Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
Per festeggiare il suo ottavo compleanno, Twitter ha reso disponibile una funzione che consente agli utenti di viaggiare indietro nel tempo e ripescare facilmente il primo tweet inviato. Giochino sfizioso, che si scontra però con la scarsa capacità di fidelizzazione evidenziata dal social network nel corso degli anni e degli ultimi due in particolare.
Stando infatti a quanto scrive il Wall Street Journal, citando un'anticipazione del rapporto stilato da Twopcharts (un sito olandese che monitora l'attività degli account di Twitter), circa il 40% dei 20 milioni degli utenti che si registrano al servizio ogni mese invia almeno un tweet nel mese in cui si iscrivono. Fin qui tutto bene o quasi. Il problema è che, nel 2015, solo un quarto di questi account si presume possa essere ancora attivo. E non finisce qui. I dati di Twopcharts mostrano infatti come gli account creati in anni più recenti siano meno attivi di quelli che hanno abbracciato la piattaforma nel periodo 2006-2011. E con una progressione negativa molto evidente: circa il 25 % degli account creati nel 2008 sono cinguettanti ancora oggi, mentre solo il 10,7% di quelli creati nel 2012 sono in attività a distanza di poco più di un anno.
Dati che evidenziano, anche agli occhi dei meno esperti in fatto di dinamiche del Web, la difficoltà per il social network di mantenere un adeguato livello di "retention" degli utenti, di garantirsi continuità di "cinguettii" da parte di chi utilizza il servizio da più tempo. E quindi di sviluppare il proprio business pubblicitario. Il problema di fondo, infatti, è il seguente: Twitter genera introiti dall'advertising solo quando gli utenti interagiscono con l'annuncio, lo "re-twittano", lo utilizzano per segnalarlo fra i preferiti. O semplicimente ci clicca sopra. Tornando ai numeri che spiegano l'evoluzione della comunità del social network, degli 1,5 miliardi di account registrati complessivamente, solo 955 milioni (sempre secondo Twopcharts) esistono ancora oggi e solo il 13% di questi ha inviato un tweet negli ultimi 30 giorni. Una percentuale, quest'ultima, che equivale a circa la metà dei 241 milioni di utenti mensili attivi (e cioè account che accedono al servizio, anche senza pubblicare nulla, almeno una volta al mese) che Twitter dichiarava alla fine del 2013.
Sulla questione, i portavoce del social network non hanno profuso dichiarazioni, trincerandosi dietro il solito "no comment" ai dati prodotti da terze parti. Da Twopcharts fanno però anche sapere che circa la metà degli account registrati nel 2014 sono stati sospesi da Twitter probabilmente perché affetti da spam. Nel 2012 tale percentuale si fermava al 28 % e sono circa 500 milioni gli account registrati sospesi nel complesso dalla nascita del social network a oggi. Se veri, si tratta di numeri preoccupanti.
Via IlSole24Ore.com
Apple prova a rimpolpare il proprio bilancio allargando l’utenza potenziale e aprendo, in piccola parte, il proprio sistema: iTunes, il negozio virtuale di Cupertino, presto sbarcherà su Android, sistema operativo mobile rivale di iOs.
Lo store avrà un’applicazione ufficiale per il sofwtare sviluppato da Google e sarà quindi attivo su più piattaforme, nel tentativo di racimolare utenti e dollari attraverso la vendita di app (anche per i sistemi di BigG, come Google Play Music e Google Books), di musica e contenuti extra. Il mercato degli mp3 di iTunes, secondo i dati Nielsen, è in calo dell’11% dall’inizio di gennaio, motivo per cui Apple ha deciso di espandere il servizio andando a cercare nuovi ascoltatori su ìgli smartphone Android.
Ma il vero problema del download musicale risiede nella popolarità raggiunta dai siti che offrono (legalmente, gratis o a pagamento) lo stesso prodotto in streaming. Ecco perché la Mela ha lanciato (negli Usa) iTunes Radio e prova ora a diffondere la sua piattaforma su dispositivi di altre marche. Nel mondo, gli abbonamenti, le pubblicità e le licenze hanno fatto schizzare i ricavi di Spotify, Pandora e YouTube del 51%, mentre la musica scaricata ha perso il 2,1% nel 2013. Apple deve correre ai ripari (dai rivali).
