Il fenomeno stampa gratuita
di Davide Favaro - Undicom - 02/07/2005
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Il fenomeno della stampa gratuita che pareva essere una meteora degli anni novanta si sta trasformando in una costellazione fissa della galassia Gutenberg. Uno sguardo sul nuovo "eldorado" della carta stampata.
Chissà cosa direbbe Benjamin Day.
Lui, pioniere della stampa popolare che sui marciapiedi della New York della prima metà dell’Ottocento vendeva il suo “The Sun” ad un penny contro i sei degli altri quotidiani, se sapesse che ora il giornale è addirittura gratis e te lo portano a casa.
Il fenomeno della “free press” (la stampa gratuita) che pareva essere una meteora degli anni novanta, si sta invece trasformando in una costellazione fissa della galassia Gutenberg appena affacciatasi al nuovo millennio. Formato breve, apoliticità ed un mix per ora vincente tra stampa, internet e televisione sono i tratti principali di questa nuova realtà mediatica. Il guadagno, inutile dirlo, sta nella pubblicità. Un interessante dossier pubblicato sul sito LSDI Libertà di Stampa Diritto all’Informazione, fa il punto della situazione.
Come per moltissime altre, anche per la voce “stampa” l’accostamento alla voce “gratuita” non era stato mai preso in seria considerazione.
Ci pensò nel 1995, più per intuizione imprenditoriale che per sondare nuovi orizzonti semantici, un rubicondo signore svedese di nome Pelle Tornberg, avviando a Stoccolma il progetto Metro: pioniere dei quotidiani a distribuzione gratuita.
Inizialmente edito dalla Modern Times Group MTG AB, ora il giornale è gestito dalla Metro Internationa S.A., nata nell’agosto del 2000 da una costola della MTG e di cui Tornberg è dirigente. Entrambe sono partecipate della svedese Industriforvaltnings AB Kinnevik, gigante della comunicazione nell’area nordica e capogruppo di una holding internazionale a cui fanno capo anche Tele2, Transcom WorldWide, e Millicom International Cellular.
Ad oggi 14,5 milioni di persone in 16 paesi leggono Metro. 400 giornalisti sfornano giornalmente 40 edizioni in 15 lingue differenti, diffuse in 61 delle maggiori città del mondo dall’America all’Asia passando per l’Europa. I numeri sono da capogiro. Soprattutto se si pensa che in una decina d’anni i milioni di euro investiti sono stati 220, per un giornale che si legge, tutto, in un quarto d’ora. Esiste anche un fornitissimo sito internet dal quale, oltre che reperire moltissime informazioni sul giornale e sul gruppo Metro, ci si può anche scaricare qualsiasi edizione del quotidiano.
Metro è sbarcato in Italia nel 2000, inizialmente a Roma e a Milano. Nel giro di cinque anni le edizioni sono diventate sette. A marzo di quest'anno è stata aperta l'ultima, quella del Veneto, diffusa a Padova e Verona. Nel frattempo il 2002 è l'anno in cui raccolgono la scommessa anche due grandi gruppi editoriali italiani con l'avvio di altrettanti progetti editoriali: Caltagirone con “Leggo” e Rcs con “City”.
Nel 2003, secondo il rapporto annuale dell’Autorità Garante delle Comunicazioni , le copie giornaliere di quotidiani gratuiti avevano già superato i 2,2 milioni (consulta il rapporto).
>La parola magica? Pubblicità.
Sembra paradossale ma la stessa pubblicità che rischia di soffocare i quotidiani tradizionali (a pagamento) costituisce oggi la chiave del successo della nuova stampa gratuita, l’elemento alchemico che trasforma il piombo dell’informazione nell’oro dell’inserzione.
Sempre secondo il rapporto dell’Authority, nel 2001 i ricavi derivanti da inserzioni pubblicitarie nei quotidiani a diffusione gratuita sono triplicati rispetto all’anno precedente, passando da 16,4 a 53,3 milioni di euro.
Al contrario, il rapporto 2004 dell’ASIG (Associazione Stampatori di Giornali) risalta la situazione negativa in cui versano i giornali tradizionali. Nel 2002 la diffusione dei quotidiani a pagamento è scesa a 5,9 milioni di unità (-2,8%) mentre la raccolta pubblicitaria è precipitata a -7,6% (consulta il rapporto).
