Di seguito gli interventi pubblicati in questa sezione, in ordine cronologico.
Apple ha spodestato Coca Cola nella classifica dei marchi più apprezzati, aggiudicandosi il titolo di brand più influente al mondo. Secondo lo studio Top 100 brands di Interbrand, infatti, la società di Cupertino sarebbe adesso leader nella progettazione e nello sviluppo, rappresentando di conseguenza il brand con il maggiore valore sul mercato.
Il valore del marchio Apple è saltato al 28% raggiungendo i 98,3 miliardi di dollari, lasciando Google al secondo posto con 93,3 miliardi di dollari. Coca Cola, invece, è scivolata, dopo 13 anni di primato, al terzo posto con un valore di 79,2 miliardi di dollari. ”Capita spesso che una società cambi la nostra vita, non solo con i suoi prodotti, ma anche con i suoi valori” ha commentato Jez Frampton, CEO di Interbrand. “Tim Cook ha riunito un team solido e ha mantenuto intatta la visione di Steve Jobs, una visione che ha permesso ad Apple di mantenere le sue promesse di innovazione invariate nel tempo”.
Lo studio annuale di Interbrand, sotto stretta sorveglianza da parte delle industrie, determina il valore di una marca, esaminando la sua performance finanziaria, il ruolo che ha nell’influenzare l’acquisto dei consumatori e la capacità di garantire guadagni . La Top 10 è completata in ordine decrescente da IBM, Microsoft, GE, McDonald, Samsung, Intel e Toyota.
Le società tecnologiche sono quelle che più spesso salgono la vetta, ma allo stesso tempo anche quelle che scendono più facilmente. Se da un lato, infatti, Google è salita del 34%, dall’altro Nokia ha avuto un rapido declino arrivando dal 19° posto al 57°, con il peggior calo nella storia del marchio. I cambiamenti all’interno della classifica dei marchi riflettono ovviamente il fermento creatosi nel settore della tecnologia nel corso dell’anno. Nokia, ad esempio, che per lungo tempo ha avuto la maggiore quota di mercato nel settore della telefonia mobile fino al superamento di Samsung nel 2012, ha subito questo mese un radicale cambiamento quando è stata comprata da Microsoft per 7,32 miliardi di dollari. Il che potrà forse portare vantaggi a lungo termine ad entrambe le aziende, ma per il momento fa scendere il brand Nokia nella classifica dei valori. Male anche BlackBerry che, se nel 2012 era già scesa al 93° posto, quest’anno addirittura non compare nella Top 100.
Nella classifica c’è anche un po’ di Italia che, con Prada e Ferrari, si colloca nella parte bassa della classifica: la prima al 72° posto, la seconda al 98°.
Via Tech Economy
Millward Brown Optimor ha rilasciato la sua lista annuale BrandZ sui marchi più prestigiosi a livello mondiale per quest’anno, e Apple e Google risultano i marchi che valgono di più al mondo, ricoprendo rispettivamente il primo e il secondo posto della classifica. Confrontando i dati, entrambe le società hanno visto un aumento del valore del marchio nel 2012, mentre IBM – che è arrivato terzo nella lista – ha visto una leggera diminuzione.
Il valore del brand Apple per il 2013 si è attestato intorno ai 185 miliardi di dollari, con un aumento dell’1% rispetto ai 182 miliardi del 2012. Google vale un po’ di meno arrivando ad un valore di 113 miliardi di dollari nel 2013, in rialzo dai 107 miliardi del 2012. Nonostante sia al secondo posto, la società di Mountain View ha registrato il più grande aumento annuo rispetto alle altre compagnie. IBM, che si attesta a terzo, presenta un valore di 112 miliardi di dollari nel corso del 2013 in diminuzione del 3% rispetto al 2012 dove il suo brand valeva 115 miliardi. Apple ha mantenuto inalterata la sua posizione rispetto all’anno scorso mentre Google ha fatto n balzo in avanti passando dal secondo al terzo posto e spodestando IBM.
Al quarto della lista c’è McDonald, che ha mantenuto la stessa posizione rispetto all’anno precedente. Male invece il marchio Microsoft, che vede scendere di due posizione dalla quinta alla settima.
