Di seguito gli interventi pubblicati in questa sezione, in ordine cronologico.
ABIresearch, società specializzata in ricerche di mercato anche in campo tecnologico, ha rilasciato le sue stime riguardanti le quote di mercato e le vendite previste nel 2012. Secondo i dati, si stima che saranno venduti più di 100 milioni di tablet in tutto il mondo, sottolineando la forza e la capacità di espansione di questo mercato.
“Il mercato dei tablet potrebbe attestarsi attorno ai 102-110 milioni di unità vendute nel mondo durante tutto il 2012″ ha, infatti, dichiarato Jeff Orr, analista di ABIresearch.
Il mercato dei tablet si sta espandendo così rapidamente che, secondo gli esperti, potrebbe superare in pochi anni il mercato dei computer portatili. A farla da protagonista, secondo gli studi presentati, sarebbe ancora una volta la Apple con il suo iPad.
Dei 25 milioni di tablet venduti nel secondo trimestre del 2012, infatti, ben 17 milioni sono stati iPad. Praticamente i due terzi del totale. Il suo principale concorrente, la sudcoreana Samsung, si attesta nello stesso mercato al 9,6%; che equivale a 2,4 milioni di unità vendute.
Il mercato dei tablet è in fermento, visto che Google e Microsoft hanno recentemente introdotto nuovi prodotti, proprio allo scopo di detronizzare l’iPad di Cupertino. Ma l’azienda dei record potrebbe facilmente rifarsi con l’imminente lancio dei “mini iPad” previsto, secondo recenti indiscrezioni, per la fine di Ottobre.
Via Tech Economy
Gli italiani, nel 2011, hanno speso di più per navigare su internet dal cellulare che per inviare sms. A certificare lo storico sorpasso, frutto del boom di smartphone e tablet, è l'Agcom nella Relazione annuale. Nel 2011 i ricavi da sms sono stati pari a 2,33 miliardi (+1,5%), mentre quelli relativi a internet sono balzati del 17,7% a 2,41 miliardi.
Sui telefonini, smartphone e tablet, dunque, i ricavi da servizi dati continuano a crescere, seppure in misura meno intensa rispetto allo scorso anno (+8,9% contro il +9,6% del 2010), ma la Relazione dell'Agcom evidenzia che nel 2011 hanno superato la soglia del 50% degli introiti da servizi vocali, valore che risulta più che doppio rispetto a quanto corrispondentemente rilevabile per il 2005 (25,1%).
Il traffico vocale risulta in crescita anche nel 2011, sfiorando nel complesso 136 miliardi di minuti, valore che ormai supera di oltre il 60% quello relativo alla rete fissa. Dall'analisi dei dati relativi al traffico per direttrice emerge un ulteriore rafforzamento della componente mobile-mobile, ossia il traffico originato da rete mobile è destinato, in prevalenza, verso altre numerazioni mobili. In particolare, nel 2011 l'82% del traffico originato da cellulari ha raggiunto altre utenze della rete mobile.
Via Quo Media
L’ascolto di musica in mobilità sarà sempre più dominato da servizi remunerati tramite advertising, stando alle previsioni di eMarketer.
Si parla molto di servizi di streaming o download a pagamento, ma già attualmente la maggioranza delle entrate del settore derivano dalla pubblicità. Il mercato della musica in mobilità genererà, infatti, il 69% del fatturato USA dall’advertising; contro il 17.2% proveniente da abbonamenti a servizi di streaming e il 14.1% dal download. Nel 2016, la pubblicità dovrebbe generare addirittura l’86% del fatturato.
Contemporaneamente, il settore, nel periodo in esame, attraverserà una fase di forte espansione, passando dai 429.3 milioni del 2012 agli 1.68 miliardi del 2016 (eMarketer non tiene conto dei servizi multipiattaforma).
