McDonald’s sigla una partnership con Facebook e permette ai propri clienti di ordinare via e-mail cibi e menù del celebre fast-food. Il social network dovrebbe lanciare il servizio ai suoi 425 milioni di utenti entro l’estate, attraverso un’applicazione fornita dalla catena americana di ristoranti e sviluppata da Tribal DDB.
La comunità internet prova così ad allargare il suo raggio d’azione, allettando inoltre gli inserzionisti pubblicitari.
Se l’arte è lo specchio della vita e l’advertising influenza la nostra vita, qual è la conclusione logica? Forse che una volta l’advertising era lo specchio dell’arte – ma ora non lo è più. O forse lo è in un modo diverso.
I legami tra advertising e arte sono (stati) molto forti. Toulouse-Lautrec arrotondava disegnando affiche per il Moulin Rouge, i poster di Dudovich hanno un posto nel mio cuore. I Caroselli e le pubblicità del dopoguerra contenevano, a volte, gioielli artistici.
Ora, tutto questo non c’è più. Colpa di noi markettari, dei planner, dei Director, delle multinazionali e sopratutto del target. Target che ha smesso di comprare in modo romantico, facendosi sedurre da poetici messaggi commerciali. Dall’arte siamo passati all’advertising. Se l’arte è fatta per turbare, la scienza rassicura. (Georges Braque). E anche la pubblicità.
Oggi siamo più duri, razionali e molto più distratti. Senza una strategia, un posizionamento micrometrico i prodotti non si vendono più. Troppi spot meravigliosi abbiamo visto… di quelli che tutti si ricordano (ma senza ricordarsi la marca).
Chiaro, da una inossidabile strategia iper razionale, difficilmente escono pubblicità che stupiscono, anche se vendono, ed è questo in genere l’importante. Esistono però, fortunatamente, eccezioni, date un’occhiata a absolutad.com.
Eppure, tra marche ed arte, il feeling non è scomparso, né tra i pubblicitari ed arte (e non intendo solo la famosa collezione d’arte dei Saatchi).
Da un lato abbiamo tutta una serie di azioni “a favore dell’arte” condotte dalle marche. Azioni su un target culturalmente elevato? Scarico di utili attraverso operazioni fiscalmente deducibili? Creazione di pretesti di comunicazione e RP?
Il mio lungo trekking sulla strada dell’advertising (camminando sulla carreggiata, ho sempre cercato di evitare il marciapiede) mi fa temere un po’ del cinismo di noi addetti ai lavori. Ma è giusto essere ottimisti e pensare che qualche mecenate ci sia, motivato verso una responsabilità sociale dell’azienda che proponga comunicazioni in grado di stimolare la mente e le coscienze. Facendo volare più alto il target e il fuori target.
D’altra parte l’arte è un boomerang, e se l’abbiamo cacciata dell’advertising è tornata dalla finestra e se ne è impadronita autonomamente, senza il permesso. Del resto arte e pubblicità hanno qualcosa in comune nel DNA… diceva Balzac “Chi dice arte, dice menzogna”, proprio ciò di cui accusano in troppi noi pubblicitari.
Mi viene un altro pensiero. Nel Medio Evo e oltre, Chiese e Palazzi erano – come sapete – dei media. In una società analfabeta, pittura e la scultura erano i mezzi più d’impatto per trasferire messaggi, emozioni, stimoli, brand image della casata o della congregazione religiosa. E molti andavano in chiesa per l’arte più forse che per la funzione. Così come noi, a volte, ci troviamo in situazioni in cui l’advertising ha un valore estetico e di interesse ben superiore al programma che interrompe (o che la interrompe?).
Eventi troppo rari purtroppo, la maggior parte delle comunicazioni non riesce a bucare il mio disinteresse e quello di molti altri fruitori di media. Non sempre la qualità è alta (anche se i brief sono impeccabili, e li si vede bene nella filigrana del comunicato) e si capisce perché altre forme di comunicazione stiano mordendo alle caviglie, come un branco di lupi siberiani, la pubblicità classica che non si dà un colpo d’ala..
Aspettate, sto forse dicendo che la pubblicità è il nuovo affresco? Che pensiero azzardato mi sono permesso. Martirizzatemi pure ma, a posteriori, non immortalate il mio martirio in un quadro; preferisco uno spot.
Galeotto fu il video per internet e universo della pubblicità? Stando all’istituto di ricerca eMarketer e alla concessionaria statunitense BrighRoll, grazie al video advertising fra il web e le sponsorizzazioni si starebbe finalmente accendendo quella passione che il mercato attendeva con trepidazione.
