Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
Per la pubblicità, nel suo insieme, non è certo un momento di vacche grasse. Basta guardare gli ultimi dati resi noti da Nielsen Media Research, relativi al periodo gennaio-maggio 2009, per averne conferma: flessione del 16,5% rispetto al 2008 per un giro d'affari complessivo di poco meno di 3,8 miliardi di euro. Il conteggio comprende vecchi e nuovi media (Tv, carta stampata, radio, cinema, affissioni, Internet e pure Transit, la pubblicità su metropolitane, aeroporti, autobus e tram) e ribadisce una tendenza in atto già dal secondo semestre dell'anno scorso. Le aziende stanno spendendo meno in campagne pubblicitarie – il discorso vale anche per la maggior parte dei cosiddetti "big spender", con in testa Wind, Unilever, Vodafone, Ferrero e Volkswagen – e il solo mezzo che dimostra di essere in attivo è il Web, che segna un incremento nei primi cinque mesi del 7,8%. Per Tv e stampa il bilancio è in profondo rosso: -14,8% di entrate per il piccolo schermo (il dato comprende sia i canali generalisti che quelli a pagamento) e -25,1% per quotidiani e periodici.
Il problema (per gli editori soprattutto) è stringente e torna più che mai d'attualità il tema del cambiamento del "media mix", ossia della diversa distribuzione della spesa in pubblicità sui vari canali di comunicazione. Fra le domande che ricorrono da tempo fra gli operatori del settore ve sono almeno un paio che riguardano la decantata convergenza fra Tv e Internet: il Web sta assorbendo parte dei budget destinati agli spot televisivi o si aggiunge a questi come voce strategica della pianificazione pubblicitaria? È una vetrina che si presta a "replicare" gli spot trasmessi sul piccolo schermo o richiede il confezionamento di campagne mirate? Difficile dare risposte precise per un semplice motivo: l'advertising on line è ancora un mercato giovane, in fortissima evoluzione e in cerca di un suo spazio strutturato all'interno del sistema pubblicitario italiano, dove la Tv fa sempre la parte del leone anche in tempi di crisi (i grandi investitori destinano mediamente il 90% del loro budget a questo media) e dove le concessionarie di pubblicità hanno di fatto in mano il pallino delle operazioni nel gestire gli investimenti delle aziende.
Del rapporto fra Tv e Internet in chiave pubblicitaria se n'è parlato anche di recente alla tappa romana dello Iab Forum (a metà luglio) e in argomento si sono espressi, anche con vedute contrapposte, vari addetti ai lavori. Il Sole24ore.com ha raccolto tali testimonianze a cominciare da quella di Andrew Frank, Vice President Research's Media Team della società di ricerca Gartner, secondo cui "il Web è ancora in silos del marketing mix strategico degli investitori ma presto contaminerà non solo il pc ma tutti i dispostivi digitali presenti in casa: la TV, il telefonino, la console di gioco. L'advertising digitale – ha detto ancora Frank - è una materia complessa e richiede un mix di tecnologia, creatività e capacità analitiche. Gli operatori del settore devono evolvere, le competenze devono essere organizzate, le dinamiche dell'utenza essere adeguatamente monitorate".
Layla Pavone, presidente di Iab Italia, ha un'idea ben precisa del matrimonio fra Web e Tv a livello di spot: "per pensarli in modo integrato come canale di sbocco di una campagna pubblicitaria serve una strategia di comunicazione a monte, perché la relazione con gli utenti dei due media è diversa: lo spot televisivo è emozionale, è un elemento distintivo ed attrattivo, la Rete può proseguire l'azione sul consumatore in termini di awarness del marchio e non solo". A detta di Giovanna Maggioni, Direttore Generale di Upa (Utenti Pubblicità Associati), "Internet sta entrando solo ora nel marketing mix strategico delle aziende. Alcune aziende di alcuni settori lo hanno già fatto, togliendolo dalla pianificazione sulla carta stampata. Chi invece investe generalmente sulla Tv ha destinato al Web una porzione limitata dei budget ma è anche vero che grandi spender tradizionali come le aziende dei beni di largo consumo stanno iniziando a testare il nuovo media. È sicuramente arrivato il momento di spiegare alle aziende il vero valore del mezzo, le sue potenzialità, le sue prerogative rispetto a quelle dei media tradizionali. Creando metriche e modelli ad hoc".