Nonostante il trend positivo la musica continuerà a generare meno risorse sia rispetto ai mobile game che ai contenuti video, arrivando, però, a rappresentare una quota più consistente del fatturato (+7%). I contenuti video attraversano, al contrario, una fase opposta e, mentre nel 2010 generavano più della metà delle entrate, nel 2016 scenderanno a circa un terzo. I mobile game, dopo una fase di espansione della propria quota di mercato negli ultimi anni, nei prossimi vedranno la stabilizzazione di questa. Rappresentano, in ogni caso, e continueranno a rappresentare la fonte maggiore di entrate (1.8 miliardi nel 2012 vs 1 miliardo da contenuti video).
Il settore dei mobile game attraverserà, inoltre, nei prossimi anni, una sostanziale trasformazione delle modalità di remunerazione degli sviluppatori. Mentre attualmente la fonte principale di entrate è il download a pagamento, in futuro la quota maggiore di fatturato proverrà dagli acquisti all’interno delle app. Fatturato che nel 2016 dovrebbe toccare, negli Stati Uniti, i 3.02 miliardi di dollari.
Via Tech Economy
La penetrazione dei televisori connessi alla rete è cresciuta notevolmente negli ultimi anni e le Connected Tv rappresentano una quota sempre più consistente del totale dei televisori in uso.Nel 2010 le TV connesse ad Internet erano ‘soltanto’ 105 milioni, ma già alla fine di quest’anno dovrebbero raggiungere i 212 milioni di unità, per poi toccare i 596 milioni nel 2017, stando alle stime di Digital TV Research (40 paesi).
Il forte incremento dovrebbe portare la quota di televisori connessi alla rete al 21.4% del totale nel 2017, a partire da una quota attuale molto minore di penetrazione (4.75 nel 2010, 8.9% nel 2012).
Le Connected TV si diffonderanno, senza sorprese, più rapidamente negli USA, dove rappresenteranno il 38.1% del totale nel 2017, seguono la Norvegia (37.7%) e la Corea del Sud (37.2%). In termini assoluti, e non di penetrazione, sarà la Cina, però, il secondo paese per numero di TV connesse (93 milioni nel 2017 contro i 147 milioni degli USA); seguita dal Giappone (43 milioni). Gli USA, inoltre, rappresenteranno nei prossimi anni una quota minore del totale di Connected Tv mondiali, scendendo dal 45% del 2010 al 25% del 2017; a testimonianza di una progressiva diffusione di questi dispositivi in tutto il mondo. L’autore del report, Simon Murray, conclude eloquentemente sostenendo che le “Connected TV stanno diventando mainstream”.ù
Via Tech Economy
La crisi non intacca i fatturati dei grandi gruppi industriali, che nel 2011 hanno registrato tassi di crescita a 2 cifre, merito anche della compensazione dei mercati emergenti su quelli maturi. È quanto sostiene Deloitte che nel tradizionale studio Global Power of Consumer Products, secondo il quale nel 2011 le vendite dei maggiori produttori di beni di consumo mondiali hanno superato quota 3.118 miliardi di dollari, con un incremento del 7% sull’anno precedente. Leader assoluto risulta il gruppo coreano Samsung, con un fatturato di 150 miliardi di dollari (+6,7%), mentre di Apple (+66% a 108,24 miliardi di dollari) ha colpito il tasso di crescita. Quanto all’Italia, maglia rosa delle vendite è Ferrero (+9,4% a 10,02 miliardi), seguita da Luxottica (+7,3% a 8,66 miliardi) e Pirelli (+16,6%) a 7,87 miliardi), che risulta però prima in quanto a tasso di crescita.
Via Quo Media
Secondo quanto riportato da uno studio firmato Gartner, tra tre anni da oggi, i tablet saranno più venduti dei PC tradizionali, con cifre che si attestano intorno al 72%. Allo stesso tempo, le spedizioni di PC scendono a tassi sempre più veloci.
Parte di questo declino sarà dovuto alla crescita rapida delle spedizioni di “ultramobiles”, la nuova versione dei dispositivi Windows 8 come Microsoft Surface Pro. Il declino dei PC, secondo quanto affermano gli analisti di Gartner sarà permanente, e riflette già ora un “cambiamento a lungo termine nel comportamento degli utenti“.
