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Vuoi vendere? Aiuta
Di Altri Autori (del 02/01/2014 @ 07:08:12, in Social Networks, linkato 1981 volte)

«Youtility»: ecco il nuovo fenomeno che sta facendo impazzire l’America. «Why smart Marketing is about Help, not Hype»: così recita il sottotitolo del libro di Jay Baer, nuovo manuale del Social Media Marketing, inteso come “aiuto”, non “strillo”, “lancio pubblicitario”. Un “marketing così utile”, spiega, “che la gente sarà felice di pagare”. “Help, not Hype”: “la differenza tra aiutare e vendere sta tutta in due lettere. Ma queste due lettere sono i fattori determinanti del successo del business oggi”.

“Come uscire dalla crisi?“, ci siamo chiesti più volte.

La crisi che tutti noi viviamo ogni giorno, che impatta cittadino, cliente e azienda – la quale deve continuare a vendere per sopravvivere e cerca un’alternativa nei social network.

Ma anche la nuova crisi determinata dall’imporsi dell’esigenza di “pubblicità” anche nei Social: dunque d’investimenti economici imprevisti, di spese nuove che gravano sul bilancio. «Ooops, Facebook non è mio!», sembrano scoprire tutti ora che il buon Mark [Zuckerberg ndr] ha cambiato zitto zitto l’algoritmo e, in due minuti, ha spedito una galassia di aziende nel buco nero dei News Feed, rendendole invisibili.

Soluzioni: investire milioni in pubblicità? Beato chi può: certo diverrà strada sempre più necessaria. Ma non sufficiente. “E i contenuti?”, si chiedeva giustamente Piero Vendittoli in una discussione sul tema giorni fa. “Riuscirebbero a mantenere vivo il falò dei contenuti? A prendersi cura dei fan? È una comunicazione a senso unico. Io pago, tu mi leggi. Cosa, non ha importanza. Come i cartelloni 6×3 per strada. Mi vedi, ma io non vedo te”.

Altre soluzioni? Certo: un ripensamento radicale della strategia di comunicazione. Ma come? Andando a battere i sentieri, per molti ancora inesplorati, del “Villaggio dei Social Media”. Google+ anzitutto, ma anche Instagram e Vine, WhatsApp e SnapChat.

“Google+ is Google”, dichiara Martin Shervington a «Social Media Examiner“. Tanto basta a piazzarlo – coi suoi 540 milioni di utenti attivi – come alternativa urgente a Facebook: della serie che “se ancora non lo sfrutti, il peggio è il tuo”, come  tante volte ribadito da Alessandro Vitale, per cui da anni Facebook non è che un «FailBook».

Instagram? Certo. Proprio l’altro giorno il New York Times ha intervistato Liz Eswein, ritrovatasi d’un colpo imprenditrice milionaria con la sua start-up, «The Mobile Media Lab», che “ha generato oltre un milione di dollari di fatturato” insegnando alle aziende a usarne bene i servizi.

E non parliamo di WhatsApp: miniera d’oro di recente adoperata in modo esemplare da Hub09, che ha travolto la Rete portando sulla piattaforma niente meno che Babbo Natale, pronto a ricevere via messaggio la “letterina” e a chiacchierare in real time a suon di «Ohohoh!».

Ma tutto ciò potrebbe non bastare. «È un circuito destinato a farti aumentare sempre più l’investimento, a far arricchire “la macchina”» commentava Dario Ciracì quanto alla tendenza “Ads-oriented” che riguarda comunque ogni «Social Media». «Ora saremo tutti spinti a investire in Ads, ma a lungo andare, come già accade per gli AdWords di Google», CPM e CPC dell’annuncio cresceranno e «la differenza col costo degli AdWords diventerà inesistente».

I problemi così non si risolvono. Anche perché, nel frattempo, le aziende che provano a evolvere si sono imbarcate nel tentativo di “parlare in lingua social”, estranea fino all’altro ieri ma ora necessaria per il Customer Care come per Marketing o Vendite. Così l’“addetto ai lavori” si trova cacciato dal suo terreno, coll’onere di reinventarsi un ruolo chiave che lo riporti ad essere insostituibile.

Ecco una strada: «Youtility», “utilità, aiuto per Te”. Ecco il nuovo “modello di marketing per l’età dell’information overload”, dell’overload d’informazioni, di quel “buco nero del News Feed” che è vuoto, buio di trasmissioni interrotte, da cui un autentico Social Care a 360 gradi – che si dona a servizio prendendo per mano e camminando insieme ai propri amici in Rete – pare possibile exit strategy, via di fuga verso la luce di un rinnovato impulso al business.

Ecco sancito, dai Social Media Guru a stelle e strisce, il nuovo «marketing del volontariato» come già istintivamente lo avevamo definito in passato, e che cade certo a pennello sottoporre all’attenzione ora, giocando sul suo aspetto “natalizio & buonista” ma che, proprio nel suo essere risposta costante a un SOS, è aiuto che aiuta tutti – cliente e Brand. “Aiutati che Dio ti aiuta”? No. Piuttosto “Io aiuto te che aiuti me”. E non è un Do ut Des: qui c’è cuore, amore, dedizione, servizio, “devozione” verso il proprio network. Solo se mi metto al tuo servizio, dandomi a te completamente, tu mi darai la tua ben riposta fiducia: tu mi crederai.

“Per vincere”, continua Baer, «la domanda da porsi è: “Come possiamo aiutare?”». Ove riecheggia anche Seth Godin, col suo noto «May I help you?». «Se vendi qualcosa», dice Baer, «ti fai un cliente oggi, ma se aiuti genuinamente qualcuno ti fai un cliente per la vita».

Stessa spinta a un Social Media Marketing pienamente social (quasi davvero “sociale”, verrebbe da dire) invocata d’altronde anche da John Haydon, autore di Facebook Marketing for Dummies, nella recente intervista a «Social Media Examiner», che non a caso titola «Facebook Engagement: come esser visti nel News Feed». Vuoi coinvolgere la Rete? Lascia perdere autocelebrazioni e sponsorizzazioni massive, che trattano il network come «la lista contatti di una newsletter»: «sii utile». «Le aziende devono ascoltare la loro gente, porre attenzione alle loro domande. Prima capire, POI rispondere».

La crisi così può non solo trovare una via d’uscita almeno parziale, ma trasformarsi in irripetibile opportunità di crescita. Nel 2014 proviamo a portarci questo: un Social Care nuovo e inedito, consapevole che «se ti sarò utile, tu resterai con me». Se non penserò a me, allora sì che tu a me ci penserai. E comprerai.

Comunico assistendoti. Assisto comunicandoti. Altruismo egoista o egoismo altruista? Chissà. Ma se “aiuta”… perché no?

Via Tech Economy