Di seguito gli interventi pubblicati in questa sezione, in ordine cronologico.
Vodafone ha recentemente rifatto il look al proprio sito, migliorando almeno in parte il look & feel” complessivo, aggiungendo nuovi e utili servizi informativi.I giudizi su questo restyling sono però contrastanti: le migliorie grafiche hanno appesantito non poco il caricamento delle singole pagine, creando non pochi inconvenienti a chi si collega con il tradizionale modem.Ma l’aspetto che in questi giorni è maggiormente contestato dagli utenti è la drastica riduzione degli SMS che possono essere inviati tramite il sito: il salto tra i 100 precedenti e i 10 attuali infatti a molti è parso un po’ troppo brusco.Considerando che per mandare gratuitamente gli sms tramite il sito bisogna essere già clienti Vodafone e che oltretutto è possibile mandare messaggi solo ad altri utenti della stesso operatore questa radicale riduzione appare ingiustificata.Qualcuno potrebbe obiettare che comunque 10 messaggi al giorno non sono pochissimi, a meno che uno non utilizzi il sito per fare direct-marketing. Tuttavia, considerando che il traffico generato rimaneva in casa (infatti possono essere mandati SMS e MMS solo a utenti Vodafone) e che in genere chi utilizza molto il sito è probabile che prima o poi attivi altri servizi, molti dei quali a pagamento, a me sembra che questa mossa sia un pò un autogol.In un periodo in cui gli operatori mobili si fanno una guerra spietata, infatti, fidelizzare i clienti è quanto mai importante. E allora perché non lasciare loro qualche piccolo privilegio, invece di cercare di strapparli alla concorrenza a suon di offerte promozionali decisamente più costose? E se infine riduzione deve essere perchè non farla più graduale? Nel giro di un anno si sarebbe potuti arrivare ad un risultato simile senza scatenare roventi polemiche in forum e newsgroup da parte di utenti insoddisfatti.
La disciplina del "marketing territoriale" è qualcosa di molto recente, sostanzialmente si parla di valorizzazione d'aree geografiche e subito quindi vengono in mente il marketing turistico e il marketing urbano (o marketing dei centri storici).
Le tecniche proprie di quest'ambito però possono essere anche applicate per affrontare un problema sempre più diffuso nel mondo e che in Italia recentemente è balzato in maniera molto forte agli onori della cronaca, la cosiddetta Sindrome di Nimby.
L'acronimo sta per "Not in my back yard"(letteralmente "non nel mio giardino") e si riferisce a quei fenomeni di protesta collettiva che si scatenano contro la realizzazione di grandi opere nei pressi della propria città o del proprio paese, nel timore di gravi ripercussioni sulla salute e/o sulla qualità della vita in genere.
Secondo Panorama l'Italia è il paese europeo più soggetto a questo problema che coinvolge quasi il 90 % dei nuovi progetti.
Che cosa c'entra il marketing territoriale con tutto questo?
Semplice, per valorizzare la cultura ed il pregio turistico di un territorio occorre lavorare con la popolazione affinché vi sia uno sforzo corale verso l'eccellenza, parlare con le persone, guadagnare la loro fiducia e soprattutto coinvolgerle, materialmente ed emotivamente, in ciò che si va a fare.
Si devono evidenziare inoltre i vantaggi derivanti dal progetto per il singolo e per l'economia della zona in genere e preparare la popolazione ad affrontare eventuali disagi momentanei.
Vanno coinvolti tutti i "pubblici influenti", siano essi enti statali, attori economici privati o opinion leaders, che possono favorire oppure ostacolare la riuscita dell'operazione.
Non molto diverso è ciò che stanno facendo oggi alcune imprese che per far sì che i propri progetti vadano in porto promuovono incontri nei quartieri, nelle parrocchie e addirittura casa per casa spiegando e discutendo con le persone.
Spesso infatti la sindrome di Nimby è causata da diffidenza e scarsa conoscenza.