La maggior parte degli utenti “sarà soddisfatta dall’esperienza che ricevono da un tablet come dispositivo di elaborazione principale“, secondo Carolina Milanesi, vice presidente ricerca di Gartner. “Dal momento in cui i consumatori spostano la loro attenzione dal loro PC ad un tablet o uno smartphone, questi non avranno più motivo di sostituire i loro vecchi PC con dei nuovi modelli”.
Gartner prevede che il mercato dei tradizionali PC, notebook e desktop, si ridurrà del 7,6% nel 2013. Le vendite totali di PC per il 2013 sono stimate intorno alle 315 milioni di unità, rispetto ai 341 milioni nel 2012. Gli ultramobile, d’altra parte, raggiungeranno i 23,6 milioni nel 2013, rispetto ai soli 9,8 milioni nel 2012.
Gartner prevede inoltre che le spedizioni di tablet raggiungeranno le 197 milioni di unità nel 2013, con un incremento del 69,8% rispetto alle 116 milioni di unità nel 2012. Questo tipo di crescita sarà visibile in tutti i mercati, compresi i cosiddetti mercati emergenti in Asia, Africa e America Latina. Entro la fine del 2017, Gartner prevede che le spedizioni di tablet raggiungeranno le 468 milioni di unità rispetto ai 272 milioni di PC.
Via Tech Economy
Secondo uno studio realizzato da Booz & Company e Google sui trend nei settori editoria e stampa, cinema e TV, gaming e musica, crescono a quasi 20 miliardi di euro i ricavi dell’industria creativa italiana, in linea con il trend europeo.
Secondo la ricerca, nonostante i significativi cambiamenti strutturali, i ricavi dei cinque principali settori industriali, nello specifico editoria, stampa, cinema e televisione, gaming e musica, sono cresciuti a quasi 20 miliardi di euro che raggiungono un tasso di crescita annua di circa il 2% dal 2001. I ricavi dal business digitale, poi, sono cresciuti addirittura del 15% annuo, raggiungendo i 4 miliardi di euro pari al 21% del totale. A queste cifre si aggiungono i dati sulla fruizione generale dei media: con un consumo dei media totale di 4 ore al giorno, di cui solo meno di un’ora per Internet, il settore creativo italiano ha ancora molto margine di sviluppo ed è destinato crescere ulteriormente in ambito digitale.
Lo studio mostra che l’Italia corre in parallelo al trend generale europeo, dove i ricavi totali dei settori considerati sono cresciuti del 2% dal 2001 raggiungendo i 200 miliardi di euro. Il 25% di questi ricavi, vale a dire 50 miliardi, possono essere attribuiti al business digitale, che è cresciuto su base annua a un tasso dell’11%, leggermente meno dinamico rispetto alla tendenza italiana.
È Internet, in particolare, che ha portato il consumo dei media degli europei a livelli record. Gli europei trascorrono mediamente più di 4 ore al giorno sui media. Due di queste ore le dedicano a guardare la televisione e circa 40 minuti sono trascorsi su giornali e riviste. Ad Internet viene dedicata oltre un’ora e venti minuti, più del doppio rispetto a sette anni fa. Parallelamente, la monetizzazione dei contenuti è migliorata significativamente. I consumatori europei spendono in media più di 4 centesimi all’ora sui media online, un trend in crescita di quasi il 140% rispetto al 2003. In confronto, il livello medio del pagamento da parte del consumatore è di 17 centesimi all’ora per cinema e televisione e all’incirca di 23 centesimi per prodotti stampati.
Secondo l’autore, anche i creatori beneficiano della digitalizzazione, per lo più in forma di accesso più facile alla distribuzione e di nuovi canali di comunicazione con il loro pubblico. Nel settore della musica, ad esempio, la generazione di valore assoluto per artisti ed etichette è stata costante nel corso degli ultimi dieci anni. A fronte di una fetta di solo il 32% dalla classica vendita di CD, godono di una quota del 66% da download, perché i margini per produzione, distribuzione e vendita sono minimizzati con questo modello.
