Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
“Il profitto è frutto di clienti fidelizzati, che fanno buona pubblicità ai prodotti e portano gli amici come nuovi clienti”, diceva Edwards Deming indiscusso guru della qualità. Analisi delle strategie per il mercato intermedio.
Nella complessa stratificazione del mercato commerciale, che vede in cima i produttori di beni e servizi e in basso i generici consumatori, nella fascia intermedia si collocano gli intermediari, ossia i distributori che fungono da interfaccia verso i clienti finali.
A questa fascia di clientela - per aumentare il livello di fidelizzazione e collaborazione, e ovviamente il giro di affari - si applica la disciplina del Trade Marketing: approccio gestionale per incrementare l’efficacia del marketing aziendale attraverso il raggiungimento della massima soddisfazione dei clienti.
Operativamente significa che una impresa produttrice pianificherà le strategie e attività di marketing avendo come obiettivo un mercato intermedio, quello costituito dai piccoli e grandi distributori.
Le attività di trade marketing sono in questo caso “below the line” perché veicolate dalla distribuzione che, solo in un secondo momento, raggiungono il cliente finale: volantini pubblicitari, promozioni, programmi fedeltà, raccolta punti, co-marketing, ecc.
Nella prospettiva del Trade Marketing, il distributore è visto come un vero e proprio cliente da fidelizzare, del quale si devono tenere presente i bisogni.
Esattamente come i clienti dei beni di consumo, i distributori vengono segmentati in gruppi con gli stessi bisogni e caratteristiche; la scelta del segmento-target principale costituirà per l’impresa un criterio selettivo preferenziale che trasformerà i distributori appartenenti a quel segmento in clienti prioritari attorno ai quali verrà elaborata un’offerta specifica.
Si tratta di un vero e proprio rapporto Business to Business con obiettivo la relazione e la conseguente ottimizzazione delle condizioni commerciali di vendita del distributore.
Le fasi ricalcano il ciclo di vita del marketing tradizionale: si parte da una analisi ad ampio raggio d’azione su mercati, prodotti, canali di distribuzione e competitor, per poi passare alle attività di pianificazione strategica interna che individua gli obiettivi da raggiungere, i clienti (intermedi) target, e i canali distributivi più idonei al proprio prodotto.
Nella successiva fase di gestione si attueranno le strategie e le politiche di relazione e collaborazione definite, usando le leve di marketing mix teorizzate da Jerome McCarthy: Prodotto (Product), Prezzo (Price), distribuzione (Placing), comunicazione (Promotion).
Per il prodotto la leva più importante è la determinazione della politica di brand management, ovvero la decisione di vendere prodotti generici, di marca riconoscibile o con il marchio del distributore a prezzo scontato (vedi Coop, Conad, ecc).
In relazione ai prezzi si individuano le politiche in relazione agli obiettivi da raggiungere sul mercato: scrematura (skimming pricing), penetrazione (penetration pricing) o diversificazione (segment pricing).
Alla voce distribuzione corrisponde la scelta del canale più idoneo (channel management) e la valutazione delle problematiche su logistica merci, immagazzinamento e copertura del mercato.
Infine, in relazione alla voce comunicazione si individuano le azioni per promuovere e pubblicizzare un’azienda o un determinato prodotto o servizio. Le leve connesse sono: pubblicità, propaganda, direct marketing, direct response advertising, sponsorizzazioni, pubbliche relazioni, product placement, licensing, merchandising, pubblicazioni economico-finanziarie, promozione delle vendite, vendita personale (ad esempio porta a porta), packaging.
Le 4P sono dunque estese a 6P includendo anche vendita personale e posizionamento. Nel primo caso si tratta di attività (a valore aggiunto per l’acquirente) di supporto e informazione per il potenziale cliente, mentre il secondo mira a piazzare bene una marca sul mercato, conferendole riconoscibilità anche in relazione alla fascia di prezzo.
Normalmente, infatti, un cliente identifica in una marca determinate caratteristiche di qualità e prezzo e non è facile estendere ad un diverso posizionamento di marcato altri prodotti con la stessa marca, a meno di una vasta operazione di “riposizionamento” basata sulla pubblicità.