Inoltre è necessario fronteggiare a livello comunicativo i gruppi più irriducibili, rispondendo con campagne stampa informative alla loro opera di opposizione sui media, infatti se un progetto è valido e sicuro di solito la conoscenza dei dettagli e dei pregi dello stesso è l'arma migliore per il proponente.
Dunque la sindrome di Nimby si può affrontare con un'opera di marketing territoriale e di pr, naturalmente occorre che le aziende siano preparate in materia.
Ecco perché la società di comunicazione Allea ha fondato il Nimby Forum (http://www.allea.net/nimby/index.htm) che si pone come un osservatorio del fenomeno per capirlo e fronteggiarlo.
La lezione più importante comunque è che per affrontare questi problemi non servono imposizioni o tentativi di far passare le cose sotto silenzio bensì capacità di comunicazione e di informazione, contrastando contemporaneamente chi fa controformazione.
Gianluigi Zarantonello
Anche nel mondo del lusso la competizione tra le diverse griffe è sempre più accanita, con prodotti che lottano per affermarsi in un occidente affamato di novità e molto volubile e mercati orientali che stanno rapidamente crescendo come importanza e prospettive di sviluppo. In molte di queste zone i prodotti hanno una vita utile maggiore e sopravvive una certa fedeltà alla marca che in altri mercati più maturi è ormai poco più di un pallido ricordo.In un recente summit gli esperti di Bain & Company hanno identificato due direttrici chiave che possono favorire lo sviluppo del mercato dei beni di lusso: innovazione e personalizzazione.Quali aspetti privilegiare allora?- Non investire solo sulla notorietà del brand, ma dedicare tempo e risorse anche a conoscere le reali caratteristiche dei propri clienti.- Affiancare alla creatività una particolare attenzione a tutti gli aspetti legati al marketing e al merchandasing.- Introdurre nuovi servizi e curare con la massima considerazione le relazioni con la propria clientela, cercando di trasformare ogni occasione di contatto in uno strumento per “carpire” le reali esigenze del cliente e agire per soddisfarle in maniera proattiva.- Rinnovare rapidamente la propria offerta, favorendo un continuo aggiornamento degli assortimenti disponibili.
In questi giorni di acquisti natalizi compulsivi uno degli oggetti più ricercati è la nuova Xbox 360, la console targata Microsoft appena lanciata sul mercato e andata quasi subito esaurita. Molti negozi on-line hanno finito le scorte, mentre su eBay si sono scatenate le prime aste. Anche le 300.000 console messe in vendita in Europa si sono rivelate in numero non sufficiente per soddisfare le attese dei videogiocatori più incalliti, che dovranno in buona parte rassegnarsi ad aspettare il ritorno dalle vacanze per mettere le mani su questo nuovo gioiellino tecnologico. Il mercato dei videogiochi è in crescita e si presenta molto interessante, con un valore globale stimabile in oltre 25 miliardi di dollari l’anno. Logico quindi che la neonata divisione Home Entertainment di Microsoft sfrutti appieno le proprie risorse di marketing per conquistare una bella fetta di questo piatto appetitoso, che vede la rivale Sony, in procinto di lanciare la nuova PlayStation 3, saldamente al comando in termini di quote di mercato. Tale è la determinazione della Microsoft di scalzare dal podio il pericoloso concorrente che, a detta di molti, è disposta a vendere la nuova Xbox sottocosto. Questo dispositivo, in grado di fungere oltre che da postazione di gioco anche da lettore dvd e cd, mp3 player e centro multimediale per la riproduzione di foto e filmati, viene infatti venduto nella versione premium al modico prezzo di 399 dollari contro un costo complessivo stimato da alcuni esperti di oltre 500 dollari. Perché vendere in perdita? Per cercare di piazzare a livello mondiale 5,5 milioni di Xbox entro la metà dell’anno prossimo, soffiando quote di mercato alle console Sony e Nintendo di imminente lancio. Il dispositivo non è infatti che il primo tassello di un ricco mercato che comprende videogiochi prodotti dai Microsoft Game Studios, l’accesso a pagamento ai giochi on-line tramite il servizio Xbox Live più tutta una serie di costosi accessori come controller, cavi e adattatori vari e dischi rigidi addizionali, che possono rivelarsi estremamente redditizi in termini di margini. Questo business consente inoltre a Microsoft di differenziare maggiormente il proprio portafoglio prodotti, fortemente incentrato su sistemi operativi e software per pc. Questo mercato sta diventando sempre più difficile a causa dalla concorrenza agguerrita di software open source o comunque decisamente più economici che sono ormai paragonabili ai prodotti Microsoft in termini di funzionalità e performances.
