Di seguito gli interventi pubblicati in questa sezione, in ordine cronologico.
Vodafone si prepara a sbarcare in India. La società delle telecomunicazioni sarebbe interessata al quarto operatore di telefonia mobile del paese, il gruppo Hutchison Essar. Secondo indiscrezioni di stampa, le trattative sarebbero già state avviate e il prezzo dell’operazione si aggirerebbe intorno alla cifra astronomica di 14 miliardi di dollari. Vodafone non sarebbe l’unica società interessata all’acquisto della società dei cellulari indiani perché tra i pretendenti ci sarebbe anche uno dei maggiori gruppi delle telecomunicazioni del paese, la Reliance Communications Ltd . Qualche mese fa il Ceo di Vodafone, Arun Sarin, aveva dichiarato di essere interessato all’acquisizione di operatori non convenzionali.
Via Pubblicità Italia
La Apple spopola da una parte all’altra del globo con il suo iPhone, che presto sbarcherà anche nel nostro paese, ma non si dimentica del primo amore: la musica. iPod e iTunes hanno infatti permesso alla casa della mela di diventare un marchio di riferimento per il grande pubblico. Il prossimo passo a ritmo di musica (digitale) sarù quello di trovare accordi con le più importanti case discografiche per ampliare l’offerta delle suonerie e di altri servizi musicali per l’iPhone 3G di prossima uscita. La notizia è stata riportata dal “New York Times”. L'annuncio dell'accordo, per ora confidenziale secondo il quotidiano americano, a tutela delle trattative attualmente in corso, avverrà probabilmente dopo il 9 giugno, data in cui è prevista la presentazione dei nuovi modelli da parte di Steve Jobs. Le suonerie, attualmente in vendita a 99 centesimi di dollaro, sono uno dei servizi più redditizi legati all'iPhone. Il loro prezzo è equivalente a quello di un brano musicale, anche se si tratta solo di una parte della canzone, ripetuto a rotazione. Non tutte la melodie disponibili nel catalogo Apple però sono convertibili in suoneria: questo è uno dei punti su cui la società di Cupertino sta lavorando, puntando ad ampliare il proprio archivio. Le etichette vorrebbero differenziare i prezzi delle hit da quelli dei brani più vecchi. Universal Music vorrebbe che Apple vendesse, per iPhone e iPod, pacchetti che comprendano un abbonamento mensile o annuale. Il cliente potrebbe così scaricare e ascoltare tutti i brani di un'etichetta nell'arco della durata dell'abbonamento. In discussione anche il metodo di vendita: Apple deve decidere se consentire agli utenti di scaricare i nuovi servizi direttamente da iTunes. E anche in questo caso le case discografiche vorrebbero differenziare il prezzo a seconda che il download avvenga con un collegamento internet tradizionale o direttamente attraverso la connettività ad alte velocità 3G.
Via Quo Media
Apple programma il futuro prossimo con accordi e progetti che tracciano la direzione della casa di Cupertino per i prossimi mesi.
La Mela sta lavorando, insieme a quattro case discografiche, a un progetto che consenta di aumentare le vendite di album musicali in formato digitale. Emi, Sony Music, Warner e Universal Music si sono unite ad Apple per dar vita a Cocktail, un portale per il download legale che sarà inaugurato forse in settembre, e sarà in grado di dare servizi interattivi agli utenti mentre questi stanno scaricando i dischi prescelti.
Contemporaneamente, stando alle indiscrezioni riportate da The Financial Times, Apple starebbe lavorando al lancio del suo primo tablet pc, un dispositivo portatile delle sembianze di un iPod Touch, ma capace delle prestazioni di un computer vero e proprio. Il progetto prevede, secondo il Times, microprocessori particolari prodotti dalla stessa compagnia californiana (quelli di iMac e iBook sono firmati da Intel) e la possibilità di connettersi a reti di wifi e 3G.
