Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
Il tasto buy arriva anche sulle applicazioni per le fotografie Dopo YouTube, Twitter e Facebook - e in attesa di Google - l'ecommerce conquista anche i social network "fotografici" con il tasto "buy": Pinterest e Instagram. Nel primo caso, gli utenti troveranno il pulsante per l'acquisto sotto l'immagine dei quasi due milioni di prodotti che saranno messi in vendita sulla bacheca entro la fine del mese. Si comincia ovviamente con la sperimentazione solo negli Usa e per i device Apple. Instagram offrirà invece un panorama di servizi più ampio come "compra ora", "installa ora", "registrati a una newsletter" e "scopri di più". A fornire i dati per la profilazione delle offerte sarà ovviamente Facebook, proprietaria dell'applicazione.
Via Business People
Nel corso dell’ultimo anno e mezzo su Instagram sono apparse inserzioni occasionali e generiche, non profilate e identiche più o meno per tutti (uniche differenze finora sono su età, sesso e paese). Questo tipo di approccio all’advertising del social delle foto è destinato a cambiare radicalmente: presto infatti Instagram saprà se abbiamo 20 o 30 anni, se ci piacciono i gatti oppure le gite al mare, se amiamo il cioccolato o se invece siamo sensibili a cause di beneficenza e molto, molto altro.
Tutte queste informazioni verrano prese dai database di Facebook e incominciano ad essere più chiari alcuni dei piani che Mark Zuckerberg ha in serbo per Instagram, comprato nel 2012 per un miliardo di dollari: profilazione e advertising. Come scrive Business Insider, al momento solo brand di grandi dimensioni hanno la possibilità di fare advertising su Instagram, ma a partire dal mese di luglio, la società ha intenzione di ampliare il proprio range ed aprire anche alle aziende di dimensioni più ridotte.
Entro l’inverno infatti, gli strumenti per l’acquisto di spazi pubblicitari su Instagram saranno integrati con quelli di Facebook, consentendo ad ogni brand che pubblicizza sul social di Zuckerberg di acquistare annunci anche su Instagram. A questo proposito in un post sul blog ufficiale di Instagram è possibile leggere che la società sta lavorando ”per dare a tutte le imprese la possibilità di raggiungere le persone giuste” attraverso l’integrazione delle API di Facebook e Instagram.
Inoltre secondo la società, “le persone vogliono entrare in contatto con aziende di ogni dimensione su Instagram, dai loro negozi di abbigliamento preferiti vicino casa ai ristoranti, fino ai più grandi brand del mondo”. Secondo Forbes si tratta di un cambiamento epocale per Instagram: un primo serio tentativo di monetizzare la piattaforma da parte di Facebook a tre anni dall’acquisizione.
Via Tech Economy
Gli annunci Google I/O, con Brillo e Android M in evidenza, mettono in luce parte delle strategie aziendali del colosso della ricerca. Google, nata con il ‘search’ capitalizza la propria leadership indiscussa nel search, in ogni sua forma. Il capitale informativo di Google in questo senso è il più completo (nel mondo occidentale, intendiamoci, perché sappiamo bene che in altri Paesi come la Cina i valori di mercato sono sensibilmente diversi), ed è strategico per Google fare in modo che qualsiasi fonte di dati, qualsiasi ‘transazione’ informativa resti il più possibile sotto il proprio controllo. Pubblicità Da qui Brillo, la piattaforma derivata da Android per creare dispositivi connessi, con Weave (ma anche API di sviluppo, protocollo di comunicazione, set di schemi e programma di certificazione per assicurare interoperabilità di dispositivi e app), da qui gli sforzi di miglioramento di Google Now, della piattaforma per i pagamenti, e del subset Android per gli ‘indossabili’. Strategia chiarissima: poiché le informazioni arrivano dagli oggetti, Google ha bisogno di mantenere il controllo su qualsiasi cosa produca informazioni.
Google In questo momento il punto di forza di Google è proprio la pervasività Android e la bontà dell’esperienza possibile su diversi device, anche di natura diversa, il punto debole invece nell’ecosistema è non avere saputo offrire un’esperienza efficace e sostitutiva di quello che già c’è nell’ambito del computing aziendale tradizionale. ChromeOS infatti è al momento del tutto assente dalle realtà produttive importanti, e si ritaglia gli spazi – pochi – in ambito educational. Si può sostenere che quell’esperienza non è più centrale nella produzione di informazioni. Può essere, ma non siamo così convinti che questa sia una partita di secondaria importanza. Invece torna ad essere interessante la sfida in cloud con Amazon e Microsoft, che Google si gioca con Google Compute Engine e Google Cloud Platform. Google in pratica è forte in due ambiti su tre.
