Dalla moda alla musica, dal cinema all'arredamento, dall'alimentazione alla politica e naturamente il marketing e la comunicazione non ne sono immuni. Il desiderio di riscoprire il passato è molto fertile: un trend che si traduce con la voglia di vintage o di retrò.
I capi d'abbigliamento e gli oggetti d'arredo ammiccano agli anni trascorsi, così come la musica rifà il verso agli evergreen ed il cinema propina remake come se piovesse. In politica poi ci attendevamo un rinascimento ed invece abbiamo subito un risorgimento: Prodi sfiora i settanta, il neo Presidente della Repubblica supera gli ottanta, Andreotti ha l'età di Matusalemme ed anche il Presidente del Senato non è di primo pelo. E' il vecchio che avanza, altrochè il nuovo tanto acclamato!
Sono i corsi e ricorsi storici di Giovan Battista Vico. La cosiddetta "vintagemania" si ritrova anche nel settore food: un fenomeno che coinvolge i prodotti di largo consumo, ma anche il packaging. Non si tratta di una iniziativa di revival commerciale, ma di un fenomeno che sottende la nostalgia dei gusti dell'infanzia, degli aromi autentici, dei profumi tradizionali della propria memoria.
Una archeologia dei sapori che sta coinvolgendo l'industria alimentare, con ovvie ripercussioni sulle confezioni. In un mercato rapido e mutevole, gli scaffali propongono etichette e marche storiche, caratterizzate da soluzioni creative affascinanti per il ricercato gusto d'altri tempi, tratti grafici distintivi della personalità e packaging design in stile più attuale. Il doppio concentrato di pomodoro Mutti, la pastiglie Leone, il liquore Cherry Stock, i filetti di tonno Callipo in vasetti di vetro, il fruttino Zuegg, il latte a lavorazione tradizionale inglese di Latte Milano, la pura liquirizia extravergine Saila in astuccio di latta, si presentano oggi sostanzialmente con la stessa immagine del tempo che fu. Prodotti che raccontano la loro storia attraverso i pack. Rassicurano il consumatore (come tutto ciò che ha un vissuto ed una esperienza), rassicurano i marketing manager, e il mood vintage, contribuisce a costruire la tracciabilità della marca: il brand diventa narrativo, capace di evocare, nell'immaginario collettivo, il ricordo di atmosfere del passato che nobilitano la marca.
Largo dunque all'uso di latta, vetro e cartoni multistrato, di preziosimi grafici a blasoni ed insegne araldiche, con codici cromatici in oro e argento e lettering classici, per accrescere il capitale di brand image, dando vita ad uno stile retrò con caratteristiche di unicità: un vero e proprio point of difference, rispetto ai competitor, per quelle marche che hanno una storia radicata nelle menti dei consumatori.
Il tutto s'intende con buona pace per l'innovazione. La quale viene sì sbandierata ai quattro venti come cura efficace per risolvere i problemi che affliggono il mercato industriale e del commercio nazionale, salvo poi essere riposta nel cassetto, in attesa di tempi migliori, con la scusa della mancanza di risorse e di energie. Siamo alle solite: piuttosto che inventare, meglio rifare. Il nuovo spaventa ed è quasi sempre a rischio, il vecchio conforta, rassicura e ripara da eventuali alee. Meglio quindi l'operazione nostalgia.
Ed ancora, si crede che il marketing culturale stia muovendo i suoi primi passi: troppo pochi per parlarne senza rischiare errori di valutazione o ipotizzare scenari errati. Si dice anche che l'eccesso di mercificazione uccide la merce. Troppo prodotto e troppa materia non favoriscono il desiderio ed il sogno.
Noi sappiamo , come afferma Lorenzo Marini, che la nuova frontiera della pubblicità non è più vendere merci, ma creare desideri e che la guerra tra i vari prodotti è diventata guerra tra i vari segni, tra i differenti simboli. da un certo punto di vista possiamo dire che la comunicazione ha successo quando incarna la sociologia del momento e possiamo affermare che il futuro della pubblicità commerciale è quello di diventare sociale , culturale, valoriale. Una assicurazione non venderà più polizze, ma sarà promotrice di una campagna di sicurezza, un detersivo non laverà più bianco, ma salverà i pesci dall'inquinamento e una caramella alla menta salverà gli orsi polari. Sempre meno oggetto, sempre più servizio. Non abbiamo più bisogno di cose, ma di valori.