Dal lato operatori, fa fede la riflessione di Carlo Poss, Presidente di Fcp-Assointernet (l'associazione che raggruppa le concessionarie e i gestori diretti di vendita di spazi pubblicitari): "Se la stragrande maggioranza delle aziende si dicono soddisfatte di quello che stanno facendo su Internet e una buona parte dicono di voler crescere gli investimenti pubblicitari in Rete la credibilità del mezzo si commenta da sé. Il Web è interattivo come nessun altro media: si può portare l'utente Internet dove si vuole attraverso tutti gli strumenti a disposizione e anche per questo la dimensione del Web advertising in Italia dovrebbe già essere tre volte tanto il suo valore". Perché in Italia c'è ancora tutta questa reticenza verso il mezzo, perché le aziende della stessa categoria merceologica investono molto di più sul Web in altri Paesi? Secondo Poss "è un problema di sistema Paese" mentre per Paola Marazzini, Agency Head di Google Italia, "gli investitori sono lenti nel recepire le potenzialità del mezzo Internet perché ancora non hanno ancora la consapevolezza di quanto sia integrato il Web nelle logiche di comunicazione e marketing. C'è una fortissima relazione fra i due mondi, Web e Tv, ed è solo questione di fare proprio il concetto". Ma quali sono le sinergie fra video advertising e Tv? "Gli utenti che fruiscono dei due media – completa così il concetto Magazzini – recepiscono il messaggio pubblicitario e il brand più in dettaglio e in modo più pervasivo, con una maggiore "intention to buy": il Web sottintende un approccio "pull" del consumatore verso la campagna mentre la Tv fa leva sul modello "push" e fa da volano, da stimolatore, a quanto si può approfondire sul Web. Che i due media siano sinergici è indubbio".
Un editore che sulla convergenza Web e Tv dichiara di scommettere e parecchio è Mediaset. Per Yves Confalonieri, Vice Presidente di Digitalia 08', la concessionaria che vende gli spazi dei siti e dei canali del digitale terrestre della società di Cologno Monzese. "Sposare la Tv con il Web si può con un approccio video centrico: il meglio dei contenuti televisivi va in diretta sulla Rete. Siamo all'inizio e i numeri sono ancora piccoli ma dal lato utente ci sono le risposte al tentativo di offrire contenuti in modo convergente e dal lato pubblicitario lo sforzo è quello di proporre formati che vanno oltre il display advertising, dedicando spazi su misura agli sponsor. Diventa fondamentale far coincidere la pianificazione pubblicitaria fra Web e TV e in quest'ottica l'importanza di Internet va valutata anche sotto il profilo della sua indubbia capacità di fare brand awarness". I presupposti per realizzare il matrimonio fra i due mezzi, sulla carta, non mancano ed è fuori dubbio che Internet sia il media più usato nel corso della giornata e quello con una reach più vicina a quella televisiva. Che siano due canali pubblicitari complementari, in attesa di essere del tutto convergenti, è altresì inopinabile: affermare che lo spot televisivo può traslocare con successo anche sul Web è invece forse prematuro. A meno che la tecnologia non ovvi ai limiti "imposti" da logiche commerciali spesso ancorate a vecchi modelli.
di Gianni Rusconi su ILSOLE24ORE.COM
Pagare le news su Internet, alla stessa stregua di come si scaricano legalmente le canzoni? La possibile risposta di milioni di internauti sarebbe la seguente: ma quando mai. E l'ipotesi di un identico modello commerciale di vendita, buono sia per le informazioni che per la musica, che ponga in regime di libera concorrenza tanto gli editori quanto le case discografiche? Il tema è stuzzicante ancorché particolarmente complesso e di strettissima attualità per quanto riguarda il discorso delle news. L'uscita dei giorni scorsi di James Murdoch, presidente e amministratore delegato di News Corp. per l'Europa e l'Asia nonché rampollo del più famoso papà Rupert, è lo specchio di una delicata questione.
"È giusto far pagare un prezzo equo per le notizie on line - ha detto il figlio del magnate australiano - altrimenti sarà penalizzata la qualità. Il consolidato modello di offrire "free" l'informazione in Rete sarà anche superato ma c'è chi, fra gli analisti di settore, che osserva come il successo del sistema delle notizie a pagamento su Internet si possa concretizzare solo nel caso in cui l'intero mondo del Web faccia "cartello". Senza un accordo definito a tavolino fra i fornitori di contenuti è pressoché scontato, secondo questa visione del fenomeno, che gli utenti continueranno a cercare on line – e soprattutto a trovarle senza problemi – le notizie desiderate. Immaginiamo di dover pagare 10 centesimi di euro una singola notizia su uno dei principali quotidiani italiani on line e tale riflessione ci apparirà probabilmente assai condivisibile.