Peter Walshe, direttore di BrandZ ha dichiarato: “il valore del marchio [di Apple] è aumentato solo dell’1% quest’anno, ma detiene ancora il record per il marchio più prezioso. E sembra lo sarà ancora per molto tempo. L’altro marchio in graduatoria, Google, ha un valore di 113 miliardi di dollari, passando dal 3% dell’anno scorso ad un guadagno del 5%, ma Apple è comunque avanti di 71 miliardi , quasi l’intero valore di Coca-Cola, il che dimostra quanto sia forte e potente questo brand”.
Le aziende tecnologiche di vario genere rappresentano un totale di 40% di tutte le aziende nella Top 100, con 5 nella parte superiore della Top 10. Qui è possibile controllare la classifica completa del 2013.
Via Tech Economy
Interbrand è una società che da quasi trent'anni si occupa di analizzare e valutare il valore dei marchi delle più importanti aziende internazionali del mondo. Con cadenza annuale pubblica la classifica Best Global Brands, nella quale vengono elencati i 100 marchi globali di maggior valore.
Le prestazioni dei marchi di tecnologia e digitale scolpiscono ancora una volta i tratti della classifica. Fra i primi cinque, l'intrusa è solo la leader Coca Cola (77,839 miliardi di dollari e una crescita dell'8%): nell'ordine, Apple (76.568, +129%), Ibm (75.532, +8%), Google (69.726, +26%) e Microsoft (57.853, -2%) caratterizzano il vertice in maniera netta. La vera notizia di questa edizione è la presenza di Apple, che dimostra come il marchio non ha perso la propria spinta e la propria desiderabilità". Il gruppo californiano presidia il posto occupato tradizionalmente dal gruppo fondato da Bill Gates: Microsoft deve anche fare i conti con il sorpasso di Google.
Facebook ha fatto capolino in 69esima posizione (5.421 miliardi) in virtù della terza quotazione più ampia degli Stati Uniti. Di Samsung si parla meno perché Apple fa +126%, ma è cresciuta del 40% ed è entrata nella top ten". BlackBerry, coerentemente con le difficoltà della casa madre Rim, ha perso il 39% ed è 93esima. Nokia, nonostante il richiamo del Lumia, è scivolata del 16% e si piazza in 19esima posizione, in virtù della dipendenza dal successo o meno del sistema operativo Windows Mobile.
Via Quo Media
L’utilizzo del sito web di un brand ha una forte influenza sui comportamenti d’acquisto dei consumer packaged goods (CPG), prodotti relativamente a basso costo e che vengono consumati e rimpiazzati rapidamente.
Uno studio di Accenture, comScore e dunnhumbyUSA, effettuato su un campione di un milione di utenti internet statunitensi, tenta di analizzare il collegamento tra visite ai siti web di brand del settore CPG e comportamento di consumo.
I consumatori che visitano i siti web del brand, secondo la ricerca, sono acquirenti di grande valore sia per frequenza di acquisto (41% transazioni in più dei non visitatori) che per lealtà al brand. I siti web attraggono, infatti, maggiormente i forti consumatori della marca piuttosto che quelli medi. Gli utenti del sito di uno specifico brand spendono il 37% in più in quel prodotto degli acquirenti che non lo visitano e sono, più in generale, forti consumatori della categoria merceologica di cui è parte il brand.
In-Store Performance Metric |
Differenza percentuale |
Dollari spesi mensilmente per l’acquisto del brand |
37% |
Dollari spesi mensilmente per l’acquisto di prodotti della stessa categoria merceologica |
53% |
Numero di transazioni commerciali effettuate (6 mesi) |
41% |
I ricercatori chiariscono, però, che per essere efficaci i siti web devo essere aggiornati regolarmente e contenere messaggi in linea con l’immagine del brand e capaci di attrarre i consumatori dandogli, contemporaneamente, una ragione per l’acquisto. I brand che riescono ad offrire contenuti e servizi highly engaging, secondo Mike Zeman, vicepresidente di comScore, riescono ad ottenere incrementi di vendite e una maggiore fidelizzazione dei propri clienti.