“Consumatori e artisti sono i grandi beneficiari della digitalizzazione del settore creativo,” dice Hannes Gmelin, responsabile ed esperto di media digitali in Booz. “Ma anche le aziende del settore creativo possono prosperare fin quando saranno in grado di creare esperienze rilevanti per il consumatore e focalizzarsi sulle due aree di crescita: il digitale e i pagamento da parte del consumatore.”
Via Tech Economy
Il 69% degli italiani, contro una media europea del 59%, si dichiara pronto a risparmiare sull’abbigliamento, ma ben due terzi (il 64%, vs media europea pari al 58%) non sono propensi a rinunciare ai capricci gastronomici.
Un italiano su due (il 48%, in linea con il resto dei paesi europei) dichiara di fare la spesa più spesso per avere cibo fresco in base alle necessità: il valore del “carrello”, in termini di freschezza e qualità, resiste alla crisi.
I dati emergono dall’indagine che Nielsen ha condotto a livello mondiale nell’arco del primo semestre 2013 (Global Inflation Impact Survey), su un campione costituito da più di 29.000 intervistati online in 58 Paesi, con l’obiettivo di misurare il cambiamento del comportamento dei consumatori in uno scenario di aumento dei prezzi
Il 46% degli italiani (vs media europea pari al 56%), si legge nella ricerca, ammette di aver potuto acquistare nell’ultimo anno esclusivamente lo stretto necessario per vivere (cibo e beni basilari), il 43% (media Europa 34%) riconosce, invece, di aver avuto l’occasione di soddisfare qualche capriccio personale.
Solamente l’11% degli intervistati in Italia (in linea con il dato europeo pari al 10%) si dichiara in grado di spendere qualunque cifra liberamente.
Il 64% degli italiani, alla pari della media europea, afferma che non sarebbe in grado di affrontare, con l’attuale reddito, un aumento dei prezzi dei generi alimentari.
Le categorie merceologiche che più andrebbero incontro a una riduzione dei consumi, in caso di incremento del tasso inflattivo, in Italia sono le seguenti: ristorazione (due intervistati su tre, il 70%, hanno dichiarato di tagliare il budget di colazioni/cene fuori casa, contro la media europea pari al 59%), cinema e altri svaghi (il 54% dichiara di tagliare su questa voce, media europea pari al 43%), vacanze(il 51% degli italiani è pronto a ridurre i viaggi di piacere, media Europa 38%), alimentare (il 36% è deciso a contrarre la spesa, Europa 40%).
In generale, a livello europeo, si farebbe a meno prima di tutto dello shopping (60% dei rispondenti), dei pasti fuori casa (59%) e svaghi (dal cinema ai viaggi, 43%). Solamente per gli spagnoli (in ragione del 42% del campione vs 34% in Europa) cellulare e internet risultano una spesa superflua.
I settori che nel nostro Paese subirebbero un minore impatto da una prevedibile lievitazione dei prezzi sarebbero: l’alimentare (il 64% degli italiani dichiara di non tagliare in questo segmento di acquisti, contro una media europea del 58%), i prodotti per la salute (Italia 62% vs Europa 54%), le spese per la casa (60% vs media Europa 62%) e l’istruzione (40% vs media europea pari al 31%).
E’ da evidenziare che, in Europa, l’Italia è l’unico Paese, assieme alla Spagna, a volere tutelare dagli effetti negativi della crisi la voce istruzione: nella media europea questa è soltanto al settimo posto degli items da non “toccare”.
I tedeschi (il 43% del campione vs media europea del 19%) nel loro carrello della spesa non rinuncerebbero alle bevande (leggi “birra”!), mentre in Inghilterra non si riesce a fare a meno di internet e cellulare (40%, vs media Europa pari al 34%).
In uno scenario di aumento dei prezzi dei generi alimentari, 2 italiani su 3 (il 67%, in linea con la media europea) dichiarano di prediligere prodotti più economici e quindi le “private label”.
La tendenza più marcata in questo senso si riscontra in Spagna, Francia e Regno Unito, le prime due all’83% delle dichiarazioni degli intervistati, l’altro all’82%.
