Alla base di questa strategia c’è
ovviamente un’attenta valutazione dell’influenza esercitata da un
certo tipo di musica sui teenager americani, da sempre cari al marketing dell’azienda.
Con l’aiuto dell’agenzia pubblicitaria
Maven Strategies , la stessa che
ha supportato anche la Seagram, McDonald’s selezionerà un certo
numero di artisti rap ai quali verrà proposto di inserire le parole “Big
Mac” nei loro testi. Nel caso in cui il pezzo diventi una hit e passi
per radio ciascun artista riceverà un “bonus” che oscilla
da 1 e 5 dollari per ogni volta che la canzone viene trasmessa.
Ovviamente, per evitare pericolosi boomerang,
il testo nel quale sarà citato il famoso panino deve preventivamente
essere approvato dal marketing di McDonald’s, che verificherà la
congruenza dei messaggi in esso contenuti.
Da un certo punto di vista questa strada, già
collaudata, è creativa e con rischi limitati, in quanto l’artista
è pagato in funzione del livello di promozione che riesce concretamente
ad effettuare. D’altro canto però cosa potrebbe succedere se uno
degli artisti supportati (come talvolta succede nel mondo del rap ma non solo)
dovesse avere problemi di immagine e/o con la giustizia?
Il passaggio del pezzo in radio in questo caso
non sarebbe più molto gradito al re degli hamburger, che potrebbe vedere
la propria immagine, già ciclicamente messa in discussione per aspetti
legati alla saltuarietà dei cibo offerti, associata a personaggi diventati
nel frattempo scomodi o poco edificanti.
A prescindere però dai rischi evidenziati
mi sembra che si tratti di un tentativo per certi versi coraggioso di battere
nuove strade, per raggiungere il consumatore utilizzando uno strumento di forte
impatto come la musica in un modo sicuramente nuovo e direi in questo caso “subliminale”.