Via Quo Media
Il primo prodotto pubblicitario di Pinterest non è ancora attivo, ma secondo quanto riportato da Ad Age il social network starebbe chiedendo impegni di spesa molto alti, tra 1 milione e 2 milioni di dollari, agli inserzionisti interessati ad acquistare spazi pubblicitari sulla piattaforma. Non solo, Pinterest starebbe progettando di stabilire i tra 30 e 40 dollari il costo per 1.000 visualizzazioni (CPM) dei suoi “promoted pins”, da visualizzare nel feed degli utenti.
Pinterest ha annunciato il progetto di introdurre pin promossi sei mesi fa e da allora ha testato il prodotto su un gruppo selezionato di clienti in modo gratuito. Ecco cosa ha detto Pinterest sui suoi annunci: “Dal momento che così tante persone usano Pinterest per segnare con un “pin” i prodotti che vorrebbero comprare in futuro, gli inserzionisti riconoscono il potenziale del social network nel mondo dell e-commerce. Inoltre Pinterest permette ai brand di includere informazioni legate allo shopping nei loro pin per permettere alle persone di conoscere il costo dei prodotti e dove possono essere comprati.”
Secondo uno studio condotto nel mese di novembre, ogni pin pubblicato sulla bacheca digitale vale una media di 0,78 dollari per il marchio di appartenenza del prodotto. Non male se calcoliamo che Pinterest ha più di 70 milioni di utenti, secondo uno studio che è uscito lo scorso giugno.
Come accade per la pubblicità di Google, un promoted pin di Pinteres avrebbe il vantaggio di colpire persone interessate e probabilmente disposte anche a compare il prodotto visualizzato. E’ molto probabile, ed è certamente la speranza del social, che cercando un dato prodotto su Pinterest, nel guardare un promoted pins ad esso correlato, esso si tradurrà in una intenzione di acquisto.
Via Tech Economy
L'obiettivo, particolarmente ambizioso, è quello di raddoppiare in futuro il valore della propria capitalizzazione di mercato, saltando dagli attuali 57 miliardi di dollari a quota 100 miliardi. Ha le idee chiare il numero uno di Starbucks, Howard Schultz, che parla di "fase iniziale della crescita e dello sviluppo" di una compagnia che nel novembre 2008 valeva sui listini azionari 5 miliardi di dollari, che oggi opera con 20mila punti vendita in 64 diversi Paesi (oltre la metà sono negli Usa, mentre India e Cina sono i nuovi bacini strategici da conquistare) e che ha fatto delle tecnologie mobili una risorsa assai importante.
Le transazioni via cellulare o altri dispositivi elettronici rappresentano infatti il 14% delle vendite "in store" della catena negli Stati Uniti, con ben cinque milioni di scontrini "staccati" via cellulare ogni settimana e circa 10 milioni di clienti che utilizzano l'app Starbucks.
Nuove app in vista per iPhone e Windows Phone Nuovi negozi (20 i punti vendita a marchio Teavana in procinto di aprire nel corso dell'esercizio fiscale corrente), nuovi menu ma non solo. A spingere verso l'alto i conti di Starbucks ci sono anche i programmi a premi e le app mobili: l'ultima trovata in tal senso è un'applicazione che permetterà ai clienti di effettuare in anticipo, direttamente dallo smartphone, le ordinazioni di bevande e cibarie varie. La sperimentazione partirà presto in alcune caffetterie statunitensi.
Sin d'ora, invece, gli utenti possono effettuare i pagamenti alla cassa con il dispositivo mobile, legando la transazione gestita tramite "Qr code" sul proprio account alla propria carta fedeltà Starbucks. L'app per iPhone, in tal senso, è stata appena aggiornata per offrire la possibilità di dare la mancia (50 centesimi, uno o due dollari) e per abilitare il pagamento, tramite la nuova funzione "shake to pay", agitando semplicente il telefonino e visualizzando così facendo la carta con codice a barre Starbucks nella parte anteriore dello schermo. Gli aggiornamenti per l'app Android, invece sono attesi entro la fine dell'anno mentre quella per i Windows Phone dovrebbe essere lanciata nello store di Microsoft nei prossimi mesi.
Via IlSole24Ore.com
Condividere la buona cucina e il piacere di stare a tavola grazie ai social network. Una mania che spopola sulle varie piattaforme, da Instagram a Facebook e Pinterest, dove ormai si trovano veri e propri album tematici con foto ai piatti dei grandi chef e non, scattate direttamente nei ristoranti.
Una pratica ormai mondiale che, però, fa inorridire i maestri dell’arte culinaria come raccontano il New York Times e Culture visuelle che hanno riportato le proteste di chef del calibro di David Chang, Moe Issa o di Alexandre Gauthier e Gilles Goujon.
