Ci sono elementi molto positivi nella relazione al Parlamento del presidente dell'Autorità per le comunicazioni, Corrado Calabrò. Restano alcune rimozioni o sottovalutazioni che riguardano le cause dei fenomeni oggetto dell'analisi della relazione annuale. Cominciamo dall'analisi inconfutabile sui ritardi dell'Italia: siamo ai primi posti in Europa a livello di prezzi dei servizi e della concorrenza nella telefonia, ma siamo ben sotto la media Ue per: diffusione della banda larga, numero delle famiglie connesse a Internet, diffusione degli acquisti on line.
Siamo il fanalino di coda nel commercio e nei servizi elettronici. Molteplici fattori influiscono sulla domanda: Calabrò ne elenca diversi, tra cui la scarsa sostituibilità tra televisore e Internet, la diffusione stentata di Internet nelle fasce di età over 50, la paura di truffe telematiche e così via. Tutto vero. Uno dei problemi-chiave, però, è quello dei contenuti che dovrebbero attivare la crescita del Web, della tv mobile e quindi della domanda di banda larga. Contenuti spesso disponibili solo a caro prezzo, con relativa crescita della pirateria.
Capitolo media: dove, cioè, si producono i contenuti per le reti e le piattaforme, a parte quelli realizzati direttamente dagli utenti. Calabrò rileva come l'ascolto digitale su tutte le piattaforme (terrestre, satellite, cavo) ha superato quello della tv analogica. La digitalizzazione può essere completata nel 2011, aggiunge Calabrò, che preferisce non tener conto della richiesta di rinvio avanzata dalle principali associazioni delle tv locali nel Nord Italia. Il processo può rallentare ma la transizione è obbligata. Strano, piuttosto, non rimarcare alcuni effetti del modello italiano nelle sei regioni già digitali, soprattutto nel Lazio e in Campania, ma anche in Sardegna, con il drastico calo di ascolto delle principali emittenti locali.
A livello di risorse, «non vi è stato lo spostamento dalla tv tradizionale a Internet rispetto ad altri paesi». Non si spiega perchè questo avvenga in Italia. Rai e Mediaset, entrambe strettamente collegate al sistema politico, «conservano quote di ascolti ancora assai rilevanti sulle quali l'avvento della pay tv sta incidendo lentamente». Il problema è la concentrazione delle risorse (economiche, di diritti di trasmissione, di reti distributive integrate verticalmente). Senza un'analisi di questo fenomeno, a che serve la giusta reprimenda alle tv locali sui monoscopi o sui programmi ripetuti, che ci sorbiamo noi cittadini delle "felici" regioni digitali?
L'approvazione del Piano delle frequenza andava fatta. Fa bene Calabrò a rivendicarlo, segnalando che esso consente, tra l'altro, di liberare nove canali tv da destinare alla banda larga, come richiede l'Europa, altrimenti «la rete mobile rischia il collasso». Giusto e importante che questo sia riaffermato nella relazione, anche se le tv locali, che si vedono assegnare i canali dal 61 al 69 dal Piano Agcom preparino ricorsi e controricorsi sull'intera impalcatura del Piano stesso, con incognite sui tempi della sua attuazione. Possibile non ipotizzare misure asimmetriche a favore degli operatori più deboli e dei nuovi entranti nel sistema tv?
I problemi di fondo nell'industria dei contenuti sono due: la concentrazione, che riduce la concorrenza a scapito degli editori minori, dei produttori indipendenti e dei proprietari degli eventi. E la carenza di pluralismo scaturita da questo assetto. «L'accesso senza discriminazioni ai mezzi d'informazione delle forze politiche e sociali va tutelato, specialmente in un sistema concentrato come quello italiano» afferma Calabrò. Ha ancora una volta ragione. Evita di aggiungere i dati rilevati per conto di Agcom sul pluralismo politico nei Tg e nei programmi extra-Tg. Che dimostrano un pluralismo ridotto ai minimi termini. Bene, infine, il richiamo di Calabrò a svincolare la governance della Rai da dai partiti: sperando che, come accade da un ventennio, non resti lettera morta.
di Marco Mele su ILSOLE24ORE.COM