La fase finale del ciclo di vita del Trade Marketing è naturalmente quella di controllo, in cui si verifica il raggiungimento degli obiettivi pianificati in relazione alle leve attuate e ai risultati raggiunti.
Per svolgere queste complesse operazioni è utrile rivolgersi ad un professionista esperto, il Trade Marketing Manager, la cui missione è garantire la coerenza del marketing mix in relazione al cliente intermedio/canale piuttosto che al singolo prodotto (strategia oggetto del Category Management).
Il Trade Marketing Manager è responsabile dello sviluppo e implementazione della strategia di canale, dell’analisi dei trend e della redditività delle vendite sugli investimenti, dell’identificazione di nuove opportunità aziendali, della formulazione di piani di merchandising per categorie di prodotto, delle previsioni di stock dei prodotti.
Per approfondire la cultura e le strategie del Trade Marketing si pùò consultare “Trade marketing. Gestione strategica e operativa della clientela commerciale” di Arthur Lawrence o “Trade marketing. Relazioni di filiera e strategie commerciali” di Daniele Fornari. Si segnala infine l’interessante intervento “il Trade Marketing per la qualità delle relazioni” al convegno Le tendenze del marketing in Europa a cura di Marta Ugolini, per avere una visione a 360 gradi del contesto attuativo del Trade Marketing nell’ambito degli scenari evolutivi di mercato.
di Alessia Valentini via Marketing Journal
Per il microblog Twitter è giunto il momento di cambiare marcia e aggredire il settore che più adatta alle sue peculiarità: il mobile. Il social network da 140 caratteri ha acquistato Atebis, società produttrice dell'applicazione per iPhone Twittie. Il programma è uno dei tanti che permette ai possessori del melafonino di aggiornare la pagina di Twitter mediante il dispositivo mobile. Rilevando la società, il social network entra ufficialmente in possesso dell'applicazione, con tutto ciò che ne consegue: modalità di fruizione, eventuali sponsorizzazioni, ecc.
La prima mossa per Twitter for iPhone, questo il nuovo nome dell'app, è quello di renderla gratuita e di eliminare così il cartellino precedente da 2,99 dollari. L'obiettivo è quello di rosicchiare utenti a Facebook laddove la correlazione fra sms e twett può fare la differenza.
“Stiamo lavorando sodo per migliorare il nostro prodotto, aggiungere nuove funzionalità, operare acquisizioni quando è nel migliore interesse dell'intero ecosistema”, ha affermato il responsabile di Twitter Ryan Sarver.
L'attacco al mobile passa anche per Blackerry e per il rilascio dell'applicazione dedicata agli smartphone di Research in Motion, rilasciata in questi giorni.
Via Quo Media
Facebook viaggia verso il miliardo di utenti, almeno nelle intenzioni, consapevole che la moneta più preziosa è la loro fiducia. Christian Hernandez Gallardo, responsabile internazionale del Business Development di Facebook, dopo un passato a Google, spiega strategie, modello di business e integrazione con i giornali online del più celebre sito di social network al mondo a margine dello Iab seminar 2010 ospitato nella sede milanese del Sole 24 Ore.
Del modello di business di Facebook si parla dagli esordi. Oggi, con quattrocento milioni di utenti, come vanno le cose? Riusciamo a coprire i costi: l'infrastruttura, le persone che ci lavorano e lo sviluppo. I ricavi arrivano esclusivamente dalla pubblicità online. Ora siamo concentrati in un'opera di evangelizzazione che coinvolge i team di vendita che abbiamo in tutto il mondo. Dialoghiamo con le agenzie di pubblicitàe le grandi aziende per far capire le opportunità della pubblicità mirata sugli interessi e il profilo degli utenti.