Apple Apple al momento è l’attore che assicura la migliore esperienza utente in assoluto negli ambiti in cui propone i propri device e il proprio software: smartphone, tablet e computing. In questo senso Apple chiude perfettamente il ciclo di esperienza utente. Tuttavia la proposta in ambito cloud non è proprio perfetta, Apple non ha la disponibilità di una piattaforma cloud aperta a tutti gli attori di mercato come Microsoft e Google (e inseriremmo sempre anche Amazon nella lista, se non fosse evidente la sua esclusione dall’agone dei grandi nell’offerta sui device per la mobilità). La ‘ricchezza’ di Apple, proprio dal punto di vista finanziario, e come liquidità, è stupefacente, ma non vediamo una strategia ‘superiore’ oltre device e intrattenimento multimediale. Insomma, Cupertino si è ritagliata un altro mercato, con al centro device e contenuti. E in questa fase sono più i competitor che per presidiare entrano con le proprie proposte nelle piattaforme iOs, mentre Apple monetizza le preferenze che gli utenti le concedono nei negozi quando comprano i device e computing, apprezzano la qualità del software, la sicurezza, ma magari poi in cloud scelgono soluzioni più aperte o che siano disponibili su tutte le piattaforme. Nella prossima era Iot la chiusura di Apple potrà costare molto cara. Anche in questo caso siamo a due task su tre ben completati: esperienza utente, e device Ok. Iot e Cloud no.
Microsoft E siamo a Microsoft. Redmond ha compiuto passi da gigante in ambito cloud con la proposta di una piattaforma come Azure, ha mantenuto livelli qualitativi molto alti nell’esperienza software in azienda con Office 365, ha retto le defaillance di Windows 8, anche per mancanza di concorrenza valida nel computing tradizionale (anche perché la concorrenza non ha investito più di tanto in un ambito che non è così centrale o in pieno sviluppo come l’ambito mobile), ha svolto un grande lavoro per ‘aprirsi’ e proporre soluzioni interoperabili. Allo stesso tempo ha mancato almeno due obiettivi: il primo è quello di una proposta smartphone convincente. Le quote di mercato sono disastrose, al momento. Doveva crescere di più.
La strategia duocentrica Arm/Intel non è mai stata chiara né chiarita. Non siamo per nulla convinti che senza avere una forte presenza con il proprio sistema operativo in ambito smartphone, nel wearable, e nell’Iot si possa reggere la partita. Windows nella sua declinazione ‘embedded’ sarà il sistema del futuro anche per gli oggetti? Vedremo. Quando Microsoft si definisce ‘platform vendor’, in un certo senso esorcizza i rischi di non essere più il riferimento nei livelli sottostanti, nella galassia mobile, come lo sono Google e Apple.
Amazon Basta un minuto di riflessione per ‘vedere’ le intuizioni geniali di Bezos e le occasioni mancate. Completamente fallito l’approccio mobile, Amazon ha letto prima di tutti gli altri le potenzialità del cloud. L’impero e-commerce ha rappresentato palestra quotidiana per un’offerta cloud del tutto temperata sulle esigenze reali delle aziende. Allo stesso tempo Amazon non ha mai voluto o saputo chiudere il cerchio per un’esperienza utente perfetta, interpretando anche la sua presenza nell’ambito dell’offerta dei tablet come dispositivi per la fruizione di servizi e prodotti, ma senza mai estendere a 360 gradi la propria proposta. E’ possibile ma non ancora evidente che l’importanza del device sia nulla. Lo sarà se tutti i vendor saranno pronti a posizionarsi su tutte le piattaforme e sarà loro consentito di farlo. Alla fine come è accaduto anche a Microsoft, sono le sue app ad essere diventate disponibili per gli altri OS, senza permettere ad Amazon di presentarsi come piattaforma completa per l’esperienza utente se non a un livello superiore. Proprio quei AWS che sono il fiore all’occhiello, attuale, dell’esperienza cloud. Il bilancio attuale è che per gli utenti, qualsiasi sia la loro scelta in ambito di servizi e device da utilizzare in mobilità, come in ufficio, non c’è ancora un protagonista assoluto in grado di offrire il meglio a 360 gradi. Ogni vendor ha un tallone d’achille nella propria strategia. In questo senso la situazione è ancora molto fluida e allo stesso tempo è anche possibile che si delinei uno scenario per cui non sarà mai necessario, per avere il meglio, scegliere un unico vendor per dispositivi, esperienza software e piattaforma cloud.