Via Tech Economy
Interbrand ha pubblicato il proprio rapporto annuale sullo stato di salute di più importanti brand mondiali, allegando allo studio la lista dei cento marchi più celebri. Classifica in cui la tecnologia la fa da padrone, ribadendo come gli anni Duemila abbiamo definitivamente consacrato al successo le società legate a web e nuovi dispositivi mobili: Ibm, Microsoft, Google, Intel, Nokia e Hp stazionano tutti tra il secondo e il decimo posto della graduatoria, a dimostrazione del fascino dei brand tecnologici (innovativi, freschi e profittevoli) sui consumatori ma anche sugli esperti di settore. In testa alla top100, con un tocco di classicismo novecentesco, si però trova Coca Cola.
Qui potete trovare la classifica completa.
Via Quo Media
Google c’è. Facebook anche. Queste due delle più importanti sentenze di BRANDZTM Top 100 Most Valuable Global Brands, graduatoria che annualmente valuta il valore economico dei più importanti marchi mondiali.
L’indagine realizzata annualmente da Millward Brown Optimor, società del gruppo WPP specializzata nella misurazione del valore di marca, in collaborazione con il Financial Times, ha destinato il podio a Google, Ibm e Apple, evidenziando l’importanza del brand come fattore di vantaggio competitivo imprescindibile in tempo di crisi. Debuttante in classifica, in virtù di un brand he vale oltre 5,5 miliardi di dollari, Facebook, a testimonianza dell’importanza che i social media hanno assunto nel settore hi-tech.
A livello complessivo, la classifica evidenzia che i brand forti dimostrano maggiori capacità di recupero e tenuta anche in momenti di difficoltà e calo generalizzato dei principali indicatori finanziari. Nel 2010 il valore aggregato dei 100 brand in classifica è di oltre 2 mila miliardi di dollari: il 4% in più rispetto al 2009 e ben il 40% in confronto al 2006.
Per il quarto anno consecutivo il vertice della classifica è guidato da Google con un valore di marca che, cresciuto del 14%, si attesta a quasi 114,3 miliardi di dollari. IBM guadagna la medaglia d’argento a scapito di Microsoft che perde due posizioni ed è quarta, grazie a un valore di quasi 86,4 miliardi di dollari e a una crescita del 30%.
Segue Apple, che entra nei primi tre posti, sostituendosi a Coca Cola, ora quinta, con un brand che vale quasi 83,2 miliardi di dollari (+32%). Non è inoltre secondario sottolineare come Apple e IBM detengano anche il primato della crescita assoluta più significativa, con un incremento rispettivamente di circa 20 e 19,8 miliardi di dollari.
Tra i primi 100 brand al mondo si confermano anche due italiani: Gucci, solo nelle origini, con un valore di marca di quasi 7,6 miliardi di dollari (97° posto), e Tim, con un valore di circa 7,3 miliardi di dollari (100° posto).
“In passato e specialmente in tempi di crisi, molte aziende hanno deciso di ricorrere ad una riduzione dei budget destinati al marketing. – dichiara Joanna Seddon, Ceo di Millward Brown Optimor – Un nuovo trend è invece emerso sulla scia della recessione poichè un numero crescente di aziende, nel far fronte ad una congiuntura delicata, hanno compreso l’importanza di mantenere o addirittura incrementare i budget a supporto delle attività legate al Brand”.
Tra le novità dell’’edizione 2010 di BRANDZTM Top 100 si segnala l’introduzione di una nuova categoria di analisi – Oil Companies – e il debutto di 11 brand – BP, ExxonMobil, Shell, ICICI, PetroChina, Telcel, Petrobras, Baidu, U.S. Bancorp, Samsung e Sony – mentre, sul fronte degli esclusi eccellenti, si rileva l’uscita dal ranking di IKEA, Nivea, Yahoo e Canon.