Hardware mobile e contenuti musicali sembrano dunque essere le vie preferenziali della Mela, integrando le esperienze di prodotti di successo come iPod, iPhone e iTunes nel tentativo di creare nuove fasce di mercato e rimpolpare utili e popolarità del marchio, ormai sinonimo, a torto o ragione, di innovazione e informatica alla moda. Via Quo Media
Alla fine il matrimonio d'interesse c'è stato, anche se non si è tratto di una fusione o di un'acquisizione. L'obiettivo è condividere la piattaforma Web per la pubblicità online. Ed è una notizia ben più importante rispetto a una "semplice" aggregazione di reparti industriali. Perché l'advertising online offre una forma di comunicazione immediata e innovativa, ancora per molti versi inesplorata e vergine (si pensi ai social network come Facebook o allo stesso Youtube, nei quali non è stata ancora trovato un modo soddisfacente per fare pubblicità).
Tuttavia c'è incertezza sulle sorti di questo mezzo pubblicitario. Internet è destinato a diventare una leva per le aziende in quanto offre una visibilità potenzialmente superiore rispetto alla Tv e agli altri media. Nonostante fino all'anno prossimo non si prevedano crescite interessanti. Motivo? La crisi economica e un modello non ancora consolidato. Bisognerà attendere un paio di anni per vedere il vero potenziale del Web. In questo contesto si inserisce la partnership tra Yahoo e Microsoft.
Un piano pluriennale (l'accordo è della durata di 10 anni) che prevede uno scambio di tecnologie molto interessanti. L'obiettivo di questa cordata è affrontare Google: il colosso di Sunnyvale controlla il 65 per cento dei motori di ricerca in Internet, contro un misero 28% ottenuto sommando i pesi delle due aziende che hanno annunciato oggi l'accordo. Carol Bartz, ceo di Yahoo, spiega come la funzione di search sia funzionale a una strategia di adv online, tanto che l'obiettivo della partnersthip è anche di proporsi come seconda forza sul mercato.
Dunque Bing, che è made in Redmond, diventa una piattaforma su cui strutturare nuove strategie di pubblicità a lungo termine. Anche per questo Yahoo e Microsoft condivideranno know-how tecnologici e algoritmi al fine di perfezionare il funzionamento del motore di ricerca e adattarlo alle nuove esigenze. Si tratta di un rapporto esclusivo per entrambe le parti coinvolte, anche se saranno indipendenti e in concorrenza in merito alla proposta commerciale effettiva ai rispettivi clienti. Nella fattispecie, l'attuale motore di ricerca di Yahoo diventerà "powered by Bing" e a Microsoft saranno corrisposte le revenue share sul traffico generato. L'azienda di Redmond riconoscerà una commessione dell'88 per cento dei guadagni generati sulle pagine di Yahoo. Questo per almeno i primi cinque anni della collaborazione. Insomma, un vero panzer della pubblicità online pronto a proporsi a fronteggiare Google.
Ma perché Microsoft ha scelto proprio Yahoo? Per la sua storia decennale in Internet, perché è una comunità più che un portale, per i servizi a valore aggiunto che offre e per le potenzialità di crescita in un mondo virtuale sempre più dominato dal social networking. Non è casuale il recente annuncio di allargamento dell'homepage di Yahoo alle principali community. Tutti ambiti nei quali Microsoft ha tentato di proporsi ma con risultati non esaltanti: è in corso un parziale ridimensionamento delle attività di Msn e molti servizi storici di Redmond legati al Web sono in fase di riorganizzazione. Yahoo gode di una brand awareness sensibilmente superiore. E poi è un sito molto legato ai giovani e a chi naviga in Internet dagli albori, anche per questo è interessante dal punto di vista pubblicitario.