Il contrasto si fa ancora più stridente quando si osservano i bilanci di Metro International e ci si rende conto che la vendita di pubblicità sulla testata cresce ad un ritmo del 47% annuo.
Nonostante gli ottimi risultati raggiunti, il general manager di Edizioni Metro Italia, Alexander Koeb, qualcosa da ridire l’ha avuta. Ha infatti denunciato più volte il comportamento di Audipress e di Ads, gli organismi deputati a misurare la diffusione della stampa, rei di non inserire i giornali gratuiti nel “paniere” delle testate. Secondo Koeb la mancanza di rilevamenti ufficiali penalizza le testate che, come Metro, sopravvivono esclusivamente grazie alla pubblicità. Il general manager bolla l’Audipress come “autoreferenziale” e “protezionista” poiché - afferma nell'intervista rilasciata a LSDI - “costituita e tenuta in piedi dagli editori che, paradossalmente, si autocertificano la diffusione”.
E se i quotidiani gratuiti (2,2 milioni di copie) sono stati inseriti nel rapporto 2004 dell’Osservatorio Quotidiani Fieg-sindacati ai fini del conteggio delle copie diffuse ogni 1000 abitanti (che ora ammontano a 158), sono invece ancora assenti nella ricognizione dell’Audipress relativa al medesimo periodo.
Il binomio pubblicità-informazione è un problema diventato strutturale nella stampa a pagamento, dove ormai la maggior parte degli introiti derivano dalle inserzioni. Cosicché i giornali vengono spesso definiti come “contenitori di pubblicità” con un po’ d’informazione e da sempre più parti si levano le voci di quelli che chiedono dove sia finita (o finirà) l'indipendenza di una stampa che sta sul libro paga dei pubblicitari. Ma se in Italia la proporzione dei ricavi è di 54 a 46 a favore delle inserzioni (il sorpasso degli inserzionisti sull'edicola è avvenuto nel 1998), negli Stati Uniti è ormai di 9 a 1, tanto che i principali editori si stanno convincendo a spingere sulla free press (fonte Mediawatch). Addirittura un mostro sacro della stampa internazionale come il New York Times è giunto a comprare il 49% di "Metro Boston", tabloid gratis della capitale del Massachusetts in joint venture con lo svedese Metro.
A San Francisco invece, l’Examiner si sta trasformando in un free paper. Come? “Vendendo la pubblicità a un terzo del prezzo del mercato e risparmiando sui costi del personale - ha dichiarato il suo direttore, Nicholas Horrock, ad una giornalista del Corriere della Sera. Ora - aggiunge - distribuiamo 160 mila copie, di cui 110 mila a domicilio. Mentre i grandi giornali a pagamento perdono lettori, noi li conquistiamo”.
E allora che fare? C’è veramente la scritta “gratis” nel futuro dei quotidiani?
Al di là delle considerazioni economiche, questo fenomeno obbliga a porsi degli interrogativi circa il futuro della stampa. Se n’è occupata Micol Mazzeo nella sua tesi di laurea “Free press: City, Metro e Leggo, nuovi astri della Galassia Gutenberg fra web e tv”, finalista al Premio Baskerville 2004 (leggi la tesi), nella quale ad un’accurata analisi seguono le perplessità circa gli scenari futuri. Secondo la Mazzeo questi prodotti giornalistici rappresentano “una nuova realtà mediatica, improntata all’ipertestualità digitale”, caratterizzata da una forte intertestualità tra stampa, televisione e web. Si distingue inoltre per essere apolitica e di “formato breve”. Aspetto quest’ultimo che gli “apocalittici” sostengono possa influenzare negativamente la professionalità del giornalista, riducendolo via via ad un “robot dell’informazione”. Possibilità che la Mazzeo sembra scongiurare poiché - scrive - “l’impatto delle nuove forme della comunicazione, dai new media ai free papers, non potrà prescindere da un modellamento, anche etico, da parte dei soggetti sociali”.
Viene però lasciato lo spazio per alcuni interrogativi.
La diffusione di quotidiani come "Metro" segnerà il trionfo della globalizzazione e dell’omologazione sociale, privilegiando il popolo metropolitano e lasciando ai margini chi non vive nelle grandi città?
Sarà l’ultima tappa di una riduzione dei mezzi d’informazione a “megaspot”?