Continua Marini: "Possiamo affermare con certezza che il futuro valore che la comunicazione affronterà sarà quello culturale. Arte avunque attorno a noi. Marketing culturale ancora poco. Eppure i musei stanno diventando luoghi di consumo così come i luoghi di commercio si stanno trasformandoin posti di coinvolgimento multisensoriale ed i luoghi di transito in spazi commerciali: aeroporti, stazioni. Se da una parte abbiamo il prodotto che diventa marca che diventa valore che diventa esperienza, dall'altra abbiamo l'esperienza artistica che diventa marca che diventa prodotto.
Nessuno si scandalizzi se si parla d'arte nei centri commerciali, se si fa cultura sui giornali, poichè è nei nostri cromosomi. Più artisti che santi, poeti e navigatori." Il marketing culturale esisteva prima che lo conoscessimo, come la legge di gravità: operava prima che l'uomo lo scoprisse. Nel Rinascimento ha avuto il suo principe precursore: Lorenzo De' Medici, direttore marketing dell'universo artistico.
Ma non basta. Tre sono i livelli nella comunicazione: Il primo è il prodotto oggetto. la categoria valoriale più utilizzata e perciò stessa più ovvia, quella che in stammpa chiamiamo "annunci vetrina" dove si ritiene sufficiente mostrare il prodotto eroe che punta essenzialmente sulla notorità. Esisto dunque comprami. Il secondo livello è più evoluto e usa la promessa come gancio ed il prodotto come reason why. Qui il prodotto diventa marca, parla, comunica, interagisce.
Promette e mantiene, supera la sua fisicità intrinseca e diventa linguaggio. Il terzo livello è l'essenza della marca, la sua capacità di intrattenere, di divenire empatica, catartica, avvenimento mediatico, amica sincera che non dice più "comprami", ma "sono con te", creando un metalinguaggio tutto suo con il quale il fine ultimo (l'acquisto) rimane in secondo piano. Ecco, in Italia si è spesso fermi ai primi due livelli e quasi mai si tocca quello successivo.
Perchè noi in Italia spieghiamo, spieghiamo sempre ogni cosa, e come afeermava Voltaire: "il segreto per annoiare è dire tutto!". Raramente i trenta secondi di uno spot televisivo si trasformano in spettacolo, relegando il prodotto alla risposta finale. Il nuovo trend è appunto questo. Proprio come si faceva ai tempi di Carosello. Molti ne sentono la mancanza. Il paradosso è che il nuovo è il vecchio.
Anche il marketing e la comunicazione non convenzionale, estremamente all'avanguardia ci propongono una tecnica assolutamente innovativa: il TRYVERTISING: ovvero l'unione delle due parole inglesi TRY (prova) + ADVERTISING (pubblicità), che è di moda tra i marketers. Molta creatività nella forma (naming) e poca nel contenuto. Si dice che essendo il mondo una sfera, tutto prima o poi ritorna. Niente di nuovo, dunque, sotto al sole: è la moderna riedizione ( riciclo) del vecchio e collaudato "prova e compra". Siamo oramai, infatti, ampiamente abituati ai sample: a quei campioni omaggio di prodotti del largo consumo. Tecnica promo-pubblicitaria quella del sampling sempre estremamente efficace , funzionale e d'attualità. L'unica vera fattore innovativo sta nel fatto che questa politica di sperimentare prima di acquistare la si può applicare agli ambiti più disparati: non solo al food ma nanche al non food. Come ad esempio ai mobili dell'Ikea o alle auto di lusso.
Diceva Verdi: Ritorniamo al passato e sarà il futuro!". Dico io, mutuando l'incipit di una nota poesia, guarda caso della nostra giovinezza: "C'è qualcosa di nuovo, oggi, nel marketing e della comunicazione, anzi d'antico" Nulla è come appare......