Steve Ballmer, ceo di Microsoft, sostiene che la partnership tra le due aziende possa configurare vantaggi per gli utenti e per le società interessate a fare advertising online, offrendo loro una visibilità superiore. Staremo a vedere. Nel frattempo, siglato l'accordo, l'implementazione avverrà per tappe successive. Affinché Yahoo converta la sua pagina di ricerca sfruttando a dovere Bing ci vorranno almeno sei mesi, se non almeno un anno per una transizione completa. A livello globale, la finalizzazione della piattaforma richiederà 24 mesi. Il 2010 sarà l'anno in cui si potranno saggiare i primi effetti di questo agreement che vale un flusso di cassa di 275 milioni di dollari l'anno almeno per Yahoo. Nessun pericolo per gli utenti: i dati raccolti saranno condivisi solo per il minimo indispensabile. A loro andrà il vantaggio di contare su una reale alternativa a Google.
di Luca Figini su ILSOLE24ORE.COM
Non ci sono gli attesi pannelli a tecnologia Oled grande schermo e le vere novità nel campo degli Lcd si limitano ad alcuni modelli di piccolo formato (i Bravia S da 19 pollici) che fanno da appendice all'ampia gamma di Tv "Motionflow" da 100 e 200 Hz entrati a catalogo nei mesi scorsi. Quella di Sony all'Ifa non è comunque una presenza nell'ombra semplicemente perché il "leit motiv" scelto quest'anno dalla casa giapponese è la tecnologia 3D.
Televisori capaci di riprodurre immagini a tre dimensioni: questa in sostanza la nuova frontiera tecnologica che il gigante di Tokyo porta in vetrina a Berlino per dare una scossa al mercato, rilanciare le vendite con prodotti ad elevato margine e combattere l'onda lunga della crisi dei consumi. A parlarne in prima persona è stato il numero uno della casa giapponese, Sir Howard Stringer, che oltre al previsto lancio della Tv Lcd Bravia 3D (non c'è una data certa ma si parla genericamente del 2010) ha anticipato come anche i computer Vaio, la PlayStation 3, le camere digitali e i lettori di dischi Blu-ray saranno compatibili con la tecnologia tridimensionale.
Il palcoscenico dell'Ifa è quindi servito a Sony per voltare pagina dopo un primo semestre molto intenso anche sotto il profilo della riorganizzazione interna. I proclami in chiave 3D vanno visti come una sorta di nuova e futura sommessa per invogliare i consumatori a comprare dispositivi che devono continuamente innovarsi: così è stato con l'alta definizione pochi anni fa, sarà così – questa la convinzione del Ceo - per gli schermi che riprodurranno filmati in tre dimensioni. Il cinema dentro le pareti domestiche è del resto un cavallo di battaglia che l'industria della consumer electronics ha fatto suo da tempo e l'avvento di massa dei prodotti e dei contenuti 3D promette un salto in avanti notevole, almeno sulla carta, per gli amanti dell'intrattenimento digitale. La nuova idea di casa digitale di Sony avrà infatti al centro un televisore capace di riprodurre immagini tridimensionali in alta definizione a 1080p (perché dotato di un sistema che elabora i frame ad altissima velocità e di uno speciale display) che necessiterà di sorgenti video compatibili, lettori di dischi Blu-ray 3D in primis, per regalare agli utenti la visione stereoscopica di videogame, film e altro ancora. Quanto costerà una Tv 3D? Di prezzi Sony non ha parlato ma secondo gli analisti parliamo di parecchie migliaia di dollari (un modello di Hyundai attualmente in commercio in Giappone costa l'equivalente di circa 4.000 euro).
Sony, che proprio in questi giorni ha annunciato di vendere la sua ultima fabbrica in Nord America (quella di Tijuana in Messico) alla taiwanese Hon Hai Precision Industry, ha quindi rotto gli indugi e si candida al ruolo di illustre apripista di un segmento, quello dei televisori tridimensionali per l'appunto, finora rimasto nel limbo delle avanguardie tecnologiche.