Via TechWEEKeurope
Negozi fisici e shop online sempre più complementari nelle abitudini di acquisto delle persone: il trend globale che emerge dall’analisi di PwC “Total Retail Survey 2015” è sempre più quello della “ricerca incrociata” comune a oltre il 70% dei consumatori intervistati. Si fa sia lo showrooming (ricerca in negozio-acquisto online), che il reverse showrooming (ricerca online-acquisto in negozio), a dimostrazione della sempre maggiore integrazione e complementarietà dei diversi canali. La ricerca ha analizzato i comportamenti di consumo online e l’attitudine alla multicanalità di 19.000 consumatori in 19 paesi, tra cui oltre 1000 italiani.
In Italia il panorama non è poi così diverso dal trend mondiale e la ricerca ha riscontrato quelle che chiama “quattro forze di rottura” che nel nostro paese assumono specifiche caratteristiche.
Il rapporto con il negozio fisico
Entrare in un negozio, provare e toccare con mano i prodotti è una abitudina che agli italiani continua a piacere: il 38% (36% a livello globale) si reca settimanalmente in negozio, contro il 25% che utilizza il PC, il 13% il tablet e il 12% lo smartphone. E il negozio fisico conquista anche un nuovo ruolo poiché i consumatori sono sempre più propensi ad utilizzarlo come vetrina per poi comprare online, spinti dalla convenienza di prezzo. Chi preferisce il negozio rispetto ai canali digitali, mette ai primi tre posti la possibilità di provare e testare il prodotto (65% Italia, 60% globale), la gratificazione istantanea dell’acquisto in negozio (52% Italia, 53% globale) e la maggior sicurezza sull’adeguatezza del prodotto nel soddisfare le proprie esigenze (33% Italia e campione globale).
Sempre più spesso però gli italiani utilizzano il negozio come vetrina, per poi comprare online: il 67% è spinto dalla potenziale convenienza di prezzo, rispetto al 56% a livello globale (e solo 48% per il consumatore tedesco). E’ anche più favorevole a ricevere offerte via email o SMS, testimoniando l’importanza del digital marketing. Chiede però una digitalizzazione più forte del punto vendita per facilitare il processo d’acquisto, il pagamento e anche la condivisione con i social media. Ci si attende che il Wi-Fi, servizio ormai non più negoziabile nel campo dell’ospitalità, diventi uno standard universale anche nel retail: è passata dal 33% del 2014 al 23% del 2015, rimane di grande peso relativo rispetto alle altre tecnologie in store.
Il Mobile
Il mobile, rivela la ricerca, è cruciale nella fase di pre-acquisto per il consumatore italiano: il 50% dei consumatori usa lo smartphone per fare comparazioni di prezzo o ricercare il prodotto. Le barriere più importanti sono la difficoltà nell’utilizzare i siti mobile, dovuta al gap infrastrutturale in Italia (accesso a mobile broadband o disponibilità di connessioni Wi-Fi negli store) e di user experience, abbinata ad una scarsa percezione di sicurezza nei pagamenti. Ciò dimostra che le tecnologie in store, dagli iBeacon alla sensoristica diffusa dell’IoE passando per nuove forme di mobile e digital payment sono tutt’altro che ininfluenti nella percezione del consumatore.
I Social media
L’Italia è il Paese che dimostra un impatto più elevato dei social media nelle decisioni d’acquisto, per il 63%. I consumatori visitano i profili dei brand sui social media per accedere a promozioni interessanti (50%) e per visualizzare nuovi prodotti (33%). Al terzo e quarto posto emergono tra le motivazioni la partecipazione a social contest (24%) e la possibilità di interagire con pari o esperti del settore e ottenere suggerimenti (21%).
I nativi digitali I “convertiti digitali” hanno più potere di spesa dei nativi digitali, ancora troppo giovani ma l’orizzonte per il cambiamento di scenario è tuttavia molto prossimo, spiega PWC: “nell’arco di un quinquennio, i giovani e giovanissimi di oggi entreranno infatti a far parte a tutti gli effetti della popolazione attiva e l’aumento del potere di spesa li renderà un target di primaria importanza. I retailer devono perciò comprendere che fin da oggi è necessario mettere in atto strategie e piani d’azione mirati a offrire ai nativi digitali un’esperienza unica per i loro acquisti.“
Via Tech Economy
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