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Marketing: il dipendente-testimonial la nuova strategia delle aziende
Di Altri Autori (del 16/05/2016 @ 07:36:46, in Marketing, linkato 3608 volte)
Scoppia la passione per il dipendente testimonial. Un tempo le imprese puntavano solo su star, grandi attori e volti noti dello show business per promuovere il proprio marchio e i propri prodotti. Poi è arrivata la moda dell’imprenditore testimonial: da Giovanni Rana a Ennio Doris fino alla «parola di Francesco Amadori», ultimo approdo del modello dell’industriale “ faccio tutto io”. Ora tante grandi imprese italiane sembrano essersi innamorate di un nuovo filone creativo, che mette al centro, appunto, i lavoratori e i collaboratori dell’azienda, eleggendoli quali nuovi ambasciatori del brand.
Decathlon ha dato il via a fine del 2015 alla campagna “Lofaccioperché”, in cui a rivestire il ruolo di testimonial sono 29 dipendenti provenienti da 20 diverse sedi della catena, selezionati in quanto esperti e appassionati di quelle discipline sportive che si ritrovano all’interno dei reparti di abbigliamento e attrezzature dell’insegna. Ma non mancano i precedenti illustri. Qualche anno fa Gabriele Salvatores aveva girato per McDonald’s uno spot incentrato proprio sul lavoro: per la sua realizzazione erano stati selezionati i dipendenti della catena con un casting realizzato all’interno dei ristoranti. Poltronesofà ha lanciato la campagna “Artigiano di qualità”, in cui i fornitori dell’azienda hanno preso il posto di Sabrina Ferilli. La scelta di accostare un personaggio popolare ai propri dipendenti è stata presa anche dal marketing di Intesa Sanpaolo: nella campagna “Le Storie Impossibili”, Claudio Bisio dialoga e scherza con i dipendenti della banca e più di recente con i clienti (imprenditori). Altre aziende, come Barilla e Conad, hanno invece puntato sì sulla figura del dipendente, facendola però interpretare da attori noti al grande pubblico.


PARLARE ALL’INTERNO
«L’evoluzione della creatività pubblicitaria rappresenta come sempre lo specchio di quello che sta accadendo all’interno delle aziende», commenta Maria Carmela Ostillio, professoressa di Marketing della Sda Bocconi. «Le imprese, soprattutto le multinazionali, sono sempre più impegnate a fidelizzare dipendenti e collaboratori, a porsi sul mercato come l’azienda migliore dove andare a lavorare». Le risorse umane sono non a caso sempre più attente al cosiddetto employer branding, ovvero alla reputazione che una società si è guadagnata agli occhi dell’opinione pubblica come datore di lavoro. «Attrarre i talenti presenti sul mercato, e non farseli rubare una volta che si è conquistata la loro fiducia e li si è fatti crescere al proprio interno, è un tema oggi che l’impresa non può ignorare». Puntare sul dipendente-testimonial può rappresentare così l’arma giusta per aumentare la credibilità dell’azienda e rafforzarne così l’identità. «Se quello che si comunica corrisponde alla realtà, l’artigiano o l’impiegato della banca possono invogliare in uno spot i telespettatori ad aspirare a essere come loro, a far parte di quel mondo che funziona così bene. E, dunque, a credere in quel marchio». «In ambito creativo, come spesso capita, quando si dà il la a un filone, in tanti poi finiscono per imitarlo», commenta invece Renato Fiocca, professore ordinario di Marketing della Facoltà di Economia dell’Università Cattolica di Milano, nonché direttore di Centrimark, Centro di ricerche di marketing. «A mio giudizio, quelle aziende che decidono di affidare le sorti della propria comunicazione ai dipendenti, lo fanno soprattutto perché incuriosite da una moda piuttosto che per ragioni strategiche ben definite. Forse questa scelta può rappresentare un buon metodo per coniugare l’esigenza di comunicazione interna alla necessità dell’impresa di promuoversi all’esterno.

PORTARE VALORE
 Secondo Stefano Rosselli, direttore creativo esecutivo di Leagas Delaney e art director della campagna Poltronesofà, oggi le aziende tendono invece a porsi nei confronti dei consumatori in modo più sincero e autentico. «Internet ha di certo influito molto su questo tipo di approccio. Penso soprattutto alla natura “one-to-one” dei social media. Puntare sul dipendente testimonial è un’ottima scelta per portare valore all’azienda, un modo di raccontarsi e di creare vicinanza, anche ideologica, tra le persone che stanno parlando e quelle che ascoltano». Poltronesofà, nel momento in cui ha deciso di cambiare la sua strategia di comunicazione, ha puntato proprio su quegli elementi valoriali sino ad allora non presi in considerazione nelle sue campagne.
«Il vecchio format aveva il grosso limite di non lavorare in termini qualitativi per l’azienda, ma solo promozionali», aggiunge Marco d’Alfonso, direttore creativo associato e copy di Leagas Delaney, raccontando la strategia messa in atto dall’agenzia per la realizzazione della campagna pubblicitaria dell’azienda lombarda. «Quando li abbiamo conosciuti, e abbiamo incontrato le persone, gli artigiani che ci lavorano, ci siamo subito innamorati della passione che hanno per il loro lavoro, e abbiamo capito che quello era l’aspetto su cui puntare. Quello che più di ogni altro poteva aggiungere valore alla filosofia aziendale. Poltronesofà è un chiaro esempio di made in Italy di cui siamo noi stessi orgogliosi».
Questo nuovo filone creativo, come spesso accade, non è un fenomeno solo italiano. «La differenza però la fanno sempre la schiettezza, la naturalezza e la sincerità con le quali si racconta un’azienda. Ci sono celebri campagne statunitensi che hanno sfruttato un approccio simile, forse non riuscendo a emanciparsi da una sorta di orgoglio propagandistico e da un senso di appartenenza che spesso è poco credibile», aggiunge Stefano Rosselli. Il nuovo filone ha trovato linfa anche nell’affermazione del digital e in una comunicazione sempre più bidirezionale.