La rivoluzione 3D verterà su tecnologia, canali distributivi e ovviamente contenuti, e a tal proposito è stato lo stesso Presidente di Sony a confermare il lancio prossimo venturo (nel 2010, ) del primo canale tridimensionale satellitare in Inghilterra ad opera di British Sky Broadcasting. "Oggi – ha infine concluso Stringer – il 3D è sulla strada per diventare appetibile per il mass market e il crescente numero di schermi digitali tridimensionali presenti nella sale cinematografiche, circa 7.000 in tutto il mondo entro il 2009, lo dimostra. È un treno che è partito e Sony vuole guidarlo dentro le case". Ipotesi sicuramente plausibile se non che la definizione di un unico standard per il 3D sia ancora da concretizzarsi e lasci di conseguenza scoperto il rischio di un'ennesima guerra di formati tecnologici – come quelle fra VHS contro Betamax o Blu-ray contro Hd-Dvd – che possa ridimensionare o per lo meno rallentare lo sviluppo di un mercato dall'elevato potenziale di domanda.
La strada intrapresa dalla casa giapponese è intanto quella della cosiddetta tecnologia "attiva", che prevede cioè l'utilizzo di occhialini elettronici (dal costo di circa 40 dollari sul mercato) che aprono e chiudono molto velocemente la sincronizzazione con l'immagine visualizzata sul televisore per riprodurre nell'occhio umano l'effetto tridimensionale. Un sistema diverso quindi da quello utilizzato dagli schermi cinematografici 3D, che richiedono infatti normali occhialini polarizzati che costano pochi centesimi di euro. Ma quanto cambia, per il telespettatore, mettersi di fronte a una Tv 3D? Per chi si potrà permettere di metterne una in salotto – premesso che con lo stesso apparecchio si potranno vedere ad occhio nudo i normali programmi in bassa o alta definizione – guardare un evento sportivo, un documentario, un film d'animazione o un videogioco riprodotto in formato tridimensionale sarà oggettivamente una nuova esperienza visiva. Avvolgente e quanto mai realistica.
Via ILSOLE24ORE.COM
Sto finendo in questi giorni la lettura di Gratis di Chris Anderson e il nuovo libro del diretto di Wired Usa mi ha dato degli ottimi spunti per integrare un tema di cui ho già parlato: la massima distribuzione della propria presenza sul web.
Di fatto i navigatori sempre più fruiscono il web con una modalità che non è più quella della navigazione sequenziale all’interno di una serie di siti preferiti, agevolati dai feed rss, i servizi di aggregazione come iGoogle e Netvibes, applicazioni come i widget e le web slice.
immagine tratta da http://laurelpapworth.com
Nel libro di Anderson si parla del fatto che l’economia digitale sta favorendo un nuovo modello economico, basato sul gratis, grazie alla crescita combinata dello spazio su disco, dei processori e della capacità di banda.
Che cosa c’entra tutto ciò con i feed e gli aggregatori? Beh, l’unica cosa ad essere scarsa in tanta abbondanza è il tempo dei gli utenti: potete offrire quanti contenuti volete ma dovete considerare che non tutti verranno a visitare sempre il vostro sito.
Per questo dovete offrire gratuitamente contenuti e, perché no, anche servizi complementari al vostro business e lasciare che possano essere fruiti anche fuori dal vostro sito, a patto che poi alla fine essi riportino da voi.
E’ l’esempio di Google news o anche di The Huffington Post: è vero che vanno a prendersi i contenuti dei giornali senza autorizzazione ma bisogna anche dire che per leggere il contenuto completo si deve aprire il sito originale, con un aumento del traffico.
Dunque non si deve temere che altri possano attingere ai vostri contenuti gratuitamente e senza permesso, a patto che poi questa agregazione riporti gli utenti da voi.
Il contenuto reso esportabile dunque dovrà essere un assaggio chiaro ma non esaustivo, che deve essere completato visitando il sito o un altro servizio web aziendale. Dovrà essere ben visibile nelle pagine aziendali e avrà più efficacia se sarà già accompagnato da bottoni (forniti gratuitamente dai vari servizi) che ne permettono velocemente l’aggiunta e/o lo sharing sulle maggiori piattaforme.
