma con la marcia in più dell’integrazione completa nei servizi della popolare piattaforma di e-commerce.
Le pagine dovrebbero servire come strumento di marketing e relazione con i consumatori, “una destinazione personalizzata” all’interno del sito di e-commerce (www.amazon.com/brandname).
La possibilità di inserire post e integrarli facilmente in Facebook fa leva, inoltre, sulla tendenza emergente del social commerce. La forte focalizzazione sull’immagini sembra tentare di replicare il successo di social visivi come Pinterest, legandolo strettamente ad obiettivi di vendita grazie all’“Add to Cart” integrato nelle rappresentazioni dei prodotti delle aziende. Gli strumenti analitici permettono poi di misurare i risultati raggiunti.
Amazon permetteva già ad alcuni brand come Levi’s e Sony di gestire un proprio Brand Stores all’interno del proprio sito. Le pagine, quindi, a maggior ragione sembrano aver maggiormente come scopo la comunicazione, per quanto strettamente connessa alla distribuzione-vendita, e l’interazione con i consumatori. E, probabilmente, tentano di impedire l’emersione di forti concorrenti nel mercato dell’e-commerce, provenienti dal campo variegato dei social media. L’emersione del social commerce potrebbe, infatti, creare grosse opportunità per servizi come Pinterest, The Fancy, o addirittura Facebook. Amazon tenta di restringere, probabilmente, queste possibilità offrendo ai brand la possibilità di inserire contenuti e di stimolare dinamiche social.
Via Tech Economy
Da due settimane è online il sito di PitstopAdvisor che permette di trovare officine di auto e moto sull’intero territorio nazionale, e dove gli utenti sono parte attiva del sistema analizzando o redigendo recensioni sui singoli punti vendita.
La piattaforma di PitstopAdvisor presenta dinamiche nei servizi e nella partecipazione degli utenti, che ricalcano per certi versi quelli di TripAdvisor, il più noto dei portali “social” per il turismo; ma nel caso di PitstopAdvisor l’idea è tutta italiana. Il progetto è nato dall’idea di Elena Giaveri, laureata in moda all’Istituto Europeo di Design, assieme all’amica Graziella Carta, laureata in economia all’Università di Milano-Bicocca; arrivando a realizzare un sito web ispirato proprio alle bacheche dove vengono pubblicate le recensioni degli alberghi.
In cinque mesi il progetto è arrivato in Rete affidando l’idea originaria e la struttura di base del sito a una agenzia di comunicazione che ne ha curato il lancio. Il costo finora del progetto è stato di solo 10mila euro, come per ogni startup che si rispetti, ma le due fondatrici puntano già al lancio di un’applicazione software per sistema iOS, per arrivare ad una community simile alla straniera Repair Pal.
Tra le caratteristiche principali del sito, c’è la possibilità di ricercare l’officina o il rivenditore più vicino (inserendo cap o nome di una città) con la relativa valutazione, e la ricerca può avvenire sia per marca dei prodotti che per area geografica (Regioni, Provincie e Comuni). In alternativa si può utilizzare la mappa per zoom successivi, e gli utenti possono poi aggiungere recensioni, commenti e assegnare un voto (da una a cinque “chiavi inglesi”); contribuendo così a stilare una serie di classifiche costruite su differenti criteri come: qualità, risparmio, efficienza e competenza. In fne, si sta puntando a sviluppare una intera community che supporti con costanza i trend di crescita del sito.
Via Tech Economy
Meno anarchia e più precisione, così comincia la nuova stagione di Twitter, che per aggiornarsi e proporsi come social network sempre più professionale ha deciso di riscrivere alcuni passaggi del proprio regolamento. Tra questi, quello che definisce la ‘proprietà’ dei messaggi. Il micro-blog, al punto 5 dei termini del servizio, ribadisce la propria libertà di utilizzo dei tweet scritti dagli utenti.