Mentre tutti guardavano verso i computer, Google si è infilata nei telefonini.[...]
Entro la fine di questo trimestre, verranno commercializzati i primi cellulari Motorola dotati di un tasto Google, che permetterà di accedere con un click alle ricerche, alla posta, e ad altri servizi studiati per la clientela mobile. La partnership con Motorola, che Repubblica può annunciare in anteprima, potrebbe essere l'oggetto del keynote che Larry Page, cofondatore di Google, indirizzerà oggi alla platea della Consumer Electronics Conference di Las Vegas, e che ha scatenato nei giorni scorsi le indiscrezioni della stampa americana.
"La partnership durerà tre anni", ha dichiarato Scott Durchslag, corporate vice president di Motorola. "Vogliamo portare la potenza di Google nelle vostre tasche". Nei giorni scorsi Google aveva annunciato la fornitura di un servizio di posta elettronica, il suo Gmail, pensato appositamente per i cellulari. "Inizialmente, la nostra offerta per i clienti mobili comprenderà Gmail, le ricerche tradizionali e quelle locali", spiega Nikesh Arora, vicepresidente per l'Europa. "Contiamo di sviluppare altri servizi basandoci sulle richieste e le reazioni degli utenti".
L'integrazione tra i telefonini e altri servizi sembra una delle note dominanti della conferenza di Las Vegas. NetGear, ad esempio, uno dei principali fornitori di banda larga negli Stati Uniti, presenterà il primo telefonino in grado di fare telefonate in protocollo Voip attraverso il servizio Skype. Anche Microsoft lancerà il primo smart phone, il Treo 700w, che funziona con i suoi software.
Una guerra di annunci nella quale ogni azienda cerca di rubare la scena ai rivali. In questo campo Google ha già ottenuto il suo personale successo: oggi tutti gli occhi saranno puntati sul keynote di Larry Page. Al cofondatore di Google resta ora il difficile compito di non deludere le aspettative degli analisti.
[fonte Repubblica.it]
Alla fine, Paul Otellini, con nuvoletta da deus ex machina e scafandro da esploratore del futuro, è salito sul palco ed ha consegnato a Steve Jobs il simbolo della transizione. Compiuta. Per Apple, a trent'anni esatti dalla sua creazione, nasce una nuova era. Per Intel (Otellini ne è l'amministratore delegato), anche.
Con un semestre di anticipo sugli annunci ma rispettando le previsioni che hanno riempito i siti di rumours nelle ultime settimane, la Apple ha compiuto la sua transizione storica, il passaggio al processore che per decenni è stato il simbolo del campo opposto.
Ma Apple non ha perso l'occasione per lanciare una frecciata al mondo dei Pc. «Per anni Intel è stato prigioniero dentro un Pc a fare cose noiose. Oggi Intel è libero dentro un Mac per fare cose splendide» recita lo spot di presentazione del nuovo corso, in perfetto stile Apple.