Ciononostante, pure in una congiuntura di crisi, “inconsciamente” aumenta tra gli italiani la propensione all’innovazione e alla sperimentazione: il 47% degli intervistati (media europea 40%) dichiara di essere pronto a sperimentare nuove marche. Segue a ruota il Regno Unito (46%), mentre Francia, Germania e Spagna si rivelano meno elastiche in questo senso, collocandosi, le prime due, al 40%, l’ultima al 32% dei rispondenti favorevole a provare nuovi brand.
Per ciò che concerne le abitudini di acquisto, in vista di un aumento dei prezzi, il 59% degli italiani dichiara di indirizzarsi verso prodotti in saldo (media eu 47%), il 54% di fare la scorta di prodotti di uso regolare se in offerta(media europa 44%), il 39% di ricercare offerte online (media Europa 31%), il 29% – come nel resto dell’Europa – di orientarsi all’acquisto di confezioni più grandi, il 26% di ricercare offerte speciali sui social media(media europea 25%), il 22% di abituarsi a fare porzioni più piccole (Europa 15%), il 20% di ricorrere alla spesa online (media europea 13%), il 19% di scegliere prodotti più vicini alla data di scadenza (solitamente questi sono in offerta nella grande distribuzione).
Solo il 5% dichiara di optare, se i prezzi aumentano, per la soluzione di comprare a credito.
Prendendo in esame i prodotti il cui consumo sarebbe considerato superfluo in una prospettiva di aumento dei prezzi, dalla Survey di Nielsen emerge che il 70% degli italiani (dato più alto in Europa) considera superfluo il consumo di snacks salati (media europea 61%), il 66%, come in Europa, di snacks dolci, il 60% di piatti pronti (media europea 51%), il 63% di essere disposto a rinunciare a pasti fuori casa (media europea 54%), il 63%alle bibite gassate (vs media Europa pari al 53%).
Naturalmente, tra le categorie meno esposte alla contrazione dei consumi,troviamo gli alimenti alla base di una corretta dieta alimentare (latte, cereali, pane, pasta, frutta, verdura, carne).
Queste voci in Italia fanno registrare i seguenti dati: il 21% degli intervistati diminuirebbe il consumo di latte (media Europa 19%), il 28% taglierebbe sui cereali non confezionati (media Europa 21%), il 20% sul pane (media Europa 22%), il 16% sul cibo confezionato (media Europa 23%); il 20% su frutta e verdura fresca (media eu 24%); il 26% sulla carne (media eu 28%).
Una delle strategie messe in atto dal consumatore italiano per tutelarsi da prevedibili aumenti dei prezzi è quella di individuare canali di vendita caratterizzati dalla presenza massiccia di offerte e promozioni.
Gli italiani diminuirebbero la frequentazione, tra gli altri, dei seguenti canali: il 48% del campione intervistato abbandonerebbe i negozi a conduzione familiare (media europea 35%); il 46% lascerebbe i piccoli negozietti di quartiere (media europea 37%); il 44% i minimarket (vs media europea 42%), il 39%, come in Europa, i negozi specializzati; il 39% i chiostri/distributori automatici (media europea 33%); il 17% i discount (Europa 15%); il 14% i format di pdv denominati “produzione propria/orto” (Europa 11%).
Come ultimo punto, vengono prese in considerazione le strategie dei consumatori per evitare sprechi di cibo.
In merito alle principali forme di intervento implementate dai consumatori in questo senso si riscontra che il 48% degli italiani (media Europa idem) fa la spesa più spesso per avere cibo fresco in base alle necessità; il 42% compra meno alimenti e bevande facilmente deperibili (Europa 38%); il 36% è attento ad acquistare i prodotti con una data di scadenza più lunga (Europa idem); il 32% cucina una maggiore quantità di cibo che poi surgela (Europa 33%).
In sintesi, nel Bel Paese, si fa più frequentemente la spesa, prediligendo i prodotti freschi rispetto a quelli a lunga conservazione e ai surgelati. Da ciò si deduce che in Italia la crisi non è “ancora” riuscita a diminuire il “valore” del carrello della spesa dei consumatori, in termini di freschezza e qualità.