Non c'è il rischio che la pubblicità appaia invadente agli occhi degli utenti? Facebook ha dovuto fare alcuni passi indietro su questo fronte... Sì, è successo non appena abbiamo visto che veniva meno quello che per noi è il maggior valore. E cioè la fiducia degli utenti. Quattrocento milioni di persone si fidano di noi, se dovesse mancare questo rapporto perderemmo tutto. Nello sviluppo del sito siamo sempre più attenti alla privacy.
La quotazione in Borsa, confermata nelle intenzioni dal fondatore Mark Zuckerberg, che tempi avrà? No comment.
Come avete visto evolversi il rapporto tra informazione online e social network? La gente vuole condividere le news. Sta già succedendo con la pubblicazione di link alle notizie dei quotidiani. Facebook oggi manda più traffico ai quotidiani online di quanto non faccia Google News. La notizia condivisa ha un valore maggiore: se un tuo amico ti segnala un articolo sei più motivato a leggerlo. Il secondo fenomeno riguarda Facebook connect, funzione che implica un'integrazione più profonda. L'Huffington post lo utilizza. I giornali per noi sono partner, non concorrenti.
Chi sono i vostri competitor? Tutti i siti che offrono una piattaforma identitaria, cioè la possibilità di avere un'identità digitale in dialogo con amici e conoscenti, condividendo messaggi e informazioni. MySpace, Twitter, Linkedin sono tra i più noti.
Qual è il vostro obiettivo? Come ha già detto Mark (Zuckerberg, ndr) possiamo raggiungere un miliardo di utenti.
di Luca Salvioli su ILSOLE24ORE.COM
Il numero Uno di Apple, Steve Jobs ha annunciato oggi nel corso dell'incontro sulle novità legate all'iPhone, che è stato raggiunto il risultato di 50 milioni di apprecchi venduti da quando è stato lanciato, meno di tre anni fa. Gli iPod Touch venduti nello stesso periodo sono stati circa 35 milioni.
Su questo impressionante numero di hardware sono state annunciate le novità del software che dalla prossima primavera potrà essere installato sugli apparecchi già in commercio e sul nuovo iPhone atteso prima dell'estate.
Via Quo Media
Fra cinque anni, nelle mani degli adolescenti, vedremo soprattutto pc dotati di schermi sensibili al tocco, a forti tinte multimediali e con interfacce molto simili a quelle di uno smartphone. Cambierà in buona sostanza, per la maggior parte degli utenti di computer in erba, la modalità attraverso la quale interagire con la macchina: niente tastiera, niente mouse. Solo le dita delle mani o al più un apposito pennino digitale. La previsione è di Gartner e fonda su queste cifre: entro il 2015 oltre il 50% dei computer acquistati per gli utenti con meno di 15 anni di età saranno touchscreen. Nel 2009 tale percentuale non ha superato il 2%. In pochi anni, questo in sostanza il messaggio che arriva dagli analisti, crescerà esponenzialmente l'utilizzo di computer tattili fra i giovanissimi, i veri cultori di questa nuova tipologia di "gadget" tecnologici di cui fanno parte anche l'iPad di Apple, le tavolette touch con a bordo Windows 7 (vedi gli Slate pc di Hp) e anche i cosiddetti "smartbook" (netbook ancora più compatti e maneggiabili di quelli attualmente in circolazione) basati sul sistema operativo Android di Google.
La buona notizia, per i produttori, ha comunque un rovescio della medaglia, e cioè che di tutti i pc touch che verranno venduti nel 2015 su scala mondiale solo il 10% finirà dentro le aziende. Quest'ultimo dato, a detta di Gartner, si giustifica per vari motivi. In primo luogo perchè i primi utenti "massivi" di questi computer saranno quei consumatori, magari già allenati all'uso delle interfacce tattili in quanto utilizzatori di un telefonino multitouch, in cerca di un apparecchio di intrattenimento digitale comodo da portare in giro e facile da usare. Per gli addetti aziendali, invece, la necessità di gestire applicazioni (anche di tipo grafico) che richiedono determinati requisiti prestazionali e di dover scrivere frequentemente testi anche molto lunghi costituirà una barriera all'ingresso non indifferente. Più che anagrafiche clienti o documenti di lavoro in genere, insomma, sui computer a tavoletta gireranno soprattutto – ed è del resto questa la missione dell'iPad di Apple e dei tablet di nuova generazione – film, musica, video, libri e giornali in formato elettronico. Il vero driver per il successo dei pc touch sarà in tal senso, secondo gli analisti, l'ecosistema di distribuzione dei contenuti digitali di natura consumer e non tanto la possibilità di gestire in punta di dita particolari applicazioni aziendali.
