Sono sempre più popolari, e non solo fra ai giovanissimi. Facebook ha toccato quota 200 milioni di utenti, vanta una crescita esponenziale della sua audience in Europa e secondo alcuni addetti ai lavori della galassia Web (nella fattispecie l'analista Ross Sandler della Rbc Capital Markets) potrebbe anche superare Google per numero di utenti entro il 2012. Un altro social network - anche se tecnicamente viene definito un servizio di "microblogging" - in fortissima ascesa a colpi di milioni di nuovi utenti (i visitatori unici del sito sono oggi più di sette milioni al mese) è Twitter, per cui il fondatore Evan Williams ha ha predetto un futuro da strumento di massa entro i prossimi cinque anni. In entrambi i casi l'eccezionale impennata di gradimento è avvenuta grazie a una fascia adulta di utilizzatori, compresa fra i 35 e i 49 anni. Cosa manca però sia a Facebook che a Twitter? Un modello di business definito: avere milioni di utenti ad animare la community non è sinonimo di ricavi – visto che i servizi sono gratuiti - ma a far quadrare i bilanci sono le entrate pubblicitarie. Peccato che il giro d'affari di Facebook non supera i 400 milioni di dollari l'anno e la società vale oggi sul mercato, secondo gli analisti, non più di tre miliardi di dollari e non i 15 che Microsoft aveva stimato quando acquisì due anni fa (per 240 milioni di dollari) una quota di minoranza della società. Più pragmaticamente si può affermare senza il rischio di essere smentiti che il più popolare sito di social network al mondo (e una delle principali "property" dell'intero World Wide Web) è in perdita.
Uno studio del Mit sui dipendenti Ibm: comunicare on line fa bene al business
Facebook & Co., bilanci a parte, hanno comunque un grande valore in termini di produttività aziendale? La domanda interessa molto da vicino milioni di imprese del pianeta, i cui addetti sono anche utenti delle Rete e in una buona percentuale frequentatori dei social network, ed è stata oggetto di uno studio condotto da Ibm in collaborazione con il Mit (Massachusetts Institute of Technology) di Boston. L'indagine condotta su 2.600 dipendenti di Big Blue su scala mondiale, monitorati nelle loro relazioni informali e non da giugno 2007 a luglio 2008, ha messo in evidenza come ogni rapporto stretto e consolidato attraverso una comunicazione on line intensa è più di valore dell'assenza del comunicare. Più concretamente, gli impiegati che scrivono spesso e volentieri e-mail e messaggi nelle bacheche dei social network ai propri capi genererebbero in media un fatturato mensile di 588 dollari. Gli addetti con relazioni elettroniche più deboli con la dirigenza si fermerebbero invece non oltre i 500 dollari. La relazione virtuale, in parole povere, consolida lo spirito di gruppo e aumenta la trasmissione della conoscenza ai vari livelli aziendali, con tangibili benefici per le casse societarie: in Ibm sono ben 55mila i dipendenti che comunicano sul social network "aziendale" per scambiarsi tanto foto delle vacanze come importanti informazioni attinenti l'attività professionale. E, a quanto pare, con buoni risultati.
La pubblicità cresce ma a ritmi ridotti. A Facebook & C. meno del 10% dell'adv
Stando ai dati della società specializzata eMarketer, nel 2009 il giro d'affari globale per gli investimenti in advertising sui siti di social network arriverà a 2,3 miliardi di dollari, in crescita del 17% rispetto al 2008. Un dato in sé molto buono se non che la stessa eMarketer prediceva solo a dicembre fa un salto in avanti del gettito pubblicitario su Facebook e compagnia del 32%. Proprio le due grandi rivali sono lo specchio di un mercato dalle enormi potenzialità ma ancora in una fase di (lenta) maturazione, almeno per quanto riguarda l'aspetto commerciale. Negli Stati Uniti, che costituiscono oltre la metà di questo mercato e svilupperanno un fatturato per il 2009 di 1,3 miliardi di dollari (in salita del 10,2%, rispetto al 4,5% previsto per il Web advertising nel suo complesso, che toccherà quota 24,5 miliardi), i due terzi degli investimenti sui social network sono catturati infatti da Facebook e MySpace mentre fuori dai confini nazionali la loro quota congiunta arriva solo al 40%. Lo scetticismo degli analisti, ben espresso dai numeri rivisti al ribasso di cui sopra, va però anche oltre la "naturale" flessione dovuta alla crisi globale. Il fenomeno dei siti sociali deve poter contare su un modello di business multicanale, che abbini agli introiti dell'advertising - Facebook, Twitter e via dicendo valgono solo circa un ventesimo dell'intero volume di business generato dalla pubblicità on line negli Stati Uniti - altre forme di entrate, compresi i servizi a pagamento.
di Gianni Rusconi su ILSOLE24ORE.COM