Naturalmente anche il contenuto dovrà essere di qualità e frequentemente aggiornato, per meritarsi un posto di riguardo nella mente e nel browser del cliente, e più material sarà disponibile e maggiore sarà la possibilità di innescare quegli effetti di coda lunga di cui ho già parlato in passato.
In più la possibilità di sfruttare le connessioni degli utenti (nodi di rete e connettori), in particolare per quanto riguarda i legami deboli che superano i limiti tradizionali quali il numero di Dumbar, crea una forma di comunicazione efficace e potente.
E’ una nuova forma di comunicazione diffusa, dove (secondo il principio della potenza delle connessioni della teoria della complessità) le relazioni e gli interscambi che le persone attuano fra loro portano ad un risultato finale superiore ad un’addizione dei singoli contributi.
Sieti pronti?
Gianluigi Zarantonello
via http://webspecialist.wordpress.com
Un mercato da due miliardi di download quello dell'App Store, negozio di applicazioni dedicate a iPhone e iPod Touch, che è stato definito dal Financial Times l'intuizione più geniale della casa della Mela. L'articolo della testata britannica racconta come inizialmente il progetto non fosse stato identificato come rivoluzionario dalle parti di Cupertino, che aveva puntato tutto sulla commercializzazione dello smartphone. I due prodotti, iPhone e negozio online di applicazioni, si sono invece immediatamente rivelati vincenti in quanto binomio, come accaduto in precedenza per iPod e iTunes.
Lo store ha da una parte sostenuto le vendite dei dispositivi collegati, iPhone e iPod Touch, volate a quota 50 milioni e dall'altra generato un redditizio contesto capace di ospitare 10.000 applicazioni installate dagli utenti al ritmo di dieci ogni mese.
La ricetta del successo è di facile intuizione. L'application store trasforma innanzitutto l'iPhone in una miniera d'oro per la Apple: la spesa iniziale per acquistare il dispositivo è solo un punto di partenza, dopo il quale il cliente si lancia in una serie di download, in alcuni casi gratuiti, per potenziare il proprio gioiellino.
Gli utenti più 'smanettoni', come si dice in gergo, da acquirenti passivi possono inoltre trasformarsi in sviluppatori attivi e dare il loro contributo alla causa, percependo introiti sui prodotti che mettono in vendita. Allo stesso modo, marchi di ogni genere possono sfruttare la piattaforma per fidelizzare la clientela offrendo contenuti aggiuntivi. A trarre particolare beneficio dall'opzione, offerta anche da altri produttori di dispostivi mobili, il mondo dell'informazione, che ha trovato nella vendita di applicazioni uno dei modi più rapidi ed efficaci per monetizzare la propria attività online.
Un'isola felice, insomma, che fa contenti tutti e all'interno della quale si generano realtà imprenditoriali di successo. E' il caso del produttore Tapulous, ad esempio, che ha annunciato che le sue vendite si sono avvicinate alla cifra di 1 milione di dollari al mese. La start-up, che conta appena 20 dipendenti, ha reso noto che la serie di giochi 'Tap Tap Revenge' è stata installata 20 milioni di volte, con oltre 600 milioni di giochi giocati.
Via Quo Media
Centocinquanta invitati. Steve Jobs. E l'ultima creazione della Apple. Il 27 gennaio sarà finalmente mostrato l'iPad, l'iSlate, insomma, il nuovo tablet della Mela. Le indiscrezioni, abilmente pilotate dall'azienda, hanno ormai creato un clima di attesa febbrile.
Superati i controlli di sicurezza, i centocinquanta invitati entreranno in una saletta spoglia. Jobs, sornione, comincerà forse parlando della quarta versione del sistema operativo per iPhone, la nuova suite iLife, oppure un accordo commerciale con Verizon che romperebbe il monopolio dell'At&t sulla vendita di iPhone negli Usa. Poi, con un filo di understatement, mostrerà l'anteprima più succulenta, annunciando che il prodotto non sarà in vendita prima di marzo. Comincerà spiegando il processo che ha portato alla forma prescelta, dimostrando che era l'unica possibile. Perché il tablet doveva essere leggero, con un grande schermo ad alta risoluzione, veloce, connesso a internet senza fili. Poi accenderà, sfiorerà lo schermo, illustrerà come si usa, dirà che sarà ottimo per leggere, ascoltare musica, guardare foto e telefilm, giocare, comunicare. Si dice che, magari non proprio alla prima versione, saprà riconoscere l'utente che lo prende in mano: secondo il Wall Street Journal, infatti, avrà una telecamera che servirà, oltre alle videochiamate, anche a personalizzare il contenuto in funzione di chi tra i familiari lo starà usando.