Prima però di riflettere sugli esiti di questa vera e propria rivoluzione, due parole sugli annunci fatti dal capo di Apple durante il discorso di apertura del MacWorld Expo di San Francisco. Intanto le nuove macchine. Il primo computer a transitare sul nuovo processore è l'iMac, già conosciuto come iMac G5, dal nome del processore precedente. L'iMac-Intel è dotato di un processore Core Duo, un nuovo chip che monta sull stessa struttura due processori. Le versioni montate sugli iMac “girano” rispettivamente a 1,83 e 2 gigahertz fornendo prestazioni, a dire dello stesso Jobs, sbalorditive rispetto alle versione dotate dei processori della vecchia generazione (prodotti, per la cronaca, da Motorola e Ibm): tre, quattro volte superiori a quelle precedenti. Che erano comunque già abbastanza ragguardevoli.
Il secondo pezzo presentato a San Francisco (e in contemporanea a Londra, per alcune centinaia di ospiti selezionati e giornalisti) è rappresentato dal nuovo portatile professionale della casa californiana. Perde il nome precedente (PowerBook, non essendoci più il processore PowerPc che lo caratterizzava) e oggi si chiama MacBook Pro. Con Intel, naturalmente, sempre il Core Duo. Presentando il nuovo portatile, che innova la versione con schermo a 15 pollici, quella di maggior successo, Jobs ha di fatto spiegato perché alla fine la Apple è passata ad Intel. I vecchi processori non erano più in grado di aumentare le prestazioni mantenendo basso il consumo. Che in un portatile è essenziale. Secondo Jobs, rispetto ad un'efficienza di 0.23 del precedente chip, il nuovo si attesta su 1.04.
Ma al di là dell'hardware, sarà da ragionare su cosa significhi questa transizione in termini di prospettive. Quando la Apple, sei mesi fa circa, annunciò il passaggio alla Intel, mezzo mondo Mac gridò al tradimento. Un altro mezzo mondo, questa volta Pc, ghignò. Il Mac aveva ceduto, forse anche perso.
Né gli uni, né gli altri hanno ragione. Per una volta nessuno perde, nessuno vince. Diciamo che cambiano alcune cose. Nessuno perde e nessuno vince perché lo scontro-confronto tra i due mondi si è sempre fatto sul sistema operativo: Windows contro MacOS. Steve Jobs per oltre un'ora ha fatto la sua dimostrazione dal palco di San Francisco usando due iMac con il processore Intel e nessuno se ne è accorto. Tutti, fino a quando lo stesso Jobs non l'ha spiegato al gran mondo, eravamo tranquillamente convinti che quelli fossero i “vecchi” Mac con il “vecchio” sistema operativo.
Perché, se effettivamente cambia il processore, quello che ci sta sopra, la parte che l'utente vede e usa, insomma quella che si chiama l'interfaccia utente, resta quella di sempre, quella del Mac.
E poi Intel da tempo ha perso l'esclusiva del mercato dei processori per Pc. Oggi Intel Inside si legge in meno della metà dei Pc sul mercato. L'altra metà monta chip prodotte dalla Amd e da altri costruttori. Dunque molto cambia. Nulla cambia?
di Toni De Marchi
La gestione di un punto vendita è onerosa e sempre più aziende scelgono di affiancare al tradizionale negozio i canali elettronici, che garantiscono una buona copertura del territorio e costi decisamente inferiori.Anche un leader di mercato come Blockbuster, che ha fatto la propria fortuna anche grazie alla capillare presenza di punti vendita accoglienti e facilmente riconoscibili, comincia a interessarsi in maniera crescente a internet come canale distributivo.Una delle caratteristiche di molti negozi Blockbuster, che li differenzia dagli altri videonoleggi, è però la nutrita presenza di prodotti, alimentari in prima fila, che sono venduti come possibile abbinamento al film. Popcorn da microonde, pizze surgelate, ettolitri di Coca Cola e gelati Häagen-Dazs sono infatti solo la punta dell’iceberg dei prodotti che è possibile trovare, proposti a prezzo non certo da supermercato. In aggiunta ai ricavi derivanti dal noleggio la vendita di questi prodotti costituisce un utile integrazione, ma non tale evidentemente da rendere il punto vendita insostituibile.
