Di seguito gli interventi pubblicati in questa sezione, in ordine cronologico.
Apple festeggia un nuovo invidiabile traguardo, il download di applicazioni dal suo sito ha superato i 2 miliardi di contatti in un anno o poco più. App Store dunque può ben definirsi il più grande rivenditore di applicazioni su scala globale, con la sua offerta di 85.000 programmi per un panorama di 50 milioni di utenti. E i download sono destinati ad aumentare, poiché lo stesso Steve Jobs, Ceo del colosso di Cupertino, assicura che nell’ultimo trimestre ne sono già stati registrati oltre un miliardo
Via Quo Media
Mediamarket dichiara guerra alla Playstation. La catena della grande distribuzione specializzata in prodotti hi-tech con le insegne Mediaworld e Saturn ha messo al bando dai suoi scaffali la PspGo, l'ultima console portatile della Sony: 158 grammi di peso, schermo da 3,8 pollici e un costo, non proprio a buon mercato, di 249 euro, contro i 179 euro del Nintendo Dsi e della "sorella" maggiore Psp 3000.
Messa al bando perché la PspGo, disponibile dallo scorso primo ottobre, non sarà venduta nei cento negozi del gruppo Mediamarket che ha deciso di «boicottare» la distribuzione di questa macchina da gioco mignon per protestare contro il nuovo modello di business che il colosso giapponese dell'entertainment sta cercando di portare avanti. Di cosa si tratta?
Nel settore dei videogiochi i negozi realizzano i margini più ghiotti non con la vendita dell'hardware ma con quella dei videogame, del software. Se infatti i profitti che i gruppi della grande distribuzione mettono in cassa con la vendita delle console sono inferiori al 15% («Un margine spesso azzerato dai costi del negozio», come fa sapere un operatore), con il software i guadagni sono superiori al 30 per cento. Questo il punto: con la PspGo i giochi si scaricano direttamente da internet, saltando il canale degli store fisici, un po' come avviene con l'iTunes della Apple per la musica. Una rivoluzione copernicana.
«Con Sony abbiamo cercato di trovare un accordo vantaggioso per entrambi – spiega al Sole 24 Ore Maurizio Motta, direttore generale di Mediamarket – ma per ora non è stato possibile. Ci terrei a precisare che non siamo contro la distribuzione dei giochi online, anzi una delle proposte che stavamo trattando era proprio quella di permettere anche a noi di vendere i giochi della PspGo sul nostro sito di ecommerce, dove già distribuiamo musica e film con i download». Forte del suo potere contrattuale, e dei suoi 2,8 miliardi di euro di ricavi in Italia, Mediamarket punta i piedi su un settore che in Italia vale circa un miliardo e mezzo, anche se lo stesso Motta ci tiene a precisare che comunque «i rapporti con la Sony sono ottimi, tanto che nei nostri punti vendita tutti gli altri modelli di Playstation ovviamente ci sono».
Sony, dal canto suo, racconta un'altra versione dei fatti. «PspGo è il primo esperimento di console supportata esclusivamente da contenuti acquistabili online – racconta Gaetano Ruvolo, general manager di Sony Computer Entertainment Italia – e naturalmente si era tenuto conto del mancato profitto dei retailer sui singoli contenuti nella definizione degli accordi commerciali, compensandolo con un aumento su quello della console. Mediamarket è stato l'unico rivenditore in Italia a non accettare la scontistica offerta, per quanto adeguata al nuovo modello di business. Nonostante questo il resto del mercato ha già assorbito la quantità di prodotti, permettendoci di rispettare i target di vendita previsti per il lancio».
Già in passato tra le due aziende non era corso buon sangue. Erano i tempi del lancio della Playstation 3, con Mediamarket che ne anticipò la distribuzione di due gioni giorni, il 21 aprile 2007, violando l'embargo deciso dalla Sony.
di Daniele Lepido su ILSOLE24ORE.COM
Amazon propone un nuovo piano di pagamento del diritto d’autore per gli scrittori e gli editori che usufruiscono della sua piattaforma per gli e-book, i libri digitali scaricabili e leggibili su Kindle. La nuova politica, in vigore dal prossimo 30 giugno, prevede che il 70% del prezzo di listino vada ad autore ed editore dell’opera.
Attualmente, la percentuale per il copyright digitali letterari è fissata al 25% del prezzo del libro.