Una ricetta contro il file sharing: 10 euro mensili per il download illimitato Il fenomeno della musica gratis ha vissuto la sua epopea negli anni 2000 con Napster e il "peer to peer" ma non è certo tramontato e basti pensare alle migliaia di file musicali scaricati illegalmente archiviati sul computer di un teenager per capirne il perché. Oggi i problemi della major sono soprattutto quelli di far quadrare i propri conti in un contesto in cui i consumi di Mp3 crescono ma non abbastanza per coprire i buchi di ricavi legati al crollo delle vendite di Cd. Un po' come succede, facendo forse un azzardato parallelismo, con le notizie e le case editrici: la frenata sostanziale del gettito pubblicitario nella carta stampata è solo minimamente compensata dai maggiori introiti legati all'advertising on line. Quindi c'è un problema di sistema alla base che va risolto e se Murdoch ha rotto gli indugi confermando di voler perseguire la strada del "pay per view", il settore della musica si interroga se sia necessario intraprendere quanto suggerito da una recente ricerca della UK Music, il consorzio che riunisce buona parte dell'industria discografica inglese. E cioè quello di proporre tariffe fisse per scaricare i brani dalla Rete: rendere più economicamente accessibile la musica al pubblico giovanile, offrendo a 10/15 euro mensili la possibilità di scaricare in modo illimitato - per un determinato periodo di tempo - i brani desiderati ovvierebbe al fenomeno alquanto diffuso fra i ragazzi di età compresa fra i 14 e i 24 anni di copiare i Cd degli amici o di scaricare canzoni con i sistemi di file sharing illegali ancora attivi.
Se, in altre parole, le canzoni fossero disponibili on line a prezzi e condizioni eque le cose potrebbero cambiare anche sostanzialmente e fenomeni come il "ripping" – la tecnica che permette di convertire spezzoni di video musicali scaricabili da YouTube in veri e propri file musicali – tenderebbero probabilmente a ridursi. Difficile, anzi impossibile, che il file sharing illegale o la violazione consapevole del copyright possa invece scomparire del tutto pur in presenza di un servizio di download a pagamento, come il Come With Music di Nokia, che permetta di scaricare in modo illimitato sul proprio pc o sul proprio cellulare i titoli preferiti pescandoli da un catalogo di milioni di brani. Ma se è vero che l'85% dei teenager si dice disposta a considerare un sistema di questo tipo sarebbe già un grande passo in avanti, soprattutto se coloro dediti al download di musica dalla Rete continuassero a comprare Cd in negozio.
Perché pagare una news su Internet? In chiave notizie, l'azione di rottura di Murdoch si scontra con il fatto che il Web è da sempre il regno dei contenuti gratuiti e spendere dei soldi (quanti poi?) quando si può avere tutto gratis passa per la testa di ben pochi utenti. Eppure se i lettori del Sunday Times on line vorranno rimanere fedeli al proprio giornale lo dovranno pagare a partire da novembre e la stessa sorte toccherà nel 2010 a chi si informa sui siti Internet del Times, del Sun, del News of the World e del Wall Street Journal. La strategia della News Corp. sta suscitando reazioni contrapposte a diverse latitudini e ciò che sembra minarne alla base le (lecite) speranze di successo è probabilmente l'abitudine degli utenti a non acquistare notizie sul Web. Ma in un modo digitale dove tutto ha un prezzo – connessione alla Rete, Sms, applicazioni per cellulari, canzoni, persino le suonerie – salvo rare eccezioni, perché le informazioni professionali (parliamo di giornali on line, non di blog personali) non dovrebbero averlo? Dietro la scelta di Murdoch ci sono naturalmente motivazioni di business e se il magnate australiano è convinto del fatto che presto altri gruppi editoriali seguiranno il suo esempio molti dubbi rimangono sull'entità del "sacrificio" da chiedere, anzi imporre, ai consumatori. Un prezzo per singola news? Un abbonamento mensile flat per accesso illimitato a tutti i contenuti? Un piano a consumo? Di numeri non se ne fanno ancora ma è sempre più gettonata l'idea che il futuro a breve termine dell'informazione on line potrebbe sfociare in un modello "ibrido", e cioè in siti strutturati per offrire notizie flash gratuite e articoli di approfondimento (e altri contenuti multimediali) a pagamento. Con alle spalle - non è un dettaglio da poco e gli store digitali di Apple ne sono un'evidente conferma - un sistema di pagamento telematico affidabile, veloce e assai semplice da usare.