Per non parlare degli eccessi del Four Barrel Coffee di San Francisco che all’ingresso ha addirittura appeso un cartello con il divieto “Non postare questa foto su Instagram, tu hipster” o dell’Eva Restaurant di Los Angeles che strizza l’occhio alla crisi economica offrendo uno sconto del 5% a chi lascia il proprio telefonino all’ingresso.
Via Quo Media
Smartphone, video e social network sono gli elementi trainanti la crescita degli Internet Media, ossia l’unico comparto che fa registrare performance positive (+18%) nell’intero mercato che soffre di in calo complessivo del 5%. E’ quanto emerge dalla fotografia scattata dall’Osservatorio New Media & New Internet del Politecnico di Milano.
Il mercato dei media, infatti, nel 2013 perde quasi altri 800 milioni di euro, a fronte del calo di tutti i gli attori più tradizionali – stampa (-13%), televisione (-4%) e radio (-9%). Gli Internet Media, in crescita del 18% rispetto al 2012, raggiungono nel 2013 un valore di 1,9 miliardi di euro, soprattutto grazie alle componenti innovative di smartphone, tablet, connected tv, social network, applicazioni, pay, video e data-driven advertising, che nel loro complesso prendono il nome di New Internet e che nel 2013 crescono del 73%.
“Nell’ultimo anno la contrazione del mercato complessivo dei Media, che include introiti pubblicitari e ricavi Pay, è stata pari al 5%. Ma non tutti i canali Media stanno registrando un trend negativo” afferma Andrea Rangone, Responsabile Scientifico dell’Osservatorio New Media & New Internet. “Gli Internet Media, infatti, in 5 anni hanno duplicato il loro valore, passando da un’incidenza sul totale mercato Media del 5% nel 2008 a un’incidenza del 12%. Prevediamo che tra 5 anni, nel 2018, possano arrivare a pesare oltre il 20%.”
Il panorama è assai articolato: smartphone, tablet e connected Tv moltiplicano le occasioni di fruizione di Internet; i Social Network stanno sempre più diventando il luogo privilegiato di interazione digitale e la porta di ingresso ad Internet; le Applicazioni, nuova modalità di accesso ai contenuti a fianco del browser; gli iVideo, si stanno diffondendosi in modo pervasivo in Rete e, infine, nuovi emergono nuovi modelli di revenue basati sulla vendita di contenuti a pagamento a fianco della pubblicità. A partire da questa edizione dell’Osservatorio è stata aggiunta un’ottava componente che sta trovando un’iniziale applicazione in Italia: la pubblicità basata sui dati (Data-driven Advertising), che cambia profondamente la pubblicità Online rendendola più mirata e profilata grazie proprio all’utilizzo delle informazioni degli utenti.
“Il mercato Media abilitato dal New Internet ha registrato una crescita del 73% nel 2013, arrivando a superare i 600 milioni di euro” afferma Marta Valsecchi, Responsabile della Ricerca dell’Osservatorio New Media & New Internet. “Mentre la restante componente degli Internet Media, quella che definiamo Old Internet e che è composta dai formati più classici su Pc (come Standard Display Advertising, email Marketing, Search, Classified e Performance Advertising), mostra un incremento di soli 2 punti percentuali. Il peso del New Internet sul totale mercato Internet Media passa così dal 22% al 32% e prevediamo che nel 2018 arrivi a valere circa i due terzi”.
Nel dettaglio troviamo che:
i ricavi Media su Smartphone crescono del 167% superando i 200 milioni di euro; i ricavi Media su Tablet sono vicini al raddoppio (+94%) per un valore assoluto di poco superiore ai 50 milioni di euro; i ricavi Media su Connected Tv aumentano dell’85% raggiungendo circa 25 milioni di euro; i ricavi sulle Applicazioni segnano un incremento del 120% arrivando a valere circa 130 milioni di euro; la pubblicità sui Social Network registra una crescita del 75% e sfiora così i 100 milioni di euro; i ricavi legati ai Video Online crescono del 37% arrivando a 260 milioni di euro; i ricavi Pay aumentano del 43% per un valore assoluto di quasi 70 milioni di euro. Anche i dati di utilizzo da parte degli utenti delle diverse componenti del New Internet sono molto elevati e in forte crescita: il 75% degli Internet user usa almeno un device connesso (smartphone, pc, tablet) davanti alla Tv; il numero di applicazioni mediamente installate è superiore a 30 sia per smartphone sia per tablet, ma il reale utilizzo è concentrato su molte meno; il 40% circa delle applicazioni scaricate viene, infatti, usato solo una o due volte, mentre solo 4-5 vengono utilizzate tutti i giorni; sono ben 27 milioni gli utenti unici che mensilmente sono attivi sui social, l’82% degli Internet user, con Facebook che resta il social network più frequentato.