La predetta "consumerizzazione" degli ambienti enterprise, e cioè la crescente adozione di tecnologie consumer (chat, social network, dispositivi mobili personali) nelle imprese, avrà luogo ma con effetti, per quanto riguarda i computer touch, probabilmente più limitati e sicuramente in tempi meno rapidi. Detto che l'utilizzo professionale di questi device - pensiamo ai classici tablet pc, ai sistemi Atm o ai chioschi informativi di centri commerciali o aeroporti - è da tempo una realtà, il fatto che i costi dell'hardware siano destinati a calare e che il numero e la qualità delle applicazioni software sia deputato a salire potrà contribuire sensibilmente a far decollare l'adozione dei "touch device" presso locali pubblici e negozi di beni di largo consumo. Un ruolo importante lo giocherà inoltre il settore education, quello delle scuole, che potrebbe diventare addirittura il primo mercato di sbocco quando i prezzi di questi dispositivi scenderanno progressivamente. In definitiva, non ci sarà una sola "killer app" a dare un preciso impulso a questo segmento ma una convergenza di fattori, di carattere economico da una parte (i prezzi dei dispositivi) e di natura tecnologica (interfacce, ergonomia, applicazioni) dall'altra.
di Gianni Rusconi su ILSOLE24ORE.COM
Le app per cellulari saranno la tecnologia peculiare del 2010, con un mercato in forte espansione che arriverà a contare 6 miliardi di software scaricati dai diversi portali entro la fine di dicembre.
Dopo i 2 miliardi di programmi offerti all’utenza nel 2009, anno di esplosione del fenomeno app, trainato dal successo di iPhone e del suo negozio online, gli analisti di Abi Research prevedono una crescita rapida del settore, in stretta correlazione alla sempre più capillare diffusione degli smartphone, le cui vendite sono aumentate del 20% negli ultimi dodici mesi.
La società di ricerca statunitense spiega come il lancio dei nuovi sistemi operativi (Samsung, Apple e Microsoft), previsto per l’estate, favorirà lo sviluppo di ulteriori applicazioni.
Via Quo Media
Non ha tasti, non ha pulsanti, non ha appendici esterne. È un unico grande schermo liscio, praticamente senza bordo. Il retro è tutto in alluminio chiaro con al centro, in nero, il logo della mela. Per definirlo, in inglese, basta un aggettivo: sleek. Praticamente intraducibile in italiano. Il nostro dizionario propone "elegante", "raffinato" e "lucido". O "tirato a lucido". Ma per descrivere l'iPad è decisamente meglio quell'unica parolina in inglese. Che non a caso è la lingua di Steve Jobs e della sua Apple. Fluida, moderna e internazionale.
Ecco, l'iPad sta ai computer portatili come l'inglese sta al tedesco. La lingua di Kant, come il portatile, è solida, ben strutturata e... stagionata. L'inglese, come l'iPad, è molto più tonico. Anzi, elettrizzante.
Per assicurarsene uno Nessrine, quindicenne di Brooklyn, si è sistemata davanti al negozio principale della Apple a Manhattan, quello sulla Fifth Avenue, con due notti d'anticipo. È arrivata assieme a sua sorella, sua madre e sua nonna, armata di sedia pieghevole e coperta. E per avere il suo iPad ha aspettato per 33 ore il momento di apertura del negozio.
Nessrine non si è certo pentita del sacrificio. Alle nove in punto di sabato mattina, ad accoglierla all'ingresso nel negozio, c'erano due file di commessi della Apple con una maglietta azzurra e la scritta iPad in bianco. Come all'arrivo della maratona, la claque di commessi applaudiva e offriva il "cinque", in una cerimonia altamente coreografata. Che si è ripetuta in ogni singolo negozio della Apple sotto i fari dei cameramen e i flash delle macchine fotografiche.