Via Quo Media
Sui dispositivi a tavoletta ormai si è letto e scritto di tutto e di più. Per il tablet di Apple e per tutti i prototipi (più o meno destinati al mercato) sfilati in passerella al Ces di Las Vegas. Molti analisti sono propensi ad affermare che il 2010 sarà l'anno del boom di vendite per questa nuova generazione di computer multifunzione, i più accorti rimarcano come solo un'offerta strutturata di contenuti farà realmente decollare la domanda. Il fenomeno tablet è quindi chiamato alla prova finale: o vince lo scetticismo della massa di consumatori che di un altro device digitale pensano di farne volentieri a meno, oppure diventa l'oggetto del desiderio come lo è stato anni fa l'iPod. Scorrendo gli autorevoli pareri rimbalzati dagli Stati Uniti in questi ultimi giorni si ricava uno scenario contrastato: c'è chi crede che le tavolette touch siano destinate a rimanere un mercato di nicchia come chi (Gartner nella fattispecie) che invece stima già per quest'anno un business miliardario fatto da decine di milioni di tablet e slate pc venduti.
Il fatto che, oltre ad Apple, scenderanno sicuramente in campo aziende come Hp e Dell -.la prima in collaborazione con Microsoft, la seconda sposando la piattaforma Android - e specialisti come Archos e OpenPeak (la prima a mostrare un tablet basato sui nuovi processori "system on a chip" Moorestown di Intel) è già un segnale preciso dell'importanza che l'industria dei computer attribuisce a questo fenomeno. Fenomeno che potrebbe diventare un nuovo e suggestivo terreno di scontro fra Windows 7 e Linux e che però rischia di partire "zoppo" se, come ha osservato qualcuno a Las Vegas, la corsa si farà solo sulle caratteristiche hardware dei dispositivi e non sulla loro usabilità e sulle modalità attraverso le quali gli utenti li utilizzeranno. Se i Mid e prima di loro altri bellissimi oggetti multimediali hanno fallito una ragione ci sarà ed ecco che la nuova creatura di Steve Jobs, stando a chi a cuore evidentemente i prodotti di Apple, potrebbe aprire una nuova frontiera. Fatta di libri e riviste che si leggono interagendo con video e immagini digitali, di contenuti Web che attraverso il tablet vengono trasferiti e goduti sulla flat tv ad alta definizione, di giochi e social network a portata di dito. Le nuove tavolette "tuttofare", come sono state già definite, hanno sulla carta tutti i requisiti per fare il botto e diventare in tempi brevi un mercato di massa.
Ma chi farà festa tra i tanti player che si siederanno a questo tavolo? A questa domanda non sono pochi, negli Usa, coloro che vedono in Apple la grande favorita per catturare le preferenze di una parte dei consumatori, esattamente come ha fatto in questi tre anni con il suo iPhone. Sul fronte opposto di quello dove si muove la casa di Cupertino ci sono le varie Hp, Dell, Acer (anch'essa al lavoro su un tablet touch) e naturalmente Microsoft. Intel sta nel mezzo e deve rintuzzare la concorrenza di Qualcomm, Nvidia e altri che in questa nuova arena vogliono recitare da protagoniste con i loro chip e chipset. La partita è assai aperta e nel porsi il lecito dubbio se le tavolette touch in arrivo ruberanno spazio agli smartphone e ai netbook l'interrogativo forse più intrigante è il seguente: i tablet saranno un'altra opportunità per la casa della Mela di sottrarre business a Microsoft?
di Gianni Rusconi su ILSOLE24ORE.COM
Il 2010 si preannuncia come l'anno d'oro degli smartphone, ma anche i "normali" telefonini metteranno a segno buone performance. Secondo le previsioni a livello mondiale di Gartner i primi avranno un balzo nelle vendite del 46% mentre per i cellulari l'aumento sarà tra l'11 e il 13 per cento.
Si chiuderà così la parentesi negativa del 2009 quando nel mondo sono stati venduti 1.211 milioni di telefonini, una decina in meno rispetto all'anno precedente. In aumento di quasi un quarto, invece, i più evoluti smartphone, che hanno raggiunto i 172,4 milioni di pezzi acquistati.
«Nell'ultimo trimestre 2009 il mercato dei terminali ha visto una ripresa degli acquisti con un più 8,3% nei volumi rispetto allo stesso periodo del 2008 – commenta Carolina Milanesi, research director di Gartner –. Gli acquisti sono stati trainati dagli smartphone e dai modelli più economici».
In Italia, sempre secondo Gartner, leader nei telefonini si conferma Nokia con una quota di mercato che sfiora il 40%, davanti a Samsung (33,4%) e Lg (8,4%). Per l'Iphone, nel mondo venduto in 25 milioni di unità, l'Italia vale il 3,9 per cento.