Commentando i risultati della Inflation Impact Survey,Roberto Pedretti, Amministratore Delegato di Nielsen Italia, ha dichiarato: “Il tema dei prezzi per il consumatore italiano nel comparto alimentare è da sempre un tema “caldo” e lo diventa ancor di più in questi anni di crisi in cui il consumatore studia vere e proprie strategie e mette in pratica diverse contromosse per riuscire a risparmiare: sfrutta le potenzialità della rete per arrivare nel punto vendita “preparato” e con le idee chiare su prodotti e prezzi, predilige determinati canali di vendita, compra meno ma più spesso per garantirsi comunque cibi freschi. Ma, nonostante ciò”, ha sottolineato il CEO di Nielsen Italia, “il consumatore italiano non rinuncia alla “voglia di nuovo”: infatti è proprio in questi periodi di difficoltà che è tendenzialmente più aperto alla sperimentazione, a provare nuovi brand, a patto però che sia “tangibile” il beneficio effettivo”.
“Per delineare strategie di offerta innovative e sempre più competitive per gli addetti ai lavori dunque”, ha concluso Pedretti, diventa fondamentale conoscere a priori “il consumatore e il suo comportamento di acquisto al variare dei prezzi”.
Via Spot and Web
L’utilizzo di strumenti di comunicazione a distanza nella fornitura di servizi medici sta diventando sempre più diffuso con il mercato del c.d. eHealth, e in particolare della telemedicina, che promette un fatturato a livello mondiale di oltre 60 miliardi di euro, ma che nasconde problematiche di carattere legale che potrebbero rallentare la sua crescita. Le linee di indirizzo nazionali recentemente approvate dalla Conferenza Stato-Regioni in materia di telemedicina sono un passo in avanti verso l’introduzione della telemedicina in Italia che è già molto diffusa in altri Paesi europei come la Danimarca, la Svezia, la Norvegia ma anche la Gran Bretagna e la Spagna.
ehealthLa telemedicina si caratterizza per la fornitura di servizi medici tramite mezzi di comunicazione a distanza. E si distingue in tre sottocategorie quali la televisita che prevede una comunicazione a distanza tra medico e paziente, la teleassistenza che è invece un sistema di assistenza a distanza per esempio a beneficio di persone anziane o che stanno seguendo un processo di riabilitazione e il teleconsulto che prevede un confronto a distanza tra medici ad esempio tra un medico generalista ed uno specialista durante il trattamento di un paziente quando in una situazione di emergenza lo specialista non può raggiungere il paziente.
Le linee di indirizzo identificano i criteri di accreditamento da parte delle strutture sanitarie per l’erogazione di prestazioni in telemedicina e soprattutto per il loro rimborso da parte del servizio sanitario nazionale fornendo delle indicazioni – che dovranno essere testate nella loro implementazione pratica – circa la valorizzazione dei servizi in telemedicina che forniscano un valore aggiunto rispetto ai servizi tradizionali.
Ma le formalità burocratiche da adattare ai fini del riconoscimento di servizi forniti a distanza non rappresenta l’unico ostacolo normativo alla crescita della telemedicina. Infatti i sistemi di telemedicina non solo comportano la possibilità per il paziente (un altro medico/paramedico) di effettuare delle comunicazioni vocali con il proprio dottore, ma anche di trasmettere dati relativi alle rilevazioni che il paziente effettua a distanza tramite strumenti di autoanalisi al fine di consentire al medico di prescrivere il trattamento da eseguire. Ciò comporta quindi la raccolta a distanza di dati sensibili relativi ai pazienti che sono poi conservati in una banca dati in cloud a cui il medico può accedere in remoto.