Ad una conferenza di analisti di Citigroup a Phoenix, John Antioco, amministratore delegato della catena di videonoleggio, ha annunciato che per il mercato americano le maggiori aspettative di sviluppo sono proprio legate al canale elettronico, mentre il numero di negozi verrà progressivamente ridotto.Il cliente che noleggia via internet è evidentemente più redditizio per l’azienda, che punta ad una forte riduzione delle spese generali e amministrative, tanto da essere al centro delle future strategie di espansione. Gli utenti di Blockbuster Online sono comunque poco più di un milione, mentre il concorrente Netflix negli ultimi diciotto mesi ha incrementato sensibilmente il numero di utenti iscritti al servizio, che adesso oscillano attorno ai 4 milioni.Il servizio Online di Blockbuster consente di scegliere da un catalogo di oltre 40.000 titoli e spazia dalle ultime novità ai classici. Il funzionamento è piuttosto semplice e simile a quanto avviene per altri videonoleggi on-line: i film selezionati vengono inviati direttamente presso il proprio domicilio nel giro di tre giorni lavorativi al massimo. All’interno del pacco sono anche presenti buste prepagate da utilizzare per restituire i DVD, sempre tramite posta.Ma quali possono essere, oltre ai già citati costi gestionali inferiori, i motivi determinano il successo del videonoleggio sul canale elettronico? Da una parte probabilmente la maggiore comodità per gli utenti, che ricevono i film selezionati direttamente a casa, senza fare code e soprattutto senza la necessità di dover poi tornare in negozio per restituire il DVD. Un secondo motivo è legato ai costi inferiori di questa soluzione: parte del risparmio del noleggiatore, che non deve più pagare tutti i costi legati del punto vendita, viene ribaltato sul prezzo del servizio, che diventa più competitivo. Del resto basta pensare a come tutti i video-noleggi stiano progressivamente diventando self-service, con tariffe sempre più economiche rispetto al negozio tradizionale.Il terzo deriva dalla maggiore disponibilità di titoli tra i quali scegliere: difficilmente un negozio per quanto grande può vantare un catalogo di 40.000 titoli.Vedremo quindi se questa strategia di puntare in misura crescente su internet darà i frutti sperati, e riuscirà a garantire una maggiore redditività all’azienda. Del resto questo potrebbe anche solo essere il primo passo di una strategia di più ampio respiro: con la crescente diffusione di collegamenti veloci al web e la presenza in molte case di media center e pc con monitor in grado di rivaleggiare con la televisione, un domani la fornitura di film potrebbe essere fatta addirittura in streaming, cancellando anche l’unica seccatura del noleggio on-line così come è concepito attualmente, cioè l’attesa del recapito dei film via posta.
Per poter comunicare al meglio, la strategia è essenziale: dall'ufficio stampa alla pianificazione dei mezzi fino alla campagna pubblicitaria, dalla creazione di un sito internet alla scelta degli omaggi da distribuire ai partecipanti.
Relazioni con la stampa
Chi non possiede un ufficio per i contatti con i media è difficile che possa fare una logica e necessaria programmazione per una buona riuscita di un evento. Comunicati stampa da inviare via mail, via fax o meglio ancora accompagnati da una telefonata per esporre il profilo dell'azienda, il genere di evento, una scelta di prodotti da sponsorizzare etc...
E' buona norma preparare una cartella stampa per poter far sviluppare un buon articolo e per illustrare al giornalista le logiche dell'evento in questione; migliora notevolmente il risultato la dove si indice una vera e propria conferenza stampa, all'interno dell'evento con un apposito spazio riservato ai media ove poter esporre sponsor ed organizzazione.