NUOVA INTERATTIVITÀ
 Nel 2014 McDonald’s Canada ha lanciato l’operazione “Our Food. Your Questions” e ha invitato i consumatori a pubblicare sui social domande sulla catena, sugli ingredienti e sulla provenienza dei piatti dei suoi menù. A rispondere sono stati propri i lavoratori in una serie di video poi pubblicati su un sito dedicato. Alla luce del successo ottenuto in rete, alcuni filmati sono stati quindi utilizzati dalla catena per la sua comunicazione consumer.
 Ci sono poi campagne dove a interpretare il lavoratore è un personaggio famoso, come Antonio Banderas nelle vesti di mugnaio per Mulino Bianco o come, dall’estate del 2015, Pierfrancesco Favino nei panni di Marcello, l’autista del camion incaricato di consegnare la pasta Barilla (il format si chiama “In viaggio verso di voi”, l’agenzia è Jwt e la regia è di Gabriele Salvatores).
«Chi lavora da Giovanni Rana ha la stessa passione del Signor Giovanni», recita il claim di una delle ultime campagne del celebre pastificio veneto. In scena i veri dipendenti, insieme a colleghi, parenti e amici, raccontano se stessi, la loro vita e il luogo di lavoro. La campagna Rana è quella che meglio mette in scena l’evoluzione della creatività pubblicitaria italiana degli ultimi anni: l’imprenditore testimonial, tra i nostri industriali più popolari proprio per le sue apparizioni negli spot, si fa da parte e, pur non abbandonando il set, lascia al centro della campagna i dipendenti, quasi a voler rappresentare il passaggio del testimone da un’era a un’altra.

CAMBIO DELLA GUARDIA
«Negli spot del passato era Giovanni Rana ad andare a casa dei consumatori, a sincerarsi della bontà del suo prodotto. Ora è il Pastificio a fare il padrone di casa, a ricambiare la visita e a ospitare nella sua sede i consumatori. Chi meglio, dunque, di chi tutti i giorni contribuisce con il proprio lavoro al successo dell’azienda può fare gli onori di casa?», spiega Francesco Bozza, Executive Creative Director di Leo Burnett Italia, l’agenzia che ha ideato il format dopo essersi imposta nella gara indetta dall’azienda.
 L’idea è appunto di raccontare la passione, la competenza e la continua ricerca dell’eccellenza che c’è dietro a ogni singolo tortellino Rana attraverso la voce di chi quei prodotti li produce ogni giorno. La campagna nasce dunque per rispondere alla necessità dell’azienda di evolvere la sua comunicazione pur mantenendo un legame con il precedente format. «L’obiettivo è raccontare anche lo spirito di apertura verso l’esterno e la politica di attenzione ai propri dipendenti, così come d’altronde al territorio, che da sempre caratterizza Rana». Il format può funzionare, sottolinea il creativo pubblicitario, «solo se racconta una storia vera, descrive una realtà che esiste».
L’imprenditore testimonial, a ogni modo, lascia la scena con fatica. Francesco Amadori da quest’anno non compare più fisicamente negli spot dell’azienda. ma la sua presenza continua a farsi sentire grazie al celebre e confermato claim «Parola di Francesco Amadori», non più recitato però dal patron. Secondo un’indagine di marketing promossa lo scorso anno da Found!, condotta su 100 esperti di pubblicità e comunicazione italiani e internazionali, proprio l’impiego di titolari d’azienda come testimonial può risultare vincente perché si tratta di uomini di carriera, dal grande carisma.
Secondo gli addetti a lavori, gli imprenditori sono i testimonial ideali per raggiungere gli obiettivi prefissati perché attingono a un universo ideologico largamente condiviso, quello del mondo del lavoro, e perché sanno trasmettere maggiore fiducia mettendosi in gioco in prima persona per presentare il frutto delle loro fatiche. Verrebbe da aggiungere che, oggi, gli interpreti di questi valori, o almeno di una parte di essi, stanno diventando sempre di più i lavoratori. Il solo imprenditore non è più sufficiente.

Via Business People
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