Seppur costruiti a tavolino dai maestri della Apple, l'entusiasmo e il feeling erano senza dubbio quelli del grande evento. Quanto grande, lo diranno solo il tempo e la reazione dei consumatori. Ma che l'arrivo dell'ultimo gadget della Apple sia un evento è indubbio. Da giorni televisioni, siti e giornali non parlano d'altro. E ora che è finalmente arrivato, tutti si chiedono se l'articolo sia all'altezza della sua attesa.
Certo è che, come tutti i prodotti della casa di Jobs, anche questo è straordinariamente innovativo sia nel look che nella performance. Il che non garantisce necessariamente lo straordinario successo commerciale dei due che lo hanno preceduto - l'iPod e l'iPhone - ma promette bene.
Altrettanto certo è che l'iPad propone una nuova esperienza tecnologica e multimediale, che è quella del computer, del televisore e dell'iPod fuse in un'unica performance. Senza mouse e senza tastiera, l'interfaccia è quello dell'iPhone. Tutto a portata di un dito. «La possibilità di usare le dita per qualsiasi funzione è una svolta che cambierà il modo con cui ci rapportiamo al computer», ha dichiarato Jack Dorsey, fondatore di Twitter.
Walter Mossberg, il critico tecnologico del Wall Street Journal, normalmente molto severo, è stato insolitamente entusiasta nella sua recensione, in cui ha parlato di «bellissimo nuovo oggetto... qualitativamente differente». A suo dire l'iPad «ha il potenziale per cambiare profondamente il mondo dei computer portatili e minacciare la supremazia dei laptop. E con il suo schermo al tatto come interfaccia potrebbe mandare definitivamente in cantina il mouse».
I tre superlativi ai quali sono più spesso ricorsi gli osservatori americani: bellissimo, semplicissimo e velocissimo. Effettivamente le applicazioni si aprono in un baleno, la navigazione in internet è fluida, la funzionalità nello sfogliare pagine elettroniche superlativa.
Come molti prodotti della Apple, l'iPad non risponde necessariamente a un bisogno. È piuttosto un piacere. E a spingerne le vendite probabilmente non sarà tanto l'esigenza quanto l'euforia. Ma nell'ultimo decennio, la strategia di Jobs è stata proprio quella di inventare un prodotto per cui non c'è domanda, ma che sull'onda delle sue performance innovative riesce a far piazza pulita delle alternative. Aiuterà il fatto che quest'anno si prevede che Apple spenderà in pubblicità almeno 77 milioni di dollari. Obiettivo (non dichiarato): vendere almeno 5 milioni di unità in soli dodici mesi.
Per chi ha già un Blackberry o un iPhone e un portatile, potrebbe non aver senso comprare un terzo gadget. Non c'è niente che non possa già fare o vedere. Ma quanta gente va in giro con il proprio laptop? Un iPad è come un quaderno, pesa appena 680 grammi, e quindi può essere un computer-televisore-libro-giornale-rivista che ognuno può portare con sé ovunque.
Il potenziale mercato può andare oltre il settore dei tecnofili. E oltre anche ai giovani di Twitter e Facebook alla continua ricerca di nuove esperienze tecnologiche e multimediali. Può raggiungere la gente comune finora costretta a usare un portatile perché non ha altri strumenti per andare in rete o guardare un film mentre è in viaggio.