Via Quo Media
Qual è l´impressione che hanno i tedeschi leggendo un nome di marca italiano? Una bevanda che si chiama Naturella o Bonaqa sicuramente sará salutare, genuina e fresca come tutti i prodotti italiani, così come una pizza surgelata che si chiama Trattorina richiama una tradizione italiana fatta di prodotti semplici, caserecci e gustosi. Ed è cosí che i supermercati tedeschi riempiono i loro bancali di pizze surgelate chiamate Italissimo, di vini chiamati Terrilogio, di caffè chiamati Bellarom, di cibi salutistici chiamati Linessa. Il mercato tedesco degli alimentari è invaso di prodotti dai nomi di marca italiani o per lo meno dalla tale sonoritá. Non sempre questi brand sono nomi realmente esistenti in italiano, anzi il piú delle volte sono veri e propri strafalcioni grammaticali come Capucino scritto senza raddoppio consonantico, Lidea senza accento, Cremissimo anziché cremosissimo, Naturana e non naturale, Tassimo e non tantissimo. Ma gli errori piú esilaranti si notano non tanto sul piano lessicale quanto piú su quello semantico: un prodotto per la pelle dei bambini chiamato Pelsano farebbe sorridere le mamme italiane, perché richiama il pelo e non la pelle, una tisana chiamata Sidroga le farebbe invece inorridire, quando contrariamente una mamma tedesca la comprerebbe ad occhi chiusi fiduciosa di nutrire il suo bambino con una tisana biologica di origine naturale! Un prodotto erboristico di nome Alverde scoraggerebbe anche le salutiste piú convinte che penserebbero che il prodotto sia tanto costoso da lasciarle appunto “al verde”!
Possiamo notare che l´aggettivo italiano piú usato nel mercato tedesco è “bello”, poiché riassume l´impressione che i tedeschi hanno di “Bella Italia”. E allora via libera a: Bellaris, Mabella, Belinea, Bellmira, Bellagio, Belolive, Belfrutta, Bellina, Belmondo, Bellinda. Agli occhi di un tedesco l´Italia rimarrá sempre il paese del sole, della gente amichevole, delle vacanze, della genuina e buona cucina, della moda e dell´arte, a confermarlo tutti i nomi di marca che richiamano questi concetti: Sanosan, Caravita, Gelita Sol, Nebona, Vitapan, Viva, Amicelli, Giotto, Raffaello, Quadro, Sapori, Amica, Fortuna, Benvenuto, Passionata, Sanetta. In particolar modo la moda è, assieme agli alimentari, la categoria merceologica che piú subisce questo fenomeno di “italianizzazione” del nome. Le aziende tedesche tessili, di moda e di scarpe fanno a gara di chi ha il nome dalla sonoritá piú italiana: Vero Moda, Dinomoda, Madonna, Passionata, Lana Grossa, Belmondo, Borelli, Fortuna.
Se i tedeschi ricorrono a nomi italiani, o che pretendono di esserlo, per arricchire i loro prodotti di tutte le caratteristiche pregevoli che associano all´Italia, gli italiani contrariamente prendono le distanze dalla loro italianitá. Prodotti dai nomi troppo italiani sembrano banali e poco attraenti per un italiano ed è cosí che le aziende ricorrono a nomi stranieri, soprattutto inglesi. Un nome straniero attrae ed incuriosice nel mercato italiano tanto quanto un nome italiano attrae ed incuriosice nel mercato tedesco. La moda italiana, rinomata e ambita in tutto il mondo, si traveste da straniera in casa sua con nomi come Tod´s, Hogan, Diesel, Gas, Liu Jo, Miss Sixty, Costume National, che danno un tocco di internazionalitá al prodotto suscitando la curiositá di un italiano. Chi direbbe che un´azienda che si chiama Costume National non è francese ma milanese, o che Diesel è un´azienda sorta ai piedi delle Prealpi venete? Ma tutto questo uso di forestierismi comporta ancora una volta problemi dal punto di vista semantico, per esempio Tod´s, rinomata industria di calzature, contrariamente alle aspettative non ha un grande successo in Germania perché il nome non è di buon auspicio, significa infatti “morto”.
Per quel che riguarda i prodotti alimentari, i tedeschi, nostri cugini del nord, in Italia sono famosi soprattutto per la birra e i wurstel (detto all´italiana). Da quanto testimoniano i prodotti che compaiono nei supermercati italiani sono molte le imitazioni italiane di queste due specialitá e hanno nomi che fanno sorridere un tedesco: Wüber, azienda lombarda di wurst, ha chiamato la sua qualitá grande Wüberone e quella piccola Wüberini utilizzando le desineze italiane tipiche dei diminutivi e dei superlativi. Il birrificio Splügen invece una giustificazione al nome tedesco ce l´ha. La birra è prodotta in provincia di Sondrio, vicino al passo dello Spluga (Splügenpass in tedesco) al confine con la Svizzera. Tra la scelta del nome italiano e quella del tedesco, peró, il birrificio non ha esitato a optare per il secondo, quasi a dire “buona come una birra tedesca”.
