Mi piace molto seguire Twitter e, in misura minore Facebook, durante le trasmissioni di approfondimento o in corrispondenza di fatti di cronaca clamorosi, perché sono lo specchio degli umori di una parte della popolazione, in tempo reale.
Tuttavia questa vivacità si riduce spesso ad una critica, a volte molto ironica, alle volte rabbiosa e un po’ volgare, di tutto ciò che succede in giro senza grandi proposte alternative.
Molto italiano, non trovate? E non mi dite che è il mezzo, perché in altri paesi con i social media ci hanno fatto la rivoluzione! " class="wp-smiley" />
Beh, con un veloce parallelismo lo stesso capita anche quando si parla di web e social media marketing: per ogni cosa che un brand o un altro soggetto si sforzi di fare c’è sempre e subito pronta una frotta di commentatori dall’”epic fail” facile.
E per di più molto permalosi se poi si discute del tema in generale e lo si fa in modo un po’ semplicistico e divulgativo, come accade nelle rare occasioni televisive.
Per tutte queste persone, heavy user dei social network, sembra inconcepibile che le aziende non siano pronte ad affidarsi in tutto e per tutto a loro, che li traghetteranno verso un radioso futuro.
Ma quanta esperienza hanno costoro delle aziende, delle loro esigenze e delle loro fenomenologie organizzative? Poca temo, così come d’altra parte le aziende non hanno l’umiltà di ascoltare nuove idee e paradigmi, come dovrebbero fare almeno quando gli spunti non siano posti in modo ingenuo.
L’utilizzo dei social media e del digitale nel suo insieme è a sua volta non ancora strutturato: si fanno tante iniziative slegate fra loro e senza nessi con posizionamento, obiettivi e target, rincorrendo magari l’ultima tecnologia del momento sulla scia dei suggerimenti di qualcuno di questi “esperti”.
Quello che vorrei dire dunque, in modo costruttivo e non polemico, è che serve una maturazione del settore dopo l’entusiasmo dei primi tempi, e che non basta twittare tutti i giorni per essere un guru dei nuovi media, in grado di giudicare dall’alto ciò che fanno le aziende.
In altri paesi l’ecosistema digitale è misurato in termini di ROI, integrato e gestito con piena consapevolezza e con i mezzi (anche economici) che servono, da figure manageriali di livello ed esperienza.
Certo, sui social da noi un ragazzo smaliziato ha molto più know how di un veterano del marketing offline, e bisogna dunque fare cultura, finché però gli eventi di settore saranno solo un simposio di addetti ai lavori, senza nemmeno un dirigente d’azienda (ma li invitiamo o no? e gli diamo contenuti comprensibili?), temo che continueremo a sentire belle citazioni sui mercati come conversazioni. Mi chiedo ad esempio quanti marketing manager (non digitali) ci fossero all’ultimo, interessante IAB Forum…
Infine invito tutti i colleghi e sopratutto gli aspiranti tali a non perdere mai di vista la reale conoscenza degli strumenti da parte delle persone comuni, che non è la nostra (lo sarà tra 5-10 anni e dovremo essere già pronti con il salto di qualità).
Che ne dite? Spero di essere stato chiaro e non polemico, perché la mia intenzione era tutt’altra. Aspetto feedback!
Gianluigi Zarantonello via Internetmanagerblog.com