Tale raccolta e trattamento di dati personali quindi pone problematiche legali rilevanti con riferimento, tra gli altri, ai soggetti che operano come titolari del trattamento dei dati raccolti che a giudizio del Garante dovranno essere gli ospedali in cui il paziente è in cura piuttosto che gli sponsor del progetto, alle misure di sicurezza da adottare per proteggere dall’accesso ai dati raccolti nella banca dati sulle quale il Garante si è pronunciato con riferimento al c.d. fascicolo sanitario elettronico e il dossier sanitario elettronico, alle finalità per i quali i dati raccolti possono essere utilizzati che dovranno essere accettate espressamente dal paziente per iscritto e non potranno essere meramente generiche e alle misure da adottare in caso di trasferimento dei dati raccolti al di fuori dello Spazio economico europeo per esempio nel caso di utilizzo di server cloud situati negli Stati Uniti o in India che richiedono, tra gli altri, o l’espresso consenso al trasferimento da parte del paziente, o l’adozione delle c.d. clausole contrattuali standard o nel caso di trasferimento a società americane l’adesione delle stesse al c.d. programma Safe Harbor. Ehealth2Le limitazioni sopra indicate possono essere evitate in caso di trattamento di dati anonimi, ma come ha di recente chiarito il c.d. Article 29 Working Party che è un organo consultivo della Commissione europea in materia di privacy, i requisiti da soddisfare ai fini della qualificazione dei dati come “anonimi” sono molto stringenti. Quindi non solo la mera sostituzione del nome della persona a cui i dati si riferiscono con uno pseudonimo non basterebbe se qualcuno ha accesso all’elenco dei nomi che collega l’individuo al suo pseudonimo, ma ogni modalità di anonimizzazione che rende l’individuo a cui i dati si riferiscono identificabile tramite gli strumenti “che possono essere ragionevolmente utilizzati” anche indirettamente non potrebbero bastare.
E la rilevanza di quanto indicato in precedenza è stata confermata dai Garanti europei che di recente hanno deciso di avviare un’indagine circa le applicazioni mediche scaricabili su smartphone e tablet per verificare la loro conformità alla normativa applicabile in materia di trattamento dei dati personali.
Infine, la telemedicina crea rilevanti problemi anche in materia di responsabilità da prodotto che ai sensi della normativa dettata dal Codice del Consumo è c.d. “oggettiva”. Ciò vuole dire che in caso di danno, il consumatore non dovrà provare la colpa del produttore, ma unicamente la presenza del difetto al fine di poter richiedere il risarcimento dei danni subiti. Con riferimento alla telemedicina se il dispositivo tramite il quale i dati raccolti dal paziente e poi comunicati al medico è difettoso e quale conseguenza di ciò il medico fornisce una diagnosi errata, il produttore del dispositivo potrebbe essere tenuto al risarcimento dei danni subiti dal paziente con l’ulteriore punto interrogativo derivante dal fatto che la comunicazione dei dati errati potrebbe nella particolare circostanza dipendere dal difetti del sistema di comunicazione utilizzato.
Questo argomento è di enorme attualità al momento e le questioni sopra indicate saranno da me affrontate in una presentazione che si terrà oggi 7 maggio ad un workshop in materia di telemedicina organizzato dall’ETSI, l’European Technical Standard Institute.
Via Tech Economy
Il mondo degli integratori nell’ultimo anno registra un fatturato pari a 2 miliardi di euro (143 milioni di confezioni vendute) con un trend positivo pari a +4,2% rispetto a quello dell’anno scorso. La crescita di questi prodotti è sostenuta soprattutto dal canale moderno (nel quale vengono canalizzate il 20% delle vendite di integratori), dove il fatturato cresce quasi dell’8% (rispetto a una crescita del 2,5% nelle farmacie).
Tra le principali categorie del comparto crescono sopra media gli integratori sportivi, gli integratori salini, i multivitaminici e i prodotti per la tosse, mentre i fermenti lattici sembrano arrestare la loro crescita. Restano stabili le vendite di lassativi e calmanti.
Negli ultimi anni, la crescita degli integratori è soprattutto trainata dallo sviluppo, in termini di referenziamento, di categorie minori, come i prodotti per il colesterolo, gli immunostimolanti e gli antireumatici, che hanno registrato delle crescite vicine al 10% rispetto al fatturato dell’anno scorso.
Si registrano circa il 15% di nuove referenze all’anno, soprattutto canalizzate all’interno della distribuzione moderna.