Nel 2009 il formato in questione ha visto una crescita dell’utilizzo del 40% e il ritmo dovrebbe proseguire inalterato nel 2010, secondo i dati di eMarketer. Inoltre, il 94% dei dirigenti di agenzie pubblicitarie ha dichiarato a BrightRoll di aver pianificato per il primo trimestre dell’anno in corso un aumento delle spese da dedicare alla pubblicità video su internent.La percentuale è superiore all’87% del 2009 ed è accompagnata da un importante 83% che si dice maggiormente soddisfatto rispetto all’anno scorso per i ritorni garantiti dal video adv.
Gli autori più o meno amatoriali di filmati potranno presto assegnare una tariffa per la visione dei propri contenuti su YouTube. Lo ha detto Hunter Walk, product manager del sito di proprietà di Google.
Secondo il dirigente, gli ingegneri di YouTube stanno lavorando a un metodo self-service per consentire a chi realizza i video di caricare o fornire in streaming contenuti a pagamento, applicando una tariffa desiderata.
Un milione di euro. Questa la cifra per inserire campagne pubblicitarie nelle applicazioni di iPhone e iPod Touch tramite la piattaforma iAd. Certo farsi conoscere attraverso i dispositivi Apple ha un costo elevato, tanto che le cifre chieste da Cupertino hanno creato subbuglio nel mondo del mobile advertising.
Secondo le indiscrezioni riportate da The Wall Street Journal, la compagnia della Mela avrebbe approntato il ‘listino prezzi’ in vista del lancio del nuovo melafonino, che dovrebbe essere svelato a giugno.
Jobs & Co. vogliono così sfruttare il mercato delle app, in continua crescita. Ogni sviluppatore può scegliere se inserire o meno la pubblicità nel proprio programma per iPhone: il 60% dei ricavi degli spot vanno a chi ha creato il software e il restante 40% ad Apple.
E’ una cosa che mi fa divertire un sacco. Aziende strutturate, che investono milioni in analisi e ragionamenti complessi sul target quando arrivano sul web diventato improvvisamente libere da qualsiasi problema strategico.
L’imperativo diventa: facciamo qualcosa, rivolto a qualcuno e vediamo che cosa succede, perché dobbiamo esserci anche noi! Fantastico. Non tutte le aziende arrivano nella realtà a mettere in pratica questo approccio e molte poi mettono a fuoco la situazione precisando meglio obiettivi, target e costi, la tentazione iniziale però è quasi sempre quella descritta.
Perché accade questo?
Il primo fattore, secondo me, sono le barriere all’ingresso nel web, che sono quasi nulle e comunque di fatto irrilevanti, in termini di paragone, per chi già faccia investimenti pubblicitari in altri mezzi. A questo si lega la convinzione che la presenza su Internet sia gratuita, cosa che come sappiamo non è propriamente vera.
In secondo luogo c’è poca conoscenza del mezzo all’interno delle aziende, che si affidano in tutto e per tutto a dei professionisti esterni senza avere gli strumenti per valutare realmente il loro operato e senza riuscire a spiegare realmente gli obiettivi da raggiungere.
Terzo, non è così frequente trovare una percezione realistica degli impatti che ha l’essere online, specie in un social web dialogico e incontrollabile: si pensa ancora ad una vetrina pubblicitaria da mettere in piedi una tantum, senza considerare l’aggiornamento nel tempo, monodirezionale.
Questo mio discorso poi può essere esteso al mobile, al digital signage, alle application per smartphone e via discorrendo, con l’unico freno dei costi d’entrata più alti di queste tecnologie.
Personalmente trovo che, per l’importanza che sempre più avranno le nuove tecnologie, sia ormaiimprescindibile (e utile) la presenza di una figura di riferimento aziendale (con forme e modi commisurati alle dimensioni) che guidi l’utilizzo di questi strumenti. Non può essere una funzione isolata ma deve lavorare insieme al resto dello staff per portare realmente dentro la rete l’impresa, che a sua volta deve essere disponibile a dialogare in modo paritetico con questa figura. Insomma è l’ora della competenza e della fiducia.
Qual è la vostra esperienza in questo senso e che cosa ne pensate?
Il Viral di Doritos e il premio di 250.000 $ In testa alle classifiche dei filmati Viral di Advertising Age c'è questo film di Doritos... che in realtà è la pubblicità ad un'operazione promozionale / User Generated Content.
A trovare un nuovo nome per un prodotto e a farci un video c'è da guadagnare un quarto di milione di dollari. Il tutto raccontato con una tecnica di sovraimpressione tra realtà e sovraimpressione che ricorda certi vecchi cartoni animati ( e fa un po' impressione).