Via Tech Economy
Peter Sondergaard di Gartner afferma che entro il 2020 la nuova organizzazione dovrà farsi carico di cinque capacità fondamentali.
1) coordinare l’architettura di tutte le tecnologie digitali con i loro impatti.
2) definire l’enterprise information architecture considerando gli innumerevoli asset informativi sparsi dentro e fuori l’azienda
3) garantire la sicurezza per tutte le tecnologie digitali
4) gestire l’ecosistema digitalizzato sia dentro sia fuori l’organizzazione
5) sviluppare e promuovere la leadership digitale, nei vertici aziendali
Trovo tutti i punti interessanti ma in particolare mi attirano per questo post il 2 e il 4.
L’informazione, il dato, l’asset digitale sono elementi che spesso si dimenticano o si sottovalutano, mentre nella realtà diventano tanto più cruciali quanto più sono ormai numerosi e complessi.
Che si tratti di gestire comunicazioni interne andando oltre la mail o di creare contenuto verso il cliente finale il fatto di avere una circolazione fluida delle informazioni e una capacità di reperimento e di distribuzione dei contenuti su più piattaforme è un requisito cruciale.
Siccome poi parliamo di ecosistemi, è alquanto pericoloso chiudere le informazioni in dei silos perché al contrario tutto oggi può avere un valore sul piano dell’analisi strategica complessiva. Le statistiche sui big data sono certamente di ispirazione a tutti i livelli ma credo che prima di arrivare a qualsiasi soluzione tecnologica ci sia un tema di organizzazione e di cultura.
Quante organizzazioni infatti si preoccupano davvero delle inefficienze dovute alla cattiva circolazione delle informazioni e alla difficoltà di gestirle? E quante si fanno guidare in modo convinto dalla lettura di tutti i dati oggi disponibili? A mio avviso poche, anche se il tema non è nuovo e ne parlai già in tempi non sospetti.
E voi, pensando alle esperienze di tutti giorni, come vi sentite di giudicare le vostre realtà?
Gianluigi Zarantonello via Internetmanagerblog.com
La combinazione smartphone e social network serve a correggere comportamenti imbarazzanti, ma Livr fa l'opposto: login solo con tasso alcolemico positivo.
Esiste un social network che in caso si beva solo acqua minerale non si potrà mai vedere. Si chiama Livr, funziona con un alcol test via Usb collegato al cellulare: se non si supera il test mostrando almeno un minimo tasso alcolemico, niente login. Uno strumento che incita irresponsabilmente all’ubriachezza? Secondo il CEO della startup, Kile Addison, è un social network composto da persone alticce, così come potrebbe esistere un social di vegani o di fashion victim.
Livr è appena nato e sta già facendo discutere animatamente, perché non si era mai vista una provocazione del genere però realizzata con tutti i crismi delle migliori applicazioni per smarphone e delle società che lavorano a progetti software-hardware. Livr, infatti, consente questo particolare login perché applica un tester al device, mentre l’applicazione ha una vocazione social: gli utenti abbastanza ubriachi per poter entrare nella rete possono scambiarsi pareri, fotografie, incontrarsi in qualche pub.
Come nelle migliori applicazioni di oggi, l’utente può filtrare secondo diversi criteri di ricerca le opzioni, che crescono a seconda del livello di alcol nel sangue: le migliori offerte nei locali, quelli più vicini, la geolocalizzazione dei post degli amici con la stessa passione per l’have a drink!. Ma ci sono tools davvero originali, che hanno fatto applaudire gli osservatori e (pare) garantito l’invito al SWSX ad Austin, come l’hot spot che calcola con un solo gesto touch i locali più frequentati e divertenti del momento e forse l’idea più forte di questa applicazione: il bottone Blackout, che cancella in modo permanente qualunque cosa è stata postata nell’ultimo login. La risorsa estrema in caso di selfie davvero improponibili che potrebbero causare l’immediato licenziamento o la rottura del fidanzamento.