Nokia ribadisce il suo primato anche a livello mondiale, forte di una market share del 36,4%, ma sono i brand coreani i veri vincitori della passata stagione. Lg è riuscita a superare Motorola e Samsung ha aumentato del 3,2% la propria quota, sfiorando il 20 per cento e mettendo a segno una prova di forza in Germania, dove nell'ultimo trimestre ha conquistato il podio spodestando proprio Nokia. Nel panorama globale avanzano anche i marchi cinesi come Zte e Huawei che vendono i terminali agli operatori di tlc nei paesi in via di sviluppo, oltre alla taiwanese Htc specializzata proprio negli smartphone.
Nell'universo smartphone è Symbian la piattaforma da battere: è utilizzata da quasi un dispositivo su due, sempre marchiato Nokia. All'inseguimento ci sono Blackberry, con una quota del 20%, e l'iPhone al 14,4% che guadagnano posizioni. In tutti i casi i consumatori hanno apprezzato le potenzialità dei telefonini evoluti: accesso al web, alle email, le integrazioni con i social network, la disponibilità di mappe per la navigazione satellitare, per citare le applicazioni più diffuse.
Non mancano buone notizie per i consumatori. «I prezzi quest'anno continueranno a scendere ma il calo rallenterà rispetto al 2009 – prevede Carolina Milanesi – quando, se guardiamo al mercato di fascia media, i prezzi sono diminuiti anche del 10% mentre quest'anno vedremo una contrazione intorno al 4%». Dopo un 2009 segnato da una decisa riduzione dei volumi e dal valore ora in Italia, con l'ingresso nell'era degli smartphone, cambiano anche le strategie di produttori e operatori. «Nel nostro paese lo smartphone è diventato un driver dell'innovazione – segnala Alessandro Mondini Branzi, ad di Nokia Italia – e gli operatori si orientano sempre più a venderli con soluzioni e servizi di email e social network».
«Stiamo assistendo a un cambiamento radicale – conferma Luca Callegari, direttore marketing tlc di Samsung Italia – e il focus degli operatori è proprio sugli smartphone». Per Samsung il nuovo mix di prodotto nelle tlc sarà realizzato con un 13% di smartphone, un quarto di modelli avrà lo schermo touch e un altro 12-13% saranno modelli ad hoc pensati per il messagging, con Twitter, Msn e Facebook.
di Enrico Netti su ILSOLE24ORE.COM
Non ha tasti, non ha pulsanti, non ha appendici esterne. È un unico grande schermo liscio, praticamente senza bordo. Il retro è tutto in alluminio chiaro con al centro, in nero, il logo della mela. Per definirlo, in inglese, basta un aggettivo: sleek. Praticamente intraducibile in italiano. Il nostro dizionario propone "elegante", "raffinato" e "lucido". O "tirato a lucido". Ma per descrivere l'iPad è decisamente meglio quell'unica parolina in inglese. Che non a caso è la lingua di Steve Jobs e della sua Apple. Fluida, moderna e internazionale.
Ecco, l'iPad sta ai computer portatili come l'inglese sta al tedesco. La lingua di Kant, come il portatile, è solida, ben strutturata e... stagionata. L'inglese, come l'iPad, è molto più tonico. Anzi, elettrizzante.
Per assicurarsene uno Nessrine, quindicenne di Brooklyn, si è sistemata davanti al negozio principale della Apple a Manhattan, quello sulla Fifth Avenue, con due notti d'anticipo. È arrivata assieme a sua sorella, sua madre e sua nonna, armata di sedia pieghevole e coperta. E per avere il suo iPad ha aspettato per 33 ore il momento di apertura del negozio.
Nessrine non si è certo pentita del sacrificio. Alle nove in punto di sabato mattina, ad accoglierla all'ingresso nel negozio, c'erano due file di commessi della Apple con una maglietta azzurra e la scritta iPad in bianco. Come all'arrivo della maratona, la claque di commessi applaudiva e offriva il "cinque", in una cerimonia altamente coreografata. Che si è ripetuta in ogni singolo negozio della Apple sotto i fari dei cameramen e i flash delle macchine fotografiche.
Seppur costruiti a tavolino dai maestri della Apple, l'entusiasmo e il feeling erano senza dubbio quelli del grande evento. Quanto grande, lo diranno solo il tempo e la reazione dei consumatori. Ma che l'arrivo dell'ultimo gadget della Apple sia un evento è indubbio. Da giorni televisioni, siti e giornali non parlano d'altro. E ora che è finalmente arrivato, tutti si chiedono se l'articolo sia all'altezza della sua attesa.
Certo è che, come tutti i prodotti della casa di Jobs, anche questo è straordinariamente innovativo sia nel look che nella performance. Il che non garantisce necessariamente lo straordinario successo commerciale dei due che lo hanno preceduto - l'iPod e l'iPhone - ma promette bene.