Infine concludiamo con un nome né tedesco, né inglese, né (come apparentemente sembra) danese: Häagen-Dazs. Il brand name del famoso gelato americano è un nome costruito ad arte, puramente fittizio, dalla sonoritá scandinava. Una tale scelta è stata adottata per far sembrare europeo il prodotto al pubblico americano ed essere associato agli stereotipi europei di tradizione e artigianato. La scelta è ricaduta su un paese scandinavo per veicolare i concetti di freschezza e naturalezza. Negli esempi che abbiamo segnalato, l´uso di un nome di marca straniero sottintende la volontá di associare al prodotto le emozioni e sensazioni veicolate dal suo paese di provenienza. In questi casi la scelta della lingua straniera è basata sulla buona reputazione del paese che caratterizza il prodotto come originale ed autentico. Ció sottolinea il fatto che a volte a guidarci sono le impressioni e le percezioni che abbiamo nei contronti delle altre culture.
Eva Cecchinato
Interbrand ha pubblicato la classifica dei 100 brand globali a più elevato valore economico. Giunta alla sesta edizione, ‘Best Global Brands’ identifica i marchi che hanno ottenuto e mantenuto le migliori performance competitive sul mercato mondiale.“Nella maggior parte dei casi, sono state premiate quelle realtà che hanno dimostrato di saper gestire proattivamente il loro business attraverso il loro brand. Queste aziende sono consapevoli del fatto che i loro brand devono rappresentare il principio fondamentale della loro organizzazione, dato lo straordinario valore che essi rappresentano” ha affermato Jez Frampton, ceo di Interbrand.
“La classifica 2006 dimostra che nel caso in cui le aziende non gestiscano il proprio marchio proattivamente, sarà il mercato stesso a farlo al loro posto, lasciandoli in una situazione di estrema vulnerabilità - ha affermato Manfredi Ricca, business director Interbrand Italia -.
Coloro che hanno migliorato la propria perfomance o, in generale, sono saliti nella graduatoria hanno adottato specifiche strategie per sfruttare e accrescere il valore dei propri brand”. Rispetto al 2005, non cambiano le posizioni dal primo al sesto posto: Coca-Cola, Microsoft, IBM, GE, Intel e Nokia, primo brand non statunitense.
Perdono però sia Coca-Cola (-1%, valore del brand di 67 milioni di dollari) e Microsoft che rimane al secondo posto, ma perde il 5% (56,927 milioni di euro). “Questo fatto - ha spiegato Ricca - è dovuto a un mercato che punta a un nuovo modello di business, al ritardo del lancio di Vista, erede del sistema Windows, e l’espansione di Linux nei mercati in via di sviluppo. Segnalo invece l’ottima performace di Nokia che ha raggiunto un successo su due fasce di mercato della telefonia cellulare: quella economica e quella premium, grazie al lancio di modelli con design accattivante, rinvigorendo il brand”.
Allo stesso modo, Motorola (n. 69) beneficia del fenomeno Razr. Un grande successo, che negli ultimi tempi ha aiutato il brand a consolidare la seconda posizione nel settore. Il primo brand di auto è Toyota (n. 7, 13%, 27,941 milioni di dollari). “E’ notevole che con un solo brand la casa automobilistica giapponese copre fasce di mercato diverse tra loro”. Lexus, auto di lusso, entra per la prima volta in classifica al 92° posto, e mostra, in controtendenza, un brand che dall’Oriente spopola in Occidente. Il primo brand italiano in classifica è Gucci in 46esima posizione (+8%, 7,158 milioni di dollari). Bulgari (n. 95, +6%, 2,875 milioni di dollari) ha conseguito una crescita del 6% ottenuta confermando il proprio posizionamento di ‘luxury brand’ globale in diversi settori, da quello storico dei gioielli a quello, in espansione, degli hotel. Prada (n. 96, +4%, 2,874 milioni di dollari) cresce del 4% anche grazie ai forti investimenti nella store architecture e a collezioni focalizzate su un messaggio ai confini dell’ambito artistico. In aumento anche il valore del brand Armani (n. 97, +4%, 2,783 milioni di dollari) che ha inaugurato diverse estensioni, quali A/X e Armani Privé, e ha visto l’espansione di Armani Casa.