Se una persona ha l'esigenza professionale di produrre documenti in Word o in Excel, il laptop rimane lo strumento più funzionale. Ma, come ha scritto Mossberg, «se si appartiene alla categoria di chi naviga in rete, usa l'email, partecipa ai social network, consuma video o contenuti elettronici, l'iPad potrebbe fare per te». Dopo che New York Times, Wall Street Journal, Time e cinque dei sei maggiori editori americani hanno annunciato l'intenzione di lanciare versioni iPad dei loro prodotti, l'analista di Ccs Insight, Ben Wood, ha detto che «questa potrebbe essere la svolta che accelererà il processo di transizione verso la distribuzione digitale di tutti i contenuti mediatici».
di Claudio Gatti su ILSOLE24ORE.COM
Il Web 2.0 prende piede anche nelle aziende europee, però molto lentamente. Il motivo è duplice: qualche ritardo culturale, e il timore che "troppo social network" abbia effetti negativi su produttività e sicurezza. È questo il succo del rapporto "Potere alle persone? Gestione della democrazia tecnologica sul posto di lavoro" commissionata da Trend Micro a The Economist Intelligence Unit.
L'indagine, condotta su un campione di 390 dirigenti di aziende di Regno Unito, Germania, Francia, Italia, Paesi Bassi, Svezia e Russia, ha messo in risalto come il 48% degli intervistati si dice favorevole a incrementare la libertà tecnologica nella propria azienda, però in maniera speculare un altro 47% dichiara l'esatto contrario. Questo non toglie che da parte dei dipendenti avanzi la domanda di una maggiore democrazia nell'uso degli strumenti del web 2.0, in particolare di Facebook, Twitter e compagnia bella. Bello ai dirsi, meno a farsi, secondo le imprese: lasciare briglia sciolta, dicono, introduce molte incognite e qualche mal di pancia in chi l'It lo gestisce e si vedrebbe togliere parte del controllo tecnologico che pure spetta loro. Di fronte al problema, il 40% dice che il gioco vale la candela, visto che le opportunità (più innovazione, miglior clima aziendale, migliore collaborazione coi partner) sono minori dei rischi, il 31% sostiene il contrario (calo della produttività, perdita di info sensibili, più vulnerabilità ai virus), mentre per il 23% rischi e opportunità si equivalgono.
I manager inglesi sono i più ottimisti sui benefici che potrebbe portare la rivoluzione tecnologica del web 2.0, i dirigenti russi i più diffidenti. L'Italia non si discosta dai dati europei, registrando una buona apertura. Gran parte degli intervistati italiani è sicuro che il web 2.0 sia ampiamente usato nelle imprese, anche se il 71% ritiene che l'uso del social network risponda più a bisogni personali che ad esigenze professionali. In ogni caso, il 63% si fida… Il 42,8% dei manager italiani pensa che l'uso dei social network aumenti i rischi per la sicurezza dei dati aziendali, il 38,8 % ritiene le opportunità superiori ai rischi, un 28,5% le ritiene inferiori, il 30,6% ritiene invece che rischi e opportunità stiano in perfetto equilibrio. Il 46,9% ritiene che l'introduzione del web 2.0 possa ridurre la produttività dei dipendenti, il 32,7% ritiene che i social network, in particolare Facebook e Linkedin, potrebbero costituire un pericolo per le informazioni aziendali.
In fin della fiera, i manager italiani preferiscono una regolazione soft delle nuove tecnologie, quasi il 60% invece è per la censura piena per le applicazioni e i siti di file sharing. Allora, cosa deve fare chi vuole introdurre la democrazia tecnologica in azienda e nel contempo garantire un certo livello di sicurezza? La risposta sta in sei suggerimenti da parte dei ricercatori: redigere linee guida specifiche per l'uso delle nuove tecnologie; aggiornare frequentemente le linee guida; formare i dipendenti; sviluppare strumenti di social network interni all'azienda; essere pronti a delegare parte della supervisione per garantire la protezione; favorire la collaborazione tra unità aziendali e team It.
di Pino Fondati su ILSOLE24ORE.COM
D’ora in avanti, gli utenti di Facebook potranno ricevere le classifiche dei dischi più venduti in Italia. La Fimi, la federazione dell'industria musicale italiana, ha reso disponibile sul sito www.fimi.it una nuova applicazione per tutti gli utenti del social network, che saranno così in grado di disporre gratuitamente dei dati di vendita e dei brani più scaricati sul proprio account, dando visibilità ai successi dei propri artisti preferiti.
Via Quo Media
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