Altrettanto certo è che l'iPad propone una nuova esperienza tecnologica e multimediale, che è quella del computer, del televisore e dell'iPod fuse in un'unica performance. Senza mouse e senza tastiera, l'interfaccia è quello dell'iPhone. Tutto a portata di un dito. «La possibilità di usare le dita per qualsiasi funzione è una svolta che cambierà il modo con cui ci rapportiamo al computer», ha dichiarato Jack Dorsey, fondatore di Twitter.
Walter Mossberg, il critico tecnologico del Wall Street Journal, normalmente molto severo, è stato insolitamente entusiasta nella sua recensione, in cui ha parlato di «bellissimo nuovo oggetto... qualitativamente differente». A suo dire l'iPad «ha il potenziale per cambiare profondamente il mondo dei computer portatili e minacciare la supremazia dei laptop. E con il suo schermo al tatto come interfaccia potrebbe mandare definitivamente in cantina il mouse».
I tre superlativi ai quali sono più spesso ricorsi gli osservatori americani: bellissimo, semplicissimo e velocissimo. Effettivamente le applicazioni si aprono in un baleno, la navigazione in internet è fluida, la funzionalità nello sfogliare pagine elettroniche superlativa.
Come molti prodotti della Apple, l'iPad non risponde necessariamente a un bisogno. È piuttosto un piacere. E a spingerne le vendite probabilmente non sarà tanto l'esigenza quanto l'euforia. Ma nell'ultimo decennio, la strategia di Jobs è stata proprio quella di inventare un prodotto per cui non c'è domanda, ma che sull'onda delle sue performance innovative riesce a far piazza pulita delle alternative. Aiuterà il fatto che quest'anno si prevede che Apple spenderà in pubblicità almeno 77 milioni di dollari. Obiettivo (non dichiarato): vendere almeno 5 milioni di unità in soli dodici mesi.
Per chi ha già un Blackberry o un iPhone e un portatile, potrebbe non aver senso comprare un terzo gadget. Non c'è niente che non possa già fare o vedere. Ma quanta gente va in giro con il proprio laptop? Un iPad è come un quaderno, pesa appena 680 grammi, e quindi può essere un computer-televisore-libro-giornale-rivista che ognuno può portare con sé ovunque.
Il potenziale mercato può andare oltre il settore dei tecnofili. E oltre anche ai giovani di Twitter e Facebook alla continua ricerca di nuove esperienze tecnologiche e multimediali. Può raggiungere la gente comune finora costretta a usare un portatile perché non ha altri strumenti per andare in rete o guardare un film mentre è in viaggio.
Se una persona ha l'esigenza professionale di produrre documenti in Word o in Excel, il laptop rimane lo strumento più funzionale. Ma, come ha scritto Mossberg, «se si appartiene alla categoria di chi naviga in rete, usa l'email, partecipa ai social network, consuma video o contenuti elettronici, l'iPad potrebbe fare per te». Dopo che New York Times, Wall Street Journal, Time e cinque dei sei maggiori editori americani hanno annunciato l'intenzione di lanciare versioni iPad dei loro prodotti, l'analista di Ccs Insight, Ben Wood, ha detto che «questa potrebbe essere la svolta che accelererà il processo di transizione verso la distribuzione digitale di tutti i contenuti mediatici».
di Claudio Gatti su ILSOLE24ORE.COM
Il numero Uno di Apple, Steve Jobs ha annunciato oggi nel corso dell'incontro sulle novità legate all'iPhone, che è stato raggiunto il risultato di 50 milioni di apprecchi venduti da quando è stato lanciato, meno di tre anni fa. Gli iPod Touch venduti nello stesso periodo sono stati circa 35 milioni.
Su questo impressionante numero di hardware sono state annunciate le novità del software che dalla prossima primavera potrà essere installato sugli apparecchi già in commercio e sul nuovo iPhone atteso prima dell'estate.
Via Quo Media
Cosa c'è dietro un telefonino iPhone o la neonata tavoletta elettronica iPad? Ovvero, come Apple e i suoi cugini stanno cambiando il mondo. Brian Fung su Foreign policy ha ricostruito il percorso produttivo di un iPhone. Un itinerario che si snoda nei cinque continenti e che a ogni passaggio delinea trasformazioni economiche e geopolitiche.