di Gianni Rusconi su ILSOLE24ORE.COM
Tra cinque anni oltre un terzo degli utenti europei di telefonia mobile (39%) sfrutterà il proprio cellulare per accedere a internet. L'analisi, che prende come riferimento i consumatori della sola Europa occidentale, è stata stilata da Forrester Research ed evidenzia un forte incremento per un settore, quello dell'internet mobile, potenzialmente molto redditizio per produttori ed operatori. Nel 2008 è stato solo il 13% ad accedere al web con cellulari e smartphone. La scarsità del dato è da imputarsi a tariffe proibitive e a dispositivi non sempre integrati con il servizio. Una mutazione di tendenza in questo senso dovrebbe portare a fine 2009 la percentuale al 17%.
L'Italia, paese europeo leader per la penetrazione di telefonini, giocherà un ruolo da protagonista in Europa, toccando nel 2014 una percentuale del 40%, a fronte dell'11% attuale.
Via Quo Media
"Priceless Picks" è il nome dell'applicazione mobile, geocontestuale che Mastercard ha lanciato da poco.
L'app aiuta a identificare punti vendita, marche in offerta, content locale, eventi serali etc.
Il content è in larga parte centrato su contributi user generated - e sfruttando la localizzazione GPS dell'iPhone permette di identificare in modo veloce e senza sforzo i punti vendita più prossimi.
Interessante il target: uomini e donne 30-50 (ovvio, l'iPhone non è proprio roba da ragazzini). Altrettanto interessante il fatto che l'app sarà promossa da Mastercard usando spot televisivi.
Questo è l'indirizzo del sito web su cui si appoggia l'applicazione, con mappa eccetera. Qualche contenuto c'è anche per il mercato italiano: poca roba per ora, qualche commentino turistico... sarà perchè l'applicazione non è disponibile per gli utenti italiani dell'App Store?
Come ampiamente previsto, il futuro del marketing (o almeno di una sua parte) sembra proprio passare dal mobile e dalla geolocalizzazione... sempre ammesso che il pubblico aderisca entusiasticamente a quella che in teoria sembra essere un aproposta allettante, ma che potrebbe essere irrilevante per il dispettoso target che spesso vanifica tutti i brillanti sforzi di noi markettari.
Insomma, come al solito, aspettiamo i dati...
Cresce la pubblicità online pensata per e indirizzata sui social network. Secondo una ricerca di comScore, il 22,1% delle inserzioni pubblicate su internet negli Usa passa attraverso Facebook e affini.
Il rapporto sottolinea la crescente predominanza di siti di social media nel panorama del web, ormai accettati anche da molte concessionarie come canale principe per gli ads in rete, e rileva una crescente concorrenza tra queste comunità online e società consolidate di internet (Yahoo! e AOL, per esempio), che si sono proposte da lungo tempo come principali destinatarie per le inserzioni di marca.
Secondo i dati di comScore, in luglio MySpace e Facebook hanno raccolto oltre l’80% degli annunci destinati ai social network, mentre i maggiori inserzionisti a investire in questo particolare campo sono stati AT&T, Experian Interactive e Ask Network.
Gli scettici sull’efficacia promozionale del social networking, però, non mancano. Molti analisti ancora si chiedono come monetizzare l’enorme traffico (potenziale e reale) di Twitter et similia, mentre alcuni addetti marketing sono dubbiosi circa l’abbinamento dei loro marchi a contenuti quasi interamente gestiti dagli utenti (che caratterizzano i social netowork), e perciò passibili di atteggiamenti politicamente scorretti e sgraditi ai destinatari del messaggio pubblicitario.
Via Quo Media
Hollywood e YouTube sono sempre più vicini. L'industria cinematografica a stelle e strisce e il sito di user-generated-content di proprietà di Google sono quasi pronti a concretizzare quella che sempre essere la naturale evoluzione del loro rapporto: film disponibili legalmente e a pagamento sotto forma di web-noleggio in streaming. Secondo un rapporto del Wall Street Journal, BigG starebbe corteggiando da tempo le major nel tentativo di rendere commercialmente competitivo un portale, YouTube appunto, imbattibile per sono solo in quanto a popolarità. I film sbarcherebbero sul sito lo stesso giorno dell'uscita della versione in dvd e Blu-ray, offrendo un'alternativa agli utenti. Lions Gate, Sony, Mgm e Warner Bros, stando alla testata Usa, si sarebbero già accordate per un prezzo di 3,99 dollari a visione di ogni pellicola. L'intesa porterebbe nelle casse delle major il 70% degli introiti.