Gli ospiti saranno ammirati dal design e dall'interfaccia. Ma si staranno domandando: quanto costerà? chi lo comprerà? Sarà proprio in quel momento che arriverà la svolta della presentazione: perché Jobs presenterà il servizio online dal quale il tablet scaricherà i libri, i giornali, le riviste, i programmi televisivi, i giochi. E annuncerà i primi partner. Sarà allora che gli ospiti comprenderanno se il tablet sarà davvero la quarta grande innovazione della Apple, dopo il Macintosh, l'iPod, l'iPhone. Perché il suo successo dipenderà da quanto sembrerà indispensabile. Le indiscrezioni dicono che Jobs potrà annunciare che il tablet servirà a leggere nuove bellissime versioni digitali delle riviste della Conde Nast, l'editore di Vogue e Wired, quelle del gruppo Time, come Sports Illustrated, il New York Times e il Wall Street Journal, i libri di HarperCollins. E potrà offrire accesso a una selezione di programmi televisivi della Cbs, della Abc, forse della News Corp. E ancora servirà a giocare con i prodotti della Electronic Arts. Ovviamente, le aziende citate non hanno in generale confermato queste indiscrezioni. Il presidente del New York Times, Arthur Sulzberger, in un'intervista, ha commentato soltanto: «Stay tuned» (cioè, qualcosa come «aspettate e vedrete»).
La fibrillazione che circonda l'arrivo annunciato del tablet della Apple, in effetti, è motivata soprattutto dal fatto che Jobs è riuscito in passato a inventare un mercato per la musica digitale, costruendo da zero una soluzione per un'industria che fino all'arrivo della piattaforma iPod-iTunes non riusciva a trovare il modo per convincere il pubblico a comprare i brani musicali invece di scaricarli illegalmente dalla rete. Un successo ripetuto con la piattaforma iPhone-AppStore che ha creato dal nulla un gigantesco mercato per il software da usare con i cellulari. La speranza degli editori – di libri, giornali e programmi televisivi – è che il tablet possa ripetere il successo anche per i loro prodotti, i cui modelli di business sono minacciati dalla disponibilità di contenuti gratuiti sul web.
In attesa di vedere se davvero queste aspettative saranno soddisfatte, l'imminente arrivo del tablet ha già determinato una conseguenza: Amazon ha abbassato la quota che trattiene del valore dei libri elettronici che vende per il Kindle, proprio per pareggiare la percentuale che Apple trattiene sulla vendita delle applicazioni per iPhone e non lasciarsi scappare gli editori. Questi, a loro volta, si dovranno preparare. A marzo, o giù di lì, potrebbero avere un nuovo canale di vendita: ma dovranno fare ricerca per realizzare prodotti sufficientemente attraenti.
di Luca De Biase su ILSOLE24ORE.COM
Sapete bene che secondo me la tecnologia non può essere ciò che guida la strategia di un'azienda (sui social media e in generale) ma deve essere al servizio di una visione senza condizionarla, come invece di solito capita.
- immagine tratta da Sevensheaven.nl
Mi piace però evidenziare come anche il mondo dell'informatica stia andando verso la logica della nuvola (come sarebbe pù corretto definire il cosiddetto web 2.0), questo post infatti è stato ispirato dalla lettura di un articolo in cui Steve Ballmer parlava dei progetti Microsoft sul Cloud Computing.