Materie prime. L'iPhone come tutti gli altri telefonini, i pc portatili, i lettori Mp3 e molti dispositivi elettronici funziona con una pila ricaricabile. Al cuore di questa batteria c'è un minerale: il coltan, composto complesso di columbite e tantalio. Il tantalio è utilizzato sotto forma di polvere metallica nell'industria dei semiconduttori per la costruzione di batterie ad alta capacità e di dimensioni ridotte. Grazie a questa polvere nera che ha una elevata resistenza al calore ed è capace di mantenere una carica elettrica per un lungo periodo, le pile dei nostri telefonini durano così tanto. Per questo motivo dopo l'oro e il petrolio il coltan è diventato uno dei minerali più ricercati e preziosi.
Blood coltan. Il coltan si trova in Brasile, Australia, Canada e soprattutto in Congo, nella martoriata regione dei Grandi laghi dove da decenni si combatte una guerra civile finanziata dal contrabbando di questo minerale. La Repubblica democratica del Congo occupa un territorio immenso, che si estende per oltre 2,3 milioni di chilometri quadrati e confina con una dozzina di altri stati africani, quasi tutti interessati, direttamente o indirettamente alle sue risorse. La mappa mineraria è interminabile: rame, cobalto, minerale di ferro, manganese, uranio, oro, diamanti, cassiterite (stagno), e - appunto - coltan. In età coloniale re Leopoldo II del Belgio definì il Congo «una magnifica torta africana». Una torta amara per i suoi abitanti. E il destino di questo paese continua a essere in balìa di chi vuole appropriarsi delle sue immense ricchezze. Una parte significativa delle produzione mineraria continua a essere ricavata ancora oggi nelle miniere a cielo aperto. Nelle aree sotto controllo dei movimenti di guerriglia, la popolazione viene costretta dai padroni di turno o dai militari col fucile spianato, a cercare il coltan. A scavare buche, spaccare rocce, caricare, trasportare, con paghe da fame e sotto sorveglianza di guardie armate. I gruppi di ribelli che vengono dai paesi vicini, dall'Uganda, e dal Ruanda finanziano le operazioni vendendo tantalio di contrabbando a società americane, europee, cinesi attraverso intermediari locali nelle zone di frontiera, i cosiddetti comptoirs. Esportano di contrabbando il coltan e vendono il minerale ai produttori di telefonini. Questa guerra regionale di cui giungono solo talvolta gli echi in Occidente ha ucciso circa 7 milioni di persone, per la maggior parte civili, negli ultimi 12 anni, stando alle rilevazioni contenute in un rapporto Onu. Da parte sua la Apple sostiene che per costruire i suoi telefonini richiede ai suoi fornitori di certificare che i materiali che usano sono stati prodotti in modo «socialmente e ambientalmente responsabile». Apple però aggiunge che la catena produttiva è molto lunga e complicata e che sostiene gli sforzi di controllare e regolare questa catena produttiva. Ma tutto può accadere da un passaggio all'altro. Lavoro global. Ogni prodotto della Apple, comprato magari sul negozio online, è probabile che arrivi dall'Asia. Il viaggio del vostro iPhone comincia in una fabbrica cinese posseduta dal gigante dell'elettronica taiwanese Foxconn che dà lavoro a 800mila persone. Foxconn ha tra i suoi clienti Apple, assembla l'iPhone, l'iPad, i computer Macintosh. Così come assembla i computer Dell e Hp, la Nintendo Wii e alcuni telefoni Nokia. Questa società era sconosciuta al grande pubblico prima della serie di suicidi, 10 suicidi di operai, avvenuti a catena nello stabilimento di Shenzhen, in Cina. Le cronache raccontano di ritmi di lavoro massacranti, straordinari prolungati. Qualche tempo fa è sparito dallo stabilimento un prototipo del nuovo iPhone. i responsabili dello stabilimento, come ha raccontato Farhad Manjoo su Slate, hanno accusato di furto un operaio che lavarova nel magazzino. Sun Danyong, 25 anni, ha negato tutto e ha raccontato di essere stato picchiato dalla sicurezza. Ha inviato un sms alla sua ragazza: «Cara, mi dispiace, ritorno a casa domani. Ho qualche problema. Non parlarne con la mia famiglia. Mi dispiace». Il giorno dopo si è gettato dal dodicesimo piano di un edificio dello stabilimento.