Le parti in causa non hanno commentato l'indiscrezione che probabilmente non è stata ancora perfezionata.
Via Quo Media
Non ci sono gli attesi pannelli a tecnologia Oled grande schermo e le vere novità nel campo degli Lcd si limitano ad alcuni modelli di piccolo formato (i Bravia S da 19 pollici) che fanno da appendice all'ampia gamma di Tv "Motionflow" da 100 e 200 Hz entrati a catalogo nei mesi scorsi. Quella di Sony all'Ifa non è comunque una presenza nell'ombra semplicemente perché il "leit motiv" scelto quest'anno dalla casa giapponese è la tecnologia 3D.
Televisori capaci di riprodurre immagini a tre dimensioni: questa in sostanza la nuova frontiera tecnologica che il gigante di Tokyo porta in vetrina a Berlino per dare una scossa al mercato, rilanciare le vendite con prodotti ad elevato margine e combattere l'onda lunga della crisi dei consumi. A parlarne in prima persona è stato il numero uno della casa giapponese, Sir Howard Stringer, che oltre al previsto lancio della Tv Lcd Bravia 3D (non c'è una data certa ma si parla genericamente del 2010) ha anticipato come anche i computer Vaio, la PlayStation 3, le camere digitali e i lettori di dischi Blu-ray saranno compatibili con la tecnologia tridimensionale.
Il palcoscenico dell'Ifa è quindi servito a Sony per voltare pagina dopo un primo semestre molto intenso anche sotto il profilo della riorganizzazione interna. I proclami in chiave 3D vanno visti come una sorta di nuova e futura sommessa per invogliare i consumatori a comprare dispositivi che devono continuamente innovarsi: così è stato con l'alta definizione pochi anni fa, sarà così – questa la convinzione del Ceo - per gli schermi che riprodurranno filmati in tre dimensioni. Il cinema dentro le pareti domestiche è del resto un cavallo di battaglia che l'industria della consumer electronics ha fatto suo da tempo e l'avvento di massa dei prodotti e dei contenuti 3D promette un salto in avanti notevole, almeno sulla carta, per gli amanti dell'intrattenimento digitale. La nuova idea di casa digitale di Sony avrà infatti al centro un televisore capace di riprodurre immagini tridimensionali in alta definizione a 1080p (perché dotato di un sistema che elabora i frame ad altissima velocità e di uno speciale display) che necessiterà di sorgenti video compatibili, lettori di dischi Blu-ray 3D in primis, per regalare agli utenti la visione stereoscopica di videogame, film e altro ancora. Quanto costerà una Tv 3D? Di prezzi Sony non ha parlato ma secondo gli analisti parliamo di parecchie migliaia di dollari (un modello di Hyundai attualmente in commercio in Giappone costa l'equivalente di circa 4.000 euro).
Sony, che proprio in questi giorni ha annunciato di vendere la sua ultima fabbrica in Nord America (quella di Tijuana in Messico) alla taiwanese Hon Hai Precision Industry, ha quindi rotto gli indugi e si candida al ruolo di illustre apripista di un segmento, quello dei televisori tridimensionali per l'appunto, finora rimasto nel limbo delle avanguardie tecnologiche.
La rivoluzione 3D verterà su tecnologia, canali distributivi e ovviamente contenuti, e a tal proposito è stato lo stesso Presidente di Sony a confermare il lancio prossimo venturo (nel 2010, ) del primo canale tridimensionale satellitare in Inghilterra ad opera di British Sky Broadcasting. "Oggi – ha infine concluso Stringer – il 3D è sulla strada per diventare appetibile per il mass market e il crescente numero di schermi digitali tridimensionali presenti nella sale cinematografiche, circa 7.000 in tutto il mondo entro il 2009, lo dimostra. È un treno che è partito e Sony vuole guidarlo dentro le case". Ipotesi sicuramente plausibile se non che la definizione di un unico standard per il 3D sia ancora da concretizzarsi e lasci di conseguenza scoperto il rischio di un'ennesima guerra di formati tecnologici – come quelle fra VHS contro Betamax o Blu-ray contro Hd-Dvd – che possa ridimensionare o per lo meno rallentare lo sviluppo di un mercato dall'elevato potenziale di domanda.