“Tutti e quattro i brand – ha puntualizzato Ricca – appartengono ai comparti moda-lusso. E’ lo specchio di un Paese sia in senso positivo, cioè per la capacità di esprimere uno stile che diventa tendenza globale, sia negativo perché l’Italia stenta a ottenere buoni risultati, attraverso la ricerca e lo sviluppo, in ambito tecnologico e informatico”. E’ Google (n. 24, +46%, 12,376 milioni di dollari) a far segnare un’impennata di valore più consistente rispetto al 2005. Un aumento registrato grazie anche a un posizionamento antitetico rispetto alla più istituzionale Microsoft.
La crescita complessiva dell’e-commerce ha promosso il consenso dei consumatori verso l’acquisto di beni e servizi online facendo aumentare il valore di eBay (n. 47, +18%, 6,755 milioni di dollari), caratterizzata dalla terza maggiore crescita di quest’anno. Al secondo posto per crescita (+20%), Starbucks (n. 91) ha ottenuto un successo finanziario sfruttando il brand mediante un’offerta premium nell’ambito del fast food e l’estensione della propria offerta alla musica e all’editoria. La crescita dei retailer di massa ha conquistato una quota di mercato tradizionalmente appartenuta a brand di abbigliamento come Gap (n. 52). Con la maggiore perdita di valore (-22%), Gap non è stata in grado di dare un’immagine chiara del proprio brand; con un posizionamento meno distintivo il brand ha meno efficacia commerciale e questo implica una minore stabilità nel lungo periodo. Ford (n. 30) continua a perdere su ogni veicolo venduto e il valore del brand diminuisce anno dopo anno (-16%, 11,056 milioni di dollari).
Con una riduzione del 12%, Kodak (n. 70, 4,406 milioni di dollari) ha mosso passi coraggiosi verso il mondo digitale, ma la concorrenza è alta e la profittatibilità molto ridotta rispetto al mercato delle pellicole. La classifica è stata pubblicata in collaborazione con BusinessWeek per il sesto anno consecutivo.
* Dati in milioni di dollari
Via Pubblicità Italia
La marca è un asset strategico, elemento chiave per definire le prestazioni di un'azienda. E' una promessa che racchiude le aspettative e le idee nella mente dei clienti, rappresenta un insieme di associazioni e simboli che vengono collegati ad essa. Si tratta quindi di un concetto che oltrepassa la semplice conoscenza o fedeltà alla marca: le persone si innamorano di un brand, hanno fiducia e soprattutto credono in esso. I clienti fedeli, condividendo un mondo comune fatto di valori e di ideali, diventano gruppi, aprendo così la strada a molteplici possibilità comunicative da parte dell'azienda. Ai gruppi, creatisi in modo del tutto spontaneo, l'impresa è tenuta a rivolgersi con continuità e attenzione, quasi coccolandoli. Ecco perché sono nati e si sono diffusi molti strumenti, come i siti internet e i blog, che hanno lo scopo di entrare in empatia con i clienti e conoscere i loro pensieri.Si parla di collettività, dunque, e di costruzione di una identità collettiva che possa aggregare il consenso intorno ad un nucleo di valori e credenze. Per poter emergere all'interno di un mercato sempre più affollato, l'azienda ha bisogno di definire in modo chiaro la propria identità, il suo essere in rapporto ad un contesto in continuo divenire. Per far questo è necessario lavorare ad una integrazione tra vision (le ambizioni a cui tende un brand), cultura dell'azienda (comportamenti, atteggiamenti e valori) e immagine (la percezione complessiva dell'azienda da parte dei suoi clienti e dei suoi stakeholder). Allineare questi tre elementi ha lo scopo primario di rendere uniche le immagini e le valutazioni su un'impresa da parte di tutti coloro che entrano in contatto con essa. Convergenza e coerenza del linguaggio e contatto con i clienti sono componenti tangibili ed imprescindibili per un'azienda. L'identità, così trasmessa, diventa elemento differenziante per un'organizzazione in grado di creare un cultura di marca autonoma e distintiva.L'azienda trae importanti vantaggi nell'investire nel mantenimento duraturo della propria brand identity: facilita gli acquisti da parte dei clienti e la vendita da parte del trade, grazie alla diffusione di una forte awareness e di una buona consapevolezza nei confronti del brand. Inoltre, una coerenza nell'identità di marca aumenta il valore associato ad essa e aiuta a chiarire le percezioni dei consumatori nei suoi confronti. In ultimo, la brand identity aiuta nella riduzione dei costi: progettare un'unica uguaglianza a cui poter ricondurre ogni prodotto, evita di disperdere energie e risorse che possono essere così dedicate al rafforzamento dei valori già stabiliti.Fulvia Lombardo
