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La mutazione degli influencer
Di Max Da Via' (del 23/02/2021 @ 07:45:46, in Social Networks, linkato 1193 volte)

Il panorama mediale del 2021 sarà caratterizzato da una evoluzione profonda dei luoghi della rete (instant messenger e social media) e alla trasformazione dei contenuti che li popoleranno (in particolare quelli video). Due elementi che le aziende devono considerare attentamente nella definizione del proprio modo di stare in rete. A questi si aggiunge un terzo elemento che rende il panorama ancora più complesso: gli influencer.

In questi anni gli influencer sono stati spesso derisi, trattati come fenomeni da baraccone, nullafacenti.  In realtà chi non si fosse fermato ad osservare la superficie avrebbe scoperto una categoria molto eterogenea di persone che va dalla celebrità che si mette in posa al ragazzo che gioca nella sua cameretta, passando per il divulgatore scientifico. Tutte accomunate dalla voglia di esprimersi pubblicamente attraverso gli strumenti digitali e la rete, al di là della consistenza del proprio seguito.   

Oggi questa categoria non può essere più snobbata o ignorata dai marketer se è vero, com’è vero, che sempre più persone si fidano degli influencer. Una ricerca di Nielsen Global Media ha rilevato che il 77% degli italiani che usano i social media ha fiducia negli influencer quando parlano di prodotti e servizi.

Ma stiamo assistendo ad una fase di mutazione che rappresenterà una discontinuità tra il vecchio e il nuovo concetto di influencer. Una fase nella quale incidono le trasformazioni tecnologiche, sociali e di mercato che caratterizzano il nostro tempo.

Identità

In passato gli influencer erano sostanzialmente indistinguibili perché erano semplici ripetitori di messaggi preconfezionati. Le aziende li utilizzavano come mero canale di distribuzione.  In un contesto molto più competitivo, come quello odierno, gli influencer per sopravvivere hanno bisogno di differenziarsi rispetto ai propri concorrenti (di fatto, tutti concorrono per catturare l’attenzione delle persone).
Ciò vuol dire, innanzitutto, provare a costruire un’identità forte e ben riconoscibile, agli occhi del proprio pubblico, individuando un elemento distintivo sostanziale.

Nel 2020 alcuni l’hanno fatto prendendo una posizione chiara su temi di carattere sociale, dal razzismo (sostenendo il movimento Black Lives Matters), all’ambiente (Fidays For Future), alla diversity. 
Anche in Italia, nell’anno della pandemia, c’è chi ha sensibilizzato i propri follower sulle corrette regole igieniche per evitare il contagio da coronavirus e chi si è fatto promotore di concrete iniziative benefiche.
La stessa ricerca citata prima ha rilevato che ben l’83% degli italiani che usano i social media ha fiducia negli influencer quando trattano temi sociali.

Professionalizzazione

Parallelamente gli influencer, per emergere, hanno bisogno di lavorare sulle proprie abilità e sulla capacità di produrre contenuti (educativi o di intrattenimento) in maniera professionale. È vero che anche contenuti banali possono diventare virali, ma ciò non basterà ad ottenere delle collaborazioni retribuite.

Ormai per lavorare con le aziende devono dimostrare di essere dei professionisti. Non solo nel proprio campo specifico, ma anche della comunicazione. Non basta solo essere creativi, ma serve imparare a comprendere le esigenze aziendali, partendo dalla strategia di marketing nella quale si inserisce la campagna di influencer marketing. Solo in questo modo essi potranno interpretare i messaggi “branded” con una chiave personale e originale. Anche perché le aziende che hanno un approccio più evoluto all’IM, cercano collaborazioni continuative con veri e propri “brand ambassador”, in grado di incarnare i valori del brand e trasferirli al proprio pubblico.

Monetizzazione

Professionalizzazione fa rima con Monetizzazione. Un fenomeno destinato a crescere è quello dell’utilizzo di tecnologie per il marketing che permettono agli influencer di generare un reddito dalle attività fatte in rete.  Le più note sono quelle sviluppate dalle piattaforme social nel tentativo di accaparrarsi e trattenere i creator più popolari, portatori di pubblico e di contenuti freschi. YouTube, Facebook, Instagram, Twitch sono quelle che mettono a disposizione funzioni di monetizzazione come gli annunci pubblicitari, gli abbonamenti al canale, le donazioni, il merchandising, l’affiliazione, la vendita di prodotti.

Accanto ad essi si stanno sviluppando piattaforme specifiche che permettono alle persone di ottenere un reddito dalle proprie capacità e passioni. Si parla proprio di una vera “economia delle passioni”, abilitata da aziende come Patreon, OnlyFans, Medium, Substack e tante altre.

Driver di azioni concrete

Nei suoi primi anni di utilizzo, la leva dell’influencer marketing è stata considerata come utile per perseguire soltanto obiettivi di awareness. Si usavano soprattutto personaggi noti con un’ampia follower base nella speranza di raggiungere più persone possibili. In realtà, nella nostra esperienza fatta con Buzzoole, ho verificato che può essere efficace anche per obiettivi di consideration e conversion. Ma non esiste “l’influencer per tutte le stagioni”. Ogni campagna ha un suo obiettivo e dunque deve prevedere il coinvolgimento dei creator più adatti a raggiungere quello scopo. Non è detto che chi ha tanti follower sia riuscito a sviluppare un rapporto di fiducia tale da sfociare in uno stimolo agli acquisti.
Quello che è certo è che sempre più frequentemente agli influencer verrà chiesto di veicolare azioni di business misurabili (drive to store, vendite). In linea con la tendenza dei social media ad implementare nuovi strumenti per stimolare e misurare il social commerce.

Questi fenomeni che caratterizzano la mutazione degli influencer porteranno i più bravi ad assomigliare a dei veri e propri brand. E come tali dovranno abituarsi ad utilizzare tutte le leve del marketing per stare sul mercato, partendo dall’utilizzo di dati e tecnologia.