La strada intrapresa dalla casa giapponese è intanto quella della cosiddetta tecnologia "attiva", che prevede cioè l'utilizzo di occhialini elettronici (dal costo di circa 40 dollari sul mercato) che aprono e chiudono molto velocemente la sincronizzazione con l'immagine visualizzata sul televisore per riprodurre nell'occhio umano l'effetto tridimensionale. Un sistema diverso quindi da quello utilizzato dagli schermi cinematografici 3D, che richiedono infatti normali occhialini polarizzati che costano pochi centesimi di euro. Ma quanto cambia, per il telespettatore, mettersi di fronte a una Tv 3D? Per chi si potrà permettere di metterne una in salotto – premesso che con lo stesso apparecchio si potranno vedere ad occhio nudo i normali programmi in bassa o alta definizione – guardare un evento sportivo, un documentario, un film d'animazione o un videogioco riprodotto in formato tridimensionale sarà oggettivamente una nuova esperienza visiva. Avvolgente e quanto mai realistica.
Via ILSOLE24ORE.COM
Ci siamo, o meglio siamo arrivati a maturazione: i media trazionali si sono accorti di Twitter e ne stanno facendo il nuovo oggetto delle loro attenzioni, mentre già di Facebook si parla spesso anche per gli aspetti negativi (razzismo, eccessi, problemi di privacy).
Questa estate, oltre al problema dell’attacco dos, Twitter ha visto un sacco di articoli dedicati ai suo vari usi: vip che raccontano vacanze, lavori artistici colaborativi, ricerca di lavoro, funerali di persone importanti e molto altro.
Insomma secondo il noto Ciclo di Hype la nuova tecnologia con impatto sociale inizia ad essere molto nota e, a torto o a favore, celebrata e resa molto appetibile anche per i non addetti ai lavori.
Sicuramente Twitter è uno strumento interessante per fare marketing, sarà interessante capire però quale sarà il suo futuro e la sua evoluzione, visto che molti utenti non sono attivi e che per adesso utili economici se ne sono visti pochi per i suoi creatori.
Intanto però con questo batage mediatico gli utenti italiani aumenteranno e dunque sarà possibile vedere sul campo cosa succederà nel nostro paese, nel quale i social network sono usati in modo piuttosto particolare, molto legato alla condivisione di fatti privati e conversazioni private gestite su profili pubblici.
Voi avete qualche previsione in merito?
Gianluigi Zarantonello via http://webspecialist.wordpress.com
Un’indagine di globale sviluppata da Synovate ha svelato come ormai il telefono cellulare sia considerato essenziale dalla maggior parte delle persone. I ‘malati da telefonino’, dunque, sarebbero ormai maggioranza: non escono mai senza e, dovendo proprio scegliere, preferirebbero perdere il portafogli.
L’indagine definisce il cellulare ‘telecomando della vita’, sintesi inquietante ma non azzardata dei risultati della ricerca: il 75% oltre 8 mila intervistati (da 11 paesi diversi) hanno dichiarato di portare il telefonino con sé ovunque, mentre i cittadini risultati più legati all’oggetto sono quelli di Russia e Singapore.
Inoltre, più di un terzo ha dichiarato di non poter vivere senza telefonino, mentre il 66% non riesce a spegnerlo nemmeno durante la notte, per timore di perdere sms o chiamate importanti.
“Il cellulare ci dà sicurezza e accesso immediato all'informazione. E’ lo strumento di comunicazione più utilizzato, a volte supera addirittura la comunicazione faccia a faccia” dice Jenny Chang, managing director di Synovate.
Via Quo Media
WPP, in un comunicato relativo ai risultati del primo semestre, dove vengono esposti numeri molto duri sulla contrazione del business dovuti alla crisi, fa uscire anche un numero molto interessante. Il mondo del digitale + direct marketing ormai vale un 25% del loro business. Inoltre sono categorie che sono state colpite in misura molto minore dalla recessione...
Per curiosità tre numeri sui profitti del gruppo:
Headline operating profit down over 24% to £342 million. Headline profit before tax down over 35% to £252 million. Profit before tax down 47% to £179 million.
(Poi, lo sappiamo, i numeri bisogna saperli leggere, interpretarli, analizzarli...).
(Per chi non lo sapesse, WPP è uno dei più grandi gruppi di comunicazione del mondo, con marchi tipo Ogilvy, Mediaedge: cia, VML, Wunderman, JWT, Grey, Landor, etc etc etc).
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