All you need is branding si potrebbe dire in un'industria dove i prodotti si copiano e passano velocemente di moda, la tecnologia si compra, così come le buone location e i bravi manager. Una marca forte e desiderabile rappresenta per imprese che fanno del sogno la propria selling proposition , una risorsa strategica. Non è stato sempre così. Nel passato della moda la marca era ancillare rispetto al prodotto.Solo il prodotto , attraverso il suo valore intrinseco , creava distinzione. Lo stilista e le collezioni stagionali erano al centro dell'interesse e degli sforzi; la marca, poco più che un nome, spesso prendeva significato solo dall'essere il nome dell'imprenditore/famiglia. La situazione cambia alla fine degli anni '80 con il passaggio delle aziende moda da monobusiness a multi-business e l'ingresso in nuove merceologie quali lo sportswear, occhiali, profumi, gioielli. Difficile a quel punto creare differenziazione solo attraverso i prodotti, spesso oltretutto dati in licenza ad altre aziende. Per dare significato a così tante merceologie e occasioni d'uso la marca doveva rappresentare ben più di un'etichetta: un'area di gusto, un sistema di garanzie e di valori, un mondo. Per creare questo valore intangibile è stato necessario sviluppare la comunicazione. Gli stilisti sono diventati i primi testimonial del loro mondo e i primi artefici della reputazione del marchio (esemplare il caso di Tom Ford per Gucci ma anche di Renzo Rosso per Diesel o John Galliano per Dior).La comunicazione , con l'obiettivo di creare notorietà, valore aspirazionale e status, è diventata una leva potente . E' il periodo delle top model, dei grandi fotografi e delle grandi campagne; i marchi del lusso entrano nel sistema mediatico globale. Il cliente finale però è ancora molto lontano dai tavoli degli stilisti e dai messaggi pubblicitari.Molte cose sono successe da allora. La comunicazione è diventata sempre più omologata (stessi linguaggi, stesse modelle) e autoreferenziale. Il prodotto moda ha visto ridursi sempre più il suo ciclo di vita e ha perso centralità rispetto al nuovo protagonista dei nostri tempi: il negozio . Proprio dalla distribuzione vengono i nuovi protagonisti della moda: le catene verticalizzate (Zara, Mango, H&M), imprese globali che partendo dal negozio hanno imposto a tutti, stilisti compresi, nuove regole del gioco. In un mercato sempre più popolato e complicato per farsi sentire occorre alzare la voce ma soprattutto dire qualcosa di nuovo a clienti che pretendono qualcosa di nuovo. Le marche della moda sono ormai note a molti; altra cosa è capire se interessano a qualcuno. Il cliente oggi sembra dire che vuole essere sedotto, emozionato, sorpreso dalle marche : l'emozione è qualcosa di profondo e personale che impone alle aziende una conoscenza più diretta del loro mercato.Dopo le fasi del prodotto e della comunicazione si apre così una terza fase nello sviluppo delle marche moda: la fase dell'esperienza. Creare un'esperienza di marca implica per le aziende saper manovrare molte leve contemporaneamente: prodotto + assortimento + negozio + comunicazione + servizio. Per chi ha capito queste evoluzioni il branding si è trasformato da un monologo tra impresa e mercato a un dialogo tra l'impresa e i suoi clienti. Un dialogo che parte dal negozio, il nuovo prodotto della moda, l'unico dal quale si può creare un'esperienza. Anche il ruolo della comunicazione è evoluto. Attraverso la comunicazione la marca racconta una storia che parte dal passato (l'heritage del brand - per chi ce l'ha), è ambientata nel presente (i prodotti, le pr, i testimonial) e sogna il futuro (la ricerca, i progetti non profit in campo artistico o sociale supportati dalla marca). Stefania Saviolo
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