Analizzando separatamente il canale delle farmacie rispetto alla distribuzione moderna (super+iper) possiamo evidenziare:
114 milioni di confezioni vendite in farmacia con un trend positivo pari a 2,5% e 22 milioni di confezioni nei super+iper con un trend positivo pari a 7,8%. Fermenti lattici, multivitaminici e integratori salini sono i prodotti più venduti in farmacia, mentre integratori sportivi, dimagranti e multivitaminici quelli più venduti nel canale moderno. Al contrario degli integratori alimentari, nell’ultimo anno il mondo dell’healthy food (che include prodotti come yogurt probiotici per l’intestino e la difesa, yogurt e altri prodotti anticolesterolo, prodotti per le intolleranze alimentari, le diete, la reintegrazione energetica e di calcio) ha registrato trend negativi (-2,7%), con un fatturato pari a 1,3 miliardi di euro. Per questi prodotti il canale moderno è molto più importante rispetto agli integratori: qui è veicolato più dell’80% del fatturato. Questo mondo ha una visione che si basa sulla capacità di alcuni prodotti di aiutare il nostro organismo a migliorare specifiche funzionalità, come quella intestinale, il controllo del colesterolo, le difese immunitarie, la reintegrazione di calcio o energetica e le intolleranze alimentari. Proprio i prodotti per le intolleranze alimentari sono gli unici del mercato a registrare un trend positivo rispetto all’anno scorso sono.
All’interno del segmento delle intolleranze alimentari, troviamo il mercato dei prodotti aproteici senza glutine, che nell’ultimo anno (terminante ad aprile) vale 242 milioni di euro, con un trend stabile rispetto allo scorso anno (+0,4%). Le vendite (74 milioni di confezioni) sono aumentate del +2,8%. In questo segmento continuano a crescere le materie prime, come farina e le novità (altri prodotti), mentre si stabilizzano le vendite di segmenti storici, quali i Dolci, il Pane e la Pasta. La crescita di questi prodotti è riconducibile allo sviluppo all’interno del canale moderno al quale si rivolgono gli sforzi degli attori del mercato. Il canale mass market, infatti, ha un prezzo medio che è circa il 40% in meno rispetto al prezzo praticato in farmacia. Inoltre, confrontando i prezzi con quelli dei prodotti delle categorie di riferimento, si evidenzia come i prodotti senza glutine abbiano un costo che arriva anche a 5 volte quello dei prodotti con glutine.
Rispetto al recente passato, una peculiarità dello scenario competitivo dell’ultimo anno sono l’ingresso e la crescita. In questo segmento, emergono attori “non specialisti” che operano già nelle categorie, ma che solo ora iniziano a portare a scaffale referenze senza glutine. Questi “nuovi attori” per i prodotti senza glutine sono anche quelli che crescono a scapito degli attori storici del segmento, che vendono solo prodotti senza glutine.
Da ormai tre anni, il mondo dei prodotti Bio registra dei trend di crescita a due cifre sempre maggiore del 10% (quest anno +10,3%), con un fatturato pari a 674 milioni di euro. Le principali categorie vendute sono quelle relative ai prodotti di base frutta, verdura, prodotti da forno, latte, bevande, uova, pasta. Molte di queste categorie crescono con trend vicini al 20% (prodotti da forno, dolciario, pasta riso e farina).
È un mercato in cui le prime 10 categorie generano il 47% del fatturato del totale mercato con trend sempre maggiori rispetto a quelli delle categorie di riferimento (prodotti non biologici). Le categorie in cui il biologico ha un peso più alto sono soprattutto quelle relativi ai prodotti confezionati, come alimenti per l’infanzia, prodotti dolciari, dietetico naturali e pasta / riso, in cui le referenze biologiche coprono piu del 5% del fatturato della categoria. Anche per quanto riguarda lo scenario competitivo, i prodotti biologici rispecchiamo una competition molto concentrata con la marca privata, che pesa quasi il 45% delle vendite, salendo al 57% se si considerano i primi 3 brand.
Via Nielsen
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