Il disclaimer I due fondatori dell’app-social tengono comunque – se non altro per ragioni legali – a specificare la natura di questo prodotto e il senso di puro divertimento senza esagerare. Questo il disclaimer del sito, che è anche la risposta alle eventuali critiche:
L’applicazione LIVR è destinata agli adulti responsabili in età per bere alcolici. È intesa esclusivamente per scopi di intrattenimento. Non bisogna bere e guidare. Non bisogna bere troppo. L’eccessivo consumo di alcol può causare danni irreparabili o danni al vostro corpo e può essere letale.
Via Webnews.it
Le tecnologie digitali sembrano trovare sempre più applicazione nel quotidiano degli utenti: oltre ai grandi progetti per i dispositivi indossabili, i grandi marchi stanno sondando con interesse il mercato dell’auto, in crisi e in attesa di rinnovamento. Apple, come Google e Samsung, si è data da fare in anticipo, siglando accordi con nomi prestigiosi quali Ferrari, Mercedes e Volvo.
La casa di Cupertino vuole portare il sistema operativo mobile iOs, lo stesso che equipaggia iPhone e iPad, su alcune delle macchine più lussuose al mondo. Il software arricchirà la dotazione dei modelli d’alta gamma dei produttori, trasformando le vetture Ferrari, Volvo e Mercedes in postazioni multifunzione, connesse a internet e in grado di sfruttarne i contenuti, per l’intrattenimento dei passeggeri (con video, musica e informazioni assortite) e per facilitare il guidatore (con dati sulla sicurezza e lo stato dell’auto, rilavamenti meteo, mappe e quant’altro).
La macchine in questione diventeranno dunque Apple-car, capaci di dialogare con gli ospiti grazie all’assistente vocale Siri e agli iPad Mini integrati, come nel caso di Ferrari FF. Stile e aura tecnologica andranno di pari passo, nella speranza di allettare ancor di più i possibili acquirenti. E intanto Apple pensa all’acquisizione di Tesla, l’auto elettrica nata da una strat-up della Silicon Valley: tra conterranei ci si intende.
Via Quo Media
Ci sono tanti temi bellissimi sulla multicanalità, sul mobile e sul marketing del prossimo futuro in genere di cui mi avete visto scrivere tante volte qui e altrove. Cose entusiasmanti cui però troppo spesso manca un dettaglio fondamentale: i contenuti!
Sappiamo già che troppo spesso ci si innamora di una tecnologia senza prima valutare per quale pubblico, strategia e obiettivo la vogliamo adottare, con il risultato classico di rimanere delusi. Anche quando però il percorso POST viene correttamente declinato il rischio è di tralasciare la verità che qualunque strumento di comunicazione vuoto e fine a se stesso non si può chiamare tale. Non c’è niente di più triste di uno schermo nero o di un blog aggiornato all’anno prima. Ma non è così semplice come sembra e, soprattutto, la definizione dei contenuti dovrebbe venire prima della creazione degli strumenti che dovranno riempire e far vivere e non viceversa.
Oggi differenziarsi è un’operazione dura sul piano dei prodotti o dei servizi offerti ma non di meno è dannatamente difficoltoso poi far percepire questa differenza al cliente in termini di valori materiali e immateriali. Il cliente ha voglia di storie. La vostra, quella del prodotto, quella del testimonial, quella del mondo di riferimento del brand. E c’è già chi dice per questo che il sito corporate in quanto tale è morto.
In estrema sintesi dunque bisogna essere pronti a tre sfide reali:
1) la qualità dei vostri contenuti deve essere alta e basata non solo sulla piacevolezza visiva(fondamentale) ma anche sulla reale rilevanza che il fruitore vi attribuisce. Non è una semplice campagna advertising ma storytelling, e la metrica davvero rilevante è l’engagement.
2) i vostri contenuti devono essere liquidi: che si tratti di testi, foto o video l’esperienza non si può interrompere tra un device e l’altro e contemporaneamente lo sforzo di adattamento e rilavorazione da parte vostra deve essere minimo. La capacità di distribuire e declinare i vostri contenuti attraverso tutti i touch point (social inclusi) non è meno fondamentale che l’abilità nel crearli. Senza contare poi che il contenuto è uno di quei fili che legano i vostri owned, earned e paid media.
3) i contenuti si evolvono nel tempo ma si deve poter sempre scorgere il filo rosso che li lega, per sedimentare e costruire. Come già per i social, parliamo di relazione più che di comunicazione pura, non basta l’azione eclatante ma serve piuttosto un percorso constante.
Tutto dunque parte dal brand e dalle sue storie e valori, se un marchio non ne possiede o non ne sa dare una rappresentazione, beh, ha un problema. E non piccolo!
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