Proprio come Shazam fa con le canzoni, i brand di abbigliamento vogliono mettere nelle mani dei consumatori uno strumento in grado di riconoscere gli outfit che gli interessano, e chissà mai, che sono intenzionati a comprare. Un’idea semplice, che presuppone una realizzazione più complessa e una scalabilità ancor di più. Nonostante questo, già sulle passerelle di Los Angeles popolate dai modelli vestiti Tommy Hilfiger, lo scorso febbraio, era possibile inquadrare i vestiti indossati con il proprio smartphone per essere rimandati alla pagina prodotto con informazioni sui capi e la possibilità di acquistarli.
Dopo Tommy, che ha lavorato con la tecnologia di Slyce, si sono poi avvicinati alla visual search anche Target (che ha annunciato una partnership con la tecnologia di Pinterest Lens a settembre, American Eagle, che ha integrato un chatbot nella sua campagna, e Asos. Tra questi brand e altri, che hanno sperimentato la funzione durante le passerelle di febbraio, sono molti a voler lanciare app “standalone” focalizzate sulla visual search applicata alla stampa, all’online e alla vita reale.
Tecnologia datata, esigenze nuove
È vero, già dagli anni 2000 gli sviluppatori stanno rilasciando prodotti per il riconoscimento delle immagini, ma a quei tempi il mobile non era ancora nemmeno un’utopia, mentre ora il mobile commerce sta occupando buone fette di mercato e fasce sempre più larghe di usage quotidiano. Insomma, la ricetta perfetta per utilizzare la fotocamera e passare direttamente all’acquisto.
La visual search conviene a tutti?
Ci sono brand più inclini a questo tipo di dinamiche rispetto ad altri. I retailer devono considerare gli effettivi vantaggi dell’introduzione di questa tecnologia – fa notare Eric Hansen, CTO e founder della company di customer experience optimization SiteSpect – a partire della natura del prodotto che vendono. Ma devono ragionare anche in base all’età dei propri consumatori, in quanto i più propensi all’utilizzo di questi strumenti sono gli utenti con una maggiore confidenza con il mezzo mobile. Ovvero millennials (che secondo uno studio di eMarketer passano 4 ore al giorno su mobile) e Gen Z.
“La visual search potrebbe essere più appropriata per i giovani utenti, che sono nativi mobile, piuttosto che per i più anziani e meno esperti. Gli ultimi stanno ancora facendo esperienza con funzioni di search normale, e la ricerca visual potrebbe rappresentare un processo troppo lungo e complicato per loro”, commenta Hansen.
Cresce invece l’adozione della tecnologia, secondo i dati di Slyce. La company guidata da Ted Mann è stata utilizzata sia da American Eagle Outfitters sia da Tommy Hilfiger e proprio il CEO indica un utilizzo in costante crescita mensile, per volumi tra il 20 e il 40%.
Tommy Hilfiger, un caso di successo
Tommy Hilfiger rimane il primo esempio di applicazione della visual search. Dopo aver raccolto un alone di successo durante le sfilate losangeline, il brand ha deciso di sviluppare un’app che incorporasse la tecnologia prima delle sfilate di settembre. La company ha voluto espandere l’esperienza al di fuori delle passerelle, dove i presenti hanno potuto fare foto ai look ed essere re-diretti direttamente al portale per l’acquisto. Nonostante Mann non abbia rivelato i numeri, ha dichiarato che la funzione ha contribuito ad aumentare le vendite: “Il loro evento di Los Angeles ha portato a molte vendite ed è stato profittevole. Dopo la passerella hanno raddoppiato gli sforzi sulla strategia adoperata e sul see-now-buy-now. Hanno sviluppato una nuova app con noi, utilizzabile per tutto l’anno e nei loro fashion show”.
Pinterest Lens, anche il social nel gioco della visual search
Allo stesso modo funzionano le Pinterest Lens – costruite per aiutare gli utenti a identificare i prodotti nella vita reale utilizzando un algoritmo di search che trova stili simili a cui rifarsi al momento degli acquisti – che hanno visto un picco di utilizzo nelle search e nell’utenza dal lancio dello scorso gennaio. Nelle sue prime fasi, la visual search sarà utile a raccogliere dati sui consumatori e capire come questi utilizzano la funzione. I brand possono monitorare i comportamenti degli utenti, se questi cliccano sul link con l’intento di concludere l’acquisto oppure no.
“Non è necessario creare un nuovo percorso d’acquisto e cannibalizzare quello che i nuovi utenti avrebbero usato se la tecnologia non è ancora pronta. È meglio sviluppare la customer experience che saltare da un problema all’altro”, conclude Hansen.
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360.com