Dopo le morti degli operai, Foxconn ha aumentato i salari del 30%, ma la società che assembla gli iPhone è solo un piccolo caso, seppur significativo, del più ampio fenomeno che interessa il lavoro in Cina: è l'altra faccia della globalizzazione quella che ha permesso il successo economico degli stabilimenti delocalizzati, un successo basato sul dumping sociale e lo sfruttamento. I lavoratori migranti in Cina sono 149 milioni. I suicidi alla Foxconn così come gli scioperi avvenuti negli stabilimenti cinesi di Toyota e Honda hanno fatto accrescere l'attenzione mondiale sulle condizioni di lavoro praticate in Cina. Molti osservatori internazionali sono stati sorpresi dall'intervento del premier Wen Jiabao il 14 giugno, che ha invitato il governo a migliorare le condizioni di lavoro e il trattamento per i lavoratori migranti. Wen ha parlato di «compassione e rispetto». Sono aumentati tutti i salari. E' avvenuta una sorta di rivoluzione silenziosa. In Cina sta emergendo una classe media che guiderà il paese a un nuovo stadio di sviluppo. Intanto la Apple ha fatto sapere di aver venduto due milioni di iPad in due mesi. Steve Jobs ha detto che stanno tutti lavorando duramente per costruire iPad e tenere il passo della domanda mondiale. Indovinate da dove arrivano questi iPad?
Inquinamento hi-tech. Secondo le stime di Apple ogni iPhone produce circa 55 chilogrammi di emissioni di carbonio durante tutta la sua vita. Con 8,75 milioni di apparecchi venduti ogni 3 mesi si traducono così in più di 500mila tonnellate di CO2 immesse nell'atmosfera ogni trimestre. C'è un'attenzione crescente alle problematiche ambientali e al loro smaltimento da parte dei governi, delle organizzazioni ecologiste e delle società produttrici. Un gruppo di aziende di tlc e informatica ha aderito all'Iniziativa di sostenibilità globale (GeSI) che impegna a sviluppare prodotti e una filiera di elettronica verde. Finora hanno aderito 24 società, tra cui At&t, Nokia, Hewlett-Packard. A marzo è entrata a far parte del gruppo di società di green tech anche la canadese Rim, Research in Motion, produttrice del BlackBerry e rivale di Apple. La casa della mela non ha ancora aderito al GeSi, ma fa parte di un'altra organizzazione, con meno vincoli, l'Electronic Industry Citizenship Coalition, che ha una serie di princìpi sulle condizioni di lavoro e la salute dei lavoratori. In realtà, a parte queste apparenti credenziali verdi, poche società sono davvero impegnate con politiche mirate a ridurre l'impatto ambientale dei loro prodotti e dei loro processi produttivi. Solo Nokia e Sony Ericsson hanno ottenuto il bollino verde dal Green electronics survey 2010 di Greenpeace. Un rapporto che valuta i programmi di riciclo e l'uso di materie tossiche nei prodotti elettronici. Tutte le altre società, Apple compresa, ma anche Lg, Motorola e Samsung, sono a metà classifica. Hanno cominciato ad adottare politiche di responsabilità o hanno eliminato l'uso di materie prime tossiche dai loro prodotti tuttavia sono solo a metà strada. Apple, in particolare, nonostante le dichiarazioni pubbliche di Steve Jobs sugli obiettivi ambientali del 2007 ha fatto solo dei piccoli passi in avanti nelle sue politiche ambientali, secondo Greenpeace.
Educazione senza confini. I costi per la formazione universitaria aumentano in tutto il mondo. Apple sta lavorando per sviluppare delle lezioni digitali per gli studenti. Anche qui il suffisso «i» per un'applicazione pensata ad hoc: in questo caso si parla di iTunes U, un servizio online lanciato dalla casa della mela nel 2007 che integra il software ubiquo per la musica e i video iTunes per diffondere veri e propri cicli di lezioni universitarie in audio e video che possono essere visti e ascoltati dal Mac, dall'iPhone, dall'Ipod e anche dal neonato iPad. ITunes U si propone come un servizio per sviluppare l'insegnamento a distanza senza confini. Cosa molto utile soprattutto in regioni del mondo dove l'accesso a sistemi formativi di qualità è limitato. Già da ora gli studenti, così come fanno con i brani musicali, possono scaricarsi le lezioni preferite sul proprio pc o telefonino, gratis, da ogni parte del mondo. Il Mit di Boston ha reso disponibili 2000 corsi universitari dal 2007. A esso si sono aggiunte le università di Stanford, Harvard, Cambridge, Oxford. Si stima che nel solo anno accademico 2008-2009 solo per l'ateneo di Oxford siano stati scaricati dagli utenti più di un milione di lezioni.
