Negli ultimi mesi il concetto di Web 2.0 è diventato ormai noto anche ai non addetti al settore e viene usato, più o meno a sproposito, dai media quasi tutti i giorni.
Questa evoluzione tecnologica e sociale del web, reso più accessibile e facile da usare a tutti gli utenti, ne ha causato anche un aumento della sua complessità, già latente, per chi ne fa un uso professionale.
Infatti si stanno facendo sempre più largo le attività e i contenuti generati dagli utenti e il mezzo, già di suo interattivo, vede sfumare sempre di più la differenza tra editore professionale e semplice appassionato, con tutti i pro e i contro del caso.
Per questo recentemente mentre leggevo il libro “Viaggio nella complessità” di De Toni e Comello, ho provato ad applicare alle nuove tendenze di Internet i 7 principi della complessità ed ho visto che questi ultimi possono descrivere molto bene il fenomeno del web 2.0.
Si tratta, a mio avviso, di un esercizio interessante perché evidenzia come il web si sia evoluto verso un sempre maggiore grado di complessità, in linea con la società, l’economia e la scienza moderna.
Vediamo dunque il parallelo con i diversi principi.
1) Auto-organizzazione: il principio postula la comparsa spontanea di ordine in sistemi con un’organizzazione chiusa ma aperti comunque verso l’esterno.
L’esempio classico è uno stormo di uccelli che vola in formazione, sul web invece possiamo applicare il principio ai motori di ricerca “umani” come Wikipedia o Yahoo Answer dove gli utenti, all’interno di un sito chiuso, sulla base di semplici regole si danno un’organizzazione che crea qualcosa di molto articolato sebbene di fatto spontaneo.
2) Orlo del caos: tutti i sistemi viventi evolvono quando si trovano in uno stato di confine tra il caos e l’ordine, troppo caos provoca la disintegrazione, troppo ordine la fossilizzazione.
Per il web 2.0 il ragionamento non può essere diverso: se un sito o una tecnologia non consente nessuna variazione e sperimentazione agli utenti presto muore, così come un sistema senza nessun tipo di regola è destinato a disintegrarsi.
Per questo ad esempio esistono le API o i codici sorgenti dell’open source, che consentono di spingersi sempre più avanti ma che sono gestiti da gruppi più o meno ampi quando devono essere messe a disposizione di tutti in modo da applicare solo quelle novità che portano un reale beneficio e da indirizzare il lavoro verso le soluzioni davvero utili.
3) Principio ologrammatico: il tutto è in una parte, la parte è nel tutto. Ciò è quanto mai vero nei social network e nei siti che consentono di condividere informazioni o file, dove il contributo individuale (ad es. una voce in Wikipedia) acquista piena importanza solo all’interno della community e dove allo stesso tempo il sito contenitore ha senso e funziona solo grazie a tutte le piccole parti che lo compongono e che appaiono all’esterno come un insieme unico.
4) Impossibilità della previsione: sembra anche qui chiaro che in un contesto dove sono gli utenti a creare la maggior parte dei contenuti e del valore aggiunto è di fatto impossibile prevedere tutti gli usi del servizio che si va erogando.
Per fare un esempio concreto, nel progettare un social network si possono prevedere una serie di funzioni ma poi bisogna essere pronti a capire e gestire tutti gli usi imprevisti dello strumento che gli utenti adottano e che possono diventare poi la killer application dell’intero sistema, imprevedibile finché le persone non iniziano a interagire fra loro.
5) Potere delle connessioni: il tutto è maggiore della somma delle sue parti. Nel Web 2.0 questo è particolarmente vero dato che le relazioni e gli interscambi che le persone attuano fra loro portano ad un risultato finale superiore ad un’addizione dei singoli contributi.
Una cosa vera per tutte le relazioni ma che sul web, grazie all’enorme bacino disponibile e all’aiuto della tecnologia, porta ad un’accelerazione notevole del fenomeno.
6) Causalità circolare: nei sistemi complessi la causa genera l’effetto che retroagisce di nuovo sulla causa in modo circolare.
Per quanto riguarda il web possiamo individuare questa situazione in qualsiasi nuovo servizio a carattere relazionale dove la tecnologia genera degli usi sociale del mezzo comportando delle modifiche della tecnologia che di nuovo agiscono sui modi d’uso in processo circolare.
7) Apprendimento try&learn: in un contesto complesso l’unico modo di apprendere è quello che procede per tentativi. In un mondo dinamico come quello dell’online moderno gli stessi professionisti del settore si trovano continuamente davanti a sfide e comportamenti che impongono un modo di procedere fatto di prove, che in combinazione con gli altri principi portano alla continua e veloce evoluzione di Internet.
Questa, in estrema sintesi, può essere la lettura del nuovo web 2.0 alla luce della teoria della complessità, il discorso naturalmente potrebbe essere approfondito moltissimo ma questo vuole essere solo un breve spunto di riflessione.
A mio modo di vedere in ogni caso questa modalità sociale, interconnessa ed emergente di vivere Internet valorizza ancora un volta la complessità del reale, confermandoci che le leggi deterministiche, pur nel loro valore, non sono sufficienti a spiegare compiutamente tutti i fenomeni.
In più tutto ciò è l’ennesima conferma del fatto che sono le relazioni a creare e far evolvere la società umana, i mass media classici, dove lo spazio di relazione e interazione era minimo, non possono minimamente competere in velocità con un mezzo dove l’innovazione avviene dal basso attraverso milioni di piccoli contributi.