La virtualizzazione e l'ubiquità infatti sono uno dei fattori che stanno determinando la nascita di un mondo sempre più ipertestuale dove il tipo di device ha un'importanza relativa rispetto al contenuto che veicola e all'uso che se ne fa.
Questo approccio si sposa sempre più con i presupposti economici che Chris Anderson ha tratteggiato nel suo libro Gratis: il costo dello storage dei dati e quello della banda di trasmissione decrescono continuamente mentre la loro grandezza aumenta ancor più velocemente di quella dei processori e questo consente di immaginare nuovi paradigmi economici e tecnologici basati totalmente sulla rete.
Ecco dunque che le aziende, a mio avviso, devono evolvere quanto prima verso questo modello di infrastruttura tecnologica, ciascuna secondo le proprie possibilità, per non restare tagliate fuori dai benefici del nuovo modo di fare business.
Naturalmente ciò dipende prima di tutto dalla voglia di sposare una strategia di questo tipo, senza cui, ad esempio, tutte le bellissime soluzioni di Enterprise 2.0 che ci sono oggi in circolazione sono totalmente inutili e controproducenti.
Ancora una volta dunque, anche partendo dal puro discorso tecnologico, torniamo al solito punto: non ci sono aziende innovative ma solo persone innovative che ne fanno parte, manager ma anche collaboratori che hanno capito che per il futuro avere la testa in una nuvola conviene, eccome!
E questa volta non parlo solo di temi di marketing, per chi ne avesse voglia (e fosse scettico) consiglio la lettura dei case-history del libro Wikinomics.
I commenti come sempre sono graditi.
Gianluigi Zarantonello via http://internetmanagerblog.com/
E’ una cosa che mi fa divertire un sacco. Aziende strutturate, che investono milioni in analisi e ragionamenti complessi sul target quando arrivano sul web diventato improvvisamente libere da qualsiasi problema strategico.
L’imperativo diventa: facciamo qualcosa, rivolto a qualcuno e vediamo che cosa succede, perché dobbiamo esserci anche noi! Fantastico. Non tutte le aziende arrivano nella realtà a mettere in pratica questo approccio e molte poi mettono a fuoco la situazione precisando meglio obiettivi, target e costi, la tentazione iniziale però è quasi sempre quella descritta.
Perché accade questo?
Il primo fattore, secondo me, sono le barriere all’ingresso nel web, che sono quasi nulle e comunque di fatto irrilevanti, in termini di paragone, per chi già faccia investimenti pubblicitari in altri mezzi. A questo si lega la convinzione che la presenza su Internet sia gratuita, cosa che come sappiamo non è propriamente vera.
In secondo luogo c’è poca conoscenza del mezzo all’interno delle aziende, che si affidano in tutto e per tutto a dei professionisti esterni senza avere gli strumenti per valutare realmente il loro operato e senza riuscire a spiegare realmente gli obiettivi da raggiungere.
Terzo, non è così frequente trovare una percezione realistica degli impatti che ha l’essere online, specie in un social web dialogico e incontrollabile: si pensa ancora ad una vetrina pubblicitaria da mettere in piedi una tantum, senza considerare l’aggiornamento nel tempo, monodirezionale.
Questo mio discorso poi può essere esteso al mobile, al digital signage, alle application per smartphone e via discorrendo, con l’unico freno dei costi d’entrata più alti di queste tecnologie.
Personalmente trovo che, per l’importanza che sempre più avranno le nuove tecnologie, sia ormai imprescindibile (e utile) la presenza di una figura di riferimento aziendale (con forme e modi commisurati alle dimensioni) che guidi l’utilizzo di questi strumenti. Non può essere una funzione isolata ma deve lavorare insieme al resto dello staff per portare realmente dentro la rete l’impresa, che a sua volta deve essere disponibile a dialogare in modo paritetico con questa figura. Insomma è l’ora della competenza e della fiducia.
Qual è la vostra esperienza in questo senso e che cosa ne pensate?
Gianluigi Zarantonello via http://internetmanagerblog.com/
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