Difesa, la guerra con l'iPhone. I ragazzi americani che sono in missione in Iraq e Afghanistan a fare la guerra al terrorismo come tutti gli americani sono utenti abituali e affezionati dei prodotti Apple. Tanto che società di armamenti come Raytheon e Knight's hanno sviluppato delle applicazioni militari per i loro iPhone. Apple e Google hanno fatto lo stesso. Il Pentagono compra le applicazioni migliori e, a sua volta, attraverso il Darpa, il dipartimento di R&D sviluppa sue proprie applicazioni. Le applicazioni militari per gli smartphone, con l'aiuto di Internet, cercano di aiutare i soldati nelle operazioni sul campo. Ci sono programmi che permettono di stimare,considerando tutte le variabili come il vento, la temperatura, la distanza e l'umidità, come fare a tirare un colpo perfetto (BulletFight). Altri come Vcommunicator che producono parole e traduzioni scritte dall'americano all'arabo, al curdo e a due lingue afgane. Altri ancora come One Force Tracker, permettono di avere una mappa in tempo reale, ricca dei più piccoli particolari, con la posizione esatta dei soldati. Tutto attraverso un piccolo, nero e lucido iPhone.
di Riccardo Barlaam su ILSOLE24ORE.COM
È più piccolo di un tablet, più grande di un cellulare o di un player multimediale portatile. Fa telefonate, e si può usare per navigare. Esce domani, tra i mugugni degli addetti ai lavori
Non è un tablet, non nel senso stretto del termine. Non è un cellulare, viste le dimensioni. E non è neppure un prodotto della stessa categoria di un iPod Touch: il Dell Streak è un MID unito a un telefono, un apparecchio pensato cioè per la connettività ubiqua, un'idea che circolava a cavallo tra 2008 e 2009 e non ha mai preso particolarmente piede. Ora però l'azienda USA decide di provarci, e lancia sul mercato il suo mini-tablet/telefono da 5 pollici equipaggiato con Android. Raccogliendo qualche scetticismo tra gli osservatori, interdetti per le scelte di prezzo e non solo riguardo il nuovo nato: ai più sembra destinato a battersi, e non sarà una sfida facile, con il tablet iPad più che con gli smartphone.
Tecnicamente Streak non è messo male: buono schermo da 5 pollici, fotocamera da 5 megapixel con flash, connettività 3G HSDPA, WiFi e Bluetooth. Non manca il GPS, un lettore di card microSD fino a 32GB che si aggiungono ai 512MB di ROM, i 512MB di RAM e i 2GB di memoria su un'altra microSD presente a bordo (e non accessibile all'utente) che si possono usare per archiviare le applicazioni. La CPU è un ottimo Snapdragon da 1GHz. Il problema di Streak è l'OS: monta Android, ma la versione 1.6 vecchia ormai quasi un anno, e l'azienda non prevede di aggiornarlo alla 2.2 (Froyo) se non al volgere del 2010. Inutile dire che, naturalmente, fioriranno le ROM non ufficiali "cucinate" appositamente per il dispositivo: ma l'idea di lanciare un prodotto con una release di Android vecchia, e di aggiornarlo alla attuale quando la successiva (3.0, Gingerbread) sarà alle porte, ha fatto arricciare più di qualche naso.
Altro fattore che gioca a sfavore è il prezzo. Chi desidera acquistarne uno potrà optare per la versione abbinata a un contratto biennale con AT&T al prezzo di 300 dollari più le rate mensili dell'abbonamento, oppure optare per la versione "libera" (ma SIM-locked, e visto quello che si dice della rete AT&T...) al costo di 550 dollari (più le tasse). Streak è un telefono, nel senso che ha un modulo di connessione 3G ed è equipaggiato per le chiamate GSM: ma le sue dimensioni difficilmente lo renderanno adatto a finire nelle tasche dei jeans. Eppure, se come pare scontato il MID Dell andasse confrontato con l'offerta Apple o Motorola, Streak costerà più di un iPod Touch (che ha solo il WiFi), di iPhone 4 e di un Droid X nella versione con contratto, e più di iPad WiFi nella versione semi-libera (e appena 50 dollari in meno di iPad 3G).
Resta da capire, se questi sono i prezzi dell'unità da 5 pollici, quanto potranno costare le future versioni da 7 e 10 pollici: esistono interpretazioni diametralmente opposte sulla lungimiranza della scelta operata da Dell, ma è indubbio che questo tipo di prodotto - come sempre accade per i compromessi tra diversi formati, in questo caso tra tablet e smartphone - finisca inevitabilmente per risultare interessante per una nicchia più che per la totalità dei consumatori. Il lancio nel Regno Unito, avvenuto a giugno, parrebbe confermare questa ipotesi.