Campagna Pubblicitaria
Sempre per una buona riuscita di un evento bisogna poter sostenere una campagna pubblicitaria su Tv, Stampa e Radio ricordandosi di comunicare orari, luoghi e programma. E' necessario determinare le capacità, le garanzie di copertura del mezzo, il target da colpire, il messaggio da veicolare e la tipologia di evento che si intende promuovere. Disponibilità degli spazi, costi, tempi di realizzazione del materiale son fattori di indiscutibile rilevanza per consentire una scelta ad HOC.
Creazione di un sito internet
Nell'organizzazione di un evento il sito dedicato si dimostra un supporto indispensabile sia per la segreteria organizzaztiva sia per la clientela. Esistono alcune caratteristiche e dati essenziali che il sito deve mantenere: Home page di presentazione, contenuti del'evento, programma, orari, sponsor, l'elenco degli sponsor dell'evento, piante stradali, mezzi pubblici per raggiungere la destinazione e parcheggi in zona; meglio se tutto ha una buona animazione in flash, rende molto di più l'idea di dinamicità dell'evento. La ciliegina sulla torta la stabilisce la capacità che si ha di saper raggiungere in tempi record ed in modo incisivo il maggior numero di utenti.
Gadget per i partecipanti
L'omaggio ai partecipanti magari corredato di personalizzazione è sempre ben visto, oltre ad essere naturalmente un richiamo all'evento è sempre gradito dal partecipante. In questo fattore il budget a disposizione è una delle note principali, poichè viene considerato per le realizzazioni uno dei fattori secondari, anche se non sono pienamente d'accordo. Il partecipante ha bisogno di essere "coccolato" come uno sponsor: un evento senza partecipanti non è un evento, e allettare il pubblico con idee nuove di gadget, meglio ancora se utili, si è dimostrata sempre una buona strategia. Nota importante per il giornalista occorrerà studiare un presente ad HOC, nulla però di troppo pretenzioso.
Ingegno, qualità dei prodotti, stile, coerenza del target, immagini di qualità eccellente, uno staff di persone qualificate e di indiscussa praticità nell'attuazione delle idee, ed un po' di megalomania sono indubbiamente fattori determinanti per una buona riuscita di un evento. [marketing-crazy]
Una recente notizia diffusa dal Sole 24 Ore informa che "il Comitato di sorveglianza del Ministero delle Attività Produttive ha dato parere favorevole all'offerta della compagnia di bandiera per il vettore low cost travolto dal crack. Per l'ufficialità manca ancora la firma del ministro Claudio Scajola, che dovrà emanare un apposito decreto in arrivo nei prossimi giorni". Alla gara hanno partecipato anche Meridiana-Eurofly,Radici, Windjet e AirOne.
Proprio quest'ultima ha optato per un ricorso al TAR del Lazio per denunciare alcune presunte irregolarità nello svolgimento dell'asta. Secondo i legali di AirOne, Alitalia non era legittimata a partecipare alla gara perché il bando escludeva espressamente la partecipazione di aziende in stato di crisi; Alitalia infatti ha usufruito di alcuni fondi della Ue( e non solo!) per colmare appunto la sua grave situazione finanziaria. Ulteriori problemi potrebbero giungere dall'Antitrust visto che con questa acquisizione, Alitalia salirebbe al 55% degli slot controllati a Linate e le potrebbe essere opposto un abuso di posizione dominante.
Aspettando gli esiti di queste azioni, si possono dare per certi alcuni dati; il costo dell'operazione che Alitalia sosterrà sarà pari a 38 mln di euro, contro i 29 mln offerti da AirOne. L'anno scorso Volare è stata sottoposta ad amministrazione straordinaria e l'asta è stata proposta dal commissario straordinario Carlo Rinaldini. Ormai è certo che Volare diventerà il vettore low cost di Alitalia, la quale fino ad oggi non è stata in grado di rispondere alle offensive sferrate con strategie aggressive da parte di RyanAir, EasyJet, Virgin,etc.. le quali hanno messo in crisi la maggior parte delle tradizionali compagnie europee. Ma Alitalia oltre ad aver subito così nettamente l'avvento delle low cost, non è riuscita ad offrire un servizio competitivo neanche rispetto alle altre compagnie di bandiera; sembra non aver trovato una sua posizione, un suo ruolo definito all'interno del mercato del trasporto aereo.
