Che si venda un prodotto o un servizio, uno degli assi nella manica per farsi percepire come sinonimo di qualità è prendersi cura dei propri clienti. Le aziende lo sanno e da tempo hanno cominciato a investire nel customer relationship management (crm), ossia in politiche mirate di re l azione con la clientela. Eppure non tutti si sono mossi con gli stessi tempi e le stesse modalità: se il turismo e la grande distribuzione già negli anni Ottanta legavano a sé viaggiatori e acquirenti con sconti immediati o reward differiti nel tempo, nella moda e, più in generale nei prodotti di lusso, si è dovuto attendere la fine del millennio perché si consolidassero le prime esperienze di crm. Che, tuttavia, stentano ancora a decollare.
E se i vantaggi della gestione mirata della clientela sono evidenti, si pensi per esempio alle minori rotture di stock, all'aumento dello scontrino medio e, in un'ottica di lungo periodo, alla fidelizzazione al marchio, appare chiaro che le ragioni della lentezza del settore nell'adeguarsi al nuovo sistema devono essere più profonde. Una di queste risiede nelle caratteristiche stesse del prodotto o del marchio di lusso, notoriamente per pochi. E' lo snob effect, per il quale tanto più aumenta la domanda di un bene, tanti meno clienti lo acquisteranno nel tempo, cosa che induce le aziende a contenere le vendite pur di mantenere il valore d'immagine del prodotto. Tutto il contrario di quanto sarebbe necessario per sviluppare il customer relationship management, che nella maggior parte dei casi si basa su strategie tarate per alti volumi di vendita.
A porre il maggior freno, però, è la dinamica stessa della vendita del prodotto di lusso. Una borsa di Luis Vuitton non è certo un prodotto consumer, non la si compra in un grande magazzino ma in boutique. Ciò significa che il principale punto di contatto tra cliente e marchio resta l'addetto alla vendita, che spesso è anche l'unico depositario delle informazioni sul cliente stesso. La raccolta dei dati personali, operazione fondamentale per centralizzare le relazioni produttore-consumatore, diventa un'operazione complicata e frammentaria, complice la maggiore riservatezza degli habitué del lusso e la loro minore sensibilità a incentivi standardizzati. Moda e lusso, a differenza di altri settori, hanno dunque delle specificità che devono essere tenute in debito conto, al momento di immaginare e sviluppare un sistema di gestione mirata della clientela. Serve spesso un ripensamento dell'intera organizzazione, con infrastrutture di supporto e forte motivazione da parte di dipendenti e collaboratori.
A fronte di costi non certo trascurabili, vi sono però notevoli vantaggi: la messa a punto di strategie di incentivazione su misura favorisce l'ottimizzazione degli investimenti, mentre la fidelizzazione al prodotto o al marchio aumentano la frequenza di acquisto, lo scontrino medio e la cosiddetta quota di guardaroba. Esempio lampante dell'utilità delle politiche di crm anche nel lusso è il caso di Ermenegildo Zegna, che ha giocato d'anticipo e oggi è considerato un punto di riferimento in questo campo. Tra gli elementi che hanno sancito il successo dell'approccio di Zegna al customer relationship management ci sono la creazione di un solo database, che centralizza dati e inform azioni, una visione condivisa del cliente a livello globale, ma soprattutto un coinvolgimento dell'intera azienda nello sviluppo di una relazione unica e duratura con il cliente.
Paola Cillo e Emanuela Prandelli