In definitiva, per il tablet Dell non esiste una previsione chiara sul successo o insuccesso dell'operazione. A suo vantaggio va ricordato che si tratta di uno dei pochi prodotti di questa categoria visti al CES 2010 che finalmente trovano la strada del mercato: resta da capire, visto che si tratta di un pezzo grosso come e quanto Apple, se l'azienda di Cupertino abbia qualcosa da temere dal primo approccio della concorrenza al campo dei tablet.
di Luca Annunziata su Punto Informatico
Un mercato che secondo gli analisti ha enormi potenzialità di sviluppo, non è privo di contraddizioni – la più "evidente": tablet o slate sono computer oppure no? – e che, per il momento, ha Apple al centro. L'iPad, e su questo sono tutti o quasi d'accordo, ha fatto da apripista ai tablet di nuova generazione e ne rappresenta il prodotto di riferimento, oltre che "best seller".
A Cupertino hanno capito subito di aver fatto un'altra volta bingo e vogliono sfruttare il fatto di avere un certo margine di vantaggio sulla concorrenza. Come? Aumentando la produzione mensile – siamo a due milioni di pezzi mensili ma l'obiettivo è di arrivare presto a tre e assicurare sempre e comunque la consegna di un iPad entro 24 ore dall'ordine – e nuova versione della tavoletta, con fotocamera frontale per le videochiamate e software iOS 4.2, pronta per arrivare a scaffale entro la fine dell'anno. Se Apple metterà sul mercato prossimamente un iPad in versione mini, con schermo da sette pollici (rispetto ai 9,7 pollici di diagonale dell'attuale) è al momento solo un'eventualità rimbalzata su blog e siti specializzati.
Nel 2010, stando alle più recenti stime pubblicate da iSuppli, poco meno del 70% dei dispositivi touch a tavoletta venduti saranno iPad; fra due anni, quando l'attesa carrellata di annunci di tablet e slate a firma di Samsung e compagnia sarà del tutto completata, per la società della Mela si prefigura una quota di vendite superiore al 60%, e quindi nell'ordine dei due terzi. Apple, questo l'assunto che emerge dai numeri, dominerà la scena di questo segmento almeno per un altro paio d'anni e per una ragione secondo gli analisti molto "semplice": l'assenza di competitor in grado di eguagliare la sua offerta di applicazioni e contenuti.
Acer e Asus caleranno il jolly di Android 3.0 Eppure nella lista dei pretendenti al trono c'è il gotha dell'industria hi-tech, aziende coreane e giapponesi in testa. Dell ha rotto gli indugi prima dell'estate lanciando la serie Streak negli Usa e nel Regno Unito, Samsung ha appena tolto i veli al suo Galaxy Tab, lo stesso ha fatto Toshiba con il Folio 100; Lg lancerà la propria tavoletta entro l'anno, al pari di Sharp, Acer e Asus. Per tutti il denominatore comune è Android ma a differenza delle altre le due taiwanesi scenderanno in campo, fra l'autunno e l'inizio del 2011, con un nuovo asso nella manica, e cioè la versione 3.0 del sistema operativo mobile di Google. Scelta tutt'altro che peregrina questa, visto e considerato che proprio da Moutain View, e nella fattispecie da Hugo Barra, responsabile dei servizi per la telefonia mobile della società, è arrivata nelle scorse ore l'ammissione che "Froyo" (la release 2.2 della piattaforma, l'ultima ) è stata concepita esclusivamente per gli smartphone e pertanto non può definirsi ottimizzata per l'utilizzo sui tablet. Uscita forse inopportuna - i prodotti annunciati a Berlino nel corso di Ifa 2010 non sono ancora arrivati nei negozi – ma di fatto sincera, nel senso che è ricorrente fra gli addetti ai lavori il fatto che solo la prossima edizione di Android, nome in codice "Gingerbread", supererà gli attuali problemi in fatto di accessibilità (tramite l'Android Market o gli store proprietari) e disponibilità di applicazioni e servizi.
La scelta sui tablet sarà infine una scelta di piattaforma, perchè in gioco ci sono – oltre a Apple iOS e Google Android – anche WebOS, Research In Motion e il suo sistema operativo BlackBerry e Windows 7. Nessuna delle tre sembra però al momento avere i requisiti per poter insidiare da vicino la grande sfida tecnologica e di marketing fra Cupertino e Mountain View. Lo slate che Hp sta sviluppando sul software open source acquisito con Palm promette bene ma rischia di arrivare forse troppo tardi sul mercato, per lo meno per puntare a un ruolo di primissimo piano. Le tavolette con a bordo il sistema operativo di Microsoft sono numericamente irrilevanti (la stessa Hp in chiave professionale, Asus, Msi, Viewsonic e pochissimi altri) rispetto a quelle Android mentre del fantomatico BlackPad se ne saprà qualcosa di più solo a novembre.
di Gianni Rusconi su ILSOLE24ORE.COM
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