La questione è delicata e la prolissità con cui il fondatore Jack Dorsey spiega le nuove norme è eloquente: serve più ordine per rendere Twitter profittevole: “Twitter dispone di un insieme di regole in continuo aggiornamento che definiscono il modo in cui l'ecosistema dei propri partner possa interagire con i contenuti dell'utente. Ciò che è dell'utente resta dell'utente”, dicono dalla compagnia, ma in sostanza nessun ‘proprietario’ può bloccare l’uso dei tweet da parte del social network, anche per scopi commerciali.
I messaggi diventano sempre più crogiolo di informazioni (ri)vendibili, tanto che Twitter sta progettando un archivio storico ti tutto il twittato, così da definire meglio trend e argomenti più dibattuti (e, ancora, monetizzare queste ricerche). Il problema della proprietà e del riutilizzo dei contenuti è già stato affrontato da Facebook e YouTube: la net economy nasce come divertimento, cresce diventando un fenomeno e finisce per divenire un’impresa adulta. Poi, o arrivano introiti veri, oppure ci si spegne. E’ il mercato (web), bellezza.
Via Quo Media
L’11% dei consumatori digitali italiani (1.5 milioni), addirittura, pianifica di utilizzare soltanto, o almeno preferenzialmente, la rete per gli acquisti di Natale.
Dato positivo anche per quanto riguarda il volume: il 34.5% dei consumatori digitali dichiara che acquisterà più regali dell’anno scorso anche se il 24.1% ne effettuerà di meno. Gli utenti italiani sembrasi sentano più sicuri rispetto agli acquisti online. Si riducono, infatti, gli indecisi, dal 41.6% nel 2011 al 24.1% nel 2012.
Roberto Liscia, presidente di Netcomm, commenta i risultati dichiarando: “In uno scenario economico stagnante, il 2012 si è caratterizzato come un anno di forte crescita dell’e-commerce … Per avere un’idea del mercato di riferimento basti pensare che in Italia gli utenti Internet attivi hanno superato la quota dei 28 milioni. Tra questi, il 42% – 12 milioni di individui – ha fatto un acquisto online almeno 1 volta negli ultimi 3 mesi e il loro numero è aumentato del 25% rispetto allo scorso anno… La crescita di acquirenti si riflette anche nei volumi di vendita che quest’anno dovrebbero ampiamente superare i 10 miliardi di euro: secondo l’Osservatorio CartaSì la crescita del valore delle transazioni online nel 2012 è superiore di oltre il 15% rispetto all’anno scorso”.
Via Tech Economy
L’Apple Store genera un fatturato molto maggiore ma Google Play crescerebbe molto più velocemente. Questi i dati di un report della società di ricerca App Annie Intelligence, immediatamente contestato dalla azienda di Cupertino.
Lo store digitale di Apple generebbe un volume di fatturato 4 volte superiore a quello del concorrente, ma non avrebbe un tasso di crescita molto forte (+12.9% annuale nel 2012); mentre il rivale Google Play sarebbe in fase di forte espansione (+311%).
La tendenza sarebbe simile anche se si guarda al numero di app scaricate. Apple, al momento, sarebbe ancora in vantaggio (10% in più di download), ma Google crescerebbe più rapidamente. Il download di app Android sarebbe, infatti, incrementato del 48%; contro il 3.3% registrato per la piattaforma rivale.
Bertrand Schmitt, CEO di App Annie, spiega: il “divario tra i ricavi globali tra iOS e Google Play è ancora lì, ma il divario si sta restringendo ogni mese, creando maggiori opportunità per gli editori di generare una crescita significativa delle entrate in diversi paesi su Google Play .”
I fatturati delle due piattaforme arrivano, infatti, da paesi diversi; riflettendo una diversa distribuzione dei device e abitudini differenti di consumo.
Apple ha però contestato i dati della società di ricerca sostenendo che la crescita è stata ben più sostenuta e pari al 200% in un anno. Venturebeat, dopo essere stato contattato dalla compagnai californiana, ha fatto qualche calcolo, basandosi sui dati rilasciati dalla società sui pagamenti agli sviluppatori. La progressione storica sembra realmente indicare una crescita maggiore.
Via Tech Economy
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