In questi giorni si è evidenziato su tutti gli orani di informazione il periodo delicato che Alitalia sta attraversando; anche in relazione a questo la critica si interroga sulla bontà di un'operazione così onerosa in un momento in cui i liquidi scarseggiano, sulla reale capacità di farsi carico dei 700 dipendenti di Volare e sulla capacità di ristrutturare efficientemente oltre che se stessa anche un'ulteriore azienda che essendo sotto amministrazione straordinaria richiederà notevoli sforzi in termini di idee e di finanze.
Walt Disney, azienda leader nel settore dell’entertainment, ha annunciato ufficialmente l’intenzione di voler acquistare Pixar Animation per una cifra che si aggira sui 7,4 miliardi di dollari.Le due aziende hanno convissuto, tra alti e bassi, a partire dal 1991, dando vita a una nutrita serie di blockbuster cinematografici, con titoli come Toy Story e Alla ricerca di Nemo e più recentemente con Gli Incredibili e il prossimo Cars, in programmazione a partire dal prossimo giugno e che, stando agli ultimi accordi siglati, è il lungometraggio che avrebbe dovuto sancire la fine di questa proficua alleanza.La Pixar, il cui a.d. è un certo Steve Jobs - a capo anche della Apple - rappresenta una vera e propria success story. Acquistata nel 1986 per 10 milioni di dollari, quando era ancora la divisione di computer grafica di Lucasfilm Ltd, nell’arco di pochi anni ha saputo imporsi nel mercato del cinema d’animazione prima americano e poi mondiale creando, assieme alla rivale Dreamworks recentemente acquistata dalla Paramount Pictures, un vero e proprio genere di grande successo.
Solo grazie alla partnership con la Disney però, con la sua esperienza nello story telling e soprattutto nella distribuzione cinematografica, la capacità creativa della piccola casa di Jobs ha potuto raggiungere il successo che oggi la contraddistingue. Dopo 2 diversi accordi e una chiusura che ormai sembrava definitiva, ora i rispettivi consigli di amministrazione hanno approvato un accordo che prevede l’emissione di 2,3 azioni Disney per ogni azione Pixar e l'ingresso di Jobs nel management del gigante dell’entertainment.I capi creativi di Pixar avrebbero inoltre il controllo del famoso studio di animazione della Disney, che ha prodotto le fiabe di animazione più amate in tutto il mondo, e la direzione del Walt Disney Imagineering Group, la divisione specializzata nella progettazione dei parchi tematici.La decisione di procedere con l’acquisizione si spiega con l’importanza crescente assunta dall’animazione computerizzata, che ha in buona parte sostituito i lungometraggi realizzati con le tecniche tradizionali. Si tratta di un settore nel quale la Pixar si sicuramente mossa per prima e nel quale è saputa rimanere leader indiscussa, con ottimi risultati in termini di remunerazione delle produzioni, nonostante gli attacchi della concorrenza.Per questo motivo l’a.d. di Disney, Robert Iger, ha deciso di mantenere una stabile relazione anche con la compagnia di Jobs, che ha visto nell’arco di pochi anni crescere esponenzialmente il proprio valore. Solo nel corso dell’ultimo mese infatti le azioni della Pixar sono cresciute del 12%.Il primo passo tra Iger e Jobs era già stato fatto qualche mese fa, quando la Disney strinse un agreement con iTunes per la distribuzione di alcune serie di successo di proprietà dell’ABC. E c’è già chi pensa che questo ulteriore avvicinamento potrebbe portare ad ulteriori sinergie legate alle nuove tecnologie, come ad esempio